N°24, 2–8 NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 9 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti
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FOCUS ISRAELE↴
Non accennano a placarsi le tensioni a Gerusalemme e in Cisgiordania dopo lo scambio di accuse tra governo israeliano, Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e Hamas circa le misure restrittive nei confronti dei fedeli per accedere alla Spianata delle Moschee. Dopo l’attentato contro il rabbino estremista Yehuda Glick il governo israeliano aveva deciso infatti di impedire l’accesso al luogo sacro a tutti i palestinesi dopo che alcuni nazionalisti religiosi israeliani vi avevano fatto irruzione chiedendo la distruzione della Moschea della Roccia e la ricostruzione del Tempio di Salomone. Una situazione esplosiva che ha provocato diversi scontri tra polizia israeliana e palestinesi a Gerusalemme Est e che il 5 novembre scorso ha conosciuto il momento di maggior tensione dopo che un furgone, guidato da un giovane palestinese, ha investito un gruppo di pedoni israeliani uccidendone due e ferendone tredici. Nelle stesse ore un altro attacco era avvenuto a Gush Etzion, nei pressi di Hebron, dove un membro di Hamas aveva attaccato la folla con un auto uccidendo un poliziotto. Attentato molto simile a quello che era avvenuto solo pochi giorni prima (23 ottobre) sempre a Gerusalemme. L’attentatore Ibrahim Akari – ucciso dagli agenti israeliani subito dopo l’attacco – era un affiliato alla cellula gerosolomitana di Hamas ed era residente a Shuafat, quartiere nella parte orientale di Gerusalemme. All’attentato è seguita un inasprimento delle tensioni tra palestinesi e polizia israeliana nella città vecchia: in particolare i principali incidenti sono avvenuti alla porta di Damasco. «L'attacco effettuato oggi a Gerusalemme da un palestinese è il risultato del continuo incitamento da parte del Presidente palestinese Mahmoud Abbas e dei suoi partner di Hamas», ha detto il 1
Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Immediata la risposta palestinese, per voce di Mustafa Barghouti, membro del comitato centrale dell’OLP che accusa «Netanyahu [di essere] il vero protagonista di questa escalation e sta già progettando nuove elezioni per avere il supporto della destra religiosa [...] Israele sta provocando l'impennata di tensione e di violenza nella città di Gerusalemme facilitando l'ingresso alla Spianata delle Moschee di nazionalisti di estrema destra». Parole ancora più nette quelle di Mahmoud al-Habash, Consigliere per gli Affari religiosi dell’ANP, che mette in guardia Israele dal lanciare una nuova offensiva contro i palestinesi: «Il perdurare dell’invasione ad al-Aqsa è una dichiarazione di guerra religiosa. […] Una guerra di religione significa che ogni israeliano diventerà un nemico diretto di ogni musulmano in tutto il mondo». Intanto, anche Hamas minaccia di intervenire nella disputa con un proprio comunicato nel quale avvisa gli estremisti religiosi ebrei dei pericoli che potrebbero incontrare se si rifiutassero di seguire le regole vigenti sulla Spianata delle Moschee. Una situazione incandescente che ha portato più analisti – ad esempio l’israeliano Barak Ravid – a parlare di una Terza Intifada alle porte. Proprio le tensioni di Gerusalemme e la questione dello status della Spianata delle Moschee – regolato dal trattato di pace tra Israele e Giordania del 1994 – sono stati i temi al centro di un vertice segreto che si sarebbe tenuto ad Amman tra il Premier Netanyahu e il Re di Giordania Abdallah II. Una ricostruzione dei fatti è stata fornita dal quotidiano kuwiatiano al-Jarida, anche se non confermate dalle autorità israeliane e giordane. Al di là del presunto avvenuto incontro, Amman ha deciso di ritirare da Tel Aviv il proprio Ambasciatore Walid Obeidat a causa dell’atteggiamento «provocatorio» israeliano in merito allo status del luogo sacro e alla continua costruzione di abitazioni per i coloni nella parte orientale di Gerusalemme. Una situazione che il Ministro degli Esteri giordano Nasser Judah, ha deciso di portare dinanzi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo un intervento di condanna nei confronti dello Stato Ebraico. Nel frattempo la diplomazia europea prova a inserirsi nel vuoto politico lasciato dagli Stati Uniti dopo il fallimento dei negoziati sul processo di pace. A tal proposito con un viaggio ufficiale il 7 e l’8 novembre, Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, ha effettuato una visita a Gerusalemme e a Gaza con l’intento di dare nuova linfa al processo di pace in stallo. Nell’incontro in Israele, Mogherini ha incontrato Netanyahu, il quale ha difeso la politica unilaterale degli insediamenti chiudendo subito qualsiasi spiraglio di dialogo con le controparti palestinesi. A Gaza, invece, l’ex Ministro degli Esteri italiano avrebbe dovuto incontrare il Premier palestinese Rami Hamdallah, il quale ha poi rinunciato ad incontrarla a causa di una serie di attentati nella Striscia provocati da Hamas contro uomini vicini a Fatah, fazione di Abu Mazen e dello stesso Premier. Intanto, la Corte Penale Internazionale dell’Aja ha deciso di non perseguire Israele per il blitz contro la nave turca Mavi Marmara facente parte della Freedom Flotilla attaccata mentre cercava di aggirare il blocco di Gaza nel maggio 2010. Nell’operazione militare morirono nove attivisti turchi. 2
LIBIA ↴
La recrudescenza del conflitto libico sembra indirizzarsi verso un punto di non ritorno che, con alte probabilità, rischia di fluire in un processo di “somalizzazione”, che nel lungo periodo potrebbe caratterizzarsi per continui conflitti tra fazioni tribali in lotta tra di loro data anche l’assenza di istituzioni che possano assumere una legittimità sufficiente da poter imporre norme e leggi sulla popolazione e sugli attori nazionali libici. Ad alimentare nuove tensioni è giunto il 6 novembre un verdetto della Corte Suprema Libica, situata a Tripoli, dichiarante incostituzionali le elezioni tenutesi il 25 giugno scorso. La conseguenza della pronuncia dovrebbe essere lo scioglimento del Parlamento di Tobruk, ma la risposta della Camera dei Rappresentanti è stata la negazione della validità della dichiarazione a causa dell’influenza delle milizie armate sulla Corte. Secondo quanto affermato da Farraj Hashem, portavoce dell’Assemblea di Tobruk, «il verdetto è stato emanato sotto la minaccia della pistola». Da parte sua l’ONU ha dichiarato che valuterà attentamente la decisione della Corte Suprema Libica. Alla base della pronuncia dell’Alta Corte vi sarebbe il fatto che la nuova Camera di Tobruk non avrebbe formalmente tenuto un giuramento e in quanto tale l’istituzione politica è come se non si fosse mai insediata. Una sentenza che come ha sottolineato il neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, fa temere «un ulteriore deterioramento della situazione». Dopo le elezioni del 25 giugno la Libia ha visto il verificarsi di una crescente spirale di violenza, sebbene il voto avrebbe dovuto portare alla creazione di istituzioni, sostitutive del Congresso Generale Nazionale (CGN) giunto al termine del proprio mandato il 4 agosto scorso, in grado di guidare la nazione verso la transizione democra-
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tica. Tuttavia, il nuovo Parlamento eletto, la Camera dei Rappresentanti di cui il rispettivo Primo Ministro è Abdullah al-Thani, non soddisfacendo le aspettative di molte delle fazioni islamiche libiche, ha subìto numerosi attentati e minacce fino ad essere costretto a spostarsi dalla capitale, Tripoli, alla cittadina di Tobruk, situata a 200 km dal confine egiziano. Nel frattempo a Tripoli le milizie islamiche, non riconoscendo il Parlamento eletto, hanno ristabilito in forza il decaduto CGN in cui le fazioni religiose godevano della maggioranza, designando a capo del relativo governo Omar alHasi. Si è venuta a formare così, di fatto, una situazione di conflitto tra due istituzioni politiche che si contendono la legittimità e l’autorità nel Paese. Nel caos generale che si è creato e che continua ad autoalimentarsi, inoltre, tra le varie parti in lotta sta spiccando la figura dell’ex-generale Khalifa Haftar. Quest’ultimo, invero, è riuscito di recente, col merito di successi avuti sul campo contro le milizie islamiche armate, ad ottenere il riconoscimento del governo di al-Thani quale forza militare competente a garantirne la sicurezza in assenza di un esercito regolare in grado di assolvere a tale funzione. Haftar, capo delle forze armate del regime di Gheddafi all’inizio degli anni Settanta, fu rinnegato dal Colonnello in seguito alla perdita della Guerra in Ciad e costretto all’esilio negli Stati Uniti. Dagli USA Haftar è rientrato in Libia per combattere il regime soltanto nel 2011 lottando al fianco dei militanti islamici. Di questi ultimi, tuttavia, è divenuto il nemico numero 1 con il lancio, nel maggio scorso, di Operazione Dignità, offensiva volta ad attaccare le milizie di Tripoli e quelle di Bengasi. In particolare a Bengasi le truppe di Haftar da agosto, col sostegno della Libyan National Army, fronteggiano il gruppo terroristico Ansar alSharia e tale battaglia per il controllo della cittadina cirenaica ha visto nelle ultime settimane una notevole escalation degli scontri con un bilancio dei morti superiore alle 200 vittime in meno di un mese. Contemporaneamente, nei primi giorni di novembre in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno presentato una richiesta per inserire Ansar al-Sharia, già nella lista di Washington dei gruppi terroristici, nell’omologo elenco delle Nazioni Unite, dati i legami del gruppo con al-Qaeda. La decisione del CdS dovrà arrivare il 19 novembre prossimo. Le conseguenze di tale classificazione, nel caso in cui venga approvata, sarebbero un embargo totale sulle armi dirette alla milizia, un divieto di circolazione per i singoli individui legati al movimento e un congelamento dei rispettivi beni. Da sottolineare, in merito alle connessioni di Ansar al-Sharia con altri gruppi terroristici, che nell’ultimo mese la fazione di Derna del gruppo ha dichiarato apertamente il proprio sostegno e affiliazione allo Stato Islamico di al-Baghdadi.
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SIRIA-IRAQ ↴
L’arrivo dei 150 peshmerga iracheni ha provvisoriamente arrestato l’assedio dello Stato Islamico (IS) su Kobane: l’introduzione sul terreno di scontro di alcuni pezzi di artiglieria ha colmato una delle principali lacune dei resistenti, che dall’inizio dell’attacco hanno subito una costante inferiorità tattica sul piano degli armamenti. Lo stallo della battaglia ha indotto le fazioni curde a rinnovare gli appelli per un maggior coinvolgimento della comunità internazionale: dinanzi al Parlamento europeo (4 novembre) Masoud Barzani ha chiesto il rafforzamento dell’assistenza militare ed ha invitato alla rimozione del PKK dalle organizzazioni terroristiche riconosciute da Bruxelles. Mentre Erdoğan esibisce la linea della fermezza, assimilando il Partito dei Lavoratori del Kurdistan allo Stato Islamico, il governo turco ha riaperto i colloqui con la leadership del movimento al fine di rilanciare il processo di pace dopo le frenate provocate dalla crisi di Kobane. Sul fronte iracheno, nelle ultime due settimane le divisioni fedeli a Baghdad hanno rotto l’accerchiamento della capitale, all’interno della quale, però, l’attività eversiva delle cellule terroriste irrompe quotidianamente in violenti attentati. Le autorità centrali, di concerto con il governo regionale del Kurdistan, stanno definendo la preparazione di due battaglioni speciali per la riconquista di Mosul, nei cui ranghi saranno integrate unità volontarie (4500 le registrazioni riportate) e ufficiali di polizia. Al contempo, i peshmerga di Barzani hanno recuperato il controllo di Zumar e delle arterie stradali che congiungono Mosul a Rabia. Tuttavia, il Califfato impone legge e consolida la propria autorità su buona parte dell’Iraq nord-occidentale, a partire dall’heartland sunnita dell’Anbar, laddove l’entità delle divisioni settarie proibisce al governo di al-Abadi il ricorso alle milizie sciite, mentre la vastità del governatorato costringerebbe il fragile esercito iracheno ad una
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dispersione fatale – anche in virtù della corruzione dei legami tra il tessuto tribale ed il governo centrale. I recenti massacri (sarebbero 322 i membri della tribù Albu Nimr trucidati a Hīt) attestano la durezza e l’efficacia del dominio instaurato dall’IS, che sotto la scure della persecuzione ideologica e della pronta repressione delle tribù non allineate al disegno califfale svolge ormai funzioni tipicamente statali nelle aree occupate. Da questo punto di vista, l’istituzione di brigate nazionali in cui far confluire le diverse anime di un Iraq già profondamente lacerato dai conflitti etnici e confessionali incontra i tempi lunghi delle negoziazioni parlamentari, mentre l’opzione immediata di armare le tribù sunnite – benché incoraggiata da Washington – è ostacolata dalle resistenze della dirigenza sciita che tiene le redini del ricostituito ordine iracheno. A conferma delle spaccature emerse tra le fazioni politiche irachene si prenda ad esempio la reiterata dilazione nel rilascio dei permessi d’ingresso alle forze speciali australiane (circa 200 unità) che attendono lo schieramento nel Paese per condurre attività di addestramento; il ritardo nello svolgimento delle pratiche burocratiche rende manifesta l’opposizione interna alla presenza di ulteriori contingenti stranieri. In breve, l’andamento delle ostilità e le debolezze strutturali degli apparati politici e militari saldano progressivamente il radicamento tra Raqqa e Ramadi delle schiere di al-Baghdadi, la cui offensiva trova nel teatro siriano una sponda formidabile in Jabhat al-Nusra – che sembra definitivamente associata alla strategia del Califfato. Il Fronte ha espanso la propria impronta nella provincia siriana di Idlib, a lungo baluardo delle opposizioni moderate anti-Assad. Non a caso i bombardamenti della coalizione internazionale hanno iniziato a colpire diffusamente i miliziani di alNusra, i quali tuttavia nelle ultime settimane hanno inferto gravi perdite al Fronte Rivoluzionario Siriano e al movimento Hazm – entrambi sostenuti dalle potenze occidentali ma isolati dall’asse di convenienza venutosi a creare tra Washington ed il regime di Bashar al-Assad, la cui aviazione conduce attacchi sia contro gli insorti, sia contro i miliziani jihadisti. Da questo versante l’amministrazione Obama incede nella distinzione, strategicamente problematica ed operativamente fallace, tra l’aggressione in territorio siriano ai gangli vitali dell’IS e la risoluzione del sanguinoso conflitto parallelo combattuto da e per Damasco. I raid statunitensi mirano ad eliminare la testa del Califfato: fonti CENTCOM confermano che i bombardamenti effettuati nella notte dell’8 novembre hanno centrato i quartier generali jihadisti a Mosul, riuscendo forse a colpire lo stesso al-Baghdadi, benché tali indiscrezioni non possano trovare una diretta conferma sul campo. Tuttavia, negli ambienti del Pentagono prende corpo la consapevolezza che l’esposizione americana potrebbe eccedere lo stesso mandato presidenziale e, stante l’impossibilità di degradare la minaccia jihadista con la sola guerra aerea, Obama sarà pertanto costretto a risolvere la discordanza della mutevole linea rossa che conforta la permanenza del regime alawita. Il voto che ha ridisegnato la maggioranza del Senato americano potrebbe in tal senso incidere sensibilmente sugli obiettivi 6
dell’operazione Inherent Resolve, poiché (in corrispondenza del termine dei negoziati sul nucleare intavolati con Teheran) la maggiore influenza repubblicana potrebbe spostare il dibattito congressuale sul mandato degli sforzi bellici condotti in Medio Oriente verso una determinazione manifestatamente anti-Assad – che tuttavia enfatizzerebbe l’antagonismo di Mosca, oggi ai margini della crisi iracheno-siriana. Nel frattempo, l’esecutivo Obama ha autorizzato il dispiegamento di altre 1500 unità, raddoppiando il contingente incaricato di assistere le Forze Armate irachene. Ciò nonostante, nel teatro siriano convergono interessi strategici e piani di conflitto assai distanti tra gli stessi avversari del Califfato. In tal senso è assai indicativo il progetto iraniano di aggregare sotto un’unica organizzazione paramilitare sul modello di Hezbollah le milizie sciite che tuttora assistono le forze regolari di Assad nella repressione dei ribelli. Dunque, è nei teatri di battaglia di Siria ed Iraq che procedono non solo il destino di entrambi i Paesi contro la pressione islamista, ma anche la più ampia ed incerta ridefinizione dei rapporti regionali.
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BREVI AF-PAK, 2 NOVEMBRE ↴ Si è tenuta a Pechino la quarta sessione del Processo di
Istanbul,
una
Conferenza
internazionale
sull'Afghanistan co-organizzata nel 2011 da Turchia e Afghanistan. Il Primo Ministro cinese Li Keqiang ha aperto i lavori auspicando una rapida soluzione internazionale della questione afghana attraverso il definitivo raggiungimento della sicurezza in un quadro di prosperità regionale. La Cina ha prospettato un piano in più punti per stabilizzare l’Afghanistan. Pechino manterrà una politica amichevole verso Kabul, sostenendola nel processo di pace e in quello di ricostruzione attraverso aiuti economici. L’aiuterà, poi, nel potenziare le proprie capacità di auto-sviluppo, includendola nel contesto della cooperazione regionale al fine di promuovere la collaborazione e le sinergie nella regione. L’Asia Centrale, contemporaneamente, è stata però scossa da un nuovo attentato al confine tra India e Pakistan. È notizia del 2 novembre che un kamikaze si è fatto esplodere al checkpoint di Wagah provocando la morte di più di cinquanta persone e oltre cento vittime. L’attacco terroristico è stato rivendicato da un gruppo estremista islamico sunnita che si fa chiamare Jamatul Ahrar. Il portavoce Ahsanullah Ahsan ha affermato che l’attentato era diretto contro il governo di Islamabad in un momento in cui è all’apice lo scontro che, da metà giugno, vede l’esercito nazionale in repressione sui focolai di insorti talebani che operano al confine tra Afghanistan e Pakistan. «Gli attacchi continueranno» è stata la minaccia conclusiva di Ahsan. Da segnalare, infine, la visita del nuovo Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, in Afghanistan il 6 novembre in cui ha ribadito l’impegno dell’Alleanza Atlantica a contribuire alla stabilizzazione afghana anche dopo il ritiro che sarà completato a fine 2014.
BELGIO, 6 NOVEMBRE ↴ Sono almeno 14 i feriti negli scontri con tra polizia e manifestanti scesi nelle principali strade di Bruxelles per protestare contro la riforma del lavoro promossa dal nuovo governo di centro-destra guidato dal liberale francofono Charles Michel. Il piano dell'esecutivo insediatosi nello scorso mese di ottobre dopo una lunga fase di stallo politico-istituzionale, prevede un aumento dell'età pensionabile a 67 anni ed una limitazione della portata per i pensionamenti anticipati, oltre all'annullamento per il prossimo anno dell'aumento dei salari indicizzati all'inflazione
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e al taglio di 11 miliardi della spesa pubblica che toccherà particolarmente la sanità e la sicurezza sociale. I dimostranti hanno peraltro preso d'assalto la sede della Federazione delle Imprese del Belgio (FEB), accusata di sostenere il governo. Mentre il neo Premier ha tenuto a precisare che tali misure sono fondamentali per mantenere il deficit di bilancio nei limiti previsti dall'Unione Europea e insiste sul fatto che le imprese belghe necessitano di politiche fiscali più favorevoli per reggere la competitività nel mercato globale, le prime discussioni tra esecutivo e le principali sigle
sindacali
–
Federazione
Generale
dei
Lavoratori
del
Belgio
(FGTB),
Confederazione dei sindacati Cristiani (CSC) e Federazione Centrale dei Liberi Sindacati del Belgio (CGSLB) – sono già iniziati nel pomeriggio del 6 novembre. Proprio i tre gruppi sindacali, sostenuti da alcuni partiti della sinistra radicale, hanno annunciato una stagione di manifestazioni almeno fino al prossimo 15 dicembre, giorno in cui dovrebbe tenersi un nuovo sciopero generale.
BURKINA FASO, 5 NOVEMBRE ↴ Il processo di transizione democratica del Burkina Faso, iniziato all’indomani della cacciata di Blaise Compaorè, sembra procedere in maniera spedita verso una soluzione condivisa da tutte le forze politiche in campo. Il 5 novembre tre Capi di Stato della Comunità Economica
degli
Stati
dell’Africa
Occidentale
(ECOWAS), il ghanese John Dramani Mahama, il nigeriano Goodluck Jonathan e il senegalese Macky Sall, si sono recati a Ouagadougou per incontrare il colonnello Zida e i diversi rappresentanti della società burkinabè con lo scopo di trovare un accordo per il passaggio dei poteri alle autorità civili. Mentre i tre Capi di Stato si sono poi recati ad Accra per un summit speciale dell’ECOWAS, che si sarebbe occupato principalmente della crisi in Burkina Faso, nei giorni successivi una commissione istituita ad hoc ha redatto un documento per la transizione, in cui sono state formulate le prerogative del governo transitorio, ovvero la durata di un anno, la sua composizione e il fatto che dovrà essere diretto da una personalità civile, fino alle prossime elezioni legislative e presidenziali previste per il novembre 2015. Uno dei punti più importanti, e forse di più difficile approvazione, è la disposizione che prevede che tutti coloro che faranno parte di questo governo, dovranno accettare di non candidarsi alle prossime elezioni. Il documento finale è stato poi sottoposto, a partire dalla giornata dell’8 novembre, al vaglio di una conferenza plenaria alla quale hanno partecipato rappresentanti dei partiti di opposizione e della società civile, nonché alcuni capi religiosi e tribali: l’esercito, assente nelle riunioni mattutine, vi ha partecipato soltanto nel pomeriggio. Il documento finale, che dovrebbe essere pronto entro martedì, sarà poi sottoposto al colonnello Isaac Zida: per i rappresentanti della società civile, il problema principale sarà quello di evitare ogni forma di ostruzionismo da parte delle forze armate. Nel frattempo, sempre l’8 novembre, è avvenuta la visita
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a sorpresa della Sottosegretaria di Stato aggiunta americana, Bisa Williams, che ha voluto incontrare il colonnello Isaac Zida ed esprimere il sostegno americano per una transizione democratica e pacifica.
EGITTO, 5 NOVEMBRE ↴ La tensione è ancora alta in Egitto a causa dei nuovi attentati che si sono registrati tra il Cairo e il Delta del Nilo. Le bombe sono esplose ad al-Kouba, a est del Cairo, provocando diversi feriti, e su un treno partito dalla capitale e diretto a Menouf, nel Delta del Nilo. In questo attacco le fonti di sicurezza nazionale hanno confermato la morte di cinque poliziotti e il ferimento di circa una decina di persone. Altri attacchi si sono registrati a nord della capitale a Ramadan City, dove nell’esplosione è morta una donna. Sebbene non rivendicati, secondo l’intelligence egiziana, gli attentati – ancora una volta avvenuti in coincidenza di un aggiornamento procedurale di un processo contro i leader della Fratellanza Musulmana – sono stati condotti da frange di jihadisti e di islamisti radicali per vendicare la destituzione dell’ex Presidente Mohammed Mursi. Nelle stesse ore al Cairo e nelle altre città del Paese si organizzavano nuove manifestazioni di protesta dei gruppi pro-Mursi. Nella capitale, a Fayyoum e ad Ismailia si sono avuti gli incidenti maggiori (quattro morti e una decina di feriti). Negli scontri con le forze di sicurezza, sono morti quattro manifestanti e un poliziotto. Intanto nel Sinai, parallelamente alla dichiarazione di alleanza tra Ansar Bayt al-Maqdis e lo Stato Islamico del Califfo al-Baghdadi – smentita poche ore dopo sul profilo Twitter dello stesso gruppo jihadista egiziano –, continuano ad andare avanti le operazioni di counterterrorism/counterinsurgency dell’esercito egiziano. Istituita definitivamente la buffer zone di 500 metri per 13 chilometri lungo il confine di Gaza e portate a termine le operazioni di demolizione delle 820 abitazioni, le forze di sicurezza dovranno ora trovare una soluzione alle oltre mille famiglie sfollate. Proprio questa misura, insieme ad altri atti stringenti e giustificati dal governo egiziano per combattere il terrorismo interno e regionale (ad esempio l’istituzione delle corti militari per giudicare i civili), Il Cairo è stato accusato da Human Rights Watch e dall’Universal Periodic Review delle Nazioni Unite di utilizzare un doppio standard nel perseguire tali obiettivi: infatti, con l’intento di reprimere la criminalità e il terrorismo islamista, le autorità starebbero in realtà perseguendo e reprimendo ogni forma di dissenso in maniera indiscriminata. Secondo numerosi attivisti dei diritti umani, le misure repressive del governo potrebbero avere un effetto boomerang favorendo invece le simpatie/solidarietà verso i terroristi attivi in tutto il Paese.
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MALI, 2 NOVEMBRE ↴ A circa 120 km da Gao, nel nord del Mali, un congegno esplosivo è stato fatto esplodere nei pressi di una postazione delle forze armate maliane, provocando la morte di due soldati e il ferimento di altri quattro. Non sono ancora stati identificati gli autori, ma il governo ha subito affermato che questo attentato rappresenta la fine del cessate il fuoco siglato ad Algeri. Nello stesso tempo a sud di Gao, reparti dell’esercito si sono scontrati con almeno uno dei gruppi armati di Kidal: 20 ribelli sono stati arrestati. Le dichiarazioni propagandistiche di entrambi gli schieramenti non permettono di capire chi sia stato ad infrangere gli accordi di Algeri, ma è evidente che un processo di pacificazione in Mali è molto difficile da tenere in piedi. Nel frattempo, dopo la morte del sergente maggiore dell’esercito francese, altre forze straniere sono state coinvolte nei fatti maliani. Il 30 ottobre scorso, nove soldati delle forze di sicurezza nigerine sono stati uccisi da assalitori non identificati, nel campo profughi di Mangaizé situato nell’ovest del Niger, nei pressi della frontiera con il Mali. Alcune fonti governative hanno dichiarato che in precedenza anche la prigione di Ouallam, situata nelle vicinanze, era stata assaltata e decine di criminali, tra i quali alcuni
esponenti
del
MUJAO
(Movimento
per
l’Unicità
del
Jihad
nell’Africa
Occidentale), sono fuggiti. Sebbene molti ritengano che l’attacco fosse diretto esclusivamente contro le forze di sicurezza nigerine, l’ovest del Niger rappresenta un importante punto di appoggio per le forze islamiste del Mali che vi dimorano indisturbate, malgrado la presenza delle forze francesi dell’Operation Barkhane. In un comunicato pubblicato martedì sera, la MINUSMA, la missione per il mantenimento della pace dell’ONU in Mali, ha comunicato di aver preso delle misure per valutare quanto accaduto: una équipe mista di Osservazione e Verifica si è recata nella regione di Gao per analizzare gli eventi e fornire un relazione alla Commissione Tecnica Mista di Sicurezza, che dovrà riferire le sue considerazioni al comandante della MINUSMA.
ROMANIA, 2 NOVEMBRE ↴ Le attese elezioni presidenziali nel Paese balcanico si sono concluse con una vittoria al primo turno del Premier in carica, il socialdemocratico Victor Ponta con il 40,33%. Un buon risultato ma molto lontano dalla soglia del 50%+1 necessaria a conquistare la presidenza. Al ballottaggio del 16 novembre il Premier se la vedrà con il candidato conservatore e rappresentante della comunità germanofona rumena, Klaus Johannis, sindaco della città di Sibiu, cha ha raggiunto il 30,44% delle preferenze. L’affluenza è stata del 52,56%. La campagna elettorale, già segnata da scandali e accuse di corruzione, ha visto consumarsi anche
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l’ennesimo scontro tra il Premier in carica e il Presidente della Repubblica uscente, il conservatore Traian Băsescu, con quest’ultimo che ha accusato Ponta di essere un’ex spia. Come previsto dalla legge, Băsescu, avendo completato i due mandati presidenziali, non era più candidabile.
STATI UNITI, 4 NOVEMBRE ↴ Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti hanno visto la vittoria del partito repubblicano ai danni di quello democratico e, di riflesso, la sconfitta di Barack Obama. In attesa del ballottaggio in Louisiana, i Repubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Senato, strappandolo ai rivali. A partire dal gennaio 2015, saranno 52 i seggi assegnati al Grand Old Party rispetto ai 44 dei Democratici. Anche la Camera dei Rappresentanti sarà appannaggio della maggioranza repubblicana, che ne ha ribadito il controllo. La nuova composizione vedrà 244 seggi occupati dai Repubblicani contro i 184 dei Democratici. Con il nuovo Congresso, si votava anche per eleggere 36 governatori. Il GOP, su questo fronte, ha vinto in tutti gli Stati dove era considerato favorito e buona parte in cui veniva dato come leggermente sfavorito, come in Florida, Illinois e Maine. Ha vinto in Kansas e in Maryland, quando si pensava che potesse avere rispettivamente il 20 e il 6% di potercela fare. Come nelle previsioni, i Democratici hanno mantenuto lo Stato di New York e la California. In totale i Repubblicani hanno guadagnato tre governatori: sono ad oggi 31 gli Stati governati dal GOP rispetto ai 17 del partito democratico. Chiuse le urne, Obama si è rivolto alla nazione affermando che «gli americani hanno inviato un messaggio, quello che stanno inviando da diverse elezioni a questa parte. Si aspettano che le persone che eleggono lavorino tanto duramente quanto loro. Vogliono che portiamo a termine il lavoro. E’ arrivato il momento di prenderci cura dei nostri affari. Ci sono cose che il nostro Paese deve mettere a posto pensando al futuro. Potremo trovare dei modi per lavorare insieme su problemi che mettano d’accordo anche tutti i cittadini americani. Cominciamo dalle cose su cui ci troviamo d’accordo».
TURCHIA, 6 NOVEMBRE ↴ All’avvicinarsi del 1° dicembre, data in cui la Turchia assumerà la presidenza del G-20 per l’anno venturo, il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha annunciato un ambizioso programma di riforme economiche. Il piano di sviluppo che verrà implementato a partire dal 2015 individua 25 aree di trasformazione, delle quali le prime nove sono state presentate nella giornata del 6 novembre ad Ankara. Nell’esporre le 12
misure Davutoğlu ha affermato: «il nostro processo di trasformazione sarà basato su 5 pilastri. Il primo dei quali è il mantenimento di una relazione bilanciata tra stabilità politica e prevedibilità economica», e più avanti «i nostri obiettivi sono far crescere il PIL da 800 milioni di dollari a 1,3 trilioni entro il 2018, diminuire il disavanzo delle partite correnti dal 6% al 5,2% del PIL e abbassare il livello di disoccupazione al 7% dal 9.8% attuale». In particolare la prima delle nove aree previste include da sola ben 417 piani di azione. Questo primo blocco concerne principalmente l’intenzione di diminuire la dipendenza della Turchia dalle importazioni, finalità da raggiungere aumentando la produttività del lavoro, la prevedibilità economica, lo sviluppo costante, le capacità tecnologiche nonché favorendo una maggiore attendibilità nazionale. Le ulteriori riforme annunciate riguardano un potenziamento degli investimenti tecnologici, un maggiore supporto alla produzione domestica, un aumento dell’utilizzo di energia basata sulle risorse interne del paese unita ad un incremento dell’efficienza nell’utilizzo energetico, un miglioramento nell’efficienza idrica attraverso la diffusione di impianti di irrigazione più moderni, la creazione di un comitato per coordinare l’industria farmaceutica così da garantire la copertura del 60% dei medicinali richiesti dal mercato turco, un irrobustimento delle capacità degli ospedali nazionali in modo da incentivare il turismo sanitario (nei primi 6 mesi del 2014 sono stati infatti 162.445 i pazienti stranieri in cura negli ospedali turchi) e infine una valorizzazione delle capacità logistiche della Turchia così da farla diventare un rilevante hub logistico nel Mediterraneo. Le restanti 16 aree di intervento verranno presentate dettagliatamente nei prossimi mesi.
UCRAINA, 2 NOVEMBRE ↴ In un arroventato clima regionale ed internazionale, le elezioni tenutesi il 2 novembre nelle auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk hanno come
da
previsioni
decretato
la
vittoria
rispettivamente di Aleksandr Zakharchenko e di Igor Plotnitsky. Il primo, seguito dal vice Presidente del Parlamento dell'Unione di Novorossiya, Aleksandr Kofman, e da un deputato del Consiglio Supremo locale, Yury Sivokonenko, ha ottenuto il 75% dei voti, confermandosi così alla guida della DPR dopo l'abbandono nel mese di agosto del russo Aleksandr Borodai. Il secondo ha invece ottenuto il 63% dei consensi. A livello legislativo, le consultazioni nella DPR hanno visto la vittoria del Donetsk Republic Party di Denis Pushilin con il 68,3% dei voti contro il 31,6% del Free Donbass di Yevgeny Orlov; nella LPR ha invece prevalso il Peace for Lugansk Region Party (69,4%) guidato dallo stesso Plotnitsky sulla Lugansk Economic Union di Oleg Akimov (22,2%). Mentre i servizi ucraini hanno aperto un'indagine sulla costituzionalità del voto, l'Unione Europea per mezzo dell'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza comune, Federica Mogherini, ha dichiarato di ritenere
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illegittime le consultazioni, che mettono a rischio l'accordo di Minsk dello scorso 5 settembre. In realtà Kiev, attraverso il portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa, Andriy Lysenko, il 7 novembre è tornata a denunciare nuovi sconfinamenti da parte di veicoli militari russi – almeno due colonne di mezzi e soldati – nel sud-est del Paese in direzione del centro di Krasnyj Luch. L'allarme è ora all'esame della NATO. Se nuove sanzioni nei confronti di Mosca sembrano per ora escluse, il Segretario di Stato USA Kerry e il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov hanno annunciato a margine dell'imminente Vertice APEC di aver raggiunto un accordo sullo scambio di informazioni su quanto avviene nelle aree di confine dell'Ucraina.
YEMEN, 6-9 NOVEMBRE ↴ Il 6 novembre le forze di sicurezza yemenite hanno ucciso un importante leader di al-Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP), in un raid nello Yemen del sud, avvenuto pochi giorni dopo l’uccisione di un altro importante
leader
dell’organizzazione
islamista,
compiuta da un drone americano. L’uomo ucciso è Turki al-Asiri, conosciuto anche come Marwan al-Mekki, ed era un comandante locale di AQAP nella provincia meridionale di Lahj. La morte di questi due importanti leader rappresenta un duro colpo per AQAP che nel sud del Paese aveva preso di mira numerosi edifici governativi e basi dell’esercito, nonché alcuni esponenti politici. Sul fronte politico, il General People’s Congress (GPC), il partito del Presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, lo ha dimissionato dalla carica di Segretario Generale, eleggendo, al suo posto, un nuovo segretario e un vice. La decisione è stata presa dopo che Hadi aveva sollecitato l’ONU ad intraprendere sanzioni contro l’ex Presidente Ali Abdullah Saleh, considerato la longa manus dietro le proteste degli Houthi e il principale responsabile delle attuali turbolenze politiche. Messe da parte le tensioni interne al partito, il Presidente Hadi ha annunciato, nella giornata del 7 novembre, la formazione di un nuovo governo, anche questo costituito principalmente da tecnici, con Primo Ministro Khaled Mahfuz Behah, Ministro della Difesa il Generale Mahmoud al-Subaihi e ben quattro ministri donna. Il nuovo governo include diversi appartenenti ai ribelli Houthi, ma il GPC ha dichiarato che non darà il suo voto di fiducia a questo nuovo esecutivo, in quanto non è aderente ai criteri concordati lo scorso 1° novembre. Incurante della sfiducia del GPC, il nuovo governo ha prestato giuramento, dinanzi al Presidente Saleh, e subito dopo si è riunito in sessione straordinaria. Nonostante la nomina di questo nuovo governo sia stata accolta positivamente dalla comunità internazionale, è evidente che la mossa di Hadi non serve a stemperare le tensioni
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ALTRE DAL MONDO BULGARIA, 7 NOVEMBRE ↴ Il Parlamento bulgaro ha ufficialmente concesso la propria fiducia al nuovo governo di coalizione. Dopo le elezioni del 5 ottobre scorso è stato necessario un mese di trattative per raggiungere un accordo che potesse dare vita ad un governo. Il voto di ottobre, infatti, che ha visto la vittoria del partito di centro-destra GERB, guidato da Boyko Borisov, si è rivelato il più frammentato a partire dalla caduta del comunismo nel Paese. Il GERB di Borisov, per l’appunto, dal 2013 non gode più della maggioranza in Parlamento, motivo per cui non è stato semplice riuscire ad avere una coalizione che potesse ricevere il voto di fiducia dell’Assemblea. Tuttavia il Primo Ministro Borisov, che ha già ricoperto tale carica dal 2009 al 2013 quando fu costretto ad annunciare le dimissioni anticipate in seguito a proteste di piazza contro il carovita, ha guadagnato il consenso tramite la creazione della coalizione con il Blocco Riformista e grazie all’appoggio dei partiti bulgari: Fronte Patriottico (centro-destra) e ABV (centro-sinistra). Le sfide che il nuovo governo di minoranza dovrà affrontare nei prossimi mesi saranno numerose, soprattutto per quanto riguarda la situazione economica bulgara caratterizzata da una lenta economia e dal recente collasso della Corpbank, la quarta principale banca del Paese.
COREA DEL NORD, 6 NOVEMBRE ↴ Il regime di Pyongyang non abbandona i progetti di rafforzamento dell’arsenale bellico. L’intelligence sudcoreana denuncia il completamento di una rampa per il lancio di missili a lunga gittata. A ciò si aggiungono le conferme sull’operatività di un sottomarino di fabbricazione sovietica modificato per lanciare missili balistici. Dopo la parziale e altalenante distensione sperimentata negli ultimi due mesi, le provocazioni di Pyongyang tendono ad un nuovo inasprimento delle tensioni.
ITALIA-UNIONE EUROPEA, 4 NOVEMBRE ↴ Scambio di accuse tra il Primo Ministro italiano, Matteo Renzi, e il nuovo Presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. Renzi, nel sottolineare l’esigenza di cambiare faccia non solo all’Italia ma anche all’Unione Europea, ha affermato che i «tecnocrati di Bruxelles» sono una «banda di burocrati» volta alla conservazione dello status quo. Juncker, in risposta, ha invitato il Premier a rispettare la Commissione Europea «una istituzione legittima come i governi dei singoli Stati membri».
MESSICO, 6 NOVEMBRE ↴ Dopo settimane di ricerche sono stati ritrovati in una fossa comune i resti dei 43 ragazzi di Iguala, nello Stato di Guerrero (nel sud del Paese), scomparsi lo scorso 26 15
settembre. Il ritrovamento è avvenuto a Colula dopo che tre sicari del gruppo del narcotraffico locale Guerreros Unidos avevano iniziato a collaborare con le forze di polizia fornendo i particolari macabri degli omicidi. Dopo gli arresti del sindaco della città, Josè Luis Abarca, considerato il mandante della strage insieme alla moglie, Angeles Pineda Villa, e al suo responsabile della sicurezza pubblica, tuttora latitante, si sono moltiplicate le manifestazioni di denuncia in tutto il Paese contro quella che è considerata una delle principali piaghe del Messico, ossia la collusione fra Stato e criminalità organizzata. Alla base dell’omicidio vi sarebbe un futile motivo: Abarca avrebbe richiesto l’aiuto dei narcos per sbarazzarsi di tutti coloro che sarebbero intervenuti a contestare la signora Pineda Villa impegnata in quei giorni in un comizio politico pubblico. MYANMAR, 31 OTTOBRE ↴ Di fronte all’attesa scadenza elettorale del 2015, un incontro presieduto dal Presidente Thein Sein ed aperto a tutte le fazioni politiche, nonché alle gerarchie militari, ha avvallato l’esame in sede parlamentare di un emendamento costituzionale atto a permettere la candidatura, oggi preclusa da una norma evidentemente ad personam, di Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana e simbolo di quel processo di rinnovamento democratico che ancora non trova traduzione nel Paese. Nell’imminenza del consesso ASEAN, la prevista visita del Presidente Obama potrebbe rivelarsi necessaria per l’acquisizione dell’elevata maggioranza qualificata (pari al 75%) richiesta per la modifica della norma incriminata.
RUSSIA-SERBIA, 5 NOVEMBRE ↴ Il Ministero della Difesa russo ha annunciato l'avvio di una serie di esercitazioni militari congiunte con Belgrado ("Srem 2014"). Queste avranno inizio entro la metà di novembre e prevedono manovre di tipo tattico anti-terrorismo coinvolgendo i paracadutisti russi e le truppe di terra serbe. Nel 2015 sono invece previste esercitazioni da parte dei reparti dell'aviazione. Le operazioni sono in linea con il piano di cooperazione militare internazionale delle forze russe per il 2014 e nell'ambito della partnership militare con la Serbia siglata nel 2013.
STATI UNITI-IRAN, 6 NOVEMBRE ↴ Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, avrebbe scritto alla Guida Suprema, Ali Khamenei, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, per invitare l’Iran a siglare un deal informale che da un lato rafforzi la cooperazione tra Teheran e Washington nella lotta allo Stato Islamico e dall’altro permetta di raggiungere entro la deadline del 24 novembre un accordo definitivo sulla questione del nucleare iraniano. Il Segretario di Stato John Kerry ha però smentito il possibile legame tra questi due affari.
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SUD SUDAN, 5 NOVEMBRE ↴ I leader di Sudan e Unione Africana, Omar al-Bashir e Thabo Mbeki, si sono incontrati a Khartoum per discutere le prossime tappe del dialogo nazionale sudsudanese. I leader africani hanno convenuto sulla necessità di una ripresa immediata dei negoziati tra i gruppi in lotta. Intanto le forze ribelli di Machar hanno accusato il governo di Juba di aver violato il cessate il fuoco dopo che le due parti si erano impegnate a fermare nuovamente i combattimenti.
UNIONE EUROPEA-NATO, 5 NOVEMBRE ↴ Primo incontro al vertice tra il nuovo Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, e il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg. I due hanno concordato sulla necessità di aumentare la collaborazione e il coordinamento fra le due istituzioni per completarsi reciprocamente in quanto esse condividono i medesimi valori e affrontano le stesse sfide sul piano globale.
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ANALISI E COMMENTI US MIDTERM 2014: VITTORIA AI PUNTI PER I REPUBBLICANI DAVIDE BORSANI ↴ Il processo di polarizzazione del sistema politico americano post-crisi finanziaria è giunto al suo compimento. L’esito delle elezioni di metà mandato è stato fallimentare su più fronti per il Partito Democratico di Obama, che ha perso la maggioranza al Senato dissipando un vantaggio di otto seggi che, negli ultimi quattro anni, gli aveva permesso di controbilanciare il controllo da parte dei Repubblicani della House of Representatives. Ad oggi la Camera Alta è tornata, per la prima volta dal 2006, nelle mani del Grand Old Party (GOP), che, in attesa del ballottaggio in Louisiana, può vantare un vantaggio di sette seggi, 52 contro 45, uno in più di quelli necessari per ottenere la maggioranza assoluta. Anche alla Camera Bassa i Repubblicani hanno stravinto. Non solo ne hanno ribadito il controllo, ma hanno persino incrementato il gap che li separa dai Democratici. Se, fino all’altro ieri, la differenza era pari a 35 seggi, oggi è quasi raddoppiata. Mitch McConnell, nuovo leader della maggioranza al Senato, ha decantato il trionfo del GOP affermando che «inizia una nuova gara» a Washington «per cambiare direzione al Paese, per restaurare la speranza, l’ottimismo e la fiducia». Il risultato delle midterm è per certi versi sorprendente. Le elezioni presidenziali del 2012 si erano giocate pressoché interamente sul terreno dell’economia. Obama, sull’onda lunga dell’immaginario del cambiamento, era riuscito ad ottenere la riconferma alla Casa Bianca grazie a quella parte dell’elettorato non bianco, rappresentato in prevalenza dagli afro-americani e dagli ispanici, che ancora aveva creduto alla retorica del “Yes, we can” e alle promesse di una maggiore uguaglianza sociale. Esito sorprendente, quindi, perché gli Stati Uniti nel corso dell’ultimo biennio hanno dimostrato di essere un Paese economicamente dinamico non solo a parole. Gli attuali dati macroeconomici mostrano che il prodotto interno lordo sta crescendo ad un ottimo ritmo tra il 3 e il 4%, l’inflazione si attesta fisiologicamente tra l’1,5 e il 2% e il tasso di disoccupazione è tornato al di sotto della soglia psicologica del 6%. Ma non è tutto oro ciò che luccica (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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