BloGlobal Weekly N°20/2014

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N°20, 14 – 27 SETTEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 29 settembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: Getty/BBC Hausa; Ansa; UN News Centre; Reuters; La Presse; AP Photo; Kevin Frayer/Getty Images; US Navy; al-Jazeera English; Getty Images; SKY Tg 24;


FOCUS ALGERIA ↴

Mercoledì 24 settembre è stato ucciso Hervé Gourdel, il cittadino francese rapito in Algeria tre giorni prima nei pressi della provincia di Tizi Ouzou, nella regione montuosa della Cabilia. I militanti islamisti responsabili del sequestro hanno rilasciato un video il giorno successivo al rapimento in cui chiedevano che, «in conformità con quanto richiesto dal [loro] leader il califfo Abu Bakr al-Baghdadi», François Hollande, definito «Presidente dello Stato criminale francese», dichiarasse ufficialmente fine alle ostilità contro lo Stato Islamico (IS) entro 24 ore, altrimenti la sorte di Gourdel sarebbe stata la morte. Nel video, Gourdel stesso, esortava l’Eliseo ad assecondare le richieste dei terroristi e ad aiutarlo ad uscire da tale situazione. Parigi ha dichiarato che non si sarebbe piegata al ricatto e che l’azione di supporto all’esercito regolare iracheno sarebbe continuata fintanto che questo non avrebbe ripreso il completo controllo del territorio. Dal 19 settembre, infatti, il governo di Hollande ha iniziato la propria azione, al fianco degli Stati Uniti in Iraq, diretta contro le truppe IS tramite raid aerei condotti nei pressi di Mosul. Il rapimento è avvenuto nel villaggio di Ait Ouabane mentre il francese viaggiava in un veicolo insieme ad altri due uomini algerini. Gourdel, proveniente da Nizza, era un esperto escursionista, guida di montagna e appassionato di fotografia recatosi in Algeria per una vacanza di escursione e al fine di esplorare nuove strade per arrampicate, come dichiarato da un suo conoscente. In seguito al primo video è arrivato, meno di 48 ore dopo, un altro filmato contenente le immagini della decapitazione di Gourdel intitolato “Messaggio di sangue per il governo francese”. 1


Si tratta del quarto ostaggio rapito da militanti affiliati all’IS ad essere decapitato nell’ultimo periodo. Le altre vittime sono stati gli americani James Foley e Steven Sotloff e il britannico David Haines. A compiere l’uccisione di Gourdel è stato l’ancora poco noto movimento Jund al-Khilafah fil al-Jazaïr (I soldati del Califfato in Algeria), sorto il 14 settembre con l’affiliazione allo Stato Islamico di al-Baghdadi da un distaccamento del gruppo militante al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM). Il movimento nordafricano AQIM, dal quale provengono dunque i militanti di Jund alKhilafah, dopo aver subìto un progressivo indebolimento dovuto al distaccamento di uno dei suoi personaggi più importanti, Mokhtar Belmokhtar, aveva condotto nei mesi scorsi due attentati significativi per riaffermare la propria presenza nel territorio algerino. Tuttavia nell’ultimo periodo sono nati dei dissidi all’interno del movimento stesso in merito al riconoscimento dello Stato Islamico; mentre, infatti, una parte ha condannato l’azione del Califfo, l’altra ha mostrato l’intenzione di voler sostenere l’azione dell’IS. Proprio questa seconda fazione, guidata dal leader Abdelmalek Gouri, ha portato avanti la scissione da AQIM nel mese di luglio scorso e il 14 settembre ha ufficialmente proclamato lealtà ad al-Baghdadi. Questo nuovo legame tra lo Stato Islamico e parte delle fazioni militanti algerine non fa che aggiungere un ulteriore elemento di complessità alla lotta contro l’IS.

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IRAQ/SIRIA ↴

Nella notte di martedì 22 settembre una vasta ondata di bombardamenti si è abbattuta sulle roccaforti dello Stato Islamico a Raqqa ed Aleppo, estendendo il teatro delle operazioni allo scenario siriano. Ai raid delle forze statunitensi hanno preso parte le potenze sunnite avverse al disegno eversivo di al-Baghdadi (Arabia Saudita, EAU, Giordania, Bahrain, Qatar). L’offensiva è il primo atto della coalizione internazionale che a Parigi (14 settembre) ha disposto la pressante necessità di arrestare il Califfato «con ogni mezzo necessario». L’attacco segna un mutamento di scala nella risposta concertata da Washington ed ha colpito anche i quartier generali di Jabhat al-Nusra e del cosiddetto “gruppo Khorasan” – cellula jihadista che secondo l’intelligence americana era in procinto di realizzare attentati contro bersagli occidentali. Francia, Regno Unito, Australia, Canada, Danimarca e Belgio hanno inviato forze di aria e di terra (quest’ultime con sole funzioni di assistenza), tuttavia escludendo la partecipazione ad incursioni nello spazio territoriale siriano. Per contro, Bashar al-Assad ha esibito una pragmatica comunione di intenti dichiarando un previo coordinamento con i vertici statunitensi (negato dal Pentagono che si è avvalso dei caccia stealth F-22 al fine di eludere la contraerea siriana), così tentando di trasfigurare l’annosa guerra civile che ne intacca la legittimità in una guerra globale contro il terrorismo islamista. Intanto, le truppe governative (sostenute da Hezbollah) hanno piegato la resistenza dei ribelli nella città di Andra al-Omalia (a 30 Km dalla capitale) e sembrano trovare fondamento le indiscrezioni su un nuovo impiego di armi chimiche. A rafforzare il ruolo di Assad è la stessa leadership irachena che, attraverso il consigliere alla sicurezza nazionale Faleh al-Fayad, recatosi a Damasco il 16 settembre, ha ribadito la collaborazione bilaterale contro la minaccia comune dello Stato Islamico

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(IS). Analogamente, il Primo Ministro Haider al-Abadi intrattiene contatti costanti con Teheran (deliberatamente assente dal vertice di Parigi). Stante l’inadeguatezza dell’esercito iracheno, sono infatti le milizie sciite finanziate da sponda iraniana a proteggere Baghdad dalle infiltrazioni jihadiste. La centralità militare di questi gruppi armati, non riconducibili a stretto controllo governativo, si ripercuote sul gioco politico interno: è il veto della milizia Asaib Ahl al-Haq ad aver incoraggiato il voto negativo del Parlamento sulle delicate nomine proposte da al-Abadi per i Ministeri della Difesa e degli Interni. Malgrado l’intensificarsi dei raid, un vento di opportunità spira a favore del Califfato che incassa i dividendi delle migliaia di foreign fighters accorsi dal confine turco a sostegno della campagna jihadista e dell’approvazione esplicitata da espressioni regionali di al-Qaeda (al-Qaeda nel Maghreb Islamico e al-Qaeda nella Penisola Arabica) e da altri gruppi islamisti (da ultimo, Jund al-Khilafah in Algeria e Abu Sayyaf nelle Filippine), pronti ad esportarne la spirale di violenza. Mentre l’ambiguità della Turchia (che ha ottenuto la liberazione dei 49 ostaggi imprigionati a Mosul lo scorso giugno e che rifiuta un coinvolgimento armato nella crisi) danneggia la coerenza del fronte anti-IS, Baghdad e Washington premono per la cooptazione delle tribù sunnite nel costituente progetto di Guardia Nazionale declamato da al-Abadi: ad Amman ed Erbil si susseguono incontri, mediati dalle autorità statunitensi, che prefigurano la possibile integrazione nelle file governative di 22mila-60mila guerriglieri sunniti, ma la fragilità delle istituzioni irachene e l’impossibilità di un coordinamento effettivo con gli altri soggetti armati (i peshmerga curdi, i miliziani sciiti ed i pasdaran iraniani) inficiano lo sviluppo dei negoziati.

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UCRAINA ↴

Nonostante si siano verificati alcuni scontri a Donetsk, i quali hanno provocato la morte di 6 civili (15 settembre), sembra reggere la tregua siglata a Minsk lo scorso 5 settembre. Come dichiarato dal Presidente di turno dell'OCSE, Didier Burkhalter, la de-escalation del conflitto è iniziata e l'intensità dei combattimenti si è ridotta di almeno il 70%. Proprio sotto l'egida dell'Organizzazione di Parigi il 19 settembre le autorità ucraine rappresentate dall'ex Presidente Leonid Kuchma, i leader delle Repubbliche separatiste Igor Plotnitsky e Alexander Zakharchenko, oltre all'Ambasciatore russo a Kiev, Mikhail Zurabov, hanno raggiunto sempre nella capitale bielorussa un accordo in 9 punti per la creazione di una zona smilitarizzata nella regione orientale del Paese: le parti si sono impegnate a rispettare un cessate il fuoco e a ritirare di 15 Km dalla cosiddetta "linea di contatto" l'artiglieria pesante, le batterie di missili e i mercenari stranieri, consentendo così la realizzazione di una buffer zone di 30 Km; in questa zona di sicurezza sono inoltre vietati voli di ricognizione da parte di velivoli militari o qualsiasi operazione d'attacco; a garanzia di tali condizioni viene infine istituita una missione di monitoraggio da parte dell'OCSE. Il 22 settembre le forze governative hanno dunque avviato il proprio ritiro, mentre sono stati rilasciati i primi prigionieri. A contribuire ad un allentamento delle tensioni potrebbe occorrere anche un accordo di massima raggiunto a Berlino tra Kiev e Mosca sulla conduzione di gas (26 settembre). Al termine di un trilaterale con l'Unione Europea, Gazprom si sarebbe detta d'accordo a fornire all'Ucraina almeno 5 miliardi di metri cubi di gas nei prossimi sei mesi a un prezzo di 385 dollari per mille metri cubi, a patto però che Kiev saldi 2 miliardi di dollari arretrati entro ottobre e altri 1,1 miliardi di dollari entro la fine

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dell'anno. Il Commissario UE all'Energia, Guenther Oettinger, si è detto inoltre d'accordo con la condizione russa di un divieto al reverse flow, ossia la possibilità che gli altri Paesi europei rigirino all'Ucraina parte del gas proveniente dalla Russia.

AREA SMILITARIZZATA SECONDO L’ACCORDO DEL 19 SETTEMBRE (FONTE: EURACTIV.COM; REUTERS) La necessità di proseguire sulla strada della distensione è stata comunque probabilmente determinata anche dal mancato raggiungimento di alcuni degli obiettivi che Poroshenko si era posto nel corso della sua visita negli Stati Uniti il 18 settembre: intervenendo di fronte al Congresso, il Presidente ucraino aveva infatti chiesto un maggior sostegno militare e finanziario. Relativamente al primo punto egli ha richiesto non solo la fornitura di materiale letale e non letale, ma anche che venga conferito a Kiev uno statuto speciale al di fuori dell'Allenza Atlantica (Major non-NATO Ally, MNNA), condizione che permetterebbe la conduzione di operazioni congiunte - specialmente di anti-terrorismo - oltre a vantaggi nel campo dell'addestramento. Poroshenko ha dunque chiesto che Washington crei un fondo speciale per sostenere gli investimenti delle aziende USA in Ucraina, contribuendo, in ultima istanza, al processo di riforme economiche. Pur ribadendo la vicinanza a Kiev, la risposta degli Stati Uniti è stata tiepida: essi continueranno ad offrire assistenza non letale, mentre verranno stanziati 53 milioni di dollari, di cui 46 per la sicurezza - specialmente quella di frontiera - e 7 per gli aiuti umanitari. Il 25 settembre il Capo di Stato ucraino ha dunque annunciato "Strategia 2020", un dettagliato piano di 60 riforme strutturali – riguardanti in particolare il decentramento dei poteri, la revisione del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione, la garanzia dell'indipendenza energetica e il rafforzamento della difesa – con l'obiettivo di portare l'Ucraina dentro l'Unione Europea nel 2020. Soprattutto la legge

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anti-corruzione rappresenta, nell'ottica di Poroshenko, il più importante biglietto da visita per la riuscita del processo di integrazione europea e per tale ragione egli punta alla sua approvazione entro il prossimo 14 ottobre. Il 16 settembre, inoltre, il Parlamento europeo e il Parlamento ucraino hanno simultaneamente ratificato l'Accordo di Stabilizzazione e Associazione (siglato lo scorso 27 giugno), anche se esso non entrerà in vigore prima dell'inizio del 2016. Sempre il 16 settembre, e nell'ambito dell'attuazione dell'intesa del 5 settembre, la Rada ha approvato la legge che garantisce uno statuto speciale e tre anni di autonomia per alcuni distretti delle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, fissandone elezioni locali per il prossimo 7 dicembre. Il protocollo prevede inoltre un'amnistia per i filorussi che hanno consegnato le armi, che non hanno attentato alla vita dei dirigenti statali, che non siano coinvolti nell'incidente del volo MH-17 della Malaysia Airlines e che non si sono macchiati del reato di omicidio premeditato o di terrorismo. Kiev si impegna infine a garantire l'uso della lingua russa. I ribelli hanno tuttavia rifiutato questo documento, annunciando di aver programmato per il 2 novembre le loro elezioni per il Consiglio Supremo. Si sono intanto svolte in Crimea le prime elezioni amministrative – dichiarate illegittime dall'Unione Europea – dopo l'annessione alla Russia: il partito di Putin, Russia Unita, ha conquistato 70 seggi su 75 (gli altri 5 sono andati al partito liberaldemocratico di Vladimir Zhirinovski), mentre a Sebastopoli 22 su 24. La partecipazione elettorale è stata del 52%, più alta rispetto all'affluenza registrata nelle altre regioni della Federazione Russa chiamate alle urne lo stesso giorno. .

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YEMEN ↴

La firma dell’accordo tra i ribelli sciiti Houthi e il governo dello Yemen sembra non aver portato alcuna pacificazione politica nel Paese arabico. La ribellione che da tempo gli Houthi stanno portando avanti contro il governo centrale sembrava essere giunta ad una svolta positiva quando il 21 settembre il Presidente Abd Rabbo Mansour al-Hadi aveva annunciato di aver raggiunto un accordo con i ribelli sciiti. L’intesa prevedeva l’immediato cessate il fuoco, la formazione di un nuovo governo tecnocratico di unità nazionale, l’abbassamento delle accise sui carburanti e la nomina di una personalità Houthi da affiancare al Presidente quale consigliere speciale. Per molti analisti l’accordo avrebbe consegnato ai ribelli sciiti il controllo sul governo e la possibilità di dettare le scelte da compiere e gli accordi da stringere nel futuro. L’accordo «riflette la nuova realtà del terreno, dove gli Houthi sono molto più forti di prima» ha affermato Ibrahim Sharqieh, ricercatore del Doha Brookings Center, precisando che al momento «non sono talmente forti da decidere senza le altre parti in causa». Nonostante il raggiungimento di un’intesa, nei giorni successivi gli insorti hanno preso il controllo di numerosi edifici pubblici, tra cui la sede della televisione di Stato, e di diversi siti militari, compresa la sede della polizia militare, la cui indipendenza dal governo centrale gli è spesso valsa l’accusa di collaborazionismo con i manifestanti. Gli insorti si sarebbero impossessati anche di ingenti quantità di armi e veicoli corazzati, sottratti all’esercito regolare, che avrebbero inviato nelle loro roccaforti nel nord del Paese. Rapporti della stampa locale hanno evidenziato l’assenza di qualsiasi servizio di sicurezza lungo le strade di Sana’a e il consolidamento della presenza Houthi nei principali punti strategici della capitale, dove sono state eretti numerosi checkpoint da loro controllati. L’unica forza che sembra opporsi all’avanzata degli Houthi è rappresentata dalla divisione dell’esercito comandata dal generale Ali Mohsin al-Ahmar: 8


il Generale al-Ahmar proviene da una potente famiglia dello Yemen, parte della confederazione tribale degli Hashid, che ha forti legami con il maggiore partito sunnita del Paese, al-Islah, storico antagonista degli Houthi e principale responsabile della cacciata del Presidente Ali Abdullah Saleh nel 2011. La ribellione Houthi non è confinata soltanto allo Yemen ma inizia a far sentire le sue ripercussioni anche nei confronti degli immediati vicini saudita e omanita. L’Arabia Saudita e gli altri Stati sunniti del Golfo ritengono che i ribelli siano sostenuti dall’Iran sciita di Ali Khamenei e Hassan Rouhani. Il confronto “religioso” nello Yemen si andrebbe, pertanto, ad aggiungere a quelli in corso in vari focolai della regione che hanno portato alcuni analisti a parlare di “guerra fredda regionale” tra sunniti e sciiti. È bene precisare che il caos nello Yemen affonda le sue radici nella storia lontana: fin dai tempi di Nasser e della rivoluzione yemenita del 1962 e poi sin dall’unificazione del Paese negli anni Novanta, gli Houthi si oppongono alle politiche del governo centrale, colpevole di trascurare la componente sciita nazionale, favorendo indiscriminatamente la componente sunnita. Altro fattore di instabilità è dato dal sud dello Yemen, storicamente autonomista, e negli ultimi anni reso una polveriera a causa della presenza di due gruppi jihadisti, di fede sunnita, come al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP) e Ansar al-Sharia Yemen, entrambi fortemente legati ad al-Qaeda centrale. La debolezza del governo e l’insicurezza attuale hanno permesso ad AQAP di proliferare nelle aree rurali del Paese, nonostante le offensive dell’aviazione statunitense ne avessero ridotto l’influenza nelle aree più popolate del sud. La ribellione Houthi e quella di AQAP non sono collegate tra di loro, ma mostrano, inesorabilmente, l’incapacità del governo centrale di gestire le crisi.

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BREVI AFGHANISTAN, 22 SETTEMBRE ↴ Dopo un protrarsi di alcune settimane, è stato infine raggiunto un accordo per un governo di unità nazionale tra i candidati del ballottaggio presidenziale, tenutosi il 14 giugno scorso, Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani. Dopo che la Commissione elettorale indipendente ha annunciato che il vincitore alle urne era risultato l’ex Ministro delle Finanze Ghani con oltre settecentomila voti di scarto, sono seguiti giorni di trattative con l’ex titolare degli Esteri di Kabul Abdullah (anche grazie alla mediazione degli Stati Uniti e della missione delle Nazioni Unite) per giungere ad una soluzione che riconoscesse un ruolo politico di spicco ad entrambi nel futuro del Paese. Ghani e Abdullah si sono accordati sulla base di una divisione di poteri tra Capo dello Stato e Primo Ministro, carica che verrà ricoperta da Abdullah o da uno dei suoi fedelissimi, e di una riforma costituzionale sui poteri del Premier, altrimenti chiamato Chief Executive. Il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha accolto con grande soddisfazione lo sblocco di un impasse che durava da troppo tempo e che complicava il dispiegamento della missione internazionale post-ISAF. Kerry ha così commentato che «i due candidati nel ballottaggio presidenziale hanno mostrato di avere realmente una levatura da statisti: hanno assicurato che la prima transizione democratica nella storia del loro Paese cominci con un progetto di unità nazionale». Non sono state risparmiate però critiche nei confronti di Washington dal Presidente uscente, Hamid Karzai. Nel suo ultimo discorso da Capo di Stato afghano ha puntato il dito su Stati Uniti e Pakistan affermando che «gli afghani sono vittime di una guerra straniera sul proprio territorio»: da un lato «gli USA non hanno mai portato la pace e la stabilità all'Afghanistan, ma hanno agito per i loro interessi e obiettivi», dall’altro «il Pakistan vuole controllare la nostra politica estera, ma il governo afghano non permetterà mai che questo accada».

CAMERUN-NIGERIA, 26 SETTEMBRE ↴ Non conosce sosta il flusso di rifugiati nigeriani verso il confine del Camerun. Secondo l’UNHCR, l’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati in tutte le aree del mondo, la crescita del dato rappresneta un fattore allarmante. Un incremento ascrivibile soprattutto agli attacchi dei miliziani di Boko Haram nel nord della Nigeria. Durante uno degli ultimi attacchi lanciati dai miliziani islamisti contro la caserma della gendarmeria di Tourou, a pochi chilometri dal confine con la Nigeria, è stato ucciso un militare del genio camerunense. L’episodio non ha lasciato indifferenti le autorità 10


di Yaoundè che hanno risposto agli attacchi di Boko Haram lanciando una forte offensiva. Gli scontri tra i miliziani di Boko Haram e i militari camerunesi sono stati descritti dalla stampa come episodi di "inaudita violenza" e si sarebbero svolti anche oltre la frontiera, quindi in territorio nigeriano, dove gli jihadisti in fuga sarebbero stati braccati. Al termine degli scontri, secondo un comunicato ufficiale del governo camerunense, sarebbero rimasti uccisi almeno 77 islamisti. Secondo il sito Koaci, i morti sono il bilancio di due giorni di combattimenti (il 21 e 22 settembre) nel villaggio di Ldma, nel dipartimento di Mayo Tsanaga, nella regione dell'estremo nord del Camerun. Stando alla stessa fonte, nel corso dei combattimenti sarebbero stati catturati un centinaio di miliziani. Parallelamente, l’esercito nigeriano ha dato vita ad una violenta offensiva nei dintorni della città di Konduga, nello Stato di Borno, a seguito della quale sarebbero stati catturati più di 150 miliziani, ma soprattutto sarebbe stato ucciso il loro leader Abubakar Shekau. L’uccisione non è stata ancora confermata, e lo scetticismo è molto forte, perché l’uccisione di Shekau è già stata annunciata con una certa enfasi dalle autorità nigeriane già nel 2009 e nel 2013. In realtà, durante l’offensiva nigeriana sarebbe stato ucciso Mohammed Bashir che, secondo il Dipartimento di Sicurezza, fingeva da alcuni anni di essere Abubakar Shekau.

CINA, 21 SETTEMBRE ↴ Una serie di attentati dinamitardi ha provocato la morte di almeno 50 persone nella provincia di Luntai, nella regione autonoma dello Xinjiang. Tra le vittime sono riportati 40 terroristi, eliminati dalle forze di polizia o rimasti uccisi nelle esplosioni. Gli eventi sono attribuiti a gruppi estremisti uiguri e giungono a due giorni

dalla

condanna

all’ergastolo

(fortemente

rimproverata da Stati Uniti e Unione Europea) di Ilham Tohti, professore universitario di economia ed influente intellettuale schierato a favore della protezione della comunità uigura, che il tribunale di Urumqi ha processato per incitamento al separatismo. Gli attentati ricalcano, pertanto, la linea degli scontri etnici che negli ultimi anni hanno occasionalmente infiammato lo Xinjiang, regione a maggioranza uigura di importanza strategica per lo sviluppo commerciale ed economico cinese che le autorità di Pechino vorrebbero costringere all’omogeneità culturale. Nel mese di settembre la contea di Qiemo ha autorizzato sovvenzioni di discreta entità per incoraggiare matrimoni misti allo scopo di accelerare l’integrazione degli immigrati di etnia han, mentre le autorità regionali hanno stabilito il divieto di frequentazione delle scuole coraniche. Questi provvedimenti volti ad indebolire le specificità linguistiche e identitarie delle comunità turcofone di fede musulmana hanno inasprito le tensioni sociali, rafforzando l’ascendente delle cellule terroristiche di matrice islamica ed

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innalzando l’intensità di un conflitto inter-etnico oramai latente, destinato a conoscere nuovi picchi di violenza.

LIBIA, 23 SETTEMBRE ↴ Dopo mesi di violenze e di stallo politico-istituzionale, il Parlamento legittimo riunito dal 4 agosto a Tobruk, a pochi chilometri dal confine egiziano, ha votato con 110 voti a favore su 112 la fiducia al nuovo governo di Abdullah al-Thani. Il governo, composto da 10 Ministri e 3 vice Primo Ministro, ha giurato il 24 settembre e si è immediatamente riunito nella sede temporanea di Badia, a est di Bengasi, ordinando «la mobilitazione generale delle forze armate, su richiesta della popolazione di Tripoli, per liberare la capitale dalle milizie filo islamiche dell'Alba libuca (Fajr Libya)». Infatti a Tripoli e nei suoi dintorni si continua a combattere e a morire nella guerra che vede contrapposti da un lato governo libico e forze di Zintan (vicine al partito più secolarista di Mahmud Jibril) e dall’altro i miliziani islamisti di Misurata, legati alla Fratellanza Musulmana libica. Intanto anche sul fronte internazionale giungono numerosi gli appelli per una risoluzione pacifica e politica. Sia il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, sia l’Alto Rappresentante in pectore per la politica estera dell’UE Federica Mogherini, hanno lanciato un nuovo monito per la pace nel Paese che giunga attraverso un compromesso politico tra le parti in lotta. Una posizione condivisa anche dai 21 Paesi del Mediterraneo riuniti a Madrid lo scorso 17 settembre in una conferenza delle potenze regionali coinvolte in Libia. Nelle conclusioni della conferenza internazionale le parti in causa hanno escluso un nuovo eventuale intervento militare in Libia ribadendo tuttavia la necessità di «riprendere il dialogo tra le fazioni libiche, ad eccezione di quelle armate».

PAKISTAN, 22 SETTEMBRE ↴ È stata resa nota, lunedì 22 settembre, la nomina di Rizwan Akhtar a futuro Direttore Generale dei Servizi Segreti Pachistani (ISI). Il suo predecessore Zaheer ulIslam – così come altri quattro vertici dell’ISI – ormai prossimo al pensionamento, vedrà scadere il suo mandato il prossimo 1° ottobre. In tale data Akthar assumerà la seconda carica più importante delle Forze Armate pachistane dopo quella di Capo di Stato Maggiore della Difesa, attualmente ricoperta da Raheel Sharif. Sebbene la procedura ufficiale preveda che il capo dell’esercito proponga una lista di nomi al Primo Ministro dalla quale scegliere chi nominare, nel caso presente si è trattato di una scelta soprattutto dovuta al capo delle Forze Armate stesso. Akthar è 12


in effetti noto per essere uno degli uomini di fiducia di Raheel Sharif. Si tratta di una scelta dovuta al fatto che il precedente comandante dei Servizi Segreti, Zaheer, è stato accusato di aver collaborato con uno dei due leader delle proteste antigovernative che nel mese di agosto hanno ripetutamente chiesto la deposizione del Primo Ministro Nawaz Sharif. Per tali motivi il Primo Ministro si è rivolto al capo dell’esercito chiedendo che, allo scadere del mandato di Zaheer, si cercasse un uomo meno politicamente coinvolto e più propenso a collaborare con il governo in carica. Il nuovo vertice dell’ISI, Akthar, precedentemente capo del corpo paramilitare dei Rangers pakistani, si è in passato distinto per le sue operazioni contro la criminalità organizzata nel centro finanziario pachistano di Karachi e per azioni di contro terrorismo nel Waziristan dal 2007 al 2010.

PALESTINA, 25 SETTEMBRE ↴ Mentre sono ufficialmente ripartiti al Cairo i negoziati tra Israele e la delegazione palestinese per un accordo di cessate il fuoco permanente che funga da preludio per una vera e propria trattativa di pace tra le due realtà, nella capitale egiziana le componenti di Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo per un governo di unità nazionale presieduto da Abu Mazen all’interno della Striscia di Gaza. Un’intesa rilevante che ancora una volta ha visto giocare all’Egitto un ruolo di primo piano nella mediazione tra le due componenti antagoniste. Infatti Hamas, che governa la Striscia da sola dal 2007, a seguito della cosiddetta battaglia di Gaza che vide l’epurazione dal territorio di Fatah, ha confermato il raggiunto accordo e, secondo ricostruzioni di stampa, avrebbe acconsentito anche a dare il proprio sostegno al piano diplomatico di Abu Mazen per stabilire uno Stato palestinese entro i confini del 1967, discorso tra le altre cose ribadito dallo stesso leader dell’ANP anche nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Secondo l'intesa raggiunta, il governo di unità nazionale avrà pieni poteri con la responsabilità di guidare la ricostruzione nella Striscia e gestire i valichi di transito, tra i punti più spinosi anche nelle trattative complessive con Israele. Tel Aviv ha comunque fatto sapere di volere garanzie precise per evitare che tutto ciò che transiterà dai valichi non sarà usato per il riarmo delle fazioni radicali o l'edificazione di nuovi tunnel sotterranei per offendere lo Stato Ebraico. Al momento tra i sei valichi che permettono l’accesso e l’uscita da e per la Striscia di Gaza viene escluso dall’intesa quello di Rafah, fra Gaza ed Egitto, ritenuto ancora troppo pericoloso per via delle tensioni ancora forti nel Sinai settentrionale.

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SCOZIA, 18 SETTEMBRE ↴ Si è tenuto l’atteso referendum sul futuro status della Scozia. Ai votanti scozzesi è stato chiesto se volessero che il proprio Paese diventasse indipendente o restasse all’interno del Regno Unito. Con un’affluenza pari a circa l’85%, ha vinto il fronte unionista con oltre due milioni di voti, ovvero il 55,3% degli scozzesi. Gli indipendentisti hanno raccolto un milione e seicentomila voti, pari a meno del 45% del totale. Gli unionisti hanno vinto in quasi tutte le aree amministrative, eccezion fatta per quella più popolosa, quella di Glasgow, e altre tre, tra cui quella di Dundee. A Edimburgo, capitale della Scozia, i voti a favore dell’unione ha spopolato con una percentuale che ha oltrepassato il 60%. Come promesso dal Primo Ministro britannico, David Cameron, al cui fianco per l’occasione si sono schierati il leader del partito laburista, Ed Miliband, e quello dei Lib-Dem, il vice Premier Nick Clegg, alla Scozia sarà garantita una nuova e ben più ampia autonomia dall’Inghilterra con ulteriori poteri che saranno devoluti ad Edimburgo. Dopo la sconfitta, il Primo Ministro scozzese, Alex Salmond, ha rassegnato le dimissioni. A succedergli sarà probabilmente l’attuale vice Premier di Scozia, Nicola Sturgeon. A Westminster è iniziato il dibattito se ad un incremento dei poteri nelle mani di Edimburgo debba corrispondere una limitazione dell’influenza degli scozzesi sugli affari dell’Inghilterra. In particolare, è stata sollevata la questione della presenza di deputati in rappresentanza della Scozia alla Camera dei Comuni, un fatto non reciprocato al Parlamento di Edimburgo. La Regina Elisabetta II si è congratulata con gli scozzesi per l’esito del referendum. In privato, secondo quanto affermato da Cameron in un off record, avrebbe persino «fatto le fusa. Non ho mai sentito», ha affermato il Primo Ministro britannico, «qualcuno più felice».

ONU, 24 SETTEMBRE ↴ É in corso a New York la 69esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, annuale appuntamento che ha visto la partecipazione di almeno 140 leader mondiali per discutere dei principali problemi e delle maggiori sfide internazionali. L'apertura dei lavori è stata dedicata ad una conferenza sui cambiamenti climatici, con particolare attenzione ai mutamenti atmosferici di origine antropica, in occasione della quale il Segretario Ban Ki-moon ha ribadito la necessità di un accordo globale in materia entro il summit di Parigi del 2015, esortando governi ed istituzioni ad investire in progetti per la riduzione delle emissioni di gas serra e ad introdurre una carbon tax per penalizzare le industrie inquinanti. Ma l'assenza del Presidente cinese Xi Jinping e del Premier indiano Nerendra Modi, leader rispettivamente del primo e

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del terzo Paese produttore di sostanze inquinanti, è stata letta come una reale mancanza di volontà di risolvere l'emergenza clima. A tener banco anche l'ebola, che, secondo le ultime stime, avrebbe finora provocato in Africa occidentale la morte di 3.000 persone, almeno 200 al giorno. Il Presidente USA Barack Obama, che il 16 settembre ha approvato l'invio di 3000 soldati americani per sostenere gli sforzi al contenimento della diffusione del virus, ha ricordato che «se l'epidemia dell'ebola non sarà fermata potrebbe esserci una catastrofe umanitaria» e che nazioni ed organizzazioni devono agire tempestivamente per evitare un contagio globale. Il punto più importante del discorso di Obama è comunque stato quello relativo alla lotta al terrorismo e in particolare all'IS, intervento che ha dato il via libera all'approvazione all'unanimità di una risoluzione che chiede agli Stati membri di «prevenire e reprimere» il reclutamento e il flusso dei combattenti terroristi stranieri. Tale documento opera nell'ambito del Capitolo VII della Carta della Nazioni Unite, che fornisce al Consiglio di Sicurezza l'autorità di comminare sanzioni e prevede l'uso della forza. Tale atto chiede infatti che gli Stati membri rendano illegale recarsi all'estero o facilitare il viaggio di individui per «pianificare, preparare, perpetrare o partecipare ad atti terroristici». Spazio infine anche per il dossier nucleare iraniano: si è risolto con un nulla di fatto il lungo colloquio tra Teheran e il Gruppo 5+1 per la finalizzazione dell'accordo tracciato lo scorso novembre 2013. Le distanze restano ancora significative e il Presidente Hassan Rouhani ha dichiarato che conta molto sul ruolo dell'Italia per una definitiva distensione dei rapporti tra Iran e Occidente.

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ALTRE DAL MONDO EGITTO, 21 SETTEMBRE ↴ Una doppia esplosione è avvenuta al Cairo nei pressi della sede del Ministero degli Esteri e in una stazione ferroviaria della capitale in direzione Zagazig, causando la morte di due poliziotti e di una recluta. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo islamista Ajnad Misr in una dichiarazione apparsa sul suo profilo Twitter. A seguito dell’esplosione è morto il colonnello Mohamed Mahmoud Abu Sareeaa che avrebbe dovuto testimoniare nel processo intentato contro il deposto Presidente Morsi, per alcuni fatti relativi al 2011.

FILIPPINE, 24 SETTEMBRE ↴ Il gruppo ribelle islamista Abu Sayyaf ha minacciato di uccidere uno dei due ostaggi tedeschi che detiene dallo scorso aprile se entro quindici giorni la Germania non pagherà il riscatto (oltre 5 milioni di dollari) e non cesserà di fornire supporto logistico alla coalizione anti-IS capeggiata dagli USA. Secondo gli analisti, i jihadisti detengono altri dieci ostaggi, di cui due di nazionalità europea e un giapponese. Il mese precedente Abu Sayyaf si era rifiutato di firmare il protocollo di intesa tra il governo del Presidente Benigno Aquino e i ribelli del MILF, per la creazione di una regione autonoma nel Bangsamoro.

INDIA-CINA, 17-19 SETTEMBRE ↴ Il Presidente cinese Xi Jinping ha effettuato un importante viaggio in India, dove ha incontrato il Primo Ministro di New Delhi, Narendra Modi. Il vertice ha rafforzato i legami economici tra i due Paesi, con Pechino che ha promesso di investire una cifra pari a 20 miliardi nel futuro dell’India. La visita di Xi segue di pochi giorni quella di Modi a Tokyo. Per sigillare il riavvicinamento tra India e Cina, le due parti si sono accordate per ritirare i propri contingenti militari dai confini territoriali contesi, come quello sull’Himalaya nella regione di Ladakh.

ISRAELE, 23 SETTEMBRE ↴ Un missile Patriot israeliano ha intercettato e ha abbattuto sulle Alture del Golan – la cui porzione siriana è attualmente sotto il controllo di Jabhat al-Nusra – un velivolo appartenente alla forze di Damasco (apparentemente un Mig-21, anche se le fonti di Tel Aviv non hanno rilasciato ulteriori dettagli). Il portavoce dell'esercito israeliano ha intanto annunciato l'uccisione – nel corso di un raid notturno ad Hebron – di due palestinesi sospettati di essere i rapitori e gli assassini dei tre giovani ebrei lo scorso giugno. L'episodio aveva scatenato la nuova escalation nella Striscia di Gaza.

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NUOVA ZELANDA, 20 SETTEMBRE ↴ Il National Party, di orientamento conservatore, ha ottenuto una netta affermazione nelle elezioni politiche che consegneranno al suo leader, John Key, il terzo mandato consecutivo da Primo Ministro. Il National Party ha ottenuto il 48% dei voti nonostante numerose accuse di dossieraggio che giungevano dalle opposizioni indigene e dal blogger milionario e fondatore del sito Megaupload, Kim Dotcom.

SPAGNA, 26 SETTEMBRE ↴ Una doppia operazione coordinata dal Ministero degli Interni e dall’Alto Tribunale dell’Audencia Nacional nell’enclave spagnola di Melilla e a Nador, in Marocco, ha portato all’arresto di nove persone. Otto marocchini e uno spagnolo erano sospettati di essere reclutatori e combattenti di una cellula jihadista locale vicina allo Stato Islamico, in partenza per la Siria e l'Iraq. Il leader della cellula sarebbe un ex militare dell'esercito spagnolo già coinvolto in altre esperienze jihadiste in Mali.

STATI UNITI, 25 SETTEMBRE ↴ Si è dimesso dalla carica di Attorney General degli Stati Uniti, carica che corrisponde al nostro Ministro della Giustizia, l’afroamericano Eric Holder, il cui mandato era iniziato nel febbraio 2009. A succedergli dovrebbe essere, secondo fonti statunitensi, un altro afroamericano, Deval Patrick. Un segnale evidente per un Paese ancora scosso dai fatti di Ferguson, dove un ragazzo di colore è stato ucciso da un colpo di pistola da un poliziotto bianco. Fatto cui sono seguiti, e permangono tuttora, disordini e proteste.

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ANALISI E COMMENTI TRIANGOLAZIONE PACIFICA PAOLO BALMAS ↴ La grande regione dell’Asia-Pacifico nelle ultime settimane è stata caratterizzata da un’attività diplomatica particolarmente intensa. Sono state siglate intese che nel futuro più prossimo si ripercuoteranno sugli equilibri dell’intera regione. L’attenzione si sofferma chiaramente sul vivo dialogo intrapreso fra il nuovo Primo Ministro indiano Narendra Modi e il governo giapponese di Shinzo Abe, ma anche fra quest’ultimo e il collega australiano Tony Abbott e, infine, fra India e Australia. Sebbene i rapporti si siano sviluppati su base bilaterale, i tre Paesi hanno di fatto dato vita a una “triangolazione” in cui le relazioni tra l’uno e l’altro risultano complementari e costituiscono le basi di una cooperazione che, se risulterà solida come i tre leader si aspettano, è destinata a gettare le basi del nuovo assetto regionale. Tuttavia, le conseguenze non sono e non possono essere ancora del tutto chiare. Soprattutto perché le sfide sono talmente impegnative che la conclusione è tutt’altro che ovvia (…) SEGUE >>>

IRAN: ROUHANI, UN ANNO DA PRESIDENTE STEFANO LUPO ↴ Da più parti si è ritenuto che il primo anno da Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran dovesse essere il momento più difficile del percorso politico di Hassan Rouhani, religioso e politico moderato, negoziatore del dossier nucleare tra il 2003 e il 2005 e per ben sedici anni (1989-2005) Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza. Non è così, per una serie ben precisa di motivi. Senza scomodare ingombranti richiami all’Obama Style del Presidente eletto nel giugno 2013, è verosimile che le aspettative che hanno circondato il chierico dall’inizio del suo mandato, con le esultanze popolari per la sua vittoria elettorale e la diplomazia da “telefono rosso” per rinnovare il cammino sul negoziato per il nucleare con le controparti storiche, abbiano protetto il neo Presidente dalle critiche per almeno sei mesi, senza dimenticare l’accordo ad interim del 24 novembre 2013 (…) SEGUE >>>

ALL’OMBRA DEI BRICS: LA (RE)CONQUISTA DEL CONTINENTE LATINO-AMERICANO FRANCESCO TRUPIA ↴ Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA Quando gli allarmismi per la crisi finanziaria del 2007 venivano scongiurati dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill poiché fiducioso che lo sviluppo dei BRICS avrebbe creato un’armoniosa ricrescita dei mercati, nessuno avrebbe immaginato che a distanza di neanche un decennio tali economie emergenti sarebbero state in grado di destabilizzare gli assetti dell’economia mondiale. Fin dalla loro nascita, i BRICS hanno tentato di rappresentare una seria alternativa alle politiche neo-liberali del G7 18


ed ai suoi modelli di sviluppo politico ed economico. Sulla scia di una sempre maggiore crescita su scala mondiale, la sfida lanciata dai BRICS è concretamente iniziata a Fortaleza con la creazione della New Development Bank. La nascita del nuovo istituto finanziario rappresenta solo una minima parte, sebbene la più rilevante, delle decisioni varate nella città brasiliana capace di stravolgere ciò che gli accordi di Bretton Woods sembravano aver stabilito nell’ormai lontano 1944 (…) SEGUE >>>

TURCHIA-QATAR: LA RICERCA DI UN ASSE PER IL NUOVO MEDIO ORIENTE FILIPPO URBINATI ↴ All’indomani dell’elezione di Recep Tayyip Erdoğan a Presidente della Repubblica e della promozione di Ahmet Davutoğlu da Ministro degli Esteri a Primo Ministro, la Turchia si trova a dover affrontare una non facile situazione dal punto di vista delle relazioni internazionali. Mentre i rapporti con l’Unione Europea permangono stagnanti e quelli con gli alleati occidentali vivono una nuova fase di ambiguità, le numerose crisi che stanno scuotendo il Medio Oriente hanno incrinato la posizione del Paese nell’area. Unico Stato rimasto allineato alle posizioni di Ankara pare essere il Qatar. Questa relazione, fondata anche su legami economici crescenti [2] trova la propria ragion d’essere in una comunione di intenti che è divenuta sempre più marcata dal 2011, ossia dall’esplosione delle cosiddette Primavere Arabe, ed è divenuta più evidente con l’insorgere delle due recenti crisi di Gaza, quelle del 2012 e del 2014. Durante il mese di luglio, a causa del rifiuto delle due parti in conflitto di accettare le proposte di tregua egiziane, il Segretario di Stato americano John Kerry ha richiesto l’intervento di Turchia e Qatar – al momento gli unici sponsor politici ed economici di Hamas, dopo la defezione della Siria e il ridimensionato supporto dell’Iran – per giungere ad un piano atto a risolvere la crisi (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 19


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