BloGlobal Weekly N°22/2014

Page 1

N°22, 5–18 OTTOBRE 2014 ISSN: 2284-1024

I

www.bloglobal.net


BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 19 ottobre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°22/2014 (5 –18 ottobre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: El Cronista.com; Demotix.com; AP; Palazzo Chigi; Reuters; AFP; BBC/AFP; AFP/Getty Images/Giuseppe Cacace;


FOCUS ASEM-ITALIA ↴

Il 16 e il 17 ottobre l'Italia ha ospitato la decima edizione del meeting AsiaEuropa (ASEM), il forum interregionale nato nel 1996 che – con il recente ingresso di Croazia e Kazakistan – conta ora 53 Paesi con lo scopo di rafforzare la cooperazione politica ed economica tra i due Continenti che insieme detengono il 60% della popolazione mondiale e che generano metà della ricchezza globale. Nell'ottica di molti leader dell'Unione Europea, questa è stata l'occasione per continuare a porre le basi per la crescita comune dello spazio comunitario in un momento di forte dibattito sulle politiche di austerità, puntando piuttosto a creare un mercato aperto con le economie asiatiche e resistendo alle tendenze protezionistiche. Come ha spiegato il Presidente uscente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, «l'Europa ha bisogno di investimenti asiatici e l’Asia ha bisogno delle tecnologie europee». Tuttavia, come si è già verificato in occasione degli incontri precedenti, il Vertice non ha prodotto alcun risultato significativo a livello generale (vi erano, in particolare, aspettative riguardo a possibili progressi riguardo all'accordo globale sul clima in vista della Conferenza di Parigi del 2015), ma è servito come piattaforma per testare e/o potenziare lo stato delle relazioni bilaterali. Oltre al faccia a faccia tra Putin – reduce dalla visita a Belgrado – e Poroshenko sugli sviluppi della crisi in Ucraina che ha certamente dominato la scena, l'Italia ha mostrato un deciso attivismo nel rafforzare la partnership con i Paesi asiatici. Sul piano commerciale, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha infatti incon-

1


trato i Primi Ministri di Bangladesh, Malaysia, Vietnam, Singapore e il Presidente kazako Nazarbayev, confermando la strategicità dei mercati orientali come già messo in evidenza durante il tour nel continente durante lo scorso mese di giugno. Oltre a quello con il Premier giapponese Shinzo Abe, con il quale si è discusso della possibile acquisizione da parte di Hitachi di Ansaldo e STS per il prossimo mese di novembre – un'offerta in concorrenza con quella della cordata cinese CNR-Insigma che permetterebbe la creazione del quarto gruppo mondiale del trasporto su rotaia –, l'incontro più significativo è certamente stato quello con il Primo Ministro cinese Li Keqiang. A margine della seconda riunione del business forum Italia-Cina, Renzi ha ricordato la straordinaria partecipazione di Pechino ad Expo 2015 e l'importanza anche dei legami culturali tra i due Paesi, mentre Li ha dichiarato che il Dragone intende importare il «Made in Italy di alta tecnologia e creatività» non desiderando «un surplus nelle relazioni commerciali bilaterali». Le due delegazioni hanno dunque firmato 20 patti commerciali per un valore complessivo di 8 miliardi di euro. I più importanti riguardano: un accordo tra Intesa Sanpaolo e China EximBank che prevede il supporto agli scambi di prodotti e di impianti meccanici, elettronici e tecnologici, di energia e di materie prime, oltre alla collaborazione in progetti infrastrutturali nei due Paesi o in Paesi terzi ma che vedono coinvolte imprese italiane e cinesi; un protocollo di intesa tra Enel e la Bank of China per potenziali operazioni finanziarie e di consulenza strategica nei prossimi 5 anni, comprendendo l'apertura di possibili linee di credito fino ad un miliardo di euro; un Memorandum of Understanding tra Fondo Strategico Italiano (FSI) e la China Investment Corporation (CIC International) dal valore complessivo di un miliardo di euro per il sostegno alle attività di investimento comuni; un contratto tra Finmeccanica-AgustaWestland e la Beijing Automotive Industrial Corporation (BAIC) per la fornitura di 50 elicotteri – che si aggiungono ai 70 elicotteri venduti negli ultimi 12 mesi e agli altri 60 agli altri clienti cinesi – e, in prospettiva, per il supporto tecnico e l'addestramento nell'utilizzo dei velivoli. Il summit è stato, in effetti, anche una prova generale della potenza economica della Cina, destinata a superare nel giro di breve tempo anche quella degli Stati Uniti: secondo gli ultimi dati diffusi dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, Pechino avrebbe già superato Washington in termini di PIL (17.600 miliardi di dollari contro 17.400). Facendo seguito allo storico accordo sul gas da 400 miliardi di dollari dello scorso maggio, Li Keqiang si è recato a Mosca lo scorso 13 ottobre, siglando una nuova serie di accordi commerciali (almeno 40) che riguardano l’economia, l’energia e le finanze per un valore complessivo di alcuni miliardi dollari, ed impegnandosi reciprocamente maggiormente ad effettuare gli scambi in rubli e in yuan. Il prossimo Vertice ASEM si svolgerà alla fine di luglio del 2016 a Ulan Bator (Mongolia).

2


IRAQ-SIRIA-TURCHIA ↴

L’assedio di Kobane sembrava volgere ad un punto critico per la disperata resistenza dei curdi. Incessanti colpi di mortaio hanno sostenuto la lenta e regolare progressione dei miliziani dello Stato Islamico (IS), dotati di armamenti pesanti e tre volte i guerriglieri curdi, entro il cuore della cittadina siriana sul confine turco. Il 6 ottobre i primi vessilli neri del Califfato hanno iniziato a svettare sui tetti dei quartieri orientali, prefigurando la capitolazione di Kobane. Benché il Pentagono abbia esplicitamente dichiarato che il dominio dei cieli non sia sufficiente a sottrarre la città curda al furore dell’IS, gli attacchi della coalizione internazionale capeggiata dagli Stati Uniti hanno tuttavia arrestato l’offensiva, costringendo i jihadisti ad un deciso arretramento. Se nella giornata del 10 ottobre il quartier generale curdo era stato annientato dagli aggressori, tra il 14 ed il 15 ottobre una serie martellante di bombardamenti (40 i passaggi dei caccia statunitensi) hanno minato la mobilità e la compattezza delle corti di al-Baghdadi, che ad oggi mantengono il controllo su circa un quinto dell’area urbana. L’Osservatorio siriano dei diritti umani stima che nell’arco di quattro settimane la battaglia di Kobane abbia provocato almeno 652 morti, ma secondo i vertici americani i raid delle ultime ore hanno inferto perdite pesanti anche alle forze jihadiste. Tuttavia, lo scontro per la città – il cui valore simbolico e propagandistico eccede l’effettivo peso strategico – resta indeterminato negli esiti, laddove l’IS è in grado di foraggiare l’assalto mobilitando uomini e risorse in direzione della frontiera turca, mentre le forze curde sono esposte alla consunzione di munizioni e beni di prima necessità. Alla ferocia dei combattimenti è corrisposta la manifesta inazione delle truppe turche schierate oltre confine. La reticenza di Ankara ad assicurare un corridoio umanitario per rifornire i guerriglieri curdi strenuamente impegnati nella difesa di Kobane è esplosa in concitate manifestazioni di dissenso, in Turchia come in numerose città 3


europee. Mentre dalla vicina Suruc si moltiplicavano gli appelli affinché ogni curdo si unisse alla lotta, il governo presieduto da Davutoğlu ha coercitivamente imposto misure di coprifuoco nelle province sud-orientali del Paese al fine di scongiurare una temibile sovrapposizione tra i peshmerga siriani (YPG) ed i militanti del PKK. Gli echi violenti delle contestazioni (in cui hanno perso la vita 34 persone) richiamano alla memoria la sanguinosa guerra civile che per decenni ha visto contrapposte le rivendicazioni secessioniste curde alla dura repressione delle istituzioni centrali. Il 13 ottobre i caccia turchi hanno colpito alcune postazioni del PKK lungo il confine iracheno, replicando ad alcune schermaglie dei separatisti curdi. L’intransigenza della linea turca, oltre a risvegliare le tensioni etniche e ad incrinare la tregua annunciata da Öcalan nel marzo 2013, nuoce pure alla solidità della tradizionale alleanza con Washington. Se Erdoğan vincola il coinvolgimento militare alla rimozione di Assad, l’amministrazione Obama è intenzionata a non far cadere il velo di ambiguità che ha sinora avvolto le incursioni aeree in territorio siriano ed è parimenti ostile (malgrado l’apertura francese e britannica) alla creazione di una zona cuscinetto – che nella prospettiva della leadership turca consentirebbe il reinsediamento dei profughi e la concertazione di un’azione risolutiva contro Damasco. Malgrado i colloqui con il Segretario NATO Jens Stoltenberg e con il Generale John R. Allen, quest’ultimo incaricato dalla presidenza americana del coordinamento della coalizione anti-IS, il Ministro degli Esteri Çavuşoğlu ha ribadito che la Turchia non condurrà unilateralmente un’azione di terra a protezione di Kobane. Da questo punto di vista la politica tracciata da Ankara scopre le carte degli attori occidentali rispetto al dispiegamento di contingenti nel bifronte scenario di guerra – soluzione appoggiata da Erdoğan solo all’interno di una strategia votata al rovesciamento del regime alawita. Dietro l’offerta di addestrare ed equipaggiare le forze moderate che contestano Assad, le autorità turche mantengono il veto circa l’utilizzo estensivo da parte americana della base di Incirlik, ad eccezione delle attività di ricognizione e combattimento già condotte dai droni Predator. Del resto larga parte dell’opinione pubblica sunnita avversa l’adesione alla campagna bellica, mentre la permeabilità dei confini e le capacità dei jihadisti pongono il rischio concreto di rappresaglie terroristiche. Per contro, stante la delicata postura di Teheran, Obama perde l’opportunità di delegare alla principale potenza militare della regione (già sotto pressione dal soccorso umanitario di oltre 1,5 milioni di profughi) un compito di diretta opposizione armata alle ambizioni dell’IS. La reprimenda della comunità internazionale non si è fatta attendere: il voto del 16 ottobre ha respinto la candidatura per l’attribuzione del seggio non permanente in seno al Consiglio di Sicurezza ONU – un segnale del diminuito prestigio turco nell’arena mondiale ed una sconfitta per il disegno neo-ottomano immaginato da Erdoğan. L’escalation nella frequenza e nell’intensità degli attacchi messi a segno dalla US Air Force è stata resa possibile dagli avvenuti contatti con i rappresentanti dei gruppi curdi asserragliati a Kobane, che hanno fornito le coordinate delle postazioni occupate 4


dai miliziani islamisti. Parallelamente la frequenza dei raid nel teatro iracheno è diminuita drasticamente, anche in virtù di condizioni metereologiche avverse. Ciononostante, l’efficacia dei bombardamenti statunitensi è inficiata dall’adattamento tattico delle forze jihadiste, che operano a ridotto margine di visibilità (ad esempio rinunciando a spostamenti mediante lunghi convogli) e tendono a mescolarsi nella popolazione civile. A denunciare i limiti della guerra aerea, l’amministrazione Obama ha autorizzato l’impiego degli elicotteri Apache, soddisfacendo la precisa richiesta irachena ma elevando la vulnerabilità dei propri effettivi. Considerato il protrarsi dell’impegno bellico nel centro di gravità mediorientale, nel dibattito interno acquista credito la tesi dell’invio di “boots on the ground”, precauzionalmente contemplato dagli stessi ambienti del Pentagono; è influente in tal senso l’opinione di David Petraeus secondo il quale l’abbattimento del Califfato procede necessariamente dallo schieramento di forze di terra adeguate. Al momento sono 1600 i militari americani che svolgono funzioni di advising in Iraq. Sul fronte diplomatico, a seguito di un incontro ad Amman con le controparti giordane, il Generale Allen si è recato ad Il Cairo per stabilire un’intesa sia con il governo egiziano (disponibile ad una piena partecipazione alla missione condotta da Washington), che con i rappresentati della Lega Araba al fine di rafforzare l’isolamento dell’IS. Le vicende sul confine turco-siriano hanno mediaticamente offuscato l’andamento delle ostilità nello scenario iracheno, laddove il Califfato sta conducendo una sistematica e prioritaria azione di avanzamento nella provincia sunnita di Anbar e segnatamente contro il capoluogo Ramadi, unico ostacolo che si frappone alla messa in sicurezza di un passaggio incontestato tra Raqqa e le porte di Baghdad. Nella capitale gli attentati terroristici si susseguono con atroce regolarità: sabato 11 ottobre l’esplosione di 3 autobombe ha provocato la morte di 26 persone ed il ferimento di 96; da ultimo, nella sola giornata del 16 ottobre almeno 50 civili sono stati vittime di una massiccia ondata di attacchi dinamitardi nei quartieri sciiti della città. Altrove, nonostante i costanti raid americani in prossimità delle dighe di Mosul e di Haditha, il controllo di snodi fondamentali per la fornitura di acqua potabile è divenuta un arma formidabile in mano ai jihadisti per piegare la resistenza dei villaggi. Dopo un mese di negoziati, il 18 ottobre il Parlamento iracheno ha infine approvato le nomine proposte dall’esecutivo di Haider al-Abadi per le posizioni di Ministro degli Interni e Ministro della Difesa, rispettivamente conferite a Mohammed Salem al-Ghabban (espressione della potente fazione politica sciita, nonché milizia paramilitare, Badr Organization) e a Khaled al-Obeidi (politico sunnita proveniente da Mosul). Gli incarichi rispettano il carattere di inclusività programmaticamente ricercato dal nuovo governo, ma al contempo evidenziano la preminenza acquisita dalle milizie sciite in virtù dei duri combattimenti intrattenuti a protezione di Baghdad. Nel frattempo l’esercito iracheno è impegnato nella difesa di Ramadi, dove è scattato il coprifuoco al fine di intralciare le infiltrazioni jihadiste, e nella riconquista di Tikrit. La modesta flotta aerea per la prima volta si è levata in volo per condurre operazioni di attacco contro le fila del Califfato, eliminando 94 guerriglieri fedeli ad al-Baghdadi.

5


È tuttavia di maggior rilievo annotare che i corpi d’élite delle forze di sicurezza irachene abbiano ricevuto il sostegno delle tribù sunnite di al-Jughaifi e al-Bunimer nei violenti scambi a fuoco nei pressi della diga di Haditha, mentre nella cittadina di Dhuluiya a nord della capitale è la tribù al-Jabbouri a reggere gli urti degli attacchi jihadisti, assistendo in modo indispensabile la polizia locale ed i combattenti sciiti. Nel quadro regionale degli attori coinvolti, le autorità iraniane hanno intimato i reparti delle Guardie Rivoluzionarie leali al comandante Suleimani di non assumere azioni aggressive contro le forze statunitensi operanti in Iraq. Sebbene la presenza di truppe straniere sia ritenuta un elemento esasperante il risentimento contro le istituzioni di Baghdad, il Ministro degli Esteri Javad Zarif ha ammonito che l’Iran non appoggerà alcun atto peggiorativo della situazione, dunque destituendo le minacce indirizzate dalle milizie sciite (che dipendono da Suleimani sul fronte del finanziamento e dell’addestramento dei propri uomini) contro le bandiere statunitensi. Benché i bombardamenti degli Stati Uniti siano ritratti quali espressioni d’imperialismo pressoché inutili a rovesciare la minaccia dell’IS, Teheran è intenzionata a mettere sul piatto dei negoziati sul nucleare un maggior ruolo nella crisi irachena. Mentre il teatro di guerra si estende pericolosamente al Libano, dove l’esercito ed Hezbollah respingono quotidianamente le sortite dei militanti jihadisti di Jabhat alNusra, le monarchie sunnite associatesi alla causa anti-IS mettono in guardia Washington dalle ambiguità di Doha. Al Qatar sono sovente fatti risalire gli ingenti capitali che hanno armato i gruppi islamisti oggi imperversanti in Siria e Iraq, quando già nel marzo scorso Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno richiamato i propri ambasciatori dal Paese denunciando la violazione dell’accordo sottoscritto dai membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo in virtù del comprovato sostegno alla Fratellanza Musulmana.

6


BREVI AF-PAK, 15 OTTOBRE ↴ Dopo

l’aumento,

nelle

ultime

settimane,

delle

operazioni di raid aerei USA diretti contro i gruppi talebani

stanziati

nell’area

nord-occidentale

del

Pakistan, un nuovo attentato sucida è stato attuato, mercoledì 15 ottobre, a Pir Mela nella provincia di Khyber Pakhtunkwa. L’esplosione, che ha causato cinque morti e sette feriti, è avvenuta nel corso di una riunione di un consiglio di pace anti-talebano. Sebbene l’attentato non sia stato rivendicato, l’azione è probabilmente avvenuta per mano di uno dei gruppi jhiadisti legati al movimento Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP) che raggruppa varie fazioni terroristiche della regione di frontiera con l’Afghanistan. Negli ultimi mesi, tuttavia, il TTP ha visto sorgere delle spaccature interne che ne hanno causato il distaccarsi di diverse sezioni. Il dissidio è stato acuito, inoltre, dalla dichiarazione del leader del movimento, Maulana Fazlullah, con la quale ha dato aperto supporto al califfo dell’IS, Abu Bakr al-Baghdadi. Il comunicato del 4 ottobre scorso riportava le seguenti parole di Fazlullah rivolte ad al-Baghdadi: «Noi fratelli siamo orgogliosi delle vostre vittorie. Siamo con voi nella felicità e nella sofferenza». Queste affermazioni hanno causato il malcontento di chi all’interno del TTP intende restare fedele all’alleanza con il mullah Omar. Di un altro gruppo di miltanza talebano, legato al mullah Omar e ad al-Qaeda, è arrivata, invece, la notizia da parte dell’intelligence afghana della cattura di due dei maggiori esponenti. Si tratta della Rete di Haqqani e gli arresti, eseguiti martedì 14, sono di Anas Haqqani e Hafiz Rashid. Il primo, noto per il ruolo di ricerca di fondi privati e reclutamento di attivisti, è figlio del fondatore della Rete, Jalaluddin Haqqani, e fratello dell’attuale leader, Sarajuddin Haqqani; mentre Hafiz Rashid si occupava dell’aspetto operativo degli attentati, inclusi l’addestramento di uomini-bomba e il reperimento di armi ed esplosivi. Le azioni terroristiche compiute da questo gruppo sono state tra le più mortali e sofisticate sferrate contro obiettivi quali le autorità afghane, le basi NATO di Kabul e vari target americani in Afghanistan.

BOSNIA ERZEGOVINA, 12 OTTOBRE ↴ In un clima privo di particolare entusiasmo si sono svolte in

Bosnia

Erzegovina

le elezioni

politiche

generali: nella stessa giornata si è votato per il rinnovo della presidenza tripartita, per quello dei Parlamenti delle due entità territoriali in cui è divisa il Paese (Federazione di BiH e Republika Srpska) e nei 10

7


cantoni che compongono la Federazione. Per quanto riguarda la presidenza, come da aspettative, Bakir Izetbegović (figlio dell'ex Presidente Alija Izetbegovic) del Partito di Azione Democratica (SDA) ha ottenuto il secondo mandato come membro musulmano, battendo Fahrudin Radončić – ex Ministro della Sicurezza ed esponente del partito politico Alleanza per un futuro migliore in Bosnia-Erzegovina (SBBBiH) – e l'ex Ministro dell'Istruzione del cantone di Sarajevo, Emir Suljagić, candidato per Fronte Democratico, formazione nata da una recente scissione dei socialdemocratici. Il seggio croato della stessa presidenza è stato vinto da Dragan Čović dell'Unione Democratica croata (HDZ), che ha sconfitto Martin Raguž, leader di HDZ 1990, partito gemello di HDZ, da cui è fuoriuscito nel 2006 e di ispirazione popolare. Resta infine ancora da confermare il seggio serbo: testa a testa tra Željka Cvijanović – Primo Ministro della Repubblika Srspka e candidata dell'Alleanza dei Socialdemocratici dei Serbi (SNSD) di Milorad Dodik, Presidente e uomo forte della stessa entità da oltre un decennio – e Mladen Ivanić, esponente di Alleanza per il cambiamento (PDP), che tuttavia secondo gli ultimi scrutini potrebbe avere la meglio sull'avversaria per circa un migliaio di voti. Proprio nella RS il voto ha assunto sostanzialmente una valenza politica nei confronti di Dodik, che, perso in parte il sostegno da Belgrado, nei giorni immediatamente precedenti al voto ha ricevuto un importante endorsement da parte di Vladimir Putin. La vittoria dei partiti nazionalisti, ad ogni modo, restituisce un'immagine del Paese ancora saldamente ancorata alle visioni e alle divisioni etniche, nonché al sistema di convivenza messo in piedi dagli Accordi di Dayton del 1995. Non di meno, nonostante le numerose manifestazioni di protesta popolari che hanno caratterizzato il Paese nel corso dell'ultimo anno, la scarsa affluenza alle urne – il 54% (in calo di due punti percentuali rispetto al 2010) – riflette una profonda scarsità di fiducia dei cittadini nei confronti della classe dirigente. L'immobilismo del sistema istituzionale bosniaco è stato tra l'altro nuovamente oggetto di critiche da parte dell'Unione Europea nel Progress Report pubblicato l'8 ottobre. Bruxelles ha deciso peraltro di bloccare i fondi di assistenza pre-adesione per Sarajevo per il 2014 a causa della mancanza di meccanismi di coordinamento a livello statale.

BRASILE, 5 OTTOBRE ↴ Il primo turno delle elezioni presidenziali brasilane ha registrato un importante colpo di scena. La leader ambientalista e candidata di “riserva” del Partito Socialista Brasiliano (PSB) – dopo la morte di Eduardo Campos –, Marina Silva non sfiderà nel ballottaggio del prossimo 26 ottobre la Presidente in carica Dilma Rousseff. Infatti a fronteggiarla sarà il conservatore del Partito Social Democratico Brasiliano (PSDB) Aécio Neves, che con il 33,6% dei consensi potrebbe insidiare direttamente da vicino la Rousseff. Nonostante fosse

8


stata addirittura accreditata di vittoria al primo turno in alcuni sondaggi pre-elettorali, Marina Silva ha raccolto solo il 21,3%. A incidere negativamente sulla performance della Silva probabilmente hanno influito da un lato una mancanza di chiarezza nei programmi economici e di governo – una condizione che comunque accomunava tutti e sette i candidati al palazzo di Planalto di Brasilia –, dall’altro la discesa in campo dell’ex Presidente Lula in favore della sua pupilla Rousseff. Nonostante l’affermazione al primo turno, la leader del Partito dei Lavoratori (PT) potrebbe seriamente rischiare la sconfitta qualora i voti della Silva dovessero riversarsi totalmente sul candidato conservatore. Attualmente sodanggi IBOPE e Datafolha danno proprio Neves in vantaggio di appena due punti percentuale sulla Rousseff. Ancora una volta decisivi saranno l’economia e la capacità di creare quella giusta empatia nei confronti dell’elettorato brasiliano, sempre più alla ricerca di un leader carismatico che di un vero e proprio statista in grado di guarire il Paese dagli scandali di corruzione e dalla recessione economica che lo hanno colpito di recente.

COREA DEL NORD, 14 OTTOBRE ↴ Dopo oltre un mese di misteriosa assenza dalla scena pubblica, il 14 ottobre Kim Jong-un è stato ritratto sulle pagine del quotidiano di regime Rodong Sinmun. Se fonti sudcoreane accreditano la tesi della degenza forzata

a

seguito

di

un

intervento

chirurgico,

l’improvvisa scomparsa del leader nordcoreano ha sollecitato varie ricostruzioni convergenti in un ipotetico cambiamento dei vertici di Pyongyang, a maggior ragione a seguito della mancata partecipazione (il 10 ottobre) al 69esimo anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori. Tuttavia, la riapparizione di Kim Jong-un non chiarisce i segnali contrastanti recentemente sopraggiunti dalla Penisola coreana. In una conferenza stampa presso il Palazzo di Vetro a New York, per voce del Ministro degli Esteri Choe Myong-nam il regime ha ammesso l’esistenza di campi di lavoro rieducativi, così replicando all’accusa di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani denunciata da un rapporto ONU rilasciato nello scorso febbraio; una dichiarazione che appare in netta controtendenza rispetto agli usi dell’autoritarismo nordcoreano, mostratosi disponibile nella stessa occasione all’apertura di un dialogo in materia con le istituzioni europee. Parimenti singolare è stato l’inedito incontro presso Panmunjon delle alte cariche militari delle due Coree: l’avvicinamento tra le parti evidenzia primi tentativi di conciliazione intrapresi dalla dirigenza nordcoreana, una cui delegazione si era recata a Seul lo scorso 4 ottobre a margine della conclusione dei Giochi Asiatici. Entrambi i governi hanno convenuto di riprendere il filo dei colloqui entro la fine del mese. Malgrado ciò, la tensione nella penisola coreana non accenna a scemare. Schermaglie lungo confine sono avvenute a seguito del lancio da parte di attivisti sudcoreani di palloncini recanti volantini di

9


protesta. A pochi giorni di distanza, lo sconfinamento di una nave nordcoreana è stato antefatto di un nuovo scambio a fuoco, anch’esso tuttavia senza conseguenze.

GAZA, 12 OTTOBRE ↴ Si è tenuta al Cairo la Conferenza dei donatori internazionali

volta

a

raccogliere

fondi

per

la

ricostruzione di Gaza e dell’intera Striscia praticamente distrutta dalla guerra di luglio-agosto scorso tra le fazioni palestinesi di Hamas-Jihad Islamica e Israele. Il bilancio finale dell’operazione Protective Edge è stata di 2.200 palestinesi e di una settantina di israelani uccisi, nonché della distruzione di oltre centomila abitazioni e di circa diecimila sfollati interni tra i palestinesi di Gaza. Alla conferenza hanno preso parte i delegati di circa 50 Paesi, fra cui il prossimo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, il Ministro degli Esteri Federica Mogherini, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, il Segretario di Stato USA John Kerry, il Re di Giordania Abdallah, il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius e 20 organizzazioni regionali e internazionali. Fra i presenti anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e il Segretario della Lega Araba, l’egiziano Nabil al-Arabi. Nella conferenza promossa e presieduta in coabitazione da Norvegia ed Egitto – e nella quale Italia e Stati Uniti hanno avuto un importante ruolo di sponsor politici – si sono raccolti 5,4 miliardi di dollari, una cifra di gran lunga più alta rispetto ai 4 miliardi di dollari chiesti inizialmente dal Presidente dell’Autorità Nazionale Palestiese (ANP) Mahmoud Abbas. Come hanno spiegato gli organizzatori, gli

aiuti

verranno

direttamente

versati

sui

conti

dell’ANP,

riconosciuto

internazionalmente come garante della ricostruzione. Un’operazione politica, questa, che indebolisce da un lato Hamas, lasciandola sempre più ad un ruolo marginale, dall’altro conferendo all’ANP e ad Abbas la possibilità di ergersi a voce unica nel dialogo con Israele. L'Italia si è impegnata a versare per Gaza 18,7 milioni di euro, gli USA 212 milioni di dollari e l'UE ha promesso 450 milioni di euro. Per quanto riguarda gli altri Paesi, il Qatar – alleato al pari della Turchia della dirigenza islamista al governo nella Striscia – donerà un miliardo di dollari, mentre gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia hanno promesso 200 milioni di dollari. Sempre a Gaza, il 9 ottobre, è andato in scena il primo incontro ufficiale dalla cacciata di Fatah dalla Striscia nel 2007, tra le dirigenze di Hamas e di Fatah stessa. A presiedere gli incontri del governo di unità nazionale è stato il Primo Ministro palestinese Rami Hamdallah, che ha confermato che la riunificazione delle istituzioni governative palestinesi è una priorità assoluta dopo anni di divisioni.

10


LIBIA, 12 OTTOBRE ↴ Non si arrestano gli scontri in Libia per il controllo dell’aeroporto Benina di Bengasi. Da settimane le milizie ribelli stanno cercando di prendere il controllo dello scalo cirenaico controllato delle truppe filogovernative. Secondo quanto riportato dall’esercito libico, le fila di Ansar al-Sharia hanno subìto gravi perdite nei recenti scontri. Tuttavia, per mano dei militanti, un’autobomba è esplosa nella giornata di martedì 14 uccidendo sette soldati libici. Il giorno successivo sono avvenuti scontri diretti tra l’esercito regolare e i ribelli, oltre a ciò raid aerei sono stati effettuati contro le milizie, con un bilancio di dodici morti tra i jhiadisti. Dell’operazione aerea fonti anonime hanno riferito alla Associated Press (AP) che ad attaccare i militanti sarebbero stati dei velivoli appartenenti all’esercito egiziano. A supporto di tale tesi è stato sostenuto che le truppe libiche non sarebbero sufficientemente addestrate per poter condurre una simile operazione. Nonostante ciò, fonti ufficiali cairote hanno smentito la notizia. Scontri sono avvenuti anche nei giorni precedenti, nella zona a ovest di Tripoli, in concomitanza con una visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, domenica 12 ottobre. Ban Ki-Moon è arrivato accompagnato dal Ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini. Le due alte cariche, si sono recate a Tripoli prima di volare al Cairo per la conferenza internazionale dei donatori della ricostruzione della Striscia di Gaza. Il motivo della visita è stato l’apertura della seconda sessione di dialoghi politici, in seno alle Nazioni Unite, sulla questione libica. Tali negoziati sono iniziati il 29 settembre scorso grazie all’azione del rappresentante speciale per la Libia a capo di UNSMIL, Bernardino Leon. Il Segretario Generale ha affermato, nell’incontro con le autorità del Paese, che «le milizie si devono ritirare dalle città libiche, dagli aeroporti e dalle sedi governative per consentire agli organi legittimi di lavorare», e si è appellato alle varie fazioni in lotta per la ricerca di una soluzione negoziale alle tensioni che impreversano in Libia. Dal canto suo la Mogherini ha dichiarato che «l’Italia è pronta a stare al fianco del popolo libico, se lo [vorrà]. Bisogna salvare la Libia da un destino che non merita».

PALESTINA, 3-14 OTTOBRE ↴ Nel suo discorso inaugurale, il neo Primo Ministro svedese Stefan Lovfen ha proposto il riconoscimento formale da parte di Stoccolma dello Stato di Palestina nei confini del 1967. L’iniziativa svedese ha immediatamente provocato le ire dello Stato ebraico: Tel Aviv ha protestato sia con l’Ambasciatore di Stoccolma in Israele, sia inviando una lettera di rimostranze al nuovo

11


esecutivo scandinavo. Il neo Premier ha giustificato la sua scelta spiegando che la soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese passa per la creazione dei due Stati indipendenti e che si riconoscano reciprocamente. Immediate anche le reazioni di Unione Europea e Stati Uniti che bollano come «prematura» la decisione di Stoccolma. La Svezia è il primo Paese occidentale dell'UE a riconoscere la Palestina come entità statale e si aggiunge a Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania – questi avevano riconosciuto la Palestina ai tempi della loro adesione al blocco comunista dell’URSS –, a Malta e Cipro. Sebbene criticata dai vertici di Bruxelles, la scelta svedese potrebbe aprire la strada ad altri membri dell’UE in tal senso. Infatti, pochi giorni dopo, circa la metà dei membri della Camera dei Comuni di Londra ha votato una mozione non vincolante che chiede il «riconoscimento della Palestina come Stato sovrano accanto a quello israeliano come contributo ad assicurare la prosecuzione il negoziati di pace sulla base del principio due popoli, due Stati». I voti a favore sono stati 274 (192 laburisti, incluso il leader Ed Miliband – quest’ultimo di origine ebraica –, e 39 conservatori) e 12 i contrari. Si è invece astenuto il governo. Al di là della natura simbolica del voto, il vice Ministro per il Medio Oriente, Tobias Ellwood ha spiegato che «Le aspirazioni del popolo palestinese non potranno realizzarsi pienamente fino quando non sarà posta fine all'occupazione (israeliana) e crediamo che questo si potrà ottenere solo attraverso i negoziati» e «quindi il Regno Unito riconoscerà bilateralmente lo Stato palestinese quando giudicheremo che questo potrà contribuire alla pace». Come per la Svezia è arrivata immediata la condanna israeliana che ha reputato il voto inglese «pregiudizievole di minare le possibilità di pace con i Palestinesi».

UCRAINA, 17 OTTOBRE ↴ Per la terza volta dall'inizio della crisi, e nel “formato Normandia” – al tavolo cioè anche con i capi di governo di Francia e Germania come nell'incontro dello scorso giugno –, il Presidente ucraino Petro Poroshenko e Valdimir Putin si sono incontrati a Milano a margine del Vertice ASEM (16-17 ottobre). Nonostante i leader europei avessero inizialmente riferito di “incomprensioni” e di “forti divergenze” su tutte le principali questioni della crisi ucraina, e malgrado anche il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov avesse confermato il clima di gelo al tavolo delle trattative, sembrano essersi aperti alcuni spiragli e non solo limitatamente alla dichiarazione di impegno da parte di entrambi i Capi di Stato a rispettare la tregua di Minsk dello scorso 5 settembre. Un'intesa di massima sembra infatti essere stata raggiunta sulla spinosa questione della fornitura di gas dalla Russia: Putin ha difatti dichiarato di essere andato incontro alle esigenze ucraine, abbassando il debito di Kiev dai 5,3 miliardi di dollari come finora chiesto da Gazprom a 4,5 mi-

12


liardi, aggiungendo che almeno per questo inverno non ci saranno tagli alle conduzioni di gas al vicino. Allo stesso tempo, il Presidente russo ha chiesto che l'Unione Europea sostenga l'Ucraina nel ripianamento del debito, punto su cui dovrebbe discutere il Consiglio europeo del prossimo 21 ottobre. A margine dello stesso, inoltre, dovrebbe essere previsto un nuovo incontro a quattro. Passi in avanti si sono registrati anche in merito al monitoraggio della sicurezza nel Donbass lungo la linea di controllo istituita con l'accordo del 19 settembre e lungo lo stesso confine con la Russia: la sorveglianza dovrà essere infatti garantita da droni messi a disposizione da Austria, Francia e Germania (anche se relativamente a quest'ultima è in corso una polemica circa il non funzionamento degli apparecchi ad una temperatura inferiore ai 19 gradi sotto lo zero, come ha spiegato il parlamentare tedesco Gernot Erler) attraverso l'OCSE. Il Consiglio permanente di quest'ultima è ora chiamata ad approvare l'accordo. Intanto il 12 ottobre la Russia avrebbe formalmente avviato il ritiro dei 17.600 militari dislocati dall'estate nella regione di Rostov, nel sud del Paese, al confine con l'Ucraina, con lo scopo di condurre esercitazioni militari. La manovra di arretramento non sarebbe stata tuttavia confermata dalla NATO. Un gesto di distensione è stato contemporaneamente offerto anche dall'Ucraina con le dimissioni del Ministro della Difesa, Valeriy Geletey, il cui successore dovrebbe essere nominato il prossimo 20 ottobre. Anche se l'intensità degli scontri è diminuita, a Donetsk si continua comunque a combattere: sono almeno 4 – due civili e due militari – le vittime di un razzo lanciato su un quartiere residenziale; secondo il colonnello Andriy Lysenko, portavoce del Consiglio di sicurezza e di difesa ucraino, sono 27 i militari ucraini morti nelle ultime tre settimane nell'aeroporto della stessa città. Episodi di violenza, infine, si sono registrati anche a Kiev il 14 ottobre, anche se per motivazioni diverse: manifestanti di estrema destra hanno protestato davanti al Parlamento per la mancata approvazione di una legge riguardante il riconoscimento dell’esercito insurrezionale ucraino e della sua lotta per l'indipendenza ucraina (collaborando tuttavia con i nazisti) nel corso della seconda guerra mondiale; almeno 26 sono gli agenti di sicurezza rimasti feriti e decine gli arresti.

YEMEN, 17-19 OTTOBRE ↴ La situazione politica e sociale in Yemen continua ad essere estremamente fluida, nonostante gli appelli della comunità internazionale e i ripetuti tentativi di accordo tra le varie forze ribelli e il governo. Venerdì 17 era stato siglato un accordo di cessate il fuoco tra le milizie sciite e quelle sunnite, durato poco meno di 24 ore a causa dello scoppio di nuove ostilità tra le due fazioni che hanno causato la morte di 20 persone: le violenze sono scoppiate a seguito di un tentativo dei sunniti di erigere delle barricate nei pressi della città di Yareem, capitale della provincia di

13


Ibb, per contrastare l’arrivo degli Houthi. La città di Ibb rappresenta uno snodo strategico importante per gli Houthi che, dopo essersi impadroniti di importanti zone della capitale Sana’a e del porto nel Mar Rosso di Hudaydah, si apprestano a conquistare le province di Dhamar e Ibb, appunto, contendendole alle milizie sunnite, alcune delle quali vicine ad al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP). Nelle ultime ore sembra sia stato siglato un nuovo accordo per la cessazione delle ostilità nella provincia di Ibb, ma nel Paese ormai va affermandosi l’impressione che esistano due diverse guerre: una di tipo confessionale, dove a scontrarsi sono sciiti e sunniti, e una di tipo separatista, nel sud del Paese, in cui alcune tribù mirano ad ottenere la tanto agognata indipendenza dal nord. Nella giornata del 15 ottobre, i separatisti del sud hanno inviato un ultimatum al governo centrale, intimandogli di evacuare, entro il 30 novembre, tutto il personale civile e militare dallo Yemen del sud. La situazione interna diventa sempre più esplosiva e a nulla sono valsi i tentativi del Presidente Abd Rabbuh Mansour al-Hadi di stemperare i contrasti eliminando le imposte sui carburanti e nominando un nuovo Premier gradito agli Houthi. In questo contesto si inserisce la rivalità tra i due giganti del Golfo, Iran e Arabia Saudita, con Teheran che sostiene gli sciiti Houthi, e con Riyadh che supporta gli sforzi sunniti del governo centrale.

14


ALTRE DAL MONDO ARMENIA, 10 OTTOBRE ↴ A margine del vertice dei Capi di Stato della CSI, l'Armenia ha firmato l'accordo per l'ingresso nell'Unione eurasiatica. L'organizzazione, nata formalmente ad Astana lo scorso maggio, riunisce anche Russia, Bielorussia e Kazakistan e dal 1° gennaio 2015 sostituirà la Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC). Il percorso di avvicinamento all'Unione eurasiatica era iniziata nel settembre 2013 dopo la decisione di Yerevan di abbandonare – anche sotto le pressioni russe – il percorso di integrazione europea.

BELGIO, 7 OTTOBRE ↴ Dopo quattro mesi di trattative, le forze politiche belghe hanno trovato un accordo per la formazione di un governo di centro-destra guidato dal liberale francofono Charles Michel. La coalizione di governo raggrupperà il partito liberale francofono (MR), il movimento Nuova alleanza fiamminga (N-VA), i democristiani fiamminghi (CD&V) e i liberali fiamminghi Open VLD. Le elezioni legislative si erano svolte il 25 maggio e avevano visto la vittoria di N-VA di Bart De Wever. Per la prima volta dopo circa 30 anni, il partito socialista francofono, presieduto dall'ex Premier Elio Di Rupo, sarà all'opposizione.

BOLIVIA, 5 OTTOBRE ↴ Con oltre il 60% dei consensi, il Presidente indigeno Evo Morales ha vinto le elezioni presidenziali boliviane battendo l’industriale e leader di Unidad Democrata, il conservatore Samuel Doria Medina, che ha raccolto il 24,5% dei voti. Morales, eletto per un terzo mandato consecutivo, ha potuto vantare un netto successo grazie al rilancio dell’economia nazionale e ad una ridistribuzione della ricchezza grazie alle entrate derivanti dalla vendita di idrocarburi nella regione.

BULGARIA, 5 OTTOBRE ↴ Come accaduto nell’ultima elezione del maggio 2013, il Parlamento bulgaro non ha visto una netta affermazione di un partito e pertanto si appresta a vivere una nuova stagione di grande coalizione di governo. La vittoria è andata ai conservatori del GERB (Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria) dell'ex Premier e Sindaco di Sofia Boyko Borisov, con quasi il 34% dei voti. Più distanziati i due partiti sinora al governo, il Partito Socialista Bulgaro (BSP) e il partito della minoranza turca Movimento per i Diritti e la Libertà (DPS), che hanno raccolto rispettivamente il 16% e il 14% dei voti.

15


EGITTO, 14-16 OTTOBRE ↴ Diversi attentati sono avvenuti in Egitto nel corso della passata settimana. Al Cairo nella sera di martedì 14 ottobre un ordigno artigianale è stato posizionato accanto ad un’auto nei pressi della Corte Suprema vicino la stazione metropolitana Ramses, nel centro della capitale, ed è stato fatto esplodere ferendo 12 civili. Con molta probabilità l’obiettivo erano gli agenti di polizia presenti nell’area circostante. Tale attentato, secondo alcune fonti, è stato rivendicato dal gruppo islamista Ajnad Misr (Soldati dell'Egitto). Nella giornata di giovedì 16 ottobre, in aggiunta, nella città di Tanta, a nord del Cairo, altre 11 persone sono rimaste ferite a causa di due bombe fatte esplodere durante un Festival musulmano sufi e, alcune ore dopo, un terzo attacco è avvenuto nel Sinai per mano dello stesso movimento Ajnad Misr. In quest’ultima azione due soldati egiziani sono rimasti uccisi.

GERMANIA, 14 OTTOBRE ↴ Berlino ha rivisto al ribasso le stime di crescita della propria economia. Il Ministro dell'Economia, Sigmar Gabriel, ha reso noto che le nuove previsioni vedono l'economia tedesca espandersi al ritmo dell'1,2% quest'anno rispetto al +1,8% indicato nelle precedenti stime, mentre per il 2015 il PIL è atteso a +1,3%, rispetto al +2% preventivato. Gabriel ha rimarcato che il taglio delle stime è dovuto alle crisi in Ucraina e in Medio Oriente e, più in generale, a un rallentamento del mercato dell’export mondiale. Gabriel ha poi voluto precisare che «non vi è alcun motivo di pensare che il Paese è in una fase di recessione». I dati ufficiali sull'andamento della prima economia europea nel terzo trimestre arriveranno tra un mese, il 14 novembre: un nuovo segno meno sancirebbe ufficialmente l'ingresso in recessione della locomotiva tedesca dopo il -0,2% fatto registrare nel secondo trimestre.

HONG KONG, 18-19 OTTOBRE ↴ Non si placano le ostilità tra il movimento di protesta popolare denominato Occupy Central e le forze di polizia ad Hong Kong. Nelle ultime ore violenti scontri si sono avuti a Mongkok, uno dei tre siti occupati dalla protesta che va avanti da tre settimane, e il risultato sono state numerose cariche della polizia, con bastoni e spray al peperoncino, che hanno provocato il ferimento di 20 persone. Intanto è stato raggiunto l’accordo per un incontro tra manifestanti e governo: martedì 21 ottobre sono previsti colloqui tra la delegazione governativa e quella dei giovani manifestanti, che saranno teletrasmessi e che si svolgeranno nei locali dell’Accademia di Medicina ad Aberdeen, località lontana dai quartieri al centro delle proteste. Gli eventi di Hong Kong sono stati recentemente al centro degli incontri tra il Segretario di Stato americano John Kerry e il consigliere diplomatico cinese Yang Jiechi.

16


KASHMIR, 6 OTTOBRE ↴ Sono ripresi il 6 ottobre scorso gli scontri tra truppe indiane e pachistane in Kashmir, nella zona di confine con il Pakistan. Sebbene entrambi i paesi si accusino a vicenda di spari e attacchi non provocati, resta incerto chi sia stato in realtà a rompere il cessate il fuoco, in vigore dal 2003. Le vittime degli scontri a fuoco sono state circa venti e numerosi i feriti. Inoltre, più di mille hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni a causa degli scontri. Un duro colpo, questo, alle trattative di pace tra i due Paesi del subcontinente indiano che si sarebbero potute avviare in seguito alle dichiarazioni propositive del Primo Ministro indiano, Narendra Modi, in occasione dell’ultima assemblea delle Nazioni Unite di fine settembre. In tale circostanza, di fatti, Modi ha dichiarato necessario creare «un’atmosfera appropriata» per far ripartire i negoziati con il Pakistan.

LETTONIA, 4 OTTOBRE ↴ Ottenendo 61 seggi sui 100 complessivi, la coalizione di centro-destra del Premier uscente Laimdota Straujuma – formata da Vienotība (Unità), ZZS (Unione dei Verdi e dei Contadini) e Nacionālā apvienība (Alleanza Nazionale) – continuerà a detenere la maggioranza della Saeima, il Parlamento lettone. Il partito socialdemocratico e filorusso, Saskana (Armonia) del sindaco di Riga Nils Ušakovs, si conferma tuttavia prima forza politica, pur perdendo 8 deputati rispetto alle consultazioni del 2011. Nonostante la tenuta dell'alleanza di governo, la Straujuma potrebbe non essere riconfermata: alla guida del prossimo esecutivo si fa il nome del Ministro degli Esteri, Edgars Rinkēvičs.

MOZAMBICO, 15 OTTOBRE ↴ Nonostante lo spoglio proceda molto a rilento, le prime proiezioni di voto delle elezioni presidenziali del Mozambico confermano un ampio vantaggio del partito di governo Frente de Libertaçao de Moçambique (FRELIMO) e del suo candidato Filipe Nyussi con il 62% dei consensi, mentre il candidato della Resistencia Nacionale Moçambicana (RENAMO) Alfonso Dhlakama ha ottenuto sinora il 32%. Sebbene gli osservatori internazionali abbiano considerato libere le consultazioni, gli ex-ribelli della RENAMO hanno dichiarato illegittimo il voto perché viziato da brogli. Tuttavia, Dhlakama ha affermato di essere pronto al dialogo con la controparte, sottolineando che «bisogna trovare una soluzione negoziata tra tutti i mozambicani».

REGNO UNITO, 9 OTTOBRE ↴ Si sono svolte le elezioni suppletive nelle circoscrizioni di Clacton-on-Sea, sulla costa orientale del Paese, e di Heywood e di Middleton, nel nord dell’Inghilterra. I risultati di Clacton-on-Sea hanno consegnato la vittoria a Douglas Carswell del partito populista UKIP, guidato da Nigel Farage, che ha ottenuto il suo primo seggio alla Camera 17


dei Comuni da quando il partito è stato fondato nel 1993. L’UKIP ha rischiato di ottenere la vittoria anche nella circoscrizione di Heywood e Middleton, da sempre roccaforti laburiste, dove i Labour, con Liz McInnes, hanno vinto con il 40,9% dei voti contro l’UKIP fermo al 38,7%. Entrambi i risultati elettorali rappresentano un campanello d’allarme per i partiti tradizionalisti, considerando anche le intenzioni di voto espresse da un sondaggio pubblicato sul The Mail on Sunday, secondo il quale il 25% degli elettori britannici sarebbe pronto a votare il partito euroscettico di Farage alle prossime elezioni nazionali previste per il 2015.

SOMALIA, 12-15 OTTOBRE ↴ Il gruppo terroristico somalo al-Shabaab continua a lanciare attacchi nella capitale Mogadiscio. Un attentato è avvenuto domenica 12 ottobre in un ristorante della città, causando tredici morti tra i civili. Il giorno successivo due feriti sono stati causati dall’esplosione di un ordigno installato in una macchina della polizia e mercoledì 15 un’autobomba ha causato dodici morti in una strada affollata della città. Gli attacchi sono stati rivendicati dagli al-Shabaab, sebbene il movimento nell’ultimo periodo abbia subìto dure perdite. Da sottolineare, infatti, la recente ripresa del completo controllo – il 5 ottobre – da parte del governo di Mogadiscio, dello strategico porto di Barawe, utilizzato dai militanti per ricevere soprattutto rifornimenti di armi. Le operazioni, dirette contro gli Shabaab, fanno parte di Operazione Oceano Indiano, l’offensiva iniziata nello scorso agosto e condotta dall’esercito regolare somalo unito alle truppe della missione AMISOM (dell’Unione Africana) e supportata dai militari statunitensi.

SPAGNA, 14 OTTOBRE ↴ Il Presidente catalano Artur Mas ha annunciato che non si terrà più il referendum sull’indipendenza previsto per il 9 novembre. La decisione è arrivata 15 giorni dopo la sospensione da parte della Corte Costituzionale delle norme sulla convocazione del referendum, a seguito di una riunione “fiume” con i leader degli altri partiti indipendentisti. Artur Mas ha precisato che una consultazione, dal valore esclusivamente simbolico, si terrà comunque, il 9 novembre e conterrà «lo stesso quesito del referendum, sarà organizzata grazie a ventimila volontari e coinvolgerà i comuni, i cittadini e le associazioni attive nella regione». La decisione di Mas, leader del partito Convergència i Union, ha provocato la spaccatura del fronte indipendentista. Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana de Catalunya, ha dichiarato di «non accettare consultazioni in tono minore», mentre i partiti più piccoli, come Candidatura Unitaria Popular, evidenziano il “nonsense” di una consultazione priva dei crismi della piena legalità.

18


STATI UNITI-UNIONE EUROPEA, 9 OTTOBRE ↴ Dopo mesi di speculazione politica sui media, i governi di Washington e dei singoli Paesi dell’Unione Europea hanno stabilito di comune accordo di declassificare le direttive per il negoziato del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), il negoziato commerciale e finanziario ripreso nel giugno del 2013 tra USA e UE.

19


ANALISI E COMMENTI L’AMERICA LATINA DI FRONTE ALLA CORTE DELL’AJA: IL CASO DI BOLIVIA E CILE ELISABETTA STOMEO ↴ Pochi mesi fa la Oxford Analytica, famosa società di consulenza e di analisi strategica degli accadimenti mondiali, ha pubblicato un’infografica molto interessante riguardante i casi sottoposti al vaglio della Corte Internazionale di Giustizia dai differenti Stati latinoamericani, ponendo l’accento proprio sulla loro sempre più costante presenza. Negli ultimi anni, infatti, i giudici de L’Aja si sono ritrovati oberati dalla risoluzione di conflitti latinoamericani: dal 2001 ad oggi sono state ben tredici le controversie su cui si è pronunciato il Tribunale, di cui otto riguardanti – nello specifico – liti territoriali o marittime. La Corte Internazionale di Giustizia è l’organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, chiamato principalmente a dirimere le dispute tra gli Stati membri dell’ONU che hanno accettato la sua giurisdizione. Ultimamente l’impressione diffusa tra gli attori del diritto, esperti politologi e non solo, è quella che tale Corte abbia acquisito il ruolo di giudice supremo nelle questioni legate fondamentalmente alle contese confinarie sul territorio latinoamericano. I motivi di tale (consapevole o meno) tendenza sono vari e possiedono differenti matrici. L’intervento della Corte Internazionale di Giustizia sull’interpretazione o applicazione dei vari strumenti giurisprudenziali internazionali ha una grande trascendenza per i Paesi latinoamericani data la competenza consultiva che la Corte Interamericana dei Diritti Umani possiede rispetto all’interpretazione degli stessi strumenti (…) SEGUE >>>

LE SFIDE DELL’AFRICA E IL RUOLO DELL’ITALIA: INTERVISTA ALL’ON. LIA QUARTAPELLE REDAZIONE ↴ A fronte di quello che è stato definito il “Secolo dell’Asia”, a causa della rinascita asiatica dopo alcuni Secoli di relativo declino, l’Africa – e in particolar modo quella sub-sahariana –attraversa indubbiamente dalla seconda metà degli anni Novanta un’eccezionale fase di espansione e di sviluppo economico, registrando un tasso di crescita che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, ha superato nel 2012 quello medio dei Paesi BRICS. Tuttavia, nonostante un miglioramento complessivo delle performance economiche e nonostante anche una significativa evoluzione politica e sociale di alcuni contesti, il Continente resta segnato da debolezze strutturali, nonché da un nuovo periodo di instabilità e di arretramento dei processi democratici, coincisi in parte con le cosiddette Primavere Arabe del 2011, sbocciate sulla costa mediterranea africana, ma definitivamente esplose in tutta la loro evidenza nell’ultimo biennio con le crisi che hanno toccato l’Africa saheliana e con la recente epidemia di ebola. In questo contesto frammentato, l’Italia sta provando a ritagliarsi un ruolo importante sia attraverso la partecipazione ad azioni multilaterali – quale ad esempio l’immigrazione e la pirateria – sia attraverso l’instaurazione di un nuovo modello di cooperazione allo sviluppo – improntato anche all’uso della diplomazia – rispettoso delle differenze e delle specificità locali (…) SEGUE >>>

20


LA CENTRALITÀ DELLA POLONIA NELLA CRISI UCRAINA ALBERICO IUSSO ↴ La BBC ha commissionato nel 2013 un interessante sondaggio sulla percezione dell’influenza internazionale di alcuni Paesi. Tra i dati raccolti tra 25 Stati, quelli sulla Russia sono particolarmente interessanti: tra i Paesi europei coinvolti nell’indagine, solamente la Grecia aveva una percezione complessivamente positiva del governo di Mosca; i due Paesi che avevano una visione maggiormente negativa erano la Germania e la Polonia [1]. Proprio quest’ultima nutre da sempre grande diffidenza nei confronti della Russia. Entrambi parte del mondo slavo, pur con le peculiarità che li contraddistinguono, questi due Paesi vivono storicamente una relazione conflittuale, che affonda le sue radici in secoli di scontri e occupazioni per il controllo delle terre di confine e per l’estensione dell’influenza nell’area centro-orientale europea. Nel Settecento l’Impero zarista aveva contribuito attivamente alle spartizioni della Polonia, provocandone peraltro la cancellazione dalle mappe geografiche per 123 anni (17951918) (…) SEGUE >>>

TURCHIA, ZERO PROBLEMS TOWARDS IRAN? FRANCESCO MINICI ↴ Il rapporto tra Turchia e Iran nell’ultimo anno ha segnato il passo dell’evoluzione magmatica del quadro regionale. Tutti i tradizionali schieramenti del Medio Oriente sono in sommovimento. Il Califfato dell’IS ha avuto l’effetto di rivedere antiche strategie e alleanze. E’ indubbio che la maggiore difficoltà risieda nel delineare una prospettiva stabile che abbracci il medio periodo. Le variabili da considerare sono molteplici sia dal punto di vista economico sia da quello politico. Il reciproco interesse dei due Paesi a porsi come guida della regione risente della necessità di normalizzazione della situazione nell’area. Vari dossier imporrebbero ragionate scelte dei due governi più cooperative mentre interessi più particolari sembrerebbero allontanare in stringenti divergenze le due capitali. Procedendo con un ordine cronologico occorre ricordare che lo scorso gennaio Turchia e Iran hanno rafforzato le proprie relazioni attraverso la firma di tre accordi di cooperazione bilaterale. Il Premier turco Erdoğan, dopo una visita diplomatica a Teheran, sottoscriveva tali accordi suggellando quello che a detta di molti analisti è stato definito come un turning point per tutto il Medio Oriente (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

21


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.