BloGlobal Weekly N°27 2014

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N°27, 30 NOVEMBRE – 13 DICEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 14 dicembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: CIA; US Air Force; Reuters; AP; AFP/Getty Images/A. Nimani; Reuters; Xinhua; ANSA; AFP; AP/Reuters/RFE-RL Graphics;


FOCUS IRAQ/SIRIA↴

Il 3 dicembre la flotta iraniana ha compiuto delle incursioni in territorio iracheno contro le postazioni dello Stato Islamico (IS). Il vice Ministro degli Esteri Ibrahim Rahimpour ha in seguito confermato l’azione militare, precisando che Teheran ha risposto alla richiesta di Baghdad agendo a tutela dell’integrità irachena. Rahimpour ha inoltre aggiunto che l’Iran non invierà truppe di terra, giudicando sufficiente l’assistenza fornita sul campo alle forze irachene e curde; al contrario, il rappresentante dell’esecutivo di Rouhani non si è pronunciato sulla possibilità di nuovi passaggi sui cieli dell’Iraq. Le autorità iraniane hanno infine negato qualsiasi forma di coordinamento con la controparte statunitense che, attraverso il Segretario di Stato John Kerry e l’Ambasciatore a Baghdad Stuart Jones, ha però valutato positivamente il contributo iraniano nella repressione del Califfato. Mentre il delegato a Ginevra, Abbas Araqchi, ha annunciato che il 17 dicembre riprenderanno i negoziati sul programma nucleare iraniano con le delegazioni dei membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza ONU e della Germania, i provvedimenti adottati da Teheran possono leggersi tanto in una pragmatica dimostrazione di buona volontà verso Washington, quanto nel tentativo di consolidare un capitale negoziale in vista della composizione della crisi siro-irachena e del confronto con la superpotenza occidentale. Intanto, il 9 dicembre il Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha ospitato gli omologhi di Siria e Iraq in un raro incontro trilaterale che esibisce il rafforzamento della convergenza contro il nemico comune dell’estremismo sunnita.

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Anche gli F-16 del Marocco hanno per la prima volta aperto il fuoco contro le roccaforti dell’IS nei pressi della capitale irachena e in altre località di entrambi i Paesi interessati dall’insurrezione islamista. È attorno alla frattura incisa dallo Stato Islamico che le potenze regionali ed extraregionali avvitano complesse trame diplomatiche. Se il Ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman avverte i partner occidentali della prossima presentazione di un «coraggioso progetto di pace» che prevede non precisate «dolorose concessioni» da parte di Israele per il ricompattamento del Medio Oriente contro la minaccia del fondamentalismo islamico, Mosca si candida come foro negoziale per la risoluzione del conflitto civile in Siria, auspicando l’avvio sotto i buoni uffici russi di un dialogo siro-americano. A tal fine, il vice Ministro degli Esteri Mikhail Bogdanov si è recato a Damasco per patrocinare l’avvicinamento di Bashar al-Assad alla posizione delle potenze occidentali. In visita a Baghdad al compimento dell’incarico di Segretario della Difesa, Chuck Hagel ha invece raccolto l’istanza del Premier iracheno Haider al-Abadi per la vendita di armamenti pesanti addizionali. In linea con la posizione sovente ricordata dalla presidenza Obama, Hagel ha precisato che la soluzione della crisi aggravata dall’emersione violenta dell’IS rimane di stretta pertinenza delle istituzioni di Baghdad. In un’intervista rilasciata al Wall Street Journal, l’influente Consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice ha invece derubricato come “prematura” l’ipotesi, sollecitata da sponda turca, della costituzione in terra siriana di una zona cuscinetto, poiché questa soluzione diparte dal ventaglio di possibilità ponderato dall’amministrazione statunitense, oltre che essere alquanto dispendiosa in termini di risorse. L’11 dicembre la Commissione per le Relazioni Esterne del Senato ha approvato una bozza di autorizzazione per l’intervento militare contro lo Stato Islamico. A oggi le operazioni americane erano state forzatamente ricondotte alle autorizzazioni votate dal Congresso nel 2001 e nel 2002. Il documento – redatto dal Presidente della Commissione, il senatore democratico Robert Menendez – fissa il limite temporale di tre anni e vieta l’impiego di truppe di terra, se non nelle ipotesi della protezione del personale americano, del recupero di ostaggi e della raccolta d’informazioni. Le clausole hanno incontrato la disapprovazione dell’amministrazione in carica: il Segretario Kerry ha espresso la preferenza per la stesura di un mandato che non “leghi le mani” della presidenza, suggerendo inoltre di non limitare la portata geografica delle operazioni e prevedendo la possibilità di colpire anche i gruppi associati al Califfato. L’autorizzazione (votata con dieci voti favorevoli e otto contrari) sarà proposta all’esame del Senato, ma i senatori repubblicani rappresentati da John McCain hanno aspramente criticato l’iniziativa di Menendez ammonendo che l’eventuale entrata in vigore dell’autorizzazione sarebbe da considerarsi illegittima prima del rinnovo del Congresso (a maggioranza repubblicana) all’inizio del 2015. Nel teatro dei combattimenti non conoscono tregua gli assalti dei miliziani jihadisti che nell’ultima settimana hanno lanciato molteplici attacchi dinamitardi nei 2


pressi di Samarra. Le scorrerie hanno decimato la Brigata Badr, tra i principali gruppi paramilitari di estrazione sciita, costretta ad arretrare nella cittadina di Mukayshfah che congiunge Samarra a Tikrit (quest’ultima da mesi sotto pieno controllo del Califfato). I guerriglieri sono inoltre riusciti a strappare all’esercito iracheno una serie di checkpoint a Dejla, che permettono allo Stato Islamico di intercettare e interdire i rifornimenti destinati alle zone settentrionali del Paese. Nell’Anbar la continuità del giogo jihadista agisce invece come elemento divisivo, corrompendo e osteggiando la posizione dei gruppi tribali sunniti rispetto alle istituzioni centrali. A testimoniare la profondità delle lacerazioni esasperate dal Califfato, gli sceicchi Jabbar al-Fahdawi e Dhaher Bedewi – leader di fazioni tribali che tra il 2006 e il 2007 lanciarono il “risveglio” sunnita contro i seguaci qaidisti di al-Zarqawi – hanno dichiarato che l’unità del fronte sunnita sia un risultato impossibile da conseguire, aggiungendo che il tradimento dei gruppi sedotti dallo Stato Islamico non sarà perdonato.

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ISRAELE↴

Dopo settimane di accuse reciproche, il 2 dicembre il Premier Benjamin Netanyahu ha annunciato il licenziamento dei Ministri (cinque in tutto) legati ai partiti centristi HaTnuah e Yesh Atid, di Tzipi Livni e Yair Lapid, rispettivamente ex responsabili di Giustizia (con delega al processo di pace palestinese) e di Finanze. La decisione è stata giustificata dal Premier come necessaria dopo le «incessanti e intollerabili critiche contro la sua persona e l’esecutivo». Dure la replica della Livni che ha definito il Premier un «bugiardo» e che è giunto il momento per Israele di «scegliere se vuole essere uno Stato sionista o uno Stato estremista». Altrettanto netto è stato Lapid che accusa Netanyahu di essere «un’irresponsabile» e di «aver già siglato accordi sottobanco con HaBait HaYehudì di Naftali Bennett e i partiti religiosi» per dare vita ad una nuova coalizione «che porterà il Paese a destra». Alla base della spaccatura nell’esecutivo vi è il controverso disegno di legge su Israele Stato-nazione del popolo ebraico, ritenuto dagli ex alleati centristi una misura inutile e capace soltanto di alzare il livello di tensione per fare un “favore” ai coloni e ai gruppi politici di loro riferimento (Lieberman e Bennett). In realtà, come hanno fatto notare molti analisti, alla base della frattura politica tra l’anima moderato-centrista e quella di destra nazionalista e religiosa vi sarebbe la questione del budget che già in settembre aveva fatto preludere ad una possibile caduta del governo. Infatti dopo i 50 giorni di Guerra a Gaza, l’IDF aveva richiesto un surplus di budget per coprire il buco di bilancio venutosi a creare data l’imprevista crescita di spese militari. In quell’occasione si era venuta a creare un’alleanza trasversale e insolita tra Yesh Atid e il partito religioso sefardita Shas che chiedevano che vi fosse un incremento di spesa per i giovani e il welfare, mentre Likud,

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HaBait HaYehudì e Yisrael Beiteinu chiedevano uno stornamento delle risorse in favore del comparto difesa e sicurezza. Allo stato dei fatti, la Knesset, il Parlamento israeliano, si è riunito d’urgenza per discutere dell’opportunità o meno di sciogliere l’assemblea – la legislazione israeliana prevede che il Parlamento possa continuare a legiferare anche dopo la sua dissoluzione – e ha approvato il 3 dicembre una mozione sul suo scioglimento – 93 sì e nessun contrario – in vista delle elezioni anticipate fissate per il 17 marzo 2015. Secondo gli ultimi sondaggi, il Likud, partito di Netanyahu, è accreditato di 22/24 seggi contro i 18 attualmente detenuti in Parlamento, su un totale di 120. Di fatto però nessuna forza politica avrebbe le capacità di creare una maggioranza forte se non nei casi di un esecutivo totalmente spostato a destra con Likud, HaBait HaYehudì e Yisrael Beiteinu. Immediate le trattative per creare alleanze ampie e flessibili in grado mettere in minoranza Netanyahu. Yizhak Herzog, leader dei Labor, si è detto «pronto a guidare Israele» e ha stretto con la Livni un’alleanza programmatica per una coalizione di centro-sinistra che potrebbe inglobare anche Yesh Atid, creando così un blocco forte e alternativo capace di garantire stabilità e coerenza nei programmi di governo. Intanto sul fronte palestinese continuano le tensioni e gli scontri che hanno visto il 10 dicembre scorso la morte eccellente del Ministro per gli Affari delle Colonie Ziad Abu Ein a Turmusiya, in Cisgiordania. La dinamica non risulta essere chiara date le versioni divergenti (gli israeliani ritengono si sia trattato di un infarto, i palestinesi attaccano ritenendo che sia stato colpito da un’arma da fuoco). Abu Ein stava manifestando pacificamente contro la realizzazione di una colonia quando i soldati israeliani hanno iniziato a sparare lacrimogeni. Poco dopo il Ministro palestinese si è accasciato a terra, probabilmente colpito da infarto dopo aver ricevuto alcuni colpi dai soldati israeliani. Un incidente grave che ha ridato nuova linfa alle tensioni tra israeliani e palestinesi. Il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen ha parlato di «atto barbaro che non possiamo accettare», annunciando tre giorni di lutto in Cisgiordania, e dichiarando, infine, che «sono al vaglio tutte le opzioni del caso contro Israele». La comunità internazionale ha richiamato le parti alla calma ma chiede spiegazioni chiare sull’accaduto. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, ha chiesto «un’immediata inchiesta indipendente». Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon «ha lanciato un appello alle autorità israeliane affinché conducano un’indagine rapida e trasparente». Dal canto suo, Netanyahu e il Ministro della Difesa Ya’alon hanno espresso il proprio dispiacere per l’accaduto e hanno assicurato che Israele indagherà sull’incidente in maniera responsabile.

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STATI UNITI ↴

Sarà Ashton Carter a sostituire Chuck Hagel in qualità di Segretario della Difesa. Carter ha maturato una solida esperienza in seno al Pentagono, dapprima in qualità di Sottosegretario con competenze nei settori dell’acquisto dei sistemi d’arma, dell’innovazione tecnologica e della logistica, poi in veste di “numero due” del Dipartimento. Il profilo tecnico selezionato dall’amministrazione Obama ha ottenuto il beneplacito di democratici e repubblicani in virtù della profonda conoscenza degli anfratti del dicastero. Tuttavia, Carter assume l’incarico in un momento di particolare difficoltà per il Pentagono e per la politica di sicurezza statunitense nel suo complesso: non solo le pressanti questioni sollevate dallo Stato Islamico in Medio Oriente e dal protagonismo russo in Ucraina saranno argomenti scottanti dell’agenda del Segretario, ma anche la riorganizzazione delle Forze Armate a causa dei pesanti tagli alla componente discrezionale del bilancio federale, che nel medio periodo avranno un forte impatto sull’operatività dei reparti militari. L’11 dicembre la Camera ha approvato di misura (219 voti favorevoli, 206 contrari) la legge di bilancio per l’anno fiscale 2015. Il testo è stato bocciato da buona parte dei deputati democratici, in particolare a causa della previsione di garanzie pubbliche sullo scambio dei derivati bancari che hanno sostanzialmente alleggerito la riforma “punitiva” del settore finanziario, così incrinando il rapporto fiduciario tra l’amministrazione in carica e lo stesso partito del Presidente. Il bilancio federale, di un ammontare pari a 1,1 trilioni di dollari, è stato poi sottoposto al vaglio del Senato; nonostante il compromesso abbia destato ampie critiche anche tra le fila repubblicane soprattutto in riferimento ai recenti decreti presidenziali in materia di immigrazione, l’approvazione in extremis della camera alta del Congresso è stata necessaria a sventare la paralisi per insolvibilità (“shutdown”) della pubblica amministrazione. 6


Ad alzare un ben più tetro polverone sulle istituzioni statunitensi e sulla loro credibilità internazionale è la pubblicazione di un testo di sintesi del voluminoso rapporto d’inchiesta realizzato nell’arco di un quinquennio dalla Commissione di Intelligence del Senato, che documenta i brutali interrogatori cui sono stati sottoposti dalla Central Intelligence Agency individui sospettati o accusati di terrorismo. La relazione dettaglia l’impiego sistematico e regolare di tecniche disumane e degradanti allo scopo di estorcere informazioni sensibili a individui trattenuti in stato di detenzione senza alcuna garanzia processuale; inoltre, certifica in modo inquietante che le alte cariche dell’amministrazione Bush fossero a conoscenza e giustificassero la commissione di atti di tortura per fondate ragioni di sicurezza nazionale. Sia l’esecutivo democratico presieduto da Barack Obama che l’opposizione repubblicana capeggiata dal senatore John McCain ha condannato i fatti circostanziati dall’indagine parlamentare, denunciando la totale contrarietà di simili tecniche di anti-terrorismo con l’impianto democratico e liberale del Paese. Al contrario, non sono poche le voci all’interno dello stesso Congresso che sollevano vizi di forma e di sostanza rispetto ai criteri d’indagine cui si è attenuta la Commissione inquirente ovvero che contestano l’opportunità di divulgare i risultati del rapporto finale. A prevalere, tuttavia, è un diffuso sgomento che chiama la dirigenza statunitense a interrogarsi anzitutto sul grado di autonomia e di segretezza goduto dai servizi d’intelligence.

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UCRAINA ↴

Con 288 voti a favore – 62 in più rispetto al quorum richiesto – lo scorso 2 dicembre il Parlamento ucraino ha accordato la fiducia al nuovo esecutivo guidato da Arseniy Yatsenyuk, stabilizzando in via definitiva il processo politico-istituzionale avviato all'indomani della destituzione dell'ex Presidente Viktor Yanukovich. Mentre Arsen Avakov, Pavlo Klimkin e il Generale Stepan Poltorak hanno mantenuto rispettivamente la titolarità degli Interni, degli Esteri e della Difesa, la novità è stata rappresentata nell'affidamento di alcuni dicasteri chiave a tre stranieri – a cui è stata concessa appositamente la cittadinanza ucraina – sulla base di una selezione operata da due società di recruiting (Pedersen & Partners e Korn Ferry, sostenute da George Soros secondo il Kiyv Post) tra gli stranieri presenti a Kiev e tra i membri della comunità ucraina che lavorano in Canada, negli Stati Uniti e nel Regno Unito a conferma dell'impronta pienamente filo-occidentale del Paese. Al Ministero delle Finanze è stata nominata la statunitense di origine ucraina Natalia Jaresko, già capo della sezione economica dell'Ambasciata USA a Kiev tra il 1992 e il 1995, nonché Presidente e Amministratore delegato della Western NIS Enterprise Fund (WNISEF) – società di private equity creata attraverso la U.S. Agency for International Development (USAID) – e co-fondatrice e CEO di Horizon Capital, e per questo considerata tra gli stranieri più influenti nel panorama finanziario ucraino. Il lituano Aivaras Abromavicius, partner della società di investimenti East Capital e vice Presidente della Investor Protection Association in Russia, è invece il Ministro dell'Economia. Alla Sanità è invece andato l'ex Ministro georgiano della Salute e del Lavoro Alexander Kvitashvili. La fiducia al nuovo governo è peraltro giunta nel giorno del Vertice dei Ministri degli Esteri dei Paesi NATO a Bruxelles, i quali, condannando il rafforzamento delle 8


strutture militari russe in Crimea e denunciando nuovamente il tentativo di Mosca di destabilizzare le regioni orientali dell'Ucraina, hanno annunciato l'istituzione di nuove misure di sostegno a favore di Kiev che, sulla base di un'intesa raggiunta nel summit di Newport, consistono essenzialmente nell'attivazione di quattro fondi fiduciari per contribuire all'aggiornamento della logistica, delle capacità di guerra informatica, di comando e controllo e di servizi medici. Vi è inoltre un accordo per un quinto fondo per sostenere i soldati ucraini feriti. Lo stesso vertice è stata l'occasione per rassicurare i Paesi dell'Europa Orientale circa la difesa da un possibile intervento russo: oltre all'intensificazione del pattugliamento aereo sul Mar Baltico e oltre alla continua rotazione di unità militari della NATO all'interno e al di fuori di Paesi come Polonia e Repubbliche baltiche, dal prossimo 1° gennaio 2015 dovrebbe essere operativa una brigata terrestre di circa 4.000 uomini messi a disposizione da Germania, Norvegia e Paesi Bassi. Il 3 dicembre la Commissione europea ha inoltre annunciato la concessione di 500 milioni di euro in aiuti all'Ucraina, quale ultima tranche del programma di assistenza da 1,6 miliardi approvato lo scorso marzo; il supporto offerto dagli Stati Uniti, invece, secondo quanto dichiarato dal Segretario di Stato John Kerry, ammonterebbe a 118 milioni di dollari e riguarderebbe programmi di assistenza e formazione, non includendo aiuti di tipo letale. Sul piano del conflitto, nonostante l'intensità e il numero degli scontri nel Donbass si siano ridotti, la prosecuzione di episodi di violenza ha richiesto il raggiungimento di un nuovo accordo di cessate il fuoco (2 dicembre) tra governo e separatisti dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk lungo la linea di contatto: secondo quanto riferito dagli osservatori dell'OSCE, la tregua è entrata in vigore il 5 dicembre mentre dal giorno successivo è stato avviato il ritiro delle attrezzature pesanti. È stata raggiunta anche un'intesa per un cessate il fuoco temporaneo nella zona dell'aeroporto di Donetsk, per mesi terreno di combattimenti tra governativi e ribelli. Nonostante l'ennesimo convoglio russo di presunti aiuti umanitari abbia oltrepassato i confini senza autorizzazione, dimostrando quanto in realtà gli equilibri restino fragili, il 12 dicembre Petro Poroshenko – in visita in Australia per la sigla di alcuni accordi commerciali (relativi in particolar modo alla fornitura di uranio) – ha dichiarato che per la prima volta dopo sette mesi non si sono verificati scontri per 24 ore consecutive.

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BREVI AF-PAK, 13 DICEMBRE ↴ È di almeno 20 morti il bilancio di una serie di attentati talebani

e

diretti

in

particolare

contro

obiettivi

governativi a poche settimane dalla conclusione della missione ISAF in Afghanistan. Oltre all'uccisione del Segretario dell'Alto Consiglio della Corte Suprema, Atiqullah Raoufi, freddato con colpi d'arma da fuoco mentre usciva dalla sua residenza a Kabul, un kamikaze si è fatto saltare in aria a Gazargah, località a sud-ovest della capitale, al passaggio di un convoglio della NATO, provocando 7 morti tra cui due americani, come rende noto il Dipartimento della Difesa USA, e 18 feriti tra cui anche dei civili. Nella stessa giornata del 13 dicembre un ulteriore attacco è stato diretto contro un gruppo di artificieri impegnati in operazioni di sminamento nella provincia meridionale di Helmand: sono almeno 12 i morti e altrettanti i feriti. La settimana era stata peraltro segnata dall'attentato di un giovane kamikaze all'interno del Centro culturale francese a Kabul mentre era in corso una rappresentazione teatrale. Mentre il Pentagono ha annunciato la chiusura del carcere di Bagram – già passato sotto il controllo delle autorità militari afghane nel 2012 – come previsto dal programma di detenzione americano, una serie di raid della NATO in due distretti della provincia centrale afghana di Parwan hanno ucciso 12 militanti e almeno 5 civili, scatenando tuttavia le proteste da parte dei cittadini locali. Sul piano regionale la lotta al terrorismo ha visto l'uccisione – pur se non ancora confermata da fonti indipendenti – del capo delle operazioni esterne di al-Qaeda, Adnan al-Shukrijumah, da parte delle forze di sicurezza pakistane (6 dicembre) nel corso di un'operazione nella regione di Shinwarsak, nel Sud Waziristan, area tribale già oggetto della campagna “Zarb-iAzb” lanciata nello scorso giugno dopo l'attacco all'aeroporto di Karachi. Nella cerchia più stretta degli uomini di bin Laden, successore di Khalid Sheikh Mohammed (mente degli

attacchi

dell'11

settembre),

e

dunque

tra

i

principali

ricercati

da

Washington, Shukrijumah era accusato di essere coinvolto nella pianificazione di alcuni attentati a New York e nel Regno Unito nel 2009.

CAUCASO, 4-12 DICEMBRE ↴ A venti anni dall’inizio della Prima Guerra Cecena (l’11 dicembre 1994), la regione del Caucaso è ancora teatro di conflitti tra i separatisti, gli islamisti e le forze armate russe. A Grozny, capoluogo della Cecenia, nella notte tra il 3 e 4 dicembre un gruppo di militanti a bordo di tre autovetture ha aperto il fuoco contro un posto di

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blocco della polizia stradale uccidendo tre agenti. Gli scontri sono continuati successivamente nell’edificio delle telecomunicazioni della città e in una scuola poco lontana. Entrambe le strutture sono state date alle fiamme nel corso della notte. Il bilancio delle vittime è di circa 15 agenti e 9 militanti. Nella regione caucasica nonostante dopo la fine della Seconda Guerra Cecena la tensione non si sia mai sopita, quello di Grozny del 4 dicembre può essere considerato l’accadimento più violento degli ultimi anni. A rivendicare l’attacco è stato il gruppo islamico Emirato del Caucaso (Imarat Kavkaz), il quale ha dichiarato che si è trattato di una ritorsione contro le forze dell’ordine per le molestie subite dalle donne musulmane nella Repubblica cecena. L’attentato, tuttavia, potrebbe essere stato diretto a mettere sotto pressione il Presidente russo, Vladimir Putin, il quale di lì a poche ore ha tenuto il discorso al Parlamento sullo stato del Paese. Alcuni analisti sostengono, inoltre, che possa essere una protesta contro il sostegno russo al regime siriano di Bashar alAssad, in quanto combattenti islamici del Caucaso hanno deciso di lottare al fianco dei ribelli in Siria. Nei giorni successivi all’attacco, uomini a volto coperto hanno incendiato le abitazioni dei familiari dei militanti ritenuti responsabili e il Presidente ceceno filo-russo, Ramzan Kadyrov, ha dichiarato che l’azione è stata condotta in segno punitivo contro i terroristi. Infine, nei giorni passati, nell’ambito dell’operazione di contro-terrorismo condotta da Mosca nel Caucaso, ulteriori scontri a fuoco si sono verificati anche nelle altre due repubbliche caucasiche del Daghestan e di KabardinoBalkaria. L’11 dicembre in Kabardino-Balkaria, in un’operazione di counter terrorism guidata dalle Forze Speciali russe, sono stati uccisi 4 militanti islamisti in scontri a fuoco nel capoluogo, Nalchik. Il giorno successivo hanno incontrato la stessa sorte 5 militanti nella Repubblica del Daghestan asserragliati in una casa del centro di Machačkala, principale città daghestana.

EGITTO, 9 DICEMBRE ↴ Dopo settimane di intense discussioni, il governo di transizione egiziano ha trovato un accordo per il disegno di legge sulla nuova legge elettorale, firmato anche dal Presidente al-Sisi – in settimana in visita ufficiale in Giordania –, che diventerà effettivo in occasione

delle

consultazioni

per

il

rinnovo

dell’Assemblea del Popolo (la Camera bassa) del marzo 2015, mettendo fine – almeno nei processi istituzionali – all’iter transitorio iniziato nella seconda rivoluzione egiziana dopo la destituzione dell’allora Capo di Stato, l’islamista Mohammed Mursi, il 3 luglio 2013. La nuova Assemblea popolare sarà costituita da 567 seggi, di cui 420 destinati ai candidati indipendenti (73%) e 120 alle liste di partito (22%), mentre il Presidente avrà il diritto di nominare il restante 5% dei parlamentari, pari a 27 seggi rimanenti. A lasciare i maggiori dubbi nella nuova legge elettorale è tuttavia la ripartizione dei seggi all’interno delle circoscrizioni e dei governatorati. Il Paese sarà diviso in 231 11


circoscrizioni, che eleggeranno 420 deputati col sistema uninominale e 120 col sistema di lista proporzionale. Di questi 231 distretti, 77 potranno dare una sola preferenza, 119 ne daranno due e i 35 rimanenti invece tre. Per poter essere eletti bisognerà garantirsi 131.000 preferenze. In questo modo si favoriscono le preferenze dei candidati non cittadini. Infatti, se al Cairo o ad Alessandria ci sono più distretti mentre ad Assuan meno, è vero che ci sono molte probabilità di eleggere nelle periferie un candidato più vicino all’attuale establishment che nelle città. Una misura, questa, che secondo i detrattori sarebbe volta ad eliminare quelle forme minime di resistenza al regime e, allo stesso tempo, di vicinanza ai Fratelli Musulmani. Sempre il governo negli stessi giorni ha approvato una nuova e più restrittiva legge antiterrorismo: punti principali del nuovo testo sono la possibilità di individuare e giudicare come “terroristi” tutti coloro che occupano un suolo pubblico ritenuto strategico (infrastrutture civili ed edifici pubblici di rilevanza primaria) senza aver ottenuto un previo benestare dall’autorità amministrativa. Secondo le autorità centrali queste misure si erano rese necessarie dopo l’impressionate serie di attentati nel Sinai che avevano portato nell’ottobre scorso al più pesante attacco con perdite (31 morti tra soldati e ufficiali) sin dalla stagione terroristica del 2005. Intanto le forze di sicurezza hanno lanciato una nuova operazione di counter terrorism a Sheikh Zuweid, nel nord della penisola sinaitica, uccidendo circa una decina di affiliati ad Ansar Bayt al-Maqdis, la principale sigla terroristica attiva nell’area.

KOSOVO, 9 DICEMBRE ↴ Dopo un periodo di stallo durato sei mesi, il Kosovo ha finalmente un nuovo governo grazie ad un accordo di coalizione tra i principali partiti, la Lega Democratica del Kosovo (LDK) e il Partito Democratico del Kosovo (PDK). Nonostante le elezioni si siano tenute in giugno, le lotte intestine tra i partiti politici avevano impedito, finora, il raggiungimento di un accordo per la formazione dell’esecutivo. La coalizione di governo sarà guidata dal 63enne Isa Mustafa, ex-sindaco della capitale Pristina e leader del LDK, il primo capo di governo a non essere direttamente legato ai partiti fautori dell’indipendenza dell’ex provincia serba. Hashim Thaci, Primo Ministro uscente e leader del PDK, sarà nella coalizione di governo con l’incarico di vice Premier e Ministro degli Esteri, in attesa di diventare nel 2016, come previsto dall’accordo, Presidente della Repubblica. Nonostante il partito di Thaci abbia vinto le elezioni dell’8 giugno non ha ottenuto la maggioranza dei seggi in Parlamento per nominare nuovamente un proprio esponente alla guida del governo. La nuova amministrazione è composta di otto Ministri del LDK e sette del PDK, con i Ministeri meno rilevanti riservati ai partiti minori, tra cui anche i rappresentanti della minoranza serba che hanno approvato l’accordo. Il nuovo governo di Isa Mustafa dovrà affrontare prima di ogni altra cosa il problema economico di un Paese che 12


cresce al ritmo del 4% annuo ma la cui economia è flagellata da corruzione, tassi altissimi di disoccupazione e con metà della popolazione in condizioni di povertà. L’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza europea, Federica Mogherini, ha dichiarato tutta la soddisfazione dell’UE per la formazione del nuovo governo kosovaro, augurandosi di poter lavorare al più presto con le nuove autorità di Pristina. In realtà, l’Unione Europea dovrà preoccuparsi di ridare credibilità alla propria missione in Kosovo, EULEX, toccata dalle accuse di corruzione e di cattiva gestione.

INDIA-RUSSIA, 11 DICEMBRE ↴ Nell’annuale summit bilaterale andato in scena a New Delhi, il Premier indiano Narendra Modi e il Presidente russo Vladimir Putin hanno firmato venti accordi strategici di cooperazione su energia nucleare, petrolio, gas, commercio e difesa militare per un valore di diversi miliardi di dollari. Come hanno tenuto a spiegare le parti, le intese firmate rientrano all’interno di una «visione di partnership strategica volta ad aumentare non solo l’interscambio commerciale bilaterale – nel 2013 questo ha toccato i 10 miliardi di dollari – ma anche a diversificare gli investimenti nonché a porre le condizioni per la creazione di un’area di libero scambio nei due Paesi e all’interno del progetto di Unione Economica Eurasiatica». Si spiegano in questa prospettiva gli accordi firmati nei comparti energetico e difesa. Nell’ambito del nucleare, la russa Rosatom, l’azienda statale del nucleare, ha firmato un accordo per la costruzione di 12 reattori in India nei prossimi vent’anni. Il programma comprende anche la fabbricazione di apparecchiature e componenti in India. Mosca e New Delhi hanno inoltre trovato un'intesa per l'esplorazione congiunta, la produzione e la fornitura di petrolio greggio e anche per lo studio e la progettazione di un sistema di condutture che collegheranno Russia e India. L’intento è di creare le condizioni per una collaborazione rafforzata nei corridoi energetici e dei trasporti internazionali nord-sud. Compagnie indiane aderiranno anche ai progetti russi di produzione del petrolio e gas nell’Artico. Due colossi energetici come Gazprom e Rosneft hanno firmato tre accordi commerciali con il gruppo indiano Essar per una fornitura di 10 anni di greggio russo. Sono stati firmati anche accordi per 800 milioni di euro per sviluppare progetti nell’idroelettrico. Nel settore della difesa, infine, Modi ha sottolineato come la Russia possa diventare un partner strategico per New Delhi e che pertanto sono in discussione numerosi progetti di cooperazione allo studio. Tra questi, quelli riguardanti la produzione e la fornitura di elicotteri tecnologicamente avanzati Mi-17 e Ka-226, a destinazione civile e militare. In India sarà anche organizzata la produzione di componenti per il materiale bellico russo, per un valore complessivo di 3 miliardi di dollari.

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NIGERIA, 10-11 DICEMBRE ↴ Il 10 dicembre una doppia esplosione ha sconvolto il mercato Kantinkwari della città di Kano, nel nord della Nigeria, causando la morte di quattro persone ed il ferimento

di

sette.

Secondo

alcuni

testimoni

l’esplosione sarebbe stata provocata da due donne kamikaze che si sono fatte saltare in aria, in due differenti punti del mercato, lontano dalle aree più trafficate. Kano, la più grande città del nord è stata lo scenario di numerosi attacchi terroristici, tra cui quello dello scorso 29 novembre, quando un’esplosione ha colpito la principale moschea della città uccidendo 120 persone e ferendone circa 300. Nel frattempo, la polizia di Kano ha arrestato una ragazza di 13 anni che indossava una cintura esplosiva e che si era recata presso il vicino ospedale per curarsi dalle ferite post-attentato. Il giorno successivo, l’11 dicembre, un altro doppio attentato è avvenuto a Jos, città situata nella Nigeria centrale, e ha causato la morte di almeno 31 persone. Le esplosioni sono avvenute mentre i proprietari dei negozi stavano abbassando le serrande e i musulmani si preparavano alla preghiera della sera. Testimoni raccontano di una prima esplosione avvenuta nei pressi di un negozio di alimentari e di una seconda vicino al mercato Terminus, nel centro della città. Entrambi questi attacchi non sono stati rivendicati, ma portano il marchio di Boko Haram, gli estremisti islamici collegati ad al-Qaeda che da diversi anni stanno insanguinando la Nigeria nel tentativo di stabilire un califfato islamico nel nord-est del Paese. I due attacchi sono visti come la volontà da parte dei miliziani di agitare le tensioni tra cristiani e musulmani in un Paese profondamente diviso: la città di Jos è situata nella parte centrale del Paese, dove gli scontri tra i musulmani, in prevalenza nel nord, e i cristiani, in maggioranza al sud, sono molto frequenti.

TURCHIA, 1-10 DICEMBRE ↴ I primi dieci giorni della Presidenza turca di turno del G-20 in prospettiva 2015 sono stati segnati da diverse visite ufficiali di rappresentanti e Capi di Stato. Di particolare rilevanza è stata la visita del Presidente russo Vladimir Putin, il 1° dicembre, conclusasi con importanti dichiarazioni in merito ai rapporti commerciali ed energetici tra i due Paesi. Erdoğan e Putin hanno affermato la propria volontà di rafforzare i reciproci legami economici portando gli scambi commerciali ad un valore di 100 miliardi di dollari. È stato rinnovato l’impegno finanziario russo nel creazione del primo sito nucleare turco ad Akkuyu, progetto del valore di 20 miliardi di dollari. Di notevole impatto è stato l’annuncio di Putin circa la chiusura del progetto del gasdotto South Stream, accompagnata dalla dichiarazione dell’avvio

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di un nuovo piano per la creazione di un maxi-gasdotto sottomarino da installare in Turchia al confine con la Grecia. In tal modo Mosca, di fatto, ha nominato Ankara quale partner privilegiato per gli scambi energetici, a discapito di Ucraina e Bulgaria. Ancora in materia energetica, Mosca si è impegnata a diminuire il prezzo del gas venduto alla Turchia del 6% a partire da gennaio 2015. Un nemico comune è stato riscontrato nell’IS, contro il quale i due Stati hanno confermato di voler lottare unitamente, mentre continua il disaccordo tra Erdoğan e Putin relativamente alle relazioni con il Presidente siriano Bashar al-Assad. Russia e Turchia hanno riaffermato le proprie posizioni nel merito: la prima a sostegno del regime siriano mentre la seconda continua ad affermare la necessità della deposizione di Assad. L’ultimo argomento trattato dai due Presidenti, è stata la questione dei tatari-crimeani, il 10% circa della popolazione della penisola di Crimea. In merito all’etnia turcofona, Putin ha rassicurato Erdoğan di aver già provveduto ad un riconoscimento dell’idioma tataro tra le lingue ufficiali crimeane. Altri importanti arrivi ad Ankara sono stati l’8 e 9 dicembre la visita dell’Alto Rappresentante europeo per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, accompagnata dai Commissari europei per l’Allargamento e per gli Aiuti Umanitari, e, infine, la visita del Premier italiano Matteo Renzi del 10 e 11 dicembre. Quest’ultimo ha ribadito il sostegno italiano allo Stato turco affermando che «bisogna rilanciare il processo di avvicinamento della Turchia all’Unione Europea» e che «faremo ogni sforzo perché l’UE apra con maggiore determinazione nuovi capitoli negoziali e contemporaneamente che la Turchia continui nel percorso di collaborazione come c’è stato più volte riconfermato».

YEMEN, 3-9 DICEMBRE ↴ Continuano gli scontri in Yemen tra i militanti jihadisti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) e i ribelli sciiti del movimento Houthi che sta conducendo la progressiva conquista di punti strategici nel Paese arabo, come il controllo della capitale Sana’a. In questa città, mercoledì 3 dicembre, un’autobomba ha di fatti colpito l’ambasciata iraniana uccidendo tre persone e ferendone altrettante. L’attentato è stato reclamato da AQAP a causa del sostegno dell’Iran al movimento Houthi. Non si tratta del primo evento di tale stampo: infatti, il 9 ottobre scorso un altro attentato contro una base del movimento sciita ha causato la morte di 47 persone. In seguito all’attacco contro l’Ambasciata iraniana, il 6 dicembre, è stato condotto un blitz delle forze speciali americane e yemenite per la liberazione di due ostaggi catturati nei mesi scorsi da AQAP, uno americano e uno sudafricano. Tuttavia l’operazione si è conclusa con l’uccisione di 11 militanti ma con la morte anche dei due prigionieri. In un video rilasciato da AQAP, l’ufficiale Nasser bin Ali al-Ansi ha affermato che «Obama ha preso la decisione sbagliata, ed ha firmato l’uccisione dei due ostaggi [...]. Obama ha ordinato l’assalto nonostante il nostro avvertimento di

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non fare niente di avventato». In ritorsione al blitz i militanti qaedisti hanno lanciato un attacco contro la base aerea militare americana di al-Anad nel sud dello Yemen, l’11 dicembre, colpendola con sei razzi. Non sono stati dati numeri certi, ma sarebbero rimasti feriti alcuni uomini delle truppe yemenite. Infine, due altri scontri sono avvenuti nella provincia di Hadramout tra i soldati e i militanti nel corso delle prime due settimane di dicembre: il primo, l’8 dicembre, nella città di Shihr in cui in seguito ad una sparatoria due soldati hanno perso la vita ed uno è stato ferito. Il secondo, il giorno successivo, nella città di Sayoun in cui due autobomba dirette contro una base militare yemenita hanno causato la morte sette soldati e il ferimento di almeno otto.

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ALTRE DAL MONDO ARABIA SAUDITA, 8 DICEMBRE ↴ Dopo aver rassegnato le dimissioni dal proprio incarico, Re Abdullah bin Abdulaziz alSaud ha provveduto alla nomina di otto nuovi Ministri, in quello che rappresenta il più grande rimpasto di governo degli ultimi anni. Sono stati nominati i nuovi Ministri degli Affari Islamici, dell’Educazione, delle Comunicazioni, della Salute, dei Trasporti, dell’Agricoltura, della Cultura e degli Affari Sociali. Per la prima volta il Ministero della Salute ha un suo rappresentante apposito essendo stato finora retto ad interim da un altro Ministro. La decisione delle nuove nomine anticipa la pubblicazione del budget del regno saudita per il 2015 che dovrebbe prevedere una riduzione della spesa a causa delle minori entrate dovute al basso prezzo del petrolio degli ultimi mesi.

CINA, 11 DICEMBRE ↴ Con l'arresto di 209 persone e lo sgombero degli ultimi presidi nel distretto finanziario di Admiralty da parte della polizia locale a seguito di un'ordinanza emessa dall'Alta Corte di Hong Kong, sembrano essere terminate le manifestazioni di protesta che per 75 giorni hanno attraversato l'ex colonia britannica. Sceso in piazza chiedendo innanzitutto un suffragio universale per le elezioni dello Chief Executive previste per 2017, il movimento di Occupy Central non ha ottenuto alcun risultato significativo né è stata aperta alcuna forma di dialogo duratura tra autorità centrali e imanifestanti.

IRAN-TURKMENISTAN-KAZAKISTAN, 3 DICEMBRE ↴ I Presidenti di Iran, Turkmenistan e Kazakhstan hanno inaugurato il 3 dicembre a Incheh Borun una nuova ferrovia che collega i tre Stati. La linea, la cui costruzione è iniziata nel 2009, è lunga 925 chilometri e collegherà Ozen a Berekt e Goran consentendo una comunicazione di merci e persone notevolmente rapida. La conseguenza della nuova infrastruttura sarà pertanto un cospicuo aumento dello scambio di beni tra i tre Paesi: dalla quota di 3 milioni di tonnellate è previsto un aumento a 10 milioni, e il raggiungimento di 20 milioni entro il 2020. Il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha affermato che i tre Stati «dovrebbero fare ulteriori sforzi per stringere le proprie relazioni [...] così da supportare sviluppo, stabilità e sicurezza».

KENYA, 5 DICEMBRE ↴ L’ufficio del procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI) de L’Aja ha ritirato le accuse di crimini contro l’umanità a carico del Presidente del Kenya Uhuru Kenyatta: la procuratrice Fatou Bensouda ha dichiarato di non avere prove sufficienti per confermare la colpevolezza del leader kenyano. Il Presidente Kenyatta, assieme al vice Presidente William Ruto, era accusato di crimini contro l’umanità commessi 17


durante le violenze post-elettorali del 2007 che causarono la morte di 1.200 kenyani e oltre 600mila profughi interni.

MOLDAVIA, 30 NOVEMBRE ↴ Si sono svolte il 30 novembre le elezioni legislative in Moldavia. Il risultato ha mostrato una polarizzazione della società della ex Repubblica Sovietica tra chi è a favore del proseguimento del processo di integrazione europea e chi invece propende per un miglioramento dei rapporti con la Russia. Con il 23% e il 20% dei consensi, il Partito Socialista di Igor Donon e il Partito Comunista di Vladimir Vornin si sono attestati rispettivamente come prima e terza forza parlamentare. A formare la squadra di governo sarà tuttavia nuovamente la coalizione dei partiti europeisti formata dal Partito Liberale Democratico, il Partito Democratico e il Partito Liberale Riformista, i quali hanno raggiunto nel complesso il 45% dei voti e 55 seggi parlamentari sui 101 totali.

QATAR, 9 DICEMBRE ↴ È andato in scena a Doha il 35esimo summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), che ha segnato il riallineamento del Qatar ad Arabia Saudita e ad Emirati Arabi Uniti dopo lo strappo sorto in merito alle divergenze sulle questioni politiche interne alla regione e alle divisioni sorte e accresciute in seguito gli altri partner in merito alla seconda rivoluzione egiziana del 2013. Grazie alla decisiva mediazione kuwaitiana, la famiglia al-Thani ha sottoscritto un comunicato finale che afferma il pieno supporto al programma politico del Presidente al-Sisi e che dunque distanzia ulteriormente l’ambivalente diplomazia qatarina dalla convergenza con la Fratellanza Musulmana. Il GCC ha inoltre reiterato la condanna dello Stato Islamico e dei gruppi jihadisti operanti in Siria; sul piano delle relazioni economiche le monarchie petrolifere del Golfo hanno espresso preoccupazione per il crollo dei prezzi del greggio, richiamando l’urgenza di procedere speditamente verso l’obiettivo di un’unione doganale e di un mercato comune entro il 2018.

SVEZIA, 3 DICEMBRE ↴ Il partito di estrema destra dei Democratici Svedesi, guidato da Mattias Karlsson, ha bocciato il disegno di legge finanziaria proposto dall'esecutivo del socialdemocratico Stefan Löfven, eletto lo scorso 3 ottobre ma costretto ad un governo di minoranza con i Verdi. La decisione, ufficialmente motivata da un aumento delle tasse per destinare maggiori fondi all'istruzione, al welfare e all’occupazione, sarebbe riconducibile allo scontro politico relativo alla riduzione delle quote di immigrazione – fino al 90% – nel Paese. Löfven ha indetto elezioni anticipate per il prossimo 22 marzo 2015.

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TUNISIA, 11 DICEMBRE ↴ Hamadi Jebali, Primo Ministro dal dicembre 2011 al febbraio 2013, ha annunciato la sua fuoriuscita dal partito Ennahda, di cui è stato Segretario Generale dal 1981 sino ad oggi. Jebali ha pubblicamente espresso un forte disagio rispetto alla strategia politica tenuta dal movimento, la cui corrente maggioritaria sembra convergere sulla candidatura di Béji Caïd Essebsi – anziano leader del partito laico Nidaa Tounes che ha sopravanzato Ennahda alle recenti consultazioni elettorali – contro quella del Presidente uscente Moncef Marzouki apertamente sostenuto da Jebali. Quest’ultimo ha aggiunto che si dedicherà in prima persona e al di fuori delle appartenenze partitiche alla difesa della rivoluzione tunisina e dei principi riconosciuti dalla giovane Carta Costituzionale.

URUGUAY, 30 NOVEMBRE ↴ Nel ballottaggio delle elezioni presidenziali, il candidato di centro sinistra del Frente Amplio, l’economista Tabarè Vazquez, è diventato il nuovo Capo di Stato del Paese latinoamericano vincendo facilmente con il 53% dei consensi contro il 41% dello sfidante conservatore del Partido Blanco, Luis Lacalle Pou. Vazquez è il terzo Presidente consecutivo del decennio socialista uruguayano che, pur promuovendo politiche progressiste e solidali, si distanzia nettamente dai modelli eterodossi e populisti del cosiddetto asse bolivariano (Venezuela, Bolivia, Ecuador e Nicaragua) o quello peronista dell'Argentina dei Kirchner.

VENEZUELA, 11 DICEMBRE ↴ La Camera dei Rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti ha votato un nuovo pacchetto di sanzioni contro alcune decine di funzionari e vertici dell’establishment militare e civile al potere a Caracas. Alla base delle sanzioni USA vi sarebbe l’accusa di violazione dei diritti umani da parte del regime durante le proteste scoppiate nel febbraio di quest'anno nel Paese. Il Ministro degli Esteri Rafael Ramirez e il Presidente Maduro hanno criticato le sanzioni spiegando come «queste azioni sono un nuovo attacco imperialista allo Stato bolivariano».

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ANALISI E COMMENTI HONG KONG FRA NOSTALGIE OCCIDENTALI E RIVENDICAZIONI CINESI PAOLO BALMAS ↴ Il movimento per le libertà democratiche di Hong Kong, conosciuto con il nome di Occupy Central with Love and Peace, guidato dal 17enne Joshua Wong, ha occupato dal settembre 2014 prima di tutto lo spazio dei media locali e mondiali. Sullo sfondo delle naturali incomprensioni sorte fra quei due ordini enunciati nella famosa frase di Deng Xiaoping “un Paese, due sistemi”, sembra svilupparsi anche un’opposizione fra Repubblica Popolare Cinese e Occidente. Hong Kong è una città-Stato di circa sette milioni di abitanti che vivono su un territorio di poco più di 1.000 km 2 e composto, oltre alla parte continentale, da più di 200 isole. La popolazione è concentrata nelle zone urbane che registrano una densità particolarmente elevata. Occupata dalle forze inglesi durante la Prima Guerra dell’Oppio (1840-42), Hong Kong fu formalmente ceduta all’Impero britannico dal governo cinese con il trattato di Nanchino (1842) e proclamata colonia britannica nel 1843 (…) SEGUE >>>

LA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO E IL PROBLEMA DEI MOVIMENTI RIBELLI DANILO GIORDANO ↴ Gli ultimi attacchi compiuti ai danni della popolazione civile della Repubblica Democratica del Congo, verificatisi giovedì 20 e venerdì 21 novembre in alcuni villaggi nei pressi della città di Beni, nella regione orientale del Nord Kivu, hanno causato la morte di almeno un centinaio di persone. Il bilancio esatto delle vittime è tuttora da definire: mentre Juma Balikwisha, deputato dell’opposizione congolese, ha dichiarato di aver «contato 95 corpi interrati in una fossa comune», Albert Baliesima, rappresentante della maggioranza al governo, ha affermato che «il bilancio definitivo oscilla tra i 70 e i 100 morti» aggiungendo inoltre che le forze di sicurezza «non hanno voluto che si continuasse a cercare, per evitare ulteriori ritrovamenti» Questa ennesima carneficina porta ad oltre 200 il numero totale delle vittime provocate, nell’ultimo mese, dagli assalti indiscriminati delle milizie ribelli dell’Allied Democratic Forces (ADF) ai danni della popolazione civile inerme (…) SEGUE >>>

TURCHIA E AZERBAIJAN: UNA RELAZIONE ALL’OMBRA DELLE PIPELINES FILIPPO URBINATI ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA Sin dalla fine della Guerra Fredda, Turchia e Azerbaijan hanno intrattenuto delle ottime relazioni. In un contesto fluido come quello dei primi anni Novanta, le leadership dei due Paesi hanno intrapreso un percorso che le ha portate inesorabilmente a convergere verso un rapporto sempre più stretto. Seguendo una precisa scelta politica,

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l’establishment di Baku decise di impostare la neonata Repubblica, emersa sulle ceneri della Repubblica Socialista Sovietica Azera, seguendo quello che allora veniva chiamato il “modello turco”; ovvero un governo democratico, un regime secolare e la progressiva integrazione nelle strutture euro-atlantiche. Negli stessi anni in Turchia, sotto la spinta dell’allora Presidente Turgut Özal, andava prendendo forma quella che è stata definita la politica panturchista, ovvero la volontà di creare sinergie ed estendere la propria sfera di influenza sulle Repubbliche turcomanne del Caucaso meridionale e dell’Asia Centrale (…) SEGUE >>>

ATENE SFIDA LA TROIKA: FINE DELLA RECESSIONE O PROPAGANDA? GIUSEPPE CONSIGLIO ↴ Già alla fine di settembre, le intenzioni di Antonis Samaras, Primo Ministro greco, sembravano chiare: la Grecia avrebbe abbandonato il piano di salvataggio imbastito dalla troika prospettando un’uscita anticipata dalle tutele di FMI, BCE e Commissione europea. Ed è stato al termine di un incontro con Angela Merkel, tenutosi a Berlino pochi giorni prima dalla visita ad Atene dei funzionari della troika, che Samaras annunciava il nuovo corso del Paese diventato forse in Europa il simbolo della crisi e delle conseguenze dell’austerità sull’economia reale. La notizia non veniva accolta positivamente dai mercati. Nella giornata campale del 15 ottobre, il preludio del crollo delle borse lo dava il Dow Jones, giù di 2,5 punti, il dato peggiore degli ultimi tre anni. Pessima la performance di Milano, che sprofondava del 4,4%, ed ovviamente di Atene, che dopo aver toccato il -9% riusciva a chiudere a -6,3% (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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