BloGlobal Weekly N°21/2014

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N°21, 28 SETTEMBRE – 4 OTTOBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 5 ottobre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: EPA; Reuters; Ria Novosti; AP Photo; Alexander Khudoteply/AFP/Getty Images; BBC/Getty Images; Garowe online; ANSA;


FOCUS CINA ↴

A Hong Kong non si arrestano i cortei e le proteste iniziate lo scorso luglio nella cittadella finanziaria, cuore economico e commerciale dell’ex colonia inglese, nonché sede delle principali banche e multinazionali. Qui diverse centinaia di manifestanti, per lo più giovani e studenti, si sono riuniti nel movimento Occupy Central with Love and Peace guidati dal 17enne Joshua Wong stanziando da settimane nelle principali arterie della città e chiedendo «Non la rivoluzione. Vogliamo solo la democrazia». In quella che si presenta come la più grave crisi interna alla Cina dai fatti di Tienamen del 1989, da giorni si registrano scontri tra polizia e manifestanti che con il solo ombrello si proteggono dai gas lacrimogeni sparati dalle stesse forze di sicurezza per disperdere la folla. Proprio l’inusuale oggetto è divenuto un simbolo della rivolta pacifica studentesca, altresì rinominata dalla stampa internazionale “Rivoluzione degli Ombrelli”. Tuttavia i comitati studenteschi denunciano le infiltrazioni di gruppi violenti per lo più legati alla criminalità organizzata cinese e della città. Infatti, il 4 ottobre nel distretto cittadino di Mong Kok, trenta persone, almeno otto di queste legate a bande affiliate alle triadi cinesi, sono state arrestate dalle forze di polizia cittadine. La tensione rimane alta, tanto che i residenti e i principali gruppi economici della città chiedono un pronto ritorno alla normalità a causa degli innumerevoli danni economici e sociali subiti dalle proteste di questi giorni. La Borsa di Hong Kong, l’indice Hang

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Seng, a seguito delle proteste ha perso oltre due punti percentuali solo nell’ultima settimana. I manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro le limitazioni imposte dall’autorità centrale di Pechino sulla scelta del prossimo Chief Executive – una sorta di Capo del Governo della Regione Amministrativa Speciale – nelle elezioni previste del 2017. Il 30 agosto scorso è stato infatti annunciato che nelle elezioni del 2017 saranno scelti i candidati ammessi solo da Pechino. Si tratterebbe in sostanza di una violazione degli accordi di “buon vicinato” intercorsi sinora tra la capitale cinese e l’ex colonia. Secondo l’attuale ordinamento vigente, l’Hong Kong Basic Law – un sistema di diritto di Common Law che si richiama chiaramente alle sue radici inglesi –, il territorio avrebbe conservato ampia autonomia in base al principio “un Paese, due sistemi”, formula ideata da Deng Xiaoping per Taiwan e poi “riciclata” per Hong Kong e Macao. L'accordo doveva assicurare a Hong Kong un sistema di più partiti e il suffragio universale, nonché la garanzia che l'autonomia e le libertà di Hong Kong sarebbero state tutelate fino al 2046, anno in cui la città passerà definitivamente sotto lo status cinese. I manifestanti temono che le élite cittadine e ritenute troppo legate alla Cina continentale possano favorire la scelta di un candidato più vicino a Pechino in cambio di una rinuncia alle tradizionali istanze autonomiste dell’ex colonia britannica. L’accusa di complicità con le autorità cinesi ha investito anche il Governatore della città, Leung Chun-ying, al quale i manifestanti hanno richiesto a più riprese di dimettersi. Sebbene quest’ultimo abbia rifiutato le dimissioni e abbia lanciato un ultimatum alla piazza ad abbandonare le barricate e a permettere un ritorno alla normalità, Leung, su consiglio dell’attuale numero due del suo governo, la popolare Carrie Lam, ha comunque annunciato l'inizio di un dialogo con gli studenti. Occupata da forze inglesi durante la Prima Guerra dell’Oppio (1840-42), Hong Kong fu formalmente ceduta all’impero britannico dal governo cinese con il trattato di Nanchino (1842) e proclamata colonia britannica nel 1843. Nel 1898 Londra poté annettere al territorio già in suo possesso anche la penisola di Kowloon e i cosiddetti New Territories, questi ultimi ottenuti in affitto dalla Cina per 99 anni. L’ex colonia inglese è tornata sotto sovranità cinese il 1° luglio 1997 con lo status di Regione Amministrativa Speciale come previsto dagli accordi del 1984 firmati dagli allora leader Margareth Thatcher e Deng Xiaoping.

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FRANCIA ↴

Quella della Francia, e soprattutto del Presidente François Hollande, è stata una settimana molto significativa, sia dal punto di vista della politica interna sia da quello della politica internazionale. Nelle elezioni per il rinnovo del Senato (28 settembre) – la cui metà dei 348 componenti è scelta ogni tre anni dagli 87.500 consiglieri regionali e comunali –, il Partito Socialista ha subito una nuova sconfitta dopo quella registrata nelle consultazioni europee di maggio e in quelle amministrative di marzo. Nonostante i risultati definitivi non siano stati ancora diramati, il partito conservatore dell'Unione per un Movimento Popolare (UMP) dell'ex Presidente Nicolas Sarkozy insieme con i centristi dell'Unione per i Democratici Indipendenti (UDI) godrebbero all'interno della Camera Alta di più della maggioranza assoluta dei seggi con 191 scranni contro i 157 del centro-sinistra. Il centro-destra aveva perso nella tornata del 2011, per la prima volta dal 1958, la maggioranza nei seggi sull'onda lunga del successo socialista che portò nel 2012 anche all'elezione di Hollande. Ora, inoltre, fa ingresso nel Senato con due deputati anche il Front National di Marine Le Pen, la quale non ha mancato di sottolineare i continui successi sia del proprio partito sia della destra francese. La crisi del Partito Socialista era emersa con vigore non solo in occasione dei due appuntamenti elettorali già menzionati (dopo il voto di marzo, parlato, il Premier Ayrault era stato costretto a lasciare il proprio incarico a Manuel Valls), ma anche della crisi di governo di fine agosto: le dichiarazioni dell'ex Ministro dell'Economia Arnaud Montebourg circa la necessità di condurre una politica economica meno legata ai vincoli posti dalla Germania avevano segnato una nuova spaccatura interna al partito di governo, inducendo ad un nuovo rimpasto sempre sotto la guida di Valls.

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Eppure, nonostante la nomina di Emmanuel Macron alla guida dell'Economia, il governo e il Partito Socialista hanno dovuto cedere di fronte alla pubblicazione dei nuovi dati dell'economia nazionale, in netto ritardo sia rispetto a quanto programmato sia rispetto ai vincoli posti dal patto europeo di stabilità. Secondo le previsioni, il 2014 si chiuderà con un deficit al 4,4% del PIL, l'anno prossimo al 4,3%, nel 2016 scenderà al 3,8% e solo nel 2017 andrà al 2,8%, cioè sotto il tetto del 3% imposto da Bruxelles. Il debito, di conseguenza, toccherà il picco massimo del 98% nel 2017, per calare successivamente. Quanto alla crescita, Valls ne ha tagliato le stime ad appena lo 0,4% per l’anno in corso, mentre nel 2015 dovrebbe registrarsi un’accelerazione all’1%, per salire all’1,7% nel 2016 e all’1,9% nel 2017. Come ha spiegato la Corte dei Conti, si tratta, però, di cifre ancora ottimistiche e che lo sforamento del rapporto deficit/PIL potrebbe proseguire ben oltre il 2017. In occasione della presentazione della legge di bilancio per il 2015, il Ministro delle Finanze Michel Sapin ha dunque dichiarato che l'Esecutivo ha deciso di adattare il passo di riduzione del deficit alle condizioni economiche che attualmente vive il Paese e che «nessun ulteriore sforzo sarà richiesto alla Francia, perché il governo respinge l'austerità», escludendo dunque nuove misure correttive che l'Unione Europea richiede. La posizione di Parigi non è pertanto piaciuta né a Bruxelles – che per mezzo di Simon O'Connor, portavoce di Jyrki Katainen, ha dichiarato che gli Stati sono chiamati ad adempiere ai propri impegni, riferendosi dunque indirettamente anche all'Italia che ha deciso di sposare la posizione dell'Eliseo – né alla Germania. Il Cancelliere tedesco Angela Merkel ha infatti aggiunto che «una crescita sostenibile di lunga durata si può raggiungere soltanto sulla base di una solida politica di bilancio. Questo è alla base della credibilità dell'UE. Non siamo al punto in cui possiamo dire che la crisi è completamente alle nostre spalle. Per questo ora è importante per tutti rispettare pienamente gli obblighi e gli impegni in modo credibile». Non è stato meno tenero il Commissario designato agli Affari Economici, Pierre Moscovici, francese e socialista, che nell'audizione del 2 ottobre all'Europarlamento ha asserito che non farà sconti alla Francia: o Parigi rispetterà le regole o Bruxelles sarà costretta ad aprire una procedura di infrazione per lo sforamento del tetto del debito. L'ex titolare delle Finanze francese ha inoltre ricordato come sotto la sua guida il deficit del proprio Paese fosse sceso nel 2013 all'1,3%, un dato che dimostrerebbe come «stabilità e crescita non sono opposti; non c'è crescita senza riduzione dei debiti e non c'è riduzione dei debiti senza crescita».

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IRAQ/SIRIA ↴

Il 2 ottobre il Parlamento di Ankara ha approvato (con 298 voti favorevoli e 98 contrari) una mozione che autorizza l’eventuale dispiegamento di contingenti in Siria ed Iraq e che al contempo concede a truppe straniere il transito nel territorio turco, nonché l’utilizzo delle basi militari in questo collocate. La risoluzione stabilisce un mandato annuale, ma non rischiara le ambiguità della posizione turca nei riguardi del Califfato. Il Presidente Erdoğan ha esplicitamente collegato la partecipazione ad una «lotta effettiva» contro lo Stato Islamico (IS) «all’immediata rimozione dell’amministrazione di Damasco», mentre il Ministro della Difesa Ismet Yilmaz ha chiarito che non è lecito attendere l’adozione di alcun provvedimento di natura militare nel breve periodo. Eppure l’offensiva jihadista preme a ridosso della frontiera turca, che nelle due ultime settimane è stata varcata da oltre 160mila persone, prevalentemente di etnia curda, in fuga dalla guerra. Malgrado i bombardamenti statunitensi, le forze dell’IS hanno raggiunto la città curda di Kobane (anche Ayn al-Arab), nei pressi della quale dal 16 settembre si consumano scontri a fuoco. Nonostante l’impegno alla difesa di Kobane annunciato dal Premier Davutoğlu, le truppe turche schierate al di là del confine siriano (distante meno di 500 metri) non accennano alcuna azione a sostegno dei peshmerga curdi asserragliati nel centro urbano. Se la mozione parlamentare non contempla l’adesione ai raid della coalizione internazionale guidata da Washington, è presumibile ritenere che il coinvolgimento armato della Turchia sarà circoscritto alla messa in sicurezza di una buffer zone entro lo spazio siriano, rafforzata dalla sovrapposizione di una zona di interdizione al volo.

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Gli airstrikes della coalizione internazionale non hanno inflitto perdite decisive alle colonne del Califfato, che dopo aver preso possesso di una caserma dell’esercito iracheno a nord di Ramadi stringono la morsa su Baghdad. Negli ultimi giorni la capitale è stata bersaglio di violenti attentati: l’esplosione di due autobombe ha provocato la morte di 25 persone ed il ferimento di altre 50. Attacchi dinamitardi hanno egualmente interessato le città di Karbala, Iskandariyah, Najaf, Khanaqin e Kiflin, aggravando un bilancio di proporzioni drammatiche. Fonti ONU stimano che dallo scorso gennaio 9.343 civili hanno perso la vita a causa degli scontri settari culminati nell’ascesa dell’IS. Un attentato suicida ha insanguinato anche le strade di Homs: una serie di esplosioni nei pressi di una scuola e di un ospedale nel quartiere Akrouma, a maggioranza alawita, hanno lasciato dietro di sé 39 morti (di cui 30 bambini) e 76 feriti. Se la resistenza curda risulta compromessa in Siria, la controffensiva dei peshmerga nel teatro iracheno procede su un triplice fronte che converge su Mosul, primo tassello dell’avanzata del Califfato avviata nel giugno scorso: dopo aver assicurato i villaggi di As-Saudiyah e Mahmudiyah, le forze curde sono entrate a Rabia, al confine siriano, dove hanno ingaggiato una feroce guerriglia urbana; al contempo, continua la battaglia per la presa di Zumar, baluardo jihadista già conteso da fine agosto, mentre parte dei guerriglieri curdi si sta muovendo verso Kirkuk. Fonti governative attestano invece che le milizie sciite e che l’esercito iracheno abbiano riconquistato 30 villaggi ad est della capitale. Tuttavia, Baghdad è in crescente difficoltà nel rifornire di munizioni e di beni di prima necessità le proprie forze di sicurezza, evidenziando limiti preoccupanti per il proseguo della campagna militare. Il Primo Ministro Haider al-Abadi ha per converso dichiarato una totale avversione rispetto all’ipotesi di truppe straniere sul suolo iracheno, come ha parimenti ammonito la partecipazione di Stati arabi nei bombardamenti contro obiettivi jihadisti – nella consapevolezza che un diretto intervento dei partner sunniti (finora coinvolti nel solo scenario siriano) potrebbe aggravare la polarizzazione regionale. Il leader iracheno ha inoltre confermato di aver preventivamente allertato Damasco e Teheran circa l’avvio delle incursioni aeree statunitensi in Siria, al fine di mantenere intatto un prezioso allineamento di convenienza con il regime di Assad e con l’influente alleato Rouhani. Intanto, l’Iran ha comunicato di aver raggiunto un accordo per la fornitura di assistenza militare all’esercito libanese.

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STATI UNITI ↴

Per la prima volta dalla sua elezione a Primo Ministro indiano, Narendra Modi ha incontrato alla Casa Bianca il 30 settembre il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. L’incontro è stato preceduto da un articolo firmato dai due sul Washington Post, che ha delineato il significato politico del summit. «L'avvento di un nuovo governo in India è un'opportunità naturale per ampliare e rendere più profondo il nostro rapporto. E' il momento per stabilire una nuova agenda che realizzi benefici concreti per i nostri cittadini. La promessa di un futuro migliore non è solo per indiani e americani: ci invita anche ad andare avanti insieme per un mondo migliore. Questa è la premessa centrale per la nostra significativa partnership nel ventunesimo secolo». Un ventunesimo secolo che Modi vorrebbe asiatico se non indiano. Il Presidente e il Primo Ministro hanno poi ricordato che «oggi la nostra partnership è robusta, affidabile e duratura, e si sta espandendo. Il nostro rapporto include più collaborazioni bilaterali, non solo a livello federale, ma a livello statale e locale, tra le nostre forze armate, nel settore privato e nella società civile. La regione e il mondo», hanno continuato i due, «beneficeranno della più grande stabilità e sicurezza create dalla nostra amicizia. Restiamo impegnati per integrare l'Asia meridionale e connetterla con i mercati e la gente nell'Asia centrale e nel Sud-est asiatico». Obama e Modi, per simboleggiare l’amicizia, hanno quindi raggiunto un primo accordo sulla cooperazione nel campo energetico per aiutare l’India, terzo Paese inquinatore al mondo, ad incrementare gli sforzi sul piano delle rinnovabili così da ridurre le emissioni inquinanti nell’atmosfera; Washington aiuterà inoltre New Delhi ad assicurare rifornimenti elettrici ad oltre il miliardo di cittadini indiani.

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Il giorno successivo, l’1° ottobre, Obama ha ricevuto alla Casa Bianca il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Il Presidente statunitense ha affermato nell’incontro che «lo status quo tra Israele e Palestina deve cambiare» pur mantenendo fermo l’impegno di Washington ad «assicurarsi che Israele sia sicuro» e a mantenere il «legame indissolubile» con Tel Aviv. «Ci incontriamo in un periodo di sfide», ha aggiunto Obama, «per questo abbiamo discusso sia della ricostruzione di Gaza che di un piano di pace più sostenibile tra Israele e Palestina». Netanyahu, dal canto suo, non si è scomposto restando fedele alla linea per cui Israele resta «impegnata in una visione di pace e di due Stati per due popoli basata sul riconoscimento reciproco». Un accenno anche sulla questione nucleare iraniana, con il Primo Ministro che ha rivolto nuovamente un monito a Washington: Teheran, a suo avviso, «cerca un accordo per alleggerire il peso delle sanzioni a cui avete lavorato così tanto per l’imposizione, e lasciarli essere un potenza nucleare alle porte» di Israele. Settimana importante per gli Stati Uniti anche sul fronte dell’economia dopo la frenata di agosto. Come ha annunciato il Dipartimento del Lavoro, nel corso dell’ultimo mese le imprese americane hanno creato nuovi posti di lavoro in una quantità inizialmente non prevista: 248mila contro i 215mila delle stime. Ciò ha fatto calare il tasso di disoccupazione al punto più basso dalla crisi del 2008, abbattendo il muro del 6%. Ad oggi, i cittadini americani senza un lavoro sono pari al 5,9%. Va comunque sottolineato che in calo risulta anche la partecipazione alla forza lavoro, passata dal 62,8% al 62,7%.

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BREVI AFGHANISTAN, 1° OTTOBRE ↴ Si è insediato come nuovo Segretario Generale della NATO il norvegese Jens Stoltenberg, che succede all’uscente,

il

danese

Anders

Fogh

Rasmussen.

Nonostante voci accreditate affermino che Stoltenberg abbia buone relazioni con la Russia e, nello specifico, con Vladimir Putin, solidificatesi negli anni in cui il norvegese era Primo Ministro, nel corso della prima conferenza in qualità di Segretario dell’Alleanza Atlantica Stoltenberg ha ribadito che Mosca «continua a violare i suoi obblighi internazionali» invitando il Cremlino ad «un chiaro cambiamento nell'atteggiamento». Dal canto suo, la NATO «non cerca il confronto con la Russia», a partire dall’Ucraina che costituisce una delle «maggiori sfide», e per questo gli alleati «continuano ad aspirare ad un rapporto costruttivo con la Russia». L’insediamento di Stoltenberg è coinciso con la firma tra Stati Uniti ed Afghanistan del Bilateral Security Agreement, che permette a Washington di mantenere stazionate sul suolo afghano poco meno di 10mila truppe con funzioni di addestramento e di contrasto dei residui nuclei di al-Qaeda. A ciò è seguita immediatamente la firma tra NATO e Kabul di un accordo simile, il quale consente ai Paesi membri dell’Alleanza che già hanno manifestato disponibilità, tra cui l’Italia, di impiegare in Afghanistan propri soldati con funzioni di training e mentoring delle Forze Armate locali.

CASPIO, 29 SETTEMBRE ↴ Dopo circa 20 anni di negoziazioni, i cinque Paesi rivieraschi del Mar Caspio sembrano aver trovato l’accordo su un documento politico che definisca le linee di cooperazione di questa fondamentale area strategica. Si è svolto ad Astrakhan, la più grande località russa dell’area, il quarto summit del Mar Caspio a cui hanno partecipato i Presidenti Vladimir Putin, l’iraniano Hassan Rouhani, il kazako Nursultan Nazarbaev, l’azero Ilham Aliyev e il turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov. Il vertice, di fatto, ha prodotto esclusivamente un accordo sulla delimitazione dei diritti di pesca, riconoscendo ad ogni Paese la possibilità di pescare fino a 15 miglia nautiche dalle proprie coste e il rifiuto della presenza di truppe “straniere” nell’area. Nonostante l’ottimismo di Vladimir Putin che ha definito il summit fondamentale perché «i suoi partecipanti hanno provato a trovare un’intesa basata sui principi della cooperazione ed una soluzione ai problemi chiave dell’interazione nel Mar Caspio», non è stato trovato un accordo sulla questione 9


principale, ovvero lo status legale del bacino idrico. Quest’ultima rappresenta una questione molto delicata e legata soprattutto allo sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo: il nodo fondamentale è definire se sia un mare o un lago. La prima opzione prevedrebbe, in accordo con il diritto internazionale del mare, la suddivisione dei fondali in proporzione alle rispettive linee costiere, mentre la seconda opzione prevedrebbe la divisione in parti uguali. È evidente che ognuna delle due soluzioni creerebbe consistenti vantaggi e svantaggi: gli Stati con una maggiore superficie costiera, ovvero Russia, Azerbaigian e Kazakistan, spingono per la soluzione marina, gli altri per la soluzione lacustre. Nonostante dal summit siano pervenute alcune voci critiche riguardo a questa fondamentale interpretazione, il Presidente Putin si è detto fiducioso che nel prossimo Vertice potrà essere raggiunta un’intesa definitiva e condivisa da tutti. Ciò che è certo è che dopo i recenti fatti ucraini, Mosca ha cercato di utilizzare il summit per rinsaldare i legami con i Paesi vicini al fine di evitare la possibilità di una futura proiezione occidentale nel Mar Caspio.

EGITTO, 1° OTTOBRE ↴ Preoccupato dall’incessante spirale di violenze e dal numero crescente di attacchi contro i militari egiziani di frontiera, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi si è offerto di aiutare il governo legittimo libico riunito a Tobruk inviando nel Paese un’unità anti-terrotismo. Il gruppo sarà composto da una squadra specializzata di addestratori e di consiglieri militari che avranno il compito di formare e di sostenere le truppe libiche nelle loro operazioni di counterterrorism/counterinsurgency contro le milizie islamiste e i gruppi ribelli che da mesi combattono contro le autorità centrali. Già durante lo scorso agosto aerei non identificati, ma attribuiti ad Egitto e ad Emirati Arabi Uniti, avevano bombardato quartieri di Tripoli in mano alle milizie islamiste facendo intuire le intenzioni cairote di bloccare sul nascere qualsiasi tentativo di effetto spillover della crisi libica all’interno del territorio orientale egiziano. Oltre a voler «aiutare il governo del Paese vicino […] per arginare una situazione di crescente anarchia» che rischia di contagiare l’intero Maghreb, alla base della scelta di al-Sisi vi è da un lato la dimostrazione dell’accresciuto ruolo e del ripristinato peso dell’Egitto nella complessa arena mediorientale dopo il successo diplomatico di Gaza, dall’altro la volontà del Paese nordafricano di estendere la “guerra egiziana al terrorismo” anche sul fronte libico nel tentativo di arginare la proliferazione jihadista ormai fuoriscita dal confine fisico della Penisola del Sinai, e dove l’esercito conduce dal 2011 operazioni militari contro le cellule radicali attive nel Sinai settentrionale e centrale. In una di queste azioni, l’esercito egiziano ha ucciso durante un conflitto a fuoco a sud di Rafah il 4 ottobre scorso Mohammed Abu Shatiya, un alto comandante di Ansar Bayt al-Maqdis, la principale cellula jihadista di ispirazione qaedista attiva nella Penisola.

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LIBIA, 2 OTTOBRE ↴ Continuano gli scontri per il controllo dell’aeroporto di Bengasi, iniziati nella costa libica a fine agosto. Numerosi attacchi suicidi si sono registrati il 2 ottobre nei pressi dello scalo cirenaico e ulteriori scontri sono avvenuti nella giornata di venerdì 3. Nei due giorni il bilancio complessivo delle vittime è di circa 40 morti e oltre 80 feriti appartenenti alle Forze Armate Libiche – l’esercito filo-governativo guidato dal Generale Khalifa Haftar – e di circa 20 vittime tra i jihadisti responsabili. L’attacco è stato attuato dalla milizia islamista Ansar alSharia che, insieme alla Brigata 17 febbraio, ha fatto delle città di Bengasi e Derna le proprie roccaforti e che sta cercando da diverse settimane di prendere il controllo dell’aeroporto strategico di Bengasi. Ciò avviene a pochi giorni di distanza dall’inizio del dialogo, in seno all’ONU, per la ricerca di una soluzione al caos imperversante in Libia. A queste trattative, avvenute nella città di Ghadames, al confine con l’Algeria, hanno preso parte i due Parlamenti attualmente de facto esistenti nel paese maghrebino: il Parlamento ufficialmente riconosciuto, costretto a riunirsi a Tobruk, che il 24 settembre ha rinnovato la fiducia al Primo Ministro Abdullah al-Thani, e il Parlamento di Tripoli, autoproclamatosi quale prosecuzione del Congresso Generale Nazionale (CGN) creato nell’immediato post-Gheddafi, e guidato dai gruppi vicini alla Fratellanza Musulmana libica e che sarebbe dovuto essere stato sostituito dalla nuova Camera dei Rappresentanti di Tobruk. Ciò che entrambe le parti hanno convenuto nei dialoghi è stata la necessità di raggiungere a breve un cessate il fuoco e l’intenzione di eliminare la presenza dei gruppi terroristici dalla Libia per creare una situazione favorevole alla transizione democratica. Gli scontri di Bengasi rientrano, di fatto, nel contesto di “Operazione Dignità” condotta dalle truppe del Generale Haftar che dal maggio scorso tentano di riportare il controllo delle principali città libiche in mano al governo legittimo.

SOMALIA, 1° OTTOBRE ↴ Il Ministro per l’Informazione somala della regione del Puntland, Abdiweli Hirsi Abdille, ha confermato che la Puntland Defence Force (PDF), l’esercito regolare della regione nord-orientale della Somalia, ha riconquistato la zona delle montagne del Galgala, dal 2010 territorio in mano al movimento degli al-Shabaab. L’operazione, iniziata in agosto e terminata con l’offensiva del 1° ottobre, è stata condotta dai militari del governo del Puntland con il supporto della Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) e di cinquanta soldati americani, secondo quanto riportato da Garowe Online. Il Presidente della regione del Puntland, Abdiweli Mohamed Ali, 11


conferma che sono stati numerosi i ribelli di al-Shabaab rimasti uccisi nell’offensiva mentre la PDF avrebbe perso un comandante di unità e due soldati sarebbero stati feriti. Gli al-Shabaab, al contrario, smentiscono di aver subito tale sconfitta e affermano di aver ucciso circa venti tra i soldati somali. L’autorità ufficiale ha inoltre dichiarato di essere intenzionata a concedere un’amnistia ai miliziani che intendano arrendersi entro 30 giorni. Si tratta di un ulteriore duro colpo per il movimento jihadista fortemente legato ad al-Qaeda che ha visto nel mese scorso l’uccisione, mediante un’operazione di raid aerei americani, del proprio leader Ahmed Abdi Godane e altri attacchi significativi nelle zone del centro e sud Somalia che hanno costretto i ribelli a ritirarsi soprattutto nelle zone montuose del Paese. Gli al-Shabaab si trovano, pertanto, in questo momento in una situazione di criticità sia interna, legata alla successione del potere da Godane al nuovo leader Ahmed Umar Abu Ubaidah, che esterna, dovuta all’inasprimento della lotta da parte delle autorità ufficiali somale nei loro confronti.

STATI UNITI, 1° OTTOBRE ↴ Il Dipartimento di Stato ha approvato la vendita di 202 missili terra-aria Patriot Advanced Capability (PAC-3) e del relativo equipaggiamento all’Arabia Saudita per un contratto di 1,75 miliardi di dollari. Già dotata delle versioni precedenti, Riyadh riceverà un sistema d’arma completamente ridisegnato e già acquistato da Kuwait e Qatar. L’intesa commerciale è diretta ad elevare le difese aeree saudite, nel momento in cui la U.S. Air Force impiega le basi aeree del principale alleato arabo per lanciare gli attacchi contro lo Stato Islamico. Per quanto la monarchia saudita sia militarmente coinvolta nella campagna anti-jihadista, permangono i sospetti circa la complicità nel finanziamento di gruppi estremisti vicini ad al-Baghdadi. Tuttavia, l’accordo era già in fase di negoziazione dallo scorso aprile e costituisce nella prospettiva statunitense un provvedimento a sostegno della stabilità delle relazioni regionali. La notificazione al Senato dei termini contrattuali avviene a due giorni di distanza dalla determinazione di un accordo separato con gli Emirati Arabi Uniti (dell’ammontare di 900 milioni) per la fornitura di lanciarazzi multipli HIMARS e MLRS. Il comunicato rilasciato dalla Defense Security Cooperation Agency (DSCA), che all’interno del Pentagono ed in raccordo con il Dipartimento di Stato è competente nella gestione dei programmi di assistenza militare, riferisce che la vendita dei suddetti armamenti è funzionale sia ad aumentare la sicurezza delle infrastrutture critiche dell’alleato arabo, sia a potenziarne l’interoperabilità delle forze armate con la controparte statunitense. Il Senato ha 30 giorni per confermare (come probabile) ovvero ricusare la proposta dell’esecutivo.

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UCRAINA, 2 OTTOBRE ↴ Nonostante la dichiarazione di tregua dello scorso 5 settembre e nonostante l'intesa sulla creazione di una buffer zone nell'est del Paese, sono ripresi con nuovo vigore gli scontri per il controllo dell'aeroporto di Donetsk. Secondo il leader della stessa autoproclamata Repubblica Popolare, Alexander Zakharchenko, i ribelli sarebbero in possesso di almeno il 95% dello scalo aeroportuale, versione smentita dal governo ucraino che ha dichiarato di aver respinto almeno 12 attacchi. Nella giornata del 2 ottobre sono stati almeno sette i miliziani filo-russi uccisi e un'altra decina i feriti, mentre sono due i bambini morti e cinque i feriti a causa dell'esplosione di un ordigno che i sette giovani stavano spostando a Zougres, a circa 30 Km a est di Donetsk. Nella roccaforte dei separatisti filo-russi è stato inoltre ucciso un operatore svizzero della Croce Rossa Internazionale, Laurent Du Pasquier, colpito durante un attacco condotto dalle forze governative (il primo bombardamento dopo l'accordo di Minsk). Mentre Kiev accusa il Cremlino di aver inviato nuovi rinforzi ai ribelli, in una visita nella regione di Zhytomyr (4 ottobre) il Presidente Poroshenko ha dichiarato che la costruzione della prima e della seconda linea di fortificazioni nella parte orientale del Paese al confine con la Russia – che prevede inoltre 8.000 trincee lungo 1.500 Km – è completata all'80%. L'ideatore del “Progetto Muro”, il Premier Arseniy Yatsenyuk, ha intanto annunciato nello stesso giorno il trasferimento alla Russia di 1,67 miliardi di dollari a titolo di pagamento del debito sulle forniture di gas russo a seguito dell'ottenimento di alcuni aiuti internazionali (il debito di Naftogaz ammonta a 5 miliardi di dollari); una dichiarazione che Gazprom ha tuttavia immediatamente smentito, ipotizzando che il Primo Ministro volesse riferirsi al rimborso del capitale di debito, costituito da obbligazioni e dalle corrispondenti cedole e già rimborsato.

VENEZUELA, 1° OTTOBRE ↴ Sono stati uccisi a Caracas Robert Serra e la compagna Maria Herrera, trovati accoltellati nella loro abitazione. Serra, 27 anni, era il più giovane attivista del partito di governo, il Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) del Presidente Nicolás Maduro. Il giovane era considerato tra le migliori leve del partito. L’uccisione rientra nel più ampio scenario di protesta anti-chavista che dal 4 febbraio scorso sta vedendo Maduro, successore di Hugo Chávez, e tutti coloro a questi affiliati, al centro di violente contestazioni popolari. Le manifestazioni, sorte nella regione di Tachira, accusano la politica del “socialismo chavista” di essere responsabile dei problemi da cui il Paese non sembra riuscire a districarsi. In particolare, ciò di cui viene tacciato

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il governo sono un’inflazione senza controllo, la scarsità di beni di consumo, quindi, il malgoverno che sta portando il Paese verso il default socio-economico e, in aggiunta, l’incapacità di gestire una situazione di criminalità dilagante. In merito a questo ultimo problema, il Presidente ha emanato un provvedimento, il 22 settembre, per disarmare i civili così da limitarne la pericolosità. Il Venezuela è il secondo Paese con il più alto tasso di omicidi in tempo di pace dopo l’Honduras, motivo per cui la percezione di insicurezza è notevolmente elevata. L’uccisione di Serra va ad aggiungersi, perciò, alla lista di morti politiche, composta da figure di spicco della scena politica venezuelana, che negli ultimi mesi contraddistingue la protesta anti-governativa. Dell’omicidio, il Presidente Maduro, nonostante non siano ancora completate le ricerche per trovarne i responsabili, ha apertamente accusato l’ala destra estremista del Venezuela e della vicina Colombia.

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ALTRE DAL MONDO ARGENTINA, 2 OTTOBRE ↴ Il Governatore della Banca Centrale argentina, Juan Carlos Fabrega, ha rassegnato le proprie dimissioni in seguito ad un duro discorso della Presidentessa Cristina Kirchner che lo accusava di scarsi controlli sul sistema finanziario e di aver passato informazioni riservate alle banche, denunciando in particolare «le pressioni sul cambio per arrivare a una svalutazione del peso» che avrebbero lo scopo di «colpire il governo, magari con aiuti stranieri». Il “default tecnico” era stato annunciato lo scorso 31 luglio a seguito del mancato raggiungimento di un accordo sulla ristrutturazione del debito con alcuni hedge fund americani. Al posto di Fabrega è stato nominato Alejandro Vanoli, Presidente della Commissione nazionale valori e uomo vicino al governo Kirchner.

COREA DEL NORD, 4 OTTOBRE ↴ Ad otto mesi di distanza dall'arresto del dialogo di pace, i dirigenti delle due Coree sono tornati a parlarsi in occasione della chiusura dei Giochi d'Asia a Incheon, a 30 Km da Seoul. Il regime di Pyongyang, rappresentato da Hwang Pyong-so – Direttore dell'Ufficio Politico Generale e vice Presidente della Commissione Nazionale di Difesa –, Choe Ryong-hae e Kim Yang-gon, Segretari del Partito dei lavoratori nordcoreano, si è dimostrato disponibile ad una ripresa dei cosiddetti “negoziati a sei” sul programma nucleare.

MALI, 3 OTTOBRE ↴ Uccisi nella città di Menaka, nel nord est del Paese, 9 peacekeepers del Niger appartenenti alla MINUSMA, la missione internazionale delle Nazioni Unite operativa in Mali dall’aprile 2013. L’attentato non è stato rivendicato ma potrebbe essere attribuibile ai ribelli islamisti e tuareg ben radicati sul territorio. È il peggior attentato contro i militari dell’ONU condotto nel Paese.

SPAGNA, 27 SETTEMBRE – 3 OTTOBRE ↴ La vittoria del no al referendum sull’indipendenza della Scozia non ha fermato la corsa referendaria degli indipendentisti catalani. Il 27 settembre il Presidente dell’entità autonoma della Catalogna, Artur Mas, ha convocato per il prossimo 9 novembre un referendum popolare per definire il futuro assetto politico della sua regione. Madrid ha però fatto ricorso alla Corte Costituzionale, in quanto la facoltà di indire un referendum è propria esclusivamente del governo centrale. Il 29 settembre la stessa Corte ha sospeso la legge sulle consultazioni approvata dal Parlamento della Catalo-

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gna, bloccando per alcuni mesi ogni possibilità di evoluzione. Il governo Mas ha confermato la convocazione del referendum e il 3 ottobre ha pubblicato il decreto di nomina dei sette membri della commissione di controllo. Immediata la risposta del Premier Mariano Rajoy che ha annunciato che il governo presenterà ricorso contro il decreto.

SUD SUDAN, 28 SETTEMBRE ↴ I colloqui di pace di Addis Abeba tra le fazioni in lotta nel Sud Sudan stanno ottenendo piccoli ma significativi progressi legati soprattutto all’evoluzione del sistema politico sud sudanese. La proposta dei ribelli capeggiati dall’ex vice Presidente Riek Machar di ristrutturare in senso federale il Sud Sudan sembra aver ottenuto il consenso anche dei governativi guidati dal Presidente in carica Salva Kiir. Restano da definire ancora numerosi punti importanti, tra cui la durata e le funzioni del governo di transizione che dovrebbe condurre alla riforma federalista e la futura suddivisione delle competenze tra Primo Ministro e Presidente.

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ANALISI E COMMENTI L’EGITTO DI AL-SISI SULLO SCACCHIERE MEDIORIENTALE SARA BRZUSZKIEWICZ ↴ A poco più di tre mesi dall’elezione di ‘Abd el-Fattah al-Sisi a Presidente, la Repubblica Araba d’Egitto, che sembrava avviata a recuperare una stabilità che pur scontentava molti, rischia di immergersi in una nuova fase di più acuta violenza interna, peraltro mai del tutto sopita, nonché di tensioni sul fronte libico e nel Sinai, sempre più vitale nel quadro della questione israelo-palestinese. Lo scorso 21 settembre, in concomitanza con la partenza di al-Sisi per New York dove ha partecipato per la prima volta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, alcune esplosioni si sono verificate al Cairo, a Tanta e El-Mahalla nel governatorato di Gharbiyya e sulla linea ferroviaria tra la capitale e Zaqaziq, nel governatorato di Sharqiyya. Nell’esplosione avvenuta al Cairo accanto al Ministero degli Affari Esteri hanno perso la vita due ufficiali, tra cui il colonnello Mahmud Abu Serei, uno dei testimoni d’accusa nel processo intentato contro il deposto Presidente Mohammed Mursi per l’evasione dal carcere di Tora nel 2011, processo per il quale proprio il 21 settembre si è tenuta un’udienza poi aggiornata a ottobre. L’attentato è stato rivendicato il giorno stesso dal gruppo islamista di recente formazione, Ağnad Misr (I soldati dell’Egitto), con un comunicato che definisce l’attacco un’azione “punitiva” e che esprime la volontà di non fermare le violenze Più che vivere un’effettiva stabilizzazione interna, l’Egitto di al-Sisi ha tristemente imparato a convivere con frequenti attentati non solo nelle aree calde di confine, ma anche al cuore del Paese. Dalla deposizione del Presidente Mohamed Mursi a oggi solo al Cairo gli attacchi di media e ampia portata sono stati dodici. Quello dello scorso 21 settembre assume una rilevanza peculiare se ne si osserva il volto ambivalente. Esso, infatti, ha in primo luogo alcune caratteristiche – quali il giorno e il luogo scelti – dell’azione di vendetta, in questo caso contro il processo in atto, la repressione dei gruppi islamisti e in generale l’apparato governativo di al-Sisi. Al tempo stesso, però, possiede anche i connotati di un attacco ad personam, nel quale è stato infatti messo a tacere uno dei maggiori testimoni nel processo contro Morsi (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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