N°12, 26 APRILE – 9 MAGGIO 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 10 aprile 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°12/2015 (26 aprile – 9 maggio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: Reuters; Reuters/Ognen Teofilovski; Marit Hommedal/NTB Scanpix/Reuters; Il Messaggero; AP Photo; Emil Salman/Haaretz; White House; Yahya Arhab/European Pressphoto Agency;
FOCUS ARABIA SAUDITA ↴
In una fase estremamente delicata per la monarchia saudita, alle prese con la caotica situazione in Yemen, la storica rivalità con l’Iran e le tensioni sunniti-sciiti, Re Salman bin Abdulaziz al-Saud, insediatosi nel gennaio 2015, ha apportato a sorpresa alcuni cambiamenti strategici nelle fila del governo. Il Principe ereditario Muqrin è stato sostituito dal Ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef, nipote del Re, vicino agli USA e fermo oppositore di al-Qaeda. Il rango di vice Principe ereditario è stato concesso al giovane Mohamed bin Salman, figlio del sovrano, attualmente alla guida del Ministero della Difesa e dell’intervento militare saudita in Yemen. Mohamed bin Salman, considerato nel mondo arabo l’uomo forte del Regno e lodato per le grandi capacità strategiche nel decreto di nomina reale, è anche vice Primo Ministro e Direttore del Consiglio di Affari Economici e di Sviluppo e controlla la sicurezza interna in coordinamento con il Ministro dell’Interno e quello della Guardia Nazionale, Principe Mitab bin Abdalà. Il nuovo Ministro degli Esteri, in sostituzione di Saud al-Faysal, è l’attuale Ambasciatore negli Stati Uniti Adel al-Jubeir, ritenuto vicino al Re ed esponente attivo sulla scena mediatica statunitense. Al-Faysal, che era alla guida della diplomazia saudita dal 1975, è stato nominato consigliere e inviato speciale del Re e supervisore per gli affari esteri. L’amministratore delegato della compagnia nazionale di idrocarburi Saudi Aramco, Khalid al-Falih, è stato scelto come nuovo Ministro della Sanità; Mufrej al-Haqbani ha rimpiazzato al dicastero del Lavoro Adel al-Fakieh, che è stato promosso alla guida del Ministero dell’Economia e della Pianificazione economica.
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Sul piano regionale, il 5 maggio si è tenuto a Riyadh un attesto vertice straordinario del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). A tener banco le questioni relative all’unità intra-araba del consesso e i principali dossier di politica mediorientale. Se da un lato si affrontavano i problemi sorti all’interno dell’organizzazione dopo il diniego omanita ad accettare l’evoluzione del GCC da consesso di cooperazione politica ed economica ad un’Unione del Golfo in chiave soprattutto militare, a guida saudita e in funzione anti-iraniana, dall’altro sono stati discussi i numerosi dossier ancora aperti nella regione: crisi yemenita, conflitto in Siria, Iraq e dossier nucleare iraniano. Per la prima volta ha partecipato un leader europeo, il Presidente francese Hollande, in Qatar per la firma di un contratto di vendita di caccia Rafale. La riunione del GCC, creato nel 1981 tra Arabia Saudita, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, è stata anche un’occasione per discutere del rafforzamento delle relazioni bilaterali all’interno e all’esterno della regione del Golfo Persico/Arabico. Proprio in tale ottica i leader dei 6 Paesi saranno ricevuti il 13-14 maggio alla Casa Bianca da Obama e il giorno successivo in un incontro a Camp David.
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EUROPA/SICUREZZA ↴
Sono in corso dal 4 maggio operazioni di addestramento militare su larga scala nella regione del Baltico. L’Estonia ha lanciato la più grande operazione di addestramento terrestre della sua storia (“Operazione Siil-2015” o “Hedgehog”, preceduta a fine aprile da “Tornado”, esercitazione congiunta con gli USA), che durerà fino al prossimo 15 maggio e che vede il coinvolgimento di 13.500 soldati provenienti da tutti i Paesi NATO (tra cui 7mila riservisti e numerosi volontari dell’Estonian Defense League) con lo scopo di testare il livello di risposta alle minacce esterne nel più ampio contesto di “Atlantic Resolve” (OAR), operazione istituita nel quadro dell’European Reassurance Initiative scaturita dalla crisi ucraina. Allo stesso modo “Lightning Strike”, le più ampie esercitazioni mai avvenute in Lituania grazie alla partecipazione di circa 3mila soldati, è focalizzata sul rafforzamento della cooperazione tra le autorità militari e civili contro le cosiddette “minacce ibride”, puntando sulla difesa da attacchi terroristici informatici legati ad aerei di linea commerciali. Nel Mar del Nord e nel Canale dello Skagerrak ha preso avvio “Dynamic Mongoose”, esercitazione anti-sommergibile annuale della NATO – che vede la partecipazione di circa 5mila soldati provenienti da 10 Paesi dell’Alleanza Atlantica nonché l’impiego di nove fregate, due navi rifornimento, 4 sottomarini, tre aerei antisom ed elicotteri – a cui hanno preso parte per la prima volta anche forze della Svezia. Nelle scorse settimane (27-28 aprile) la Marina finlandese, nel corso di alcune operazioni di pattugliamento a largo di Helsinki, aveva peraltro lanciato l’allarme per la presunta presenza di attività sottomarina – riconducibile probabilmente alla Russia – in un episodio analogo a quello accaduto alla Svezia alcuni mesi fa; il Ministro della Difesa finlandese Carl Haglund ha annunciato che alcune cariche di profondità
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sono state sparate come avvertimento e che sono stati allertati almeno 900mila riservisti in vista di una potenziale situazione di crisi. Contemporaneamente l’Alleanza Atlantica ha deciso il trasferimento momentaneo del proprio quartier generale meridionale da Napoli a Cincu, in Romania, in occasione dell’esercitazione militare Trident Joust che si svolgerà dal 17 al 28 giugno per testare le capacità di reazione di una forza militare multilaterale. La risposta della Russia, già attiva negli ultimi mesi con diverse operazioni addestramento in un arco geografico dal Caucaso al Mar di Barents e che – come dichiarato dal Ministro della Difesa Serghej Shoigu, sta per rinnovare la produzione del Tupolev Tu-160 “Blackjack”, il bombardiere a lungo strategico supersonico e utilizzabile per l’interdizione navale –, vedrà – come già anticipato nelle scorse settimane e ora confermato da alcune fonti turche – esercitazioni militari congiunte con la Cina nel Mediterraneo, le prime in questo quadrante regionale (hanno difatti già cooperato nel Pacifico nel 2012). Pechino metterà a disposizione due fregate, le navi Linyi e Weifang, e il rifornitore Weishanhu, attualmente impegnate in azioni di scorta a convogli mercantili nel Golfo di Aden a largo della Somalia, con lo scopo di aumentare l’abilità di entrambe le forze navali e affrontare le minacce alla sicurezza marittima, pur specificando che queste operazioni esulano dal quadro di crisi regionale e dunque dalle tensioni tra Occidente e Russia.
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IRAQ ↴
Circa 1.500 guerriglieri tribali sunniti si uniranno al Fronte di Mobilitazione Popolare per contrastare la presenza dello Stato Islamico (IS) nell’Anbar iracheno. Il “Secondo Battaglione dei Figli di Amiriyat al-Falluja” (cittadina a trenta chilometri a sud-est di Falluja) è stato salutato dal Governatore della provincia, Souhaib al-Ani, come uno spartiacque per il prosieguo della campagna contro il Califfato. In aprile l’esercito regolare aveva intrapreso un’ambiziosa operazione nell’Anbar, che per prima nel gennaio del 2014 ha conosciuto l’affermazione e il consolidamento della minaccia islamista. Nonostante il recente successo conseguito a Tikrit, la manovra delle forze di sicurezza irachene è stata però di corto respiro, alimentando una pesante controffensiva dell’IS che ha compromesso la stessa tenuta del capoluogo Ramadi e ha costretto migliaia di persone a sfollare verso Baghdad. Il vertice dell’esecutivo guidato da Haider al-Abadi ha dunque istruito le autorità militari di armare i corpi volontari di diverse tribù locali, promuovendo il 6 maggio la costituzione di un comitato (rappresentativo dei vari livelli di governo e degli ufficiali statunitensi) per sovrintendere l’esecuzione del provvedimento nella base di Habbaniya, nei pressi di Ramadi. Tuttavia, l’integrazione dei combattenti tribali nei ranghi delle milizie popolari non sembra poter gettare le premesse dell’annunciata costituzione di una Guardia Nazionale irachena, cui il governo di Baghdad ha appuntato la promessa di un Iraq federale e unificato, né rievocare il cosiddetto “risveglio” sunnita che nel 2006 fornì alle truppe statunitensi un apporto fondamentale allo scopo di estirpare l’organizzazione qaedista (al-Qaeda in Iraq), allora guidata da Abu Musab al-Zarqawi e dalle cui ceneri si è poi costituita l’attuale leadership dell’IS. Dal punto di vista militare, le unità tribali accorse a sostegno delle istituzioni centrali sono sprovviste dell’addestramento e dell’equipaggiamento necessario per fronteggiare un nemico che sfoggia risorse e capacità di combattimento ben superiori. Prima di ottenere il riconoscimento 5
ufficiale di Baghdad il 9 maggio, nelle ultime settimane centinaia di combattenti tribali hanno ingaggiato azioni di guerriglia urbana con i miliziani del Califfato, seppur con mezzi antiquati e senza ricevere alcuna forma di retribuzione. Pertanto, data anche la grave mancanza di una catena di comando unificata che coordini i vari attori del fronte antagonista (l’esercito regolare iracheno, le milizie sciite, i volontari sunniti, gli alleati della coalizione internazionale), l’integrazione formale dei guerriglieri tribali non è suscettibile di cambiare il segno delle ostilità in corso nell’Anbar. Nelle attese della leadership irachena, le forze volontarie fedeli agli sceicchi sunniti saranno impegnate primariamente nella difesa e nel controllo del territorio, dunque lasciando alle unità di élite dell’esercito regolare i compiti di proiezione offensiva e soprattutto riducendo il coinvolgimento politicamente delicato delle milizie sciite. Quest’ultime invece rivendicano un ruolo crescente negli sviluppi della campagna nella provincia sunnita, così osteggiando un più risoluto intervento aereo da parte della coalizione internazionale diretta dagli Stati Uniti. Il comandante del Fronte di Mobilitazione Popolare, Hadi al-Ameri, ha dichiarato, in termini oppositivi rispetto all’ingerenza statunitense, che le milizie sciite saranno in prima linea nella librazione dell’Anbar, aggiungendo che la protezione della popolazione della provincia rappresenta un dovere religioso, morale e giuridico.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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Da queste spaccature l’IS continua a trarre evidenti benefici, costruendovi le proprie fortune belliche. Ciò conferma che gli squilibri politici tra le varie componenti etnicosettarie e le conseguenti ripercussioni a livello regionale pregiudicano l’obiettivo unificante della repressione del sedicente Califfato islamico. A questo proposito, è assai rilevante annotare il rinnovato appello all’indipendenza del Kurdistan affermato da Masoud Barzani, Presidente del governo regionale curdo, recatosi a Washington per una lunga serie di colloqui con la dirigenza statunitense. Nonostante l’immediata priorità della lotta contro l’IS, il leader curdo ha annunciato l’intento di indire entro un anno un referendum per ridefinire il grado di autonomia della regione. Insidiato dalle opposizioni interne, che guardano alla prossima scadenza (in agosto) del mandato presidenziale, Barzani ha dunque alzato la posta del confronto istituzionale con Baghdad, malgrado l’insediamento dell’esecutivo presieduto da al-Abadi abbia recentemente incoraggiato un miglioramento nei rapporti bilaterali. Benché l’amministrazione Obama sia ufficialmente irremovibile riguardo a qualsiasi ipotesi secessionista, Barzani ha espresso soddisfazione per come le istanze curde sono state ricevute dalle controparti americane. Gli incontri hanno ruotato attorno all’assistenza militare offerta ai Peshmerga, laddove la delegazione curda ha biasimato Baghdad per la mancata consegna di armamenti e munizioni. In ragione della temuta questione indipendentista, le istituzioni centrali sono infatti restie ad approvare il trasferimento di commesse belliche statunitensi in direzione di Erbil. A questo riguardo, proprio durante la visita di Barzani, un gruppo di senatori americani ha introdotto una bozza di legge che attribuirebbe all’esecutivo la facoltà di trattare direttamente con le autorità curde l’invio di armamenti, così scavalcando la mediazione di Baghdad. La proposta, condannata dal Parlamento iracheno, è stata prontamente sconfessata dall’amministrazione Obama, che ha ribadito l’impegno verso l’integrità e la sovranità di un Iraq federale. Tuttavia, il disegno di legge avanzato dai “falchi” certifica la presenza di voci dissonanti in seno al Congresso americano che auspicherebbero un deciso rafforzamento della lunga alleanza con Erbil per mettere ai margini del conflitto iracheno i potenti gruppi paramilitari sciiti dietro cui si staglia l’ombra iraniana. Il Presidente curdo ha comunque ricevuto piena assicurazione che l’assistenza militare concordata con gli Stati Uniti raggiungerà senza ritardi i guerriglieri curdi. Intanto, l’andamento del conflitto appare incerto non solo nel teatro dell’Anbar, ma anche in gran parte del territorio iracheno. La raffineria di Baiji è ancora terreno di violenti scontri e i fondamentalisti continuano a imperversare nella località petrolifera, malgrado i ripetuti raid effettuati dall’aviazione irachena e dai caccia della coalizione internazionale. Inoltre, l’IS ha mosso ingenti risorse (compresi veicoli corazzati) nell’area di Kirkuk, dove i miliziani islamisti minacciano le comunità locali di dare alle fiamme gli appezzamenti agricoli qualora parte del raccolto non venga tributata al Califfato. Se ciò indica una flessione nelle finanze dell’organizzazione terro-
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ristica, le uniformi nere non hanno però ridimensionato la scala dell’offensiva, portandosi nuovamente a ridosso di Baghdad con una serie di attentati dinamitardi: nella sola giornata del 1° maggio l’esplosione di tre autobombe nella capitale ha provocato la morte di 13 persone e il ferimento di 56.
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STATI UNITI ↴
È durato otto giorni, dal 26 aprile al 4 maggio, il tour negli Stati Uniti del Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe. Una visita che già alla vigilia l’Ambasciatore di Tokyo a Washington non aveva esitato a definire “storica”. Il 29 aprile, per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali, Abe si è rivolto al Congresso americano ricordando, con un occhio rivolto alla storia, che «il nostro incontro con l’America è stato il nostro incontro con la democrazia». «La storia», ha detto riferendosi alla Seconda Guerra Mondiale, «è dura e quel che è accaduto è accaduto e non si può cambiare», porgendo poi «eterne condoglianze» per quei soldati statunitensi che persero la vita combattendo contro i giapponesi. Oggi, però, Tokyo occupa una diversa posizione nel sistema internazionale proprio grazie a Washington, che gli ha permesso di «avanzare come membro del mondo occidentale». Passando dalla storia all’attualità, Abe ha proseguito ribadendo la centralità della realizzazione della Trans-Pacific Partnership (TPP) sia per il Giappone che per gli Stati Uniti: «non c’è alternativa», ha affermato, tanto più se la sua importanza «va al di là dei benefìci economici» poiché, in termini geopolitici, apporterebbe stabilità allo «stato delle acque asiatiche». Il Primo Ministro, nel suo discorso, non ha mai fatto riferimento alla Cina, la quale comunque è apparsa protagonista indiretta delle sue parole. Contestualmente al viaggio di Abe, Stati Uniti e Giappone hanno diffuso le nuove linee guide per la cooperazione bilaterale nell’ambito della Difesa corredato da un comunicato congiunto firmato dai rispettivi Ministri della Difesa e degli Esteri. Il documento sottolinea l’assoluta centralità ed attualità del trattato d’alleanza fondato sulla difesa collettiva (che comprende, a detta dell’amministrazione Obama, an-
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che le contestate isole Senkaku); sancisce la creazione di un meccanismo permanente di coordinazione dell’alleanza sia in tempo di pace che in quello di crisi con una pianificazione congiunta; invita il Giappone a contribuire in termini militari, ad esempio nel caso delle operazioni di peacekeeping o di sicurezza marittima, alla stabilità del sistema internazionale al fianco degli altri Paesi partner; espande la collaborazione bilaterale alla sicurezza cibernetica e all’assistenza umanitaria; incentiva la cooperazione nell’industria militare, nell’intelligence e nell’area di ricerca e sviluppo. Il fine ultimo delle nuove linee guide, di comune accordo con la National Security Strategy 2015 degli Stati Uniti, è quello di «promuovere una stabile, pacifica e prosperosa regione Asia-Pacifico, e oltre». Tokyo si impegna quindi a continuare ad ospitare sul suo territorio le Forze Armate americane, a cominciare dalle basi di Okinawa e di Yokosuka, che saranno tecnologicamente rafforzate dall’invio di armamenti avanzati. Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano la loro intensa attività internazionale in un panorama globale costantemente travolto da crisi. Il Presidente Barack Obama, alla luce dei mutevoli equilibrio nel Grande Medio Oriente, ha invitato i Paesi del Golfo, a partire da Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e UAE, a Camp David e a formare un sistema di difesa regionale per contrastare un’eventuale minaccia missilistica che potrebbe essere posta dall’Iran. Anche sul piano interno gli USA sono molto attivi in vista delle elezioni presidenziali del 2016. Per il Partito Repubblicano sono state ufficializzate tre nuove candidature: Ben Carson (medico), Carly Fiorina (CEO di Hewlett-Packard) e Mike Huckabee (già governatore dell’Arkansas). Per il Partito Democratico, invece, ha annunciato di voler correre nelle primarie Bernie Sanders (già Senatore del Vermont).
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BREVI CORNO D’AFRICA, 4-5 MAGGIO ↴ La prima settimana di maggio ha visto il Segretario di Stato americano John Kerry impegnato in un tour dell’Africa
Orientale.
Sull’onda
del
sanguinoso
attentato all’università di Garissa, la visita in Kenya ha evidenziato un rafforzamento della cooperazione tra i due Paesi nella lotta al terrorismo in preparazione della prossima visita del Presidente Obama prevista per fine luglio.
L’evento
segna
inoltre
la
ripresa
delle
missioni
di
alti
esponenti
dell’establishment statunitense dopo l’interruzione conseguente alle accuse della Corte Penale Internazionale al Presidente Uhuru Kenyatta, ritenuto responsabile delle violenze elettorali tra il 2007 e il 2008, ritirate nel dicembre 2014 per insufficienza di prove. Kerry ha annunciato lo stanziamento di 100 milioni di dollari per supportare il Kenya nel rafforzamento della sicurezza delle proprie frontiere, con lo scopo di collaborare nell’intelligence, nella formazione del personale militare e nella strategia anti-terrorismo, e di 45 milioni per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per la protezione e l’assistenza dei 600mila rifugiati nel Paese. Kerry si è poi recato in Somalia, primo Segretario di Stato nella storia, dove ha incontrato il Presidente, il Premier e i leader regionali, auspicando che il Paese possa presto giungere ad avere un governo effettivo nonostante le sfide alla sicurezza e l’attivismo del gruppo al-Shabaab. La tappa a Gibuti ha previsto colloqui con il governo e la visita alla base militare USA di Camp Lemonnier, importante avamposto militare nella lotta alla pirateria e al terrorismo internazionali.
ISRAELE, 7 MAGGIO ↴ Dopo 42 giorni di trattative difficili ed estenuanti – le elezioni in Israele si sono tenute il 17 marzo scorso –, il Primo Ministro incaricato Benjamin Netanyahu è riuscito a formare un governo di coalizione a poche ore dal termine ultimo (8 maggio) imposto dal Presidente della Repubblica Reuven Rivlin. Il nuovo governo, che dovrebbe giurare già l’11 maggio prossimo, è riuscito dunque nell’impresa di raggiungere in Parlamento (Knesset) la soglia minima di 61 seggi su 120, necessari a garantire la maggioranza. Il 34esimo esecutivo della storia israeliana sarà composto oltrechè dal consevatore e partito di maggioranza relativa Likud (30 seggi), dal centrista Kulanu (10), dal nazional-sionista Jewish Home (8) e, infine, dai due partiti di estrazione religiosa Shas (7) e United Torah Judaism (UJT, 6). A dispetto delle 11
previsioni iniziali, Yisrael Beiteinu dell’ex
Ministro
degli
Esteri
Avigdor Lieberman ha rifiutato l’intesa con il Likud, accusando Netanyahu
di
«cercare
accordo
politico
sull’opportunismo
un
basato e
sul
conformismo». Oltre a ricoprire l’incarico di Premier, Netanyahu manterrà ad interim anche il dicastero
degli
speranza
che
Esteri, Isaac
nella
Hertzog,
leader di Unione Sionista – il blocco politico di centro-sinistra costituito dai Labor e da HaTnua di Tzipi Livni –, accetti di entrare a far parte del governo anche se ad oggi le possibilità di un’intesa politica sono da ritenersi minime data la netta distanza di posizioni. Vincitori di questa tornata di trattative sono Naftali Bennett, che ricoprirà l’incarico di Ministro dell’Istruzione, e il suo partito Jewish Home, che ha ottenuto il Ministero della Giustizia, che sarà affidato alla deputata Ayelet Shaked, quello del Ministero dell’Agricoltura ricoperto da Uri Ariel e il vice Ministero della Difesa (con delega all’Amministrazione Civile e quindi anche ai Territori Palestinesi) con Eli Ben-Dahan. Il moderato Kulanu e il suo leader Moshe Kahlon hanno ottenuto invece il dicastero dell’Economia, mentre Shas e UJT completano il cerchio con incarichi minori. Tuttavia non mancano i primi malumori nel Likud di Netanyahu a causa della contrarietà di alcuni suoi deputati per l’assegnazione, a loro modo di vedere arbitraria, degli incarichi ministeriali. Ad ogni modo il Likud ha conservato per sè i Ministeri dei Trasporti e della Difesa, ricoperti rispettivamente da Israel Katz e e Moshe Ya’alon.
MACEDONIA, 14 APRILE ↴ A
seguito
di
alcune
rivelazioni
del
leader
dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev circa il tentativo dell’esecutivo di insabbiare il caso di omicidio del giovane macedone Martin Neškovski, ucciso da un poliziotto nell’esercizio delle sue funzioni nel corso di una manifestazione contro la vittoria del partito conservatore VMRO-DPMNE nel 2011, sono scoppiate a Skopje proteste contro il governo del Primo Ministro Nikola Gruevski. Già da alcuni mesi Gruevski, al potere da 9 anni, era finito al centro di uno scandalo politico, dopo le accuse dello stesso Zaev di corruzione e di mancanza di trasparenza nell’assegnazione delle cariche pubbliche, di controllare la magistratura, di aver 12
intercettato per anni politici ed esponenti della società civile, di aver censurato e minacciato di morte giornalisti indipendenti e dunque di aver imposto uno Stato di polizia e autoritario. È di 38 agenti feriti e almeno 30 arresti il bilancio degli scontri tra dimostranti e forze di sicurezza macedoni. Ad innalzare il clima di tensione si è aggiunta l’incursione di un gruppo armato in un quartiere periferico a maggioranza albanese della città di Kumanovo, al confine con Serbia e Kosovo, che ha ingaggiato scontri a fuoco con le forze di polizia con armi automatiche e bombe a mano: il bilancio provvisorio è di decine di agenti feriti e almeno 5 quelli morti, insieme con alcuni assalitori. Sull’identità e sulla provenienza del commando – formato da almeno 70 uomini secondo il portavoce della polizia macedone – le autorità nazionali mantengono il massimo riserbo: il portavoce del Ministero dell’Interno, Ivo Kotevski, ha dichiarato che si è trattato un un gruppo terroristico penetrato illegalmente da un non meglio precisato Paese vicino, che secondo molti sarebbe il Kosovo anche alla luce di una precedente incursione di un gruppo di 40 kosovari di origine albanese (dichiaratosi appartenente al Kosovo Liberation Army, KLA) che lo scorso 21 aprile aveva occupato per alcune ore una stazione di polizia di Gosince inneggiando alla creazione di uno Stato albanese in Macedonia.
SUDAN, 6 MAGGIO ↴ Il canale televisivo al-Mayadeen, vicino ad Hezbollah, ed alcuni media arabi, riprendendo il sito online del quotidiano israeliano The Jerusalem Post, hanno riferito di una serie di forti esplosioni avvertite prima dell’alba a Omdurman, nei pressi della capitale sudane se Khartoum. Secondo le prime ricostruzioni si sarebbe trattato di una serie di raid aerei di “entità straniere”, probabilmente da parte di jet israeliani. Fonti ufficiali delle Forze Armate sudanesi hanno rivelato che le forze di difesa aerea hanno attaccato alcuni jet non identificati che sono entrati nello spazio aereo del sobborgo di Wadi Sidna della città di Omdurman. Il portavoce dell’esercito sudanese, il colonnello Alsawarmi Khaled Saad, ha confermato all’emittente Sky News che non c’è stato nessun attacco, ma semplicemente le unità contraeree hanno colpito un oggetto non ben identificato. Testimoni residenti nell’area hanno rivelato, invece, la presenza di un jet o un UAV israeliano che avrebbe colpito un deposito di armi. Le forze di difesa israeliane (IDF) non hanno voluto commentare l’episodio né tantomeno fornire ulteriori elementi al riguardo: tuttavia, gli israeliani hanno compiuto, in passato, diversi attacchi ai danni di alcune strutture in Sudan, ritenendo il Paese una via di passaggio privilegiata per le armi che dall’Iran arrivano ai guerriglieri di Hamas nella Striscia di Gaza. Nel frattempo, la Commissione Elettorale del Sudan ha comunicato l’esito delle elezioni presidenziali delle scorso 27 aprile: il Presidente in carica Omar al-Bashir è stato rieletto con il 94%, estendendo ulteriormente il suo mandato che dura ormai da 25 anni. Nonostante l’affluenza si sia 13
attestata attorno al 46%, la Commissione Elettorale ha negato ogni critica di scarsa partecipazione. Resta il fatto che Omar al-Bashir è, al momento, l’unico leader al mondo ad essere in carica nonostante l’accusa pendente di crimini contro l’umanità.
YEMEN, 8 MAGGIO ↴ Dopo 50 giorni di combattimenti sul campo e di raid aerei sauditi contro le postazioni dei ribelli Houthi a Sana’a e nelle altre principali città del Paese, lo Yemen inizia a scorgere alcuni timidi spiragli di tregua. A favorire
ciò
è
soprattutto la
proposta
simbolica
accettata dagli Houthi e lanciata nei giorni precedenti dall’Arabia Saudita e dalle corone gemelle del Golfo durante il vertice straordinario del Gulf Cooperation Council (GCC), tenutosi il 5 maggio a Riyadh. Il colonnello delle forze pro-Houthi, Sharaf Luqman, aveva affermato all’agenzia stampa SABA che i ribelli si sarebbero resi disponibili ad accettare l’accordo per una tregua umanitaria. L’intesa, sostenuta anche da Stati Uniti e Russia, scatterà alle 23 del 12 maggio e dovrebbe rimanere in vigore per 5 giorni con l’obiettivo di distribuire aiuti umanitari ai civili. Unica condizione posta era l’accettazione della stessa da parte degli Houthi. Qualora l’intesa dovesse mantenere, numerosi analisti ritengono che questa possa essere la base di lavoro per un accordo più duraturo e di medio-lungo termine. Intanto, mentre infuriano i raid aerei sauditi – solo 130 ne sono stati lanciati nella giornata del 9 maggio – lungo soprattutto il confine nord dello Yemen, la situazione umanitaria peggiora di giorno in giorno tanto da aver prodotto 1.400 morti, più di 6.000 feriti e portato quasi 7,5 milioni di persone sull’orlo dell’insicurezza alimentare.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN YEMEN – FONTE: AMERICAN ENTERPRISE INSTITUTE AND THE NEW YORK TIMES
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ALTRE DAL MONDO FRANCIA-QATAR, 4 MAGGIO ↴ Impegnato in tour mediorientale che lo ha portato a partecipare anche al summit del GCC a Riyadh in qualità di ospite d’onore, il Presidente François Hollande ha incontrato a Doha l’Emiro Tamim al-Thani con in quale ha chiuso un importante contratto di fornitura militare di 24 aerei da combattimento Rafale, per una commessa totale dal valore complessivo di 6,3 miliardi di dollari. In attesa di chiudere un accordo analogo anche con gli Emirati Arabi Uniti, l’intesa con il Qatar segna un nuovo successo nella diplomazia militare francese, dopo le vendite di aerei, elicotteri e navifregata a India ed Egitto.
KAZAKISTAN, 21 APRILE ↴ Le elezioni presidenziali hanno confermato la netta affermazione del Presidente in carica Nursultan Nazarbayev, che ha ottenuto il 97,7% dei voti. Gli altri due candidati in corsa, Turgun Syzdykov e Abelgazy Kusainov, hanno ottenuto, rispettivamente, lo 0,7% e l’1,6% dei voti espressi. Ha votato, secondo il capo della Commissione Elettorale Centrale Kuandyk Turgankulov, più del 95% degli aventi diritto, dato confermato anche dagli osservatori internazionali che però hanno messo in discussione la regolarità del voto.
IRAN, 28 APRILE ↴ La Marina dell’Iran ha abbordato e sequestrato nelle acque del Golfo Persico una nave cargo battente bandiera delle Isole Marshall. Nelle prime ore si era pensato potesse essere una nave appartenente alla marina commerciale statunitense; la voce è stata subito smentita dal Pentagono. Tuttavia pare fosse adibita al trasporto di personale militare americano. Il 7 maggio Teheran ha rilasciato la nave con a bordo i trenta uomini dell’equipaggio.
MALI, 5 MAGGIO ↴ La località di Ténenkou, a un centinaio di chilometri ad ovest di Mopti, è stata il teatro di violenti scontri tra l’esercito maliano e i ribelli del Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad. Gli autori dell’attacco sarebbero arrivati dalla città di Léré, nei pressi della frontiera con la Mauritania, dove a fine aprile gli scontri tra esercito e gruppi armati a maggioranza tuareg avevano fatto una ventina di morti. È il quarto attacco di questo tipo da quando il GATIA, una milizia pro-governativa, ha riconquistato la città di Ménaka. La speranza delle autorità maliane è che la ripresa degli
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scontri non abbia ripercussioni sulla firma ufficiale di un accordo di pace, prevista per il 15 maggio.
NAGORNO KARABAKH, 3 MAGGIO ↴ Si sono svolte in Nagorno-Karabakh le seste elezioni parlamentari da quando la regione si è autoproclamata indipendente dall’Azerbaijan il 10 dicembre 1991. Alle consultazioni ha partecipato oltre il 70% dei 101.653 aventi diritto, per eleggere i 33 deputati che compongono l’Assemblea Nazionale. Il partito Madrepatria Libera dell’attuale Primo Ministro Araik Harutiuniansi si è aggiudicato il 47,35% dei voti, seguito dal Partito Democratico del Karabakh guidato dal Presidente del Parlamento Ashot Gulian con il 19,1%, mentre la Federazione Rivoluzionaria Armena ha ricevuto il 18,51% dei voti.
PAKISTAN, 8 MAGGIO ↴ Il ramo dei Talebani pachistani, Tehrik-i-Taliban (TTP), ha rivendicato l’abbattimento di un elicottero militare nella la zona di Naltar, nella provincia settentrionale di GilgitBaltistan. Il velivolo è precipitato nei pressi di una scuola aumentando il numero dei morti. Sebbene non vi siano cifre definitive, attualmente il bilancio consta di 17 vittime, 11 diplomatici e 6 cittadini pachistani. Tra coloro che hanno perso la vita oltre ai due piloti pachistani, vi sono anche gli Ambasciatori di Norvegia e Filippine, rispettivamente Leif H. Larsen e Domingo D. Lucenario Junior, e le mogli degli Ambasciatori di Malesia e Indonesia. Feriti invece gli Ambasciatori di Polonia e Olanda. Come spiegato dal portavoce dei TTP Muhammad Khorasani al quotidiano locale The Express Tribune, il vero l’obiettivo dell’attacco era il Primo Ministro Nawaz Sharif che stava partecipando alla stessa missione ufficiale a bordo di un altro velivolo.
REGNO UNITO, 7 MAGGIO ↴ Il Partito Conservatore guidato da David Cameron ha trionfato nelle elezioni politiche generali. Nonostante i sondaggi avessero preventivato una parità tra Laburisti e Conservatori con la prospettiva di un nuovo Parlamento “appeso” (Hung Parliament), Cameron ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Il suo trionfo ha portato alle dimissioni da leader del partito Ed Miliband (Labour Party), Nick Clegg (Lib-Dem) e Nigel Farage (UKIP).
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 5 MAGGIO ↴ Un convoglio della missione ONU in Congo è stato attaccato da alcuni uomini appartenenti ai ribelli ugandesi delle Allied Democratic Forces (ADF). L’attacco, avvenuto nel nord-est del Paese, a una decina di chilometri dalla città di Eringeti, ha causato
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la morte di due caschi blu tanzaniani e di tre civili, nonché il ferimento di tredici persone. L’imboscata è avvenuta nella stessa zona dove, il giorno precedente, i ribelli dell’ADF avevano colpito un elicottero dell’ONU.
TOGO, 25 APRILE – 3 MAGGIO ↴ Il Presidente Faure Gnassingbé, al potere dal 2005, è stato ufficialmente rieletto per un terzo mandato consecutivo. Ad annunciare la vittoria dell’incumbent è stata la Corte Costituzionale, rivelando i dati ufficiali delle elezioni presidenziali svoltesi lo scorso 25 aprile. Gnassingbé è stato rieletto con il 58,77% dei voti, contro il 35,19% dello sfidante Jean-Pierre Fabre. Lo sconfitto e leader dell’opposizione Fabre ha contestato i risultati forniti dalla Corte Costituzionale, proclamandosi quale reale vincitore della tornata elettorale.
UCRAINA, 2 MAGGIO ↴ Il Presidente della Repubblica polacco, Bronislaw Komorowski, ha firmato la legge per la ratifica dell’accordo sull’istituzione della “LitPolUkrBrig”, la brigata congiunta tra Polonia, Lituania e Ucraina. Approvata dagli altri due Paesi tra febbraio e marzo, nelle prossime settimane prenderanno il via le discussioni dei gruppi di lavoro per la definizione della struttura e dell’operatività. L'Ambasciatore USA in Ucraina, Geoffrey Pyatt, è tornato a denunciare la concentrazione di un considerevole numero di armi pesanti e di un sistema di difesa anti-aereo da parte della Russia nel Donbass.
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ANALISI E COMMENTI LA NAZIONE “INDISPENSABILE”? GLI STATI UNITI E LA NUOVA NATIONAL SECURITY STRATEGY DAVIDE BORSANI ↴ L’anno appena trascorso ha mutato in profondità le priorità strategiche degli Stati Uniti. Il primo mandato di Barack Obama si era aperto nel 2009 con due necessità: il disimpegno militare dalla “guerra per scelta” irachena intrapresa da George W. Bush e il re-engagement verso l’Asia che avrebbe trasformato gli USA da Atlantic Power a Pacific Power. Il secondo mandato, iniziato nel 2013, si avvia oggi alla conclusione con il ritorno dell’America in Iraq per fronteggiare la minaccia dello Stato Islamico (IS) e, per dirla con Walter Russell Mead, con un rinnovato Pivot to Europe a fronte del dinamismo russo in Ucraina. Emblemi di questo cambiamento nell’orientamento strategico sono le due National Security Strategy (NSS) pubblicate dalla Casa Bianca nel 2010 e nel 2015. Quest’ultima, in particolare, non ha raccolto l’eco mediatica che avrebbe meritato, soprattutto qui in Italia, un Paese che, per la sua collocazione geografica, rappresenta per Washington uno snodo assai utile per la sua strategia nel Mediterraneo allargato (…) SEGUE >>>
UCRAINA, UN ANNO DOPO MAIDAN. VERSO UN NUOVO ORDINE INTERNAZIONALE? OLEKSIY BONDARENKO ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA Un anno dopo le proteste di Maidan e l’annessione della Crimea, la crisi politica in Ucraina non accenna a stemperarsi. Gli eventi dell’ultimo anno hanno segnato profondamente le relazioni tra Mosca, Washington e Bruxelles, mutando concretamente la struttura delle relazioni internazionali. L’origine dell’attuale crisi non risiede solo nella questione ucraina, bensì nell’ordine costituito dopo il crollo del muro di Berlino e la disgregazione dell’URSS che, in condominio con gli USA, aveva formato il sistema bipolare dopo la seconda guerra mondiale. Se la fine della Guerra Fredda e del sistema stabilito a Yalta fu simbolicamente sancita dallo storico incontro tra George Bush e Gorbachev durante il summit di Malta nel dicembre del 1989, le basi poste per le nuove relazioni tra le potenze sul continente europeo si sono dimostrate piuttosto fragili. Come si cercherà di approfondire di seguito, uno dei principali fattori alla base della più grande crisi internazionale degli ultimi decenni è stata proprio l’indeterminatezza del ruolo sul palcoscenico della politica europea di quella che è simbolicamente e politicamente l’erede dell’Unione Sovietica, la Russia (…) SEGUE >>>
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I REBUS DEL VOTO IN REGNO UNITO DAVIDE VITTORI ↴ A poche ore dalle aperture delle urne nel Regno Unito, l’esito della tornata elettorale, stando almeno ai principali sondaggi, è ancora incerto e lo scenario di una nuova alleanza tra due – o più – partiti per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, come già accaduto nel 2010 tra Conservatori e Liberaldemocratici, e prima ancora nel 1977 tra questi ultimi e Laburisti, appare tutt’altro che remoto. Un fatto inconsueto, soprattutto per il maggioritario del tipo plurality, del Regno Unito, dove nei collegi uninominali il seggio è attribuito a turno unico a chi ha la maggioranza relativa dei voti. Questo tipo di legge elettorale tende a ridurre il numero dei partiti e a favorire la conservazione dei “seggi sicuri”, dove la contesa con gli oppositori è minima. La conseguenza è che la maggioranza assoluta dei 650 seggi del Parlamento sovente finisce ad appannaggio di un solo partito. Lo scorso appuntamento elettorale, al pari di questo, tuttavia, dimostra come le leggi elettorali possano, sì, indirizzare la competizione elettorale, ma è il contesto politico a determinarne l’esito (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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