BloGlobal Weekly N°13/2014

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N째13, 18 MAGGIO-7 GIUGNO 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 8 giugno 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°13/2014 (18 maggio – 7 giugno 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: The Medi Telegraph; AFP; AFP/Jewel Sawad; AP/Charles Dharapak; AP/Dusan Vranic; AP/Fernando Llano; Ansa; Wikimedia Commons; Reuters/Carlos Barri; Newstime Africa.


FOCUS LIBIA ↴

Dal 16 maggio il generale Khalifa Haftar sta guidando una campagna militare, denominata "Operazione Dignità", nella Cirenaica – in particolare tra Bengasi, Derna e Misurata, roccaforti di milizie e gruppi islamisti come Ansar al-Sharia e la Brigata 17 febbraio – senza l’appoggio del governo di Tripoli. Il Generale, nel dichiarare guerra ai militanti islamici, ha giustificato la propria azione come un tentativo di difesa della Libia dal “terrorismo”. Diversamente la pensa il governo a maggioranza islamista retto da Ahmed Maiteeq, nuovo Primo Ministro al posto del dimissionario alThani, che considera l'azione di Haftar un colpo di Stato e ha pertanto emanato un mandato di arresto nei suoi confronti. Intenzioni che sono rimaste tuttavia frustrate quando il 18 maggio lo stesso Generale ha occupato il Parlamento di Tripoli dichiarandolo decaduto. Un tentativo questa volta più fortunato rispetto al tentato golpe di San Valentino, in cui l'allora sconosciuto militare proclamava in un video di aver assediato il Congresso libico e di aver tracciato una road map nazionale. Haftar è un ex Generale dell’esercito libico che ha guidato una delle rivolte contro Muammar Gheddafi del febbraio 2011 e prima di allora era stato protagonista in negativo della guerra tra Libia e Ciad della fine degli anni Ottanta prima di disertare e volare in esilio negli Stati Uniti, sotto l'ala protettiva del governo americano. Nel suo lungo soggiorno negli USA, Haftar ha vissuto per diversi anni a Langley, in Virginia, a pochi Km dal quartier generale della CIA. Al di là delle possibili analogie con il vicino caso egiziano, e nonostante il Generale millanti importanti amicizie nel Paese e si reputi l'unico in grado di tenere unita la Libia, questi ha evidentemente potuto compiere tale gesto anche grazie ad alcuni 1


appoggi politici, in particolare tra le fila dei laici e/o nazionalisti come l'ex Premier Mohamed Jibril, e soprattutto tra quelle militari, visto l'appoggio quasi immediato della milizia di Zintan (arci-rivale di quella islamista di Misurata) e di alcuni reparti speciali del defunto esercito libico e della polizia, ufficialmente uniti in una sorta di crociata contro i terroristi dell'est che vorrebbero spaccare il Paese. Ma il tentativo di Haftar si inserisce anche all'intero di un quadro politico-istituzionale confuso nel quale vi sono i Fratelli Musulmani libici che, dopo aver sfiduciato Ali Zeidan, stanno portando avanti una propria politica di occupazione delle istituzioni, imponendo un proprio nuovo Premier (in questo caso Maiteeq) che non tiene dunque conto anche delle altre anime del Paese. Basti pensare che la nomina di Maiteeq è stata dichiarata illegale dalla Procura di Tripoli perché in violazione con la Costituzione: il businessman è stato infatti votato da 113 deputati contro il minimo di 120 voti richiesti in una seduta non ufficiale del Parlamento. Il risultato è dunque quello di avere un doppio governo (Maiteeq e il dimissionario al-Thani) che esercitano entrambi il proprio potere non riconoscendo uno le attività e la legittimità dell'altro. A questo bisogna poi aggiungere anche le dimissioni del capo dell'intelligence libica, Salim al-Hassi, contrario alla scelta di Maiteeq come nuovo Premier, avvenute lo scorso 6 giugno. Ridurre la questione alla sola frattura Fratelli Musulmani vs laici/nazionalisti è comunque riduttivo in quanto gli interessi in gioco sono numerosi e coinvolgono più attori nazionali e transnazionali, alcuni dei quali in lotta fra loro. Da un lato a complicare il variegato e confuso puzzle libico si inserisce il ruolo delle potenze regionali, alcune delle quali direttamente coinvolte (Egitto), altre potenzialmente coinvolgibili (Algeria), altre ancora interessate per interposto ruolo nella partita che si gioca nel rentier State nordafricano (Arabia Saudita vs Qatar); dall'altro poi rimangono per ora solo spettatori interessati Francia e Stati Uniti, che per motivi convergenti (lotta al terrorismo qaedista e difesa di interessi economici nel Sahel e nell'Africa centro-occidentale) guardano con preoccupazione a quanto accade in Libia. Nel pantano libico tuttavia il silenzio più assordante rimane quello italiano. Sebbene infatti il Ministro degli Esteri Federica Mogherini abbia nominato il 21 maggio scorso, quindi agli inizi della crisi, il nostro Ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Buccino Grimaldi, quale inviato speciale del governo italiano nel Paese – un incarico di per sè poco chiaro e basato sul semplice monitoraggio della situazione sul campo –, l'Esecutivo a guida Matteo Renzi non ha ancora espresso una propria e chiara posizione e non sembra ancora definita una strategia diplomatica per poter risolvere la crisi in Libia.

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MALI ↴

Resta ancora alta la tensione in Mali, dopo gli scontri del 17 maggio avvenuti nella città settentrionale di Kidal, che hanno contrapposto gruppi di miliziani separatisti e l’esercito e che si sono conclusi con un bilancio di cinquanta vittime tra le forze governative. L’attacco è stato portato avanti dai ribelli tuareg del MNLA (Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad) sostenuti da membri di altri gruppi ribelli che adesso controllano la città di Kidal, già roccaforte dei separatisti dalla fine del 2012 e per buona parte del 2013. Dopo che l’esercito maliano ha tentato di riprendersi la città, venendo prontamente ricacciato indietro, governo e ribelli hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco, grazie alla mediazione dell’Unione Africana, volto particolarmente ad evitare che il Paese affronti nuovamente le turbolenze degli anni precedenti. Il Mali è finito nel caos nel gennaio 2012 quando il MNLA lanciò una serie di attacchi contro le postazioni governative nel nord del Paese: scopo dei separatisti tuareg era, e rimane tuttora, quello di rovesciare il governo centrale maliano e creare uno Stato indipendente nell’Azawad, regione settentrionale del Mali. Un susseguente colpo di Stato perpetrato nel marzo del 2012 dal capitano Django Sanogo aveva causato il deterioramento del sistema politico e amministrativo del Mali, per anni considerato un modello democratico all’avanguardia in tutta l’Africa Occidentale, e permesso che i combattenti del MUJAO e di altri gruppi terroristici legati ad al-Qaeda prendessero il sopravvento facendo proprie le aspirazioni tuareg di conquistare il nord. Una campagna militare guidata dai francesi, l’Operation Serval, ha ricacciato indietro i combattenti islamici, ma non ha risolto tutti i problemi né tantomeno ha dato una risposta alle rivendicazioni indipendentiste dei tuareg. Con l’intervento delle truppe francesi e

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l’inizio dell’Operazione Serval la situazione è tornata gradualmente sotto il controllo delle autorità centrali. Nonostante la massiccia presenza dei soldati d’Oltralpe e dei militari della missione delle Nazioni Unite MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali), la situazione a Kidal come in altre città del Mali settentrionale è rimasta instabile: in questo contesto, i miliziani del MNLA hanno approfittato delle proteste anti-governative che hanno visto scendere in piazza centinaia di persone per tornare a colpire. Sui fatti dei giorni scorsi sono intervenuti gli Stati Uniti, che da tempo guardano alla regione come ad un possibile focolaio di instabilità e che per tale ragione stanno provvedendo all’addestramento di forze speciali antiterrorismo in Libia, Niger, Mauritania e Mali. La Francia, dal canto suo, ha deciso di dispiegare 3000 nuovi soldati in tutta la regione saheliana. Anche l’ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, ha condannato il «grave deterioramento della sicurezza e della situazione politica» del Paese. La situazione di instabilità in Mali ha spinto i capi di Stato africani ad indire un vertice straordinario dell’ECOWAS, tenutosi ad Accra (Ghana) il 30 maggio con lo scopo di analizzare le possibili soluzioni alla crisi in corso. Nella dichiarazione finale i Paesi della regione hanno ribadito il loro impegno a preservare l’unità territoriale e la natura secolare dello Stato del Mali, hanno richiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di implementare il mandato della missione MINUSMA, e hanno infine sollecitato il governo maliano a dare corpo ad iniziative che possano accelerare il processo di riconciliazione nazionale.

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STATI UNITI ↴

In occasione del viaggio europeo di Barack Obama svoltosi dal 3 al 6 giugno, gli Stati Uniti hanno lanciato l’Iniziativa di Rassicurazione Europea volta a sostenere militarmente i Paesi dell’Est di fronte alla minaccia di un’aggressione russa. Obama è arrivato nel Vecchio Continente portando con sé la promessa di finanziare con circa un miliardo di dollari l’invio a rotazione di più soldati e più sistemi d’arma statunitensi nell’area sotto la sovranità di quegli Stati che si sentono minacciati da Mosca. Gli Stati Uniti hanno annunciato anche di voler incrementare la forza aerea NATO atta a pattugliare i cieli del Baltico e a dispiegare eventualmente ulteriori navi nel Mar Nero. Nel corso della visita in Polonia durante la quale ha incontrato il Premier Donald Tusk e il Presidente della Repubblica Bronisław Komorowski, Obama ha affermato che «nella NATO non ci sono Paesi di serie A e di serie B, vecchi e nuovi alleati hanno lo stesso peso e lo stesso diritto ad essere difesi da tutti». Gli Stati Uniti quindi interverranno «per proteggere qualunque Paese dell’Alleanza finisca sotto attacco», ma saranno più efficaci se aiutati dagli alleati, i quali tuttavia, come ha asserito il Presidente USA, hanno iniziato «un declino costante del loro impegno» in termini di spesa militare: «questo deve finire». Nel corso del discorso ufficiale pronunciato a Varsavia, Obama ha ribadito che l’articolo 5 del Trattato della NATO è chiaro: attaccare i Paesi dell’Est di cui «garantiamo la libertà (…) sarebbe come attaccare noi e tutti gli altri Paesi dell’Alleanza. Reagiremmo immediatamente». Non sono mancati gli attacchi diretti a Vladimir Putin, benché Obama abbia accuratamente evitato di menzionarlo: il mondo «ha versato troppo sangue e dilapidato troppe ricchezze nella battaglia per la libertà, la democrazia e la prosperità dell’Europa per permettere a chi usa oscure tattiche di riportarci indietro dal Ventunesimo secolo ai momenti peggiori del Ventesimo». Soffermandosi sul fatto che «gli Ucraini di oggi sono i discendenti di Solidarnosc, uomini e donne come voi, 5


che osarono lanciare una sfida a un regime fallito», e quindi ringraziando la Polonia per il suo coraggio, Obama ha invitato gli alleati a restare «uniti perché crediamo che mantenere la pace e la sicurezza sia responsabilità di ogni nazione. I giorni degli imperi e delle sfere di influenza sono finiti. Le nazioni più grandi non devono poter agire in modo prepotente e con soprusi nei confronti di quelle più piccole, o imporre la loro volontà con la forza delle armi o con uomini mimetizzati che prendono possesso degli edifici. Un tratto di penna non può mai legittimare lo scippo della terra di un paese vicino». La retorica della libertà ha trovato ulteriore terreno fertile nel corso delle celebrazioni dello sbarco delle Forze Alleate in Normandia nel corso della Seconda Guerra Mondiale. «Quando il mondo di oggi vi rende cinici», ha affermato Obama, «fermatevi a pensare a questi uomini, molti dei quali hanno dato la loro vita per ridare la libertà a popoli che nemmeno conoscevano». Gli Stati Uniti, per il Presidente, «sono venuti a liberare l’Europa senza chiedere nulla», rivendicando quindi il primato ideologico dell’America. Sul fronte interno arrivano buone notizie per la Casa Bianca. L’economia americana ha creato oltre 215mila posti di lavoro nel solo maggio, portando la forza lavoro in termini quantitativi ai livelli pre-crisi del 2008. Il tasso di disoccupazione è a quota 6,3%. Il Prodotto Interno Lordo, dopo una piccola contrazione nel corso del primo trimestre dell’anno, è tornato a crescere e si prevede che per il secondo trimestre aumenterà ad un ritmo del 4%.

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UCRAINA ↴

Come da pronostici, le elezioni presidenziali dello scorso 25 maggio in Ucraina sono state vinte da Petro Poroshenko con il 54,7% dei voti: l'ampio vantaggio sulla sua principale rivale, Yulia Timoshenko, attestatasi al 12,8% delle preferenze, ha fatto sì che il neo-Presidente sia stato eletto al primo turno, senza dunque ricorrere al ballottaggio programmato per il 15 di giugno. Staccati gli altri candidati: Oleh Lyasko del Partito Radicale all'8,3%; Anatoliy Hrytsenko di Posizione Civile al 5,4%; Sergej Tigipko di Ucraina Forte al 5,2%; Mykhailo Dobkin del Partito delle Regioni al 3%; Petro Symonenko del Partito Comunista all'1,3%; Dmitro Jarosh di Pravij Sektor allo 0,70%. Secondo i dati forniti dalla Commissione Elettorale centrale si sarebbero recati alle urne il 59,4% dei cittadini ucraini aventi diritto, escludendo però le regioni separatiste del Donbass dove solo 2 circoscrizioni su 12 hanno partecipato alle consultazioni a Lugansk e 7 su 22 a Donetsk: solamente il 20% circa delle 2.430 sezioni elettorali avrebbe effettuato regolarmente le operazioni di voto (gli stessi dati riportano 426 sezioni). Stazioni elettorali naturalmente chiuse in Crimea, legittimando in tal modo la separazione dall'Ucraina e l'annessione alla Russia come da Trattato di riunificazione dello scorso mese di marzo. Meglio noto come il "re del cioccolato" per via della sua carriera imprenditoriale nel settore alimentare-dolciario (la Roshen, azienda la cui esportazione dei prodotti verso la Russia nell'estate del 2013 era stata sottoposta ad una serie di limitazioni da parte della Rospotrebnadzor, l’Agenzia federale russa per la protezione dei consumatori), Petro Poroshenko ha alle sue spalle anche una significativa carriera politica: già sostenitore nel 2004 della Rivoluzione Arancione, tra il 2009 e il 2010 ha ricoperto il ruolo di Ministro degli Esteri nel governo di Yulia Timoshenko sotto la presidenza di Viktor Yushenko, nonché quello di capo del Consiglio della Banca Na-

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zionale e di Ministro del Commercio e dello Sviluppo Economico (nel 2012) nell'Esecutivo dell'ex Premier Azarov sotto la presidenza di Viktor Yanukovich con il quale contribuì a fondare lo stesso Partito delle Regioni. Una versatilità politica, insomma, emersa già nelle ore immediatamente precedenti al giuramento da Presidente (7 giugno). Pur non riconoscendo l'annessione della Crimea e precisando che una delle priorità sarà quella di riavviare il processo di integrazione europea firmando già il prossimo 27 giugno anche la parte economica dell'Accordo di Associazione con Bruxelles, Poroshenko si è detto fin da subito disposto al dialogo con Putin, dichiarando che la Russia è un «vicino senza il quale non è possibile garantire la sicurezza dell'Ucraina». Le celebrazioni del 70° anniversario dello sbarco alleato in Normandia sarebbero state la prima occasione di incontro tra i due Presidenti, i quali, secondo quanto dichiarato dal portavoce del Cremlino Dmitry Psekov, si sarebbero detti d'accordo sull'urgenza di una cessazione delle ostilità nelle aree orientali del Paese, non escludendo tra l'altro prime possibili trattative anche sulla questione del gas (sull'argomento e sul raggiungimento di accordo sui prezzi il 2 giugno si è tenuto un trilaterale tra il Commissario all'Energia dell’UE Gunther Oettinger, i Ministri dell'energia russo, Alexander Novak, e ucraino, Iuri Prodan, oltre agli Amministratori Delegati di Gazprom e Naftogaz). La linea del compromesso è perseguita anche dal Cancelliere tedesco Angela Merkel, anch'essa a colloquio con Putin a margine della stessa occasione, e da Barack Obama: quest'ultimo, impegnato in una generale riconsiderazione dei rapporti con gli alleati europei e delle strategie in Afghanistan, secondo quanto riferito dal vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale USA Benjamin Rhodes avrebbe tenuto un incontro informale con il Presidente russo in cui avrebbe ribadito la disponibilità alla riduzione delle tensioni se Mosca riconoscerà la legittimità del nuovo governo ucraino, cesserà il sostegno ai gruppi separatisti dell'est ucraino, nonché il rifornimento di armi lungo i confini condivisi. La crisi ucraina ha tenuto banco anche il G7 svoltosi a Bruxelles gli scorsi 4 e 5 giugno (il primo presieduto e ospitato dall'Unione Europea), a cui la Russia non ha partecipato. In un consesso in cui si è parlato anche di economia internazionale e (poco) di Siria, i leader di Stati Uniti, Canada, Giappone, Germania, Italia, Francia e Regno Unito hanno ribadito l'inaccettabilità delle azioni della Russia in Ucraina, l'impegno a sostenere un coordinamento internazionale di finanziamenti per Kiev, ad intensificare sanzioni mirate e ad attuare ulteriori e significative misure restrittive contro la Russia se gli eventi in Ucraina dovessero richiederlo. Ad ogni modo, più che sul piano internazionale dove il dibattito/scontro è rimasto sostanzialmente sterile anche a causa del diverso atteggiamento dei Paesi occidentali, la svolta alla crisi potrebbe giungere dalle dinamiche interne alla stessa Ucraina: nel suo discorso di insediamento Poroshenko ha offerto di tenere elezioni regionali anticipate nella parte orientale del Paese e ha proposto un decentramento di poteri alle regioni, anche se ciò non dovrà significare una riforma del sistema istituzionale 8


in senso federale; allo stesso modo verranno garantite tutele alla lingua russa anche se l'ucraino resterà quella ufficiale del Paese; più significativa, infine, l'apertura del Presidente alla concessione di un'amnistia per «chi non si è macchiato del sangue dei militari e dei civili ucraini e non ha finanziato il terrorismo. I mercenari russi che vorranno tornare a casa potranno usare un corridoio sicuro» e in tal senso non ha escluso la possibilità di un trattato con Mosca per la pace, la sicurezza e l'integrità territoriale. Misure sempre più di urgenza se si considera che dopo l'elezione di Poroshenko le violenze nell'est del Paese sono riprese con più vigore: a Donetsk, dove nella diversità delle cifre dichiarate dalle varie parti sono comunque decine i morti tra i combattenti di entrambe le fazioni; nell'aeroporto della stessa città, che sarebbe stato completamente ripreso dalle forze del governo centrale; a Lugansk, dove il palazzo sede del governo separatista sarebbe stato bombardato e l'esercito di Kiev avrebbe respinto un assalto dei ribelli grazie all'utilizzo di caccia. Resta da verificare il presunto utilizzo, secondo quanto affermato dai separatisti, di bombe a grappolo da parte di Kiev, cosa che ha fatto tuonare la Russia: come dichiarato dal Ministro degli Esteri Lavrov, Mosca sta preparando una bozza di risoluzione per il Consiglio di Sicurezza dell'ONU per denunciare i crimini di guerra, per chiedere lo stop alle operazioni militari e l'apertura di corridoi umanitari.

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ELEZIONI EUROPEE Di seguito i risultati definitivi delle elezioni europee svoltesi dal 22 al 25 maggio 2014. PER UN APPROFONDIMENTO SUL PARLAMENTO EUROPEO, LA SUA ARTICOLAZIONE E UN’ANALISI DEI FATTORI ENDOGENI DEI VENTOTTO PAESI UE SCARICA IL REPORT SPECIALE ELEZIONI EUROPEE 2014

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Belgio

Bulgaria

Cipro

Croazia

Danimarca

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Finlandia

Francia

Germania

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Italia

Lettonia

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EPP Gruppo del Partito Popolare Europeo (Democratici-Cristiani) S&D Gruppo dell'Alleanza Progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo

221 Eurodeputati 29.43 % 190 Eurodeputati 25.30 %

ALDE Alleanza dei Democratici e Liberali per l'Europa

59 Eurodeputati

ECR Conservatori e Riformisti europei

55 Eurodeputati

7.86 %

7.32 %

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GREENS/EFA I Verdi/Alleanza libera europea

52 Eurodeputati

GUE/NGL Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica

45 Eurodeputati

NI Non iscritti – Membri non apparentati ad alcun gruppo politico

41 Eurodeputati

EFD Gruppo Europa della LibertĂ e della Democrazia

32 Eurodeputati

6.92 %

5.99 %

5.46 %

4.26 %

Altri Neoeletti senza appartenenza a un gruppo politico del Parlamento uscente

56 Eurodeputati 7.46 %

FONTE: EUROPEAN PARLIAMENT

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BREVI CINA-RUSSIA, 20 MAGGIO ↴ Vladimir Putin si è recato in visita a Shanghai dove ha incontrato l’omologo Xi Jinping per un vertice che potrebbe definirsi storico. Come annunciato dal Capo di Stato russo alla vigilia, l’obiettivo della visita era quello di raggiungere un accordo definitivo dopo anni di trattative affinché Mosca rifornisca la Cina di gas. Il problema principale per siglare l’accordo non era solo il prezzo da pagare, quanto il grado di dipendenza strategica che Pechino avrebbe sofferto nei confronti di Mosca. Alla conclusione del primo giorno del summit, Putin e Xi Jinping hanno siglato decine di accordi bilaterali di diversa natura, hanno condiviso una dichiarazione in cui entrambi i Paesi rifiutano le «ingerenze di altri Stati» in affari a loro estranei, hanno mostrato avversità verso «l’uso della tecnologia», nella fattispecie Google e i social network, «contro le sovranità nazionali». Il giorno successivo, è stato firmato un memorandum d’intesa sul gas. Cina e Russia si sono legate con un accordo valido per una durata di 30 anni con un valore di circa 400 miliardi di dollari. Mosca rifornirà Pechino con 38 miliardi di metri cubi di gas naturale proveniente dalla Siberia a partire dal 2018 fino al 2048. È rimasto oscuro il prezzo che i Cinesi pagheranno ai Russi, benché Putin abbia dichiarato che «il prezzo soddisfa le due parti». Immediata la reazione dell’Unione Europea, preoccupata dallo shift russo, nella persona del Presidente della Commissione, José Barroso: «La fornitura di gas all'Europa non deve essere interrotta, conto sulla Russia perché mantenga i suoi impegni, è responsabilità della Russia assicurare le consegne di gas come stabilito dai contratti con le società UE».

ISRAELE-PALESTINA, 2-6 GIUGNO ↴ Si è ufficialmente insediato a Ramallah il nuovo esecutivo di unità nazionale che riunisce Hamas e Fatah. Un’intesa frutto dell’accordo del 23 aprile scorso tra le due principali anime palestinesi. Il nuovo governo sarà composto formalmente da personalità indipendenti alle due fazioni e vedrà in tutto 17 Ministri, cinque dei quali provenienti da Gaza. A guidarlo sarà il Primo Ministro, legato a Fatah, Rami Hamdallah, al quale va anche il dicastero degli Interni e che ha ricevuto l’incarico dal Presidente dell’Autorità Nazionale Paelstinese, Mohammed Abbas (Abu Mazen). La forzmazione del nuovo esecutivo palestinese era attesa da diverse settimane, ma a causa di alcuni fraintendimenti si è rischiato addirittura di far saltare l’intera trattativa e di 13


compromettere il processo di riconciliazione nazionale iniziato poco meno di un mese e mezzo fa. Tra i principali punti di frizione vi erano da un lato la nomina del Ministro degli Esteri – poi confermata a Riad al-Maliki, anch’egli uomo di Fatah – la questione del Ministro per gli Affari dei Prigionieri, carica per ora rimasta vacante e che sarà tenuta ad interim dal Premier Hamdallah fino a quando non verrà trovato un accordo complessivo tra le parti. «È il governo dell'intero popolo palestinese» ha detto Sami Abu Zuhri, il portavoce di Hamas in Cisgiordania. All’euforia palestinese fa da contraltare l’agitazione e la preoccupazione di Tel Aviv. Se il Ministro delle Abitazioni, il nazionalista di HaBayit HaYehudi (Jewish Home) Uri Ariel, ha etichettato il nuovo Esecutivo palestinese come «un governo terroristico assieme con assassini», autorità ufficiali

israeliane,

volutamente

rimaste

anonime,

si

sono

dette

inoltre

«profondamente deluse» dalla posizione dialogante assunta da Washington che, nei giorni scorsi, attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato Jen Psaki, non aveva chiuso all’opportunità di instaurare una collaborazione con i Palestinesi. In risposta a ciò, il governo Netanyahu, dietro richiesta del Ministero delle Abitazioni, ha sbloccato un'asta per la costruzione di nuove 1.500 unità abitative in Cisgiordania. Circa 400 delle nuove case saranno costruite a Gerusalemme Est, mentre le restanti saranno dislocate a Efrat, Beitar Ilit, Ariel e altre zone della West Bank.

NIGERIA, 3-4 GIUGNO ↴ Nonostante le statistiche economiche l’abbiano consacrato come principale economia del continente africano, primato strappato al Sudafrica, la Nigeria è ancora considerata un Paese instabile a causa della minaccia di diversi gruppi armati sul suo territorio, e in particolare di Boko Haram. Durante il vertice di Parigi del maggio scorso, indetto dal Presidente francese François Hollande per trovare una soluzione al problema Boko Haram, è stata annunciata una guerra totale contro il gruppo estremista che da tempo sta compiendo regolari incursioni oltre i confini nigeriani: è stato il Presidente del Camerun Paul Biya, riavvicinatosi al governo di Abuja dopo un periodo di relazioni tese, a dichiarare la forte presa di posizione. Ma non essendo stata presa alcuna decisione concreta, se non l’impegno ad una maggiore collaborazione, Boko Haram non si è sentita minimamente preoccupata dalle parole di Biya e ha continuato la sua strategia del terrore, nel segno dell’opposizione a tutto quanto rappresenti l’Occidente. L’ultima strage compiuta dal gruppo islamista nigeriano tra il 3 e il 4 giugno nello Stato nord-orientale del Borno potrebbe rivelarsi una delle più sanguinose degli ultimi anni, avendo causato tra le 400 e le 500 vittime, a seguito di un attacco compiuto in quattro diversi villaggi dell’area: Goshe, Attagara, Agapalwa e Aganjara. Il giorno successivo un altro attacco è stato condotto contro il villaggio di Barderi, nella periferia della capitale Abuja, provocando 50 vittime. Boko Haram negli ultimi mesi è riuscito a issare la bandiera jihadista in sette villaggi della

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regione del Borno, situata al confine con Ciad, Niger e Camerun, dove migliaia di abitanti sono stati costretti a trovare rifugio. Il Presidente americano Barack Obama, nel frattempo, ha deciso di inviare 80 militari e un Predator nel vicino Ciad, alla frontiera con lo Stato del Borno cui sono stati affidati compiti di intelligence e di assistenza alle forze armate nigeriane. Intanto, sempre sul fronte diplomatico internazionale, il Ministro degli Esteri nigeriano Aminu Bashir Wali il prossimo 12 giugno si recherà a Londra, insieme agli omologhi di Benin, Ciad, Camerun, Niger, USA, Francia, Canada ed Unione Europea, per partecipare ad un summit che dovrà prendere in considerazione l’implementazione di nuove misure rispetto al Vertice di Parigi.

SIRIA, 3 GIUGNO ↴ Con l'88,7% delle preferenze – circa 10 milioni di voti – Bashar al-Assad si è confermato per la terza volta alla guida del Paese (fino al 2021) in quelle che sono state, nonostante i tre anni di guerra civile, le prime elezioni presidenziali in senso stretto: dal 1970, anno del colpo di Stato con cui consolidò il potere Hafez alAssad, padre di Bashar, il Presidente della Repubblica era eletto attraverso referendum confermativi. Un risultato previsto anche a causa del fatto che si è votato solo nelle aree controllate dal regime, ossia solo il 40% del territorio e 16 milioni di elettori; secondo i dati forniti dal Presidente del Parlamento di Damasco, Mohammed Jihad al-Laham, si sarebbero recati alle urne il 73% di questi. Sconfitti gli altri due candidati idonei a poter correre per la presidenza, secondo i criteri stabiliti dalla nuova legge elettorale varata nello scorso mese di marzo: Maher Hajjar, deputato dell'ex partito comunista, e Hassan Nuri, ex Ministro dello Sviluppo. Come dichiarato dal vice Presidente del Consiglio Nazionale Siriano, Noura al-Ameer, si è infatti trattato di una farsa poiché sono stati esclusi gli esponenti delle opposizioni in esilio così come quelli del Comitato di Coordinamento Nazionale, il gruppo principale dell'opposizione interna siriana. Denunce di brogli ed irregolarità durante le operazioni di voto non sono state ritenute decisive dalla commissione internazionale composta da osservatori di Russia, Iran, Filippine, Uganda, Libano, Bolivia, Venezuela, Zimbabwe. Con la rielezione di Assad, la riconquista da parte delle forze di Damasco di zone della Siria centrale e meridionale, lo scontro interno ai gruppi ribelli e le dimissioni dell'inviato speciale di Nazioni Unite e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, sembra difficile che le parti possano dialogare per una possibile transizione guidata del potere e una soluzione quanto più diplomatica alla crisi.

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SOMALIA, 5 GIUGNO ↴ Nonostante la Somalia sia citata nelle cronache internazionali per la sua cronica instabilità interna, minata dai continui attacchi dell’organizzazione terroristica di al-Shabaab, negli ultimi anni gli attacchi dei pirati somali ai danni delle imbarcazioni che circumnavigano il corno d’Africa hanno reso i mari dell’Africa Orientale i più pericolosi al mondo. Se consideriamo che oltre il 90% del commercio globale è trasportato via mare, e che circa la metà di questo transita attraverso l’Oceano Indiano, è facile comprendere la grandezza della minaccia rappresentata dai pirati somali. Oltre agli equipaggi delle imbarcazioni catturate, le vittime principali degli attacchi di pirateria sono i Somali stessi, dato che l’obiettivo principale dai pirati sono le imbarcazioni che trasportano le donazioni internazionali a favore della popolazione somala da cui dipende la sopravvivenza di circa 4 milioni di persone. Nel 2009 è iniziata Ocean Shield, operazione della NATO mirante a contrastare la pirateria e a sviluppare, in tal senso, le capacità della marina somala: navi spagnole, italiane e turche coprono un’area di circa tre milioni di metri quadri che va dal Golfo Arabico a nord alle Seychelles a sud, dal Golfo di Aden ad ovest alle isole Maldive ad est. L’operazione ha riscosso un successo straordinario perché gli attacchi dei pirati sono crollati in maniera verticale e dal maggio 2012 nessuna imbarcazione è nelle mani dei pirati. Nonostante il buon esito, ritenere la pirateria sconfitta sarebbe un errore: proprio per questo, il 4 giugno, durante la riunione dei Ministri della Difesa della NATO, è stata presa l’importante decisione di prorogare il mandato di Operation Ocean Shield di ulteriori due anni, ovvero fino al 2016. Le imbarcazioni della NATO continueranno a vigilare sul traffico marittimo al largo delle coste della Somalia, scortando, in alcuni casi, le navi che transiteranno nell’area e riservandosi la possibilità di abbordare navi sospette.

VENEZUELA, 28 MAGGIO ↴ La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato una legge che prevede sanzioni nei confronti del Venezuela del governo di Nicolas Maduro, colpevole di violenze e di repressioni contro i diritti umani verso i manifestanti dissidenti. Il testo prevede il congelamento di beni di alcuni alti funzionari governativi stanziati negli USA e il divieto di recarsi negli Stati Uniti da parte dei principali responsabili delle violenze. La legge, che dovrebbe estendersi per due anni, prevede anche corposi aiuti economici ai manifestati oltre che a prospettare un blocco commerciale alle merci venezuelane. Non vi è però un fronte compatto a Capitol Hill sull’utilità delle misure. Gran parte dei Repubblicani, guidati

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dalla deputata della Florida Ileana Ros-Lehtinen, sono molto più favorevoli ad applicare le sanzioni rispetto ai Democratici, molti dei quali hanno inviato una lettera ad Obama per esprimere un parere contrario sulla legge. Il dispositivo è in discussione al Senato, dove la maggioranza è composta proprio dai Democratici. Dal canto suo, l’amministrazione Obama non appare certo incline ad applicare le sanzioni al governo venezuelano. Il Presidente ancora non ha firmato la legge e la sottosegretaria del Dipartimento di Stato delegata agli Affari Latino-Americani, Roberta Jacobson, ha sottolineato che «non è il momento» di applicare le sanzioni: «quel che succede in Venezuela non riguarda la relazione bilaterale con gli USA, ma i Venezuelani», benché si sia detta «preoccupata per la repressione in corso». Parole ben accolte da Maduro, già mostratosi fortemente contrario a qualsiasi forma di «imperialismo degli Stati Uniti».

YEMEN, 3 GIUGNO ↴ Non accennano a diminuire gli incidenti e gli scontri armati tra esercito regolare e forze ribelli al governo di Sana’a. L’attacco degli Houthi del 20 maggio scorso ad un checkpoint militare nel governatorato di Omran (60 Km a nord della capitale) ha provocato una dura reazione delle forze militari yemenite che, secondo il vice governatore della regione, Ahmed al-Bekry, avrebbe portato all’uccisione di almeno 100 ribelli e alla perdita di una ventina di soldati dell’esercito. Dalla seconda metà di maggio il Paese ha assistito ad una crescente escalation di attacchi e violenze tanto nel nord, tanto nel sud. A minacciare la sicurezza di Sana’a infatti vi sono da un lato i ribelli zayditi Houthi, che combattono il governo centrale dal 2004 e che stanno cercando di riprendere il totale controllo dell’area settentrionale del Paese prima delle elezioni del prossimo anno; dall’altro le azioni di rappresaglia dei ribelli indipendentisti di Aden e, soprattutto, dei miliziani di al-Qaeda nella Penisola Arabica. La contemporanea azione congiunta degli Houthi dal nord e di quella dei qaedisti da sud pone il governo centrale di Sana’a in una situazione di totale accerchiamento e alla quale le stesse autorità non sembrano essere in grado di trovare una soluzione complessiva. Tutte situazioni suscettibili di inasprire il sempre più flebile dialogo nazionale tra le anime religiose, tribali ed etniche dell’unica repubblica del Golfo e pertanto incapace di portare il Paese verso un reale processo inclusivo di transizione democratica.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 27 MAGGIO ↴ Nel corso di una conferenza stampa alla Casa Bianca, Barack Obama ha annunciato il ritiro completo delle truppe statunitensi dal territorio afghano entro il 2016: per la fine del 2015 il numero dei soldati sarà drasticamente ridotto (almeno 9.800 lasceranno il Paese entro l’inizio dell’anno prossimo), fino a quando non resteranno circa 1000 soldati a presidio dell’Ambasciata statunitense a Kabul e per l’addestramento delle truppe afghane. Il piano dovrà essere approvato anche dal prossimo Presidente afghano: nel ballottaggio del 14 giugno si affronteranno Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, quest’ultimo dato per favorito e scampato il 6 giugno ad un agguato nella capitale.

RUSSIA, 4 GIUGNO ↴ Mosca ha confermato di essere in trattative con il Pakistan per la fornitura di elicotteri da combattimento Mi-35, dichiarando tuttavia che questo non comprometterà lo stato dei rapporti con l’India. L'ambasciatore russo a New Delhi, Alexander Kadakin, ha peraltro dichiarato che Mosca non ha mai imposto alcun embargo ad Islamabad e che la cooperazione tecnica e militare con il Paese risale al 1960.

THAILANDIA, 22 MAGGIO ↴ Dopo la condanna per frode e abuso di potere da parte della Corte Costituzionale nei confronti dell’ex Premier Yingluck Shinawatra, il Generale Prayuth Chan-ocha ha annunciato in diretta televisiva un golpe: sospendendo la Costituzione e proclamando l’istituzione della legge marziale, Prayuth ha assunto la carica di Primo Ministro giustificando l’azione con il fallimento della riconciliazione fra governo e opposizione. Si tratta del 12esimo colpo di Stato in Thailandia dal 1932.

UNIONE EUROPEA, 5 GIUGNO ↴ A margine del Consiglio direttivo di Francoforte, e facendo seguito al taglio operato nello scorso mese di novembre, la Banca Centrale Europea ha annunciato l’abbassamento del tasso di interesse allo 0,15%, dal precedente 0,25%, toccando il livello più basso mai raggiunto. Ridotto anche il tasso sui depositi delle banche commerciali al -0,1%. Insieme con un altro pacchetto di misure volte a sostenere l’andamento del credito, l’obiettivo è quello di riportare l’inflazione appena sotto il 2%.

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ANALISI E COMMENTI L’INDIA DI MODI TRA SPINTE NAZIONALISTE E ASPIRAZIONI MONDIALI GUIDO TRAVAGLIANTI ↴ Le elezioni politiche indiane, le più grandi al mondo di un Paese democratico, si sono svolte nell’arco temporale di cinque settimane (dal 7 aprile al 12 maggio) registrando un’affluenza record di votanti (oltre 551 milioni), pari al 66,4% degli aventi diritto. Il voto popolare indiano ha sancito l’ascesa al governo del Partito Nazionalista Hindu (Bharatiya Janata Party, BJP) guidato da Narendra Modi. Gli elettori hanno punito il governo dell’Indian National Congress (INC) – partito laico di centro-sinistra che ha guidato quasi ininterrottamente il Paese dal 1947 – a seguito di politiche economiche poco incisive, di un diffuso malcontento per il carovita e per una corruzione ormai dilagante. Il nazionalista Modi, decisionista e pragmatico, si è imposto come l’uomo forte dell’India, conquistando 282 seggi e ottenendo così la maggioranza assoluta del Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Se consideriamo l’intera coalizione di centro-destra guidata dal BJP, i seggi conquistati salgono a quota 336 (…) SEGUE >>>

IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI UCRAINA FILIPPO URBINATI ↴ Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA Guardando allo sviluppo della crisi in Ucraina il dato che più di ogni altro sembra aver attratto l’attenzione dei media e degli analisti occidentali è la rinnovata assertività della Russia di Putin. Nelle cronache di politica internazionale si è parlato di un vero e proprio ritorno del mondo alle logiche della Guerra Fredda e di un recupero da parte della NATO del proprio ruolo originale di garante della difesa dei Paesi aderenti, in particolare coloro che si trovano ai confini con la Federazione Russa. In questa suggestiva narrazione una nota sembra stonare con un contesto di ritorno alla contrapposizione tra l’Alleanza Atlantica ed una rediviva Armata Rossa in salsa putiniana; si tratta della posizione ambigua assunta dalla Turchia all’interno della stessa crisi. Ankara, infatti, è stata, e continua ad essere, molto più silente e meno solerte nel condannare l’azione di Mosca rispetto ai suoi alleati della NATO accogliendo molto freddamente la proposta di sanzioni nei confronti di alcuni alti funzionari del Cremlino. Il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoğlu spiega il basso profilo tenuto dal suo Paese come una questione di prudenza dovuta al legame geografico con l’Ucraina e la Crimea (…) SEGUE >>>

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COLOMBIA, IL FUTURO DELLE FARC NELLA SFIDA ELETTORALE TRA SANTOS E ZULUAGA FRANCESCO TRUPIA ↴ Le imminenti elezioni del 25 maggio ed il processo di pacificazione voluto da Juan Manuel Santos con le Fuerzas Armadas Rivolucionarias de Colombia (FARC) sembrano poter modificare radicalmente la democrazia più antica dell’America Latina, definita come i “Balcani delle Ande” a causa dei continui scontri frontali tra governo e guerriglia rivoluzionaria. La collaborazione tra la Data Experts Corporation (DATEXCO) ed il quotidiano El Tiempo ha consegnato alla società colombiana una proiezione, a parere di altri esperti assai veritiera, sul possibile esito delle elezioni. La crescita del Voto en blanco, evidente sintomo di un diffuso malcontento popolare, sembrerebbe non ostacolare la riconferma di Santos e del suo Partido de la U. (…) SEGUE >>>

UCRAINA, LE ELEZIONI DELLA DISCORDIA OLEKSIY BONDARENKO ↴ Domenica 25 maggio, quasi cento giorni dopo la caduta di Yanukovich, si sono svolte in Ucraina le tanto attese elezioni. In un clima da guerra civile, i cittadini si sono recati alle urne per eleggere il nuovo Presidente che dovrà cercare di rimettere in piedi un Paese al collasso. Non ci sono state sorprese e, come atteso alla vigilia, ha trionfato il candidato che ha saputo sfruttare a suo favore l’instabilità dell’ultimo periodo. Petro Poroshenko, il “magnate del cioccolato”, è riuscito ad aggiudicarsi circa il 54% dei voti, con un distacco piuttosto netto sulla principale rivale, Yulia Timoshenko (che ha ottenuto solo il 13%). Il risultato ottenuto permette a Poroshenko di diventare il nuovo capo di Stato ucraino già dopo il primo turno, senza dover attendere il secondo, fissato per metà giugno. La rivale sconfitta ha comunque ancora qualche carta da giocare: la maggioranza in Parlamento e un possibile appoggio degli oligarchi delle regioni centro-orientali del Paese (…) SEGUE >>>

CONFLITTI IN AFRICA: UN PUNTO SU MALI, SUD SUDAN E NIGERIA DANILO GIORDANO, GIUSEPPE DENTICE, MARIA SERRA ↴ Nate spesso come conflitti locali, etnici-tribali e per l’accesso alle risorse, dalla maggiore o minore intensità e con le evidenti ricadute a livello regionale, le guerre in Africa hanno negli ultimi anni assunto un carattere sempre più internazionale a causa del coinvolgimento militare e umanitario di attori esterni, per lo più Paesi occidentali. Dall’Africa sub-sahariana fino ad oltre il cuore del Continente, si estende un arco di instabilità dovuto alla presenza di numerosi gruppi militari e paramilitari, peraltro sempre più interconnessi con il network terroristico qaedista, che sta imponendo un generale ripensamento delle strategie di mantenimento della pace e della stabilità non solo alle organizzazioni internazionali impegnate nella tutela della sicurezza collettiva ma anche ai singoli Paesi, i quali – anche per la protezione dei propri interessi nazionali – sono indotti ad agire spesso (ma non sempre) di concerto fra loro. Anche

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se in numero minore rispetto al picco raggiunto nel corso degli anni Novanta, sono numerosi i conflitti africani che provocano ogni anno migliaia di morti (…) SEGUE >>>

LA POLITICA

SPAZIALE EUROPEA: ATTORI, PROGETTI E PROSPETTIVE VIOLETTA ORBAN ↴

La crescente importanza dei sistemi spaziali per una vasta gamma di attività in settori chiave dell’economia ha progressivamente aumentato la valenza strategica dello spazio a fini di politica interna ed estera. La componente spaziale trova applicazione nei settori della scienza, della difesa, delle telecomunicazioni, della navigazione satellitare e in altri campi di diretta incidenza sulla vita quotidiana dei cittadini. Il possesso di asset spaziali autonomi è quindi molto importante per un attore internazionale che voglia essere indipendente ed assumersi le proprie responsabilità sulla scena globale. Per questo motivo lo sviluppo di una politica spaziale autenticamente europea rappresenta una scelta strategica per l’Europa con lo scopo di esercitare la propria leadership in settori di grande interesse nel contesto internazionale (…) SEGUE >>>

EGITTO, L’ELEZIONE DI AL-SISI TRA LUCI ED OMBRE GIUSEPPE DENTICE ↴ A fugare qualsiasi dubbio su quella che si annunciava da tempo una vittoria scontata, il 3 giugno è giunta l’ufficialità da parte dell’Alta Corte Elettorale del Cairo: Abdel Fattah Saeed Hussein Khalil al-Sisi è l’ottavo Presidente della Repubblica egiziana. Egli succede ad Adly Mansour, il Capo di Stato ad interim voluto dallo stesso ex Feldmaresciallo all’indomani delgolpe militare contro l’islamista Mohamed Mursi il 3 luglio 2013. Un esito prevedibile e atteso sin dalla vittoria del fronte del SI al referendum sulla nuova Costituzione egiziana dello scorso 14 gennaio e visto dallo stesso al-Sisi come un voto sulla sua persona. I dati ufficiali raccontano di un successo ampio: alSisi ha ottenuto il 96,91% dei suffragi battendo il suo unico avversario, il nasserista e leader della sinistra laica Hamdeen Sabbahi, che ha ottenuto appena il 3,9% dei consensi (…) SEGUE >>>

LA DIMENSIONE RUSSA DELL’INFORMATION WARFARE IN UCRAINA STEFANO LUPO ↴ Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA La società internazionale contemporanea, dopo fine del confronto bipolare e in particolare negli ultimi dieci anni, si è rimodellata e ristrutturata in una nuova forma di confronto, imperniata sulla sfera informativa, intellettuale e tecnologica. Nuove dinamiche di interazione e interdipendenza hanno elevato l’importanza fondante del contenuto informativo, sia in campo civile sia in ambito militare, ma hanno d’altro canto evidenziato la crescente dipendenza dai sistemi di comunicazione elettronica. Una

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dipendenza che sebbene possa tradursi in efficienza e rapidità, soprattutto in caso di Network-centric Warfare (NCW) realizzato in maniera da tramutare un vantaggio informativo in uno competitivo, in particolare potenziando la catena Comando-Controllo (C2, Command and Control), rischia nondimeno di risultare problematica, dal momento che risulta più facile un eventuale danneggiamento degli elementi chiave infrastrutturali, con conseguente manomissione della sicurezza di uno Stato (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 22


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