BloGlobal Weekly N°28/2014

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N째28, 14-21 DICEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 21 dicembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: AFP; AP; Reuters/Zohra Bensemra; Flickr.com;


FOCUS CUBA-STATI UNITI↴

Dopo 53 di relazioni politiche interrotte, Stati Uniti e Cuba hanno fatto un primo passo verso il riavvicinamento diplomatico. A definire il de-freeze nei rapporti bilaterali è stata una telefonata di 45 minuti tra i Presidenti Barack Obama e Raùl Castro avvenuta il 17 dicembre scorso nella quale i due leader annunciavano la riapertura di un canale di dialogo ufficiale. Barack Obama ha poi tenuto un discorso alla TV affermando che gli USA hanno aperto un «nuovo capitolo» nei rapporti tra i due Paesi, ammettendo che «cinquant'anni di isolazionismo non hanno portato a nulla» e che «l’embargo ha fallito». Parallelamente anche Raùl Castro ha parlato alla popolazione cubana spiegando che la strada per una reale pacificazione è ancora lunga e che «nulla potrà cambiare fino a quando rimarrà in vigore el bloqueo» (l’embargo imposto dagli Stati Uniti). La notizia del reset dei rapporti diplomatici cubano-americani potrebbe mettere fine a 53 anni di tensioni iniziate in realtà durante l’era Eisenhower, nel 1959-60, a seguito della rivoluzione cubana che aveva portato al potere Fidel Castro e alla defenestrazione del dittatore vicino a Washington Fulgencio Batista. Queste si interruppero definitivamente con l’imposizione dell’embargo (economico, commerciale e finanziario) da parte di Kennedy a seguito della crisi dei missili di Cuba del febbraio 1962. Anche se l'embargo al momento rimarrà in vigore, l'amministrazione USA ha sottolineato che è sua intenzione eliminare entro il 2016 la misura restrittiva, anche se una tale opzione sul tavolo sembra essere molto complessa a causa della contrarietà del Congresso (dal prossimo 20 gennaio 2015 a totale controllo repubblicano) ad alleviarne le condizioni o rimuoverlo del tutto. 1


COSTI DELL’EMBARGO PER USA E CUBA

Alla base del disgelo tra USA e Cuba vi è stato uno scambio di prigionieri: i cubani hanno liberato Alan Gross, un contractor statunitense al servizio di USAID – l’ONG del Dipartimento di Stato accusata in vari Paesi di spionaggio –, e soprattutto, un agente segreto della CIA – la cui identità è rimasta segreta – tenuto nelle prigioni dell’Avana per oltre venti anni. Dall’altro lato, Washington ha rilasciato tre delle cinque spie del Wasp Network (altresì note come Miami Five), agenti cubani operativi nel sud della Florida con l’obiettivo di controllare la propaganda dei gruppi anti-castristi, soprattutto a Miami. Obama e Castro hanno inoltre concordato un’intesa di più ampio respiro che dovrebbe permettere da un lato un allentamento economico dell’embargo (facilitazioni nei visti e nei ricongiungimenti familiari, allentamento nel tetto massimo delle rimesse, etc.), dall’altro un ristabilimento delle relazioni politiche ufficiali attraverso la riapertura nei rispettivi Paesi dell’Ambasciata, assente dal 1961 ma ospitata dal 1977 grazie alla mediazione svizzera sotto forma di rappresentanza diplomatica ufficiosa. Questa operazione politica dovrebbe preludere nell’arco dei prossimi dodici mesi ad uno scambio di delegazioni governative a Cuba e negli USA che funga da apripista per la visita ufficiale o del Presidente Obama o del Segretario di Stato Kerry nell’isola caraibica. Secondo ricostruzioni di stampa, a facilitare il rapprochement tra USA e Cuba hanno giocato un ruolo fondamentale due fattori: da un lato il default economico venezuelano, dall’altro l’attivo ruolo diplomatico della Santa Sede e, in particolar modo, di Papa Francesco. Nel primo caso, le difficoltà finanziarie e politiche di Caracas hanno avuto uno spessore non indifferente in quanto Cuba, con un’economia asfittica e incapace di garantirle una certa sussistenza, sopravviveva grazie agli aiuti finanziari 2


ed energetici del partner venezuelano. Grazie ad un accordo stabilito da Chàvez con Fidel Castro, Caracas forniva circa il 20% del PIL di Cuba. La morte del caudillo di Barinas, l’instabilità politico-istituzionale e l’accentuata dipendenza economica dal petrolio, hanno reso il modello venezuelano estremamente debole ed esposto a troppe variabili esterne. Non potendo più dipendere unicamente dagli aiuti caraqueños, L’Avana ha iniziato nel 2013 un lento avvicinamento avviato inizialmente con alcune riforme interne (semplificazioni sulle norme per i visti ed eliminazione del sistema della doppia moneta) e proseguito da una negoziazione nell'estate dello stesso anno mediata dal governo canadese del Premier Harper e dalla Santa Sede culminata con la storica stretta di mano tra i due Presidenti avvenuta durante il funerale di Mandela il 10 dicembre 2013 a Johannesburg. In questo processo, il Vaticano ha giocato un ruolo chiave non solo attraverso il Papa – che nel marzo del 2014 aveva incontrato in Vaticano Obama discutendo proprio di Cuba e inviando due lettere ai due leader americani invitandoli ad un chiarimento e alla distensione nei rapporti –, ma anche attraverso il Segretario di Stato Pietro Parolin, già nunzio apostolico in Venezuela e profondo conoscitore delle realtà latinoamericane. Proprio Parolin ha svolto un eccezionale lavoro oscuro di preparazione al dialogo discutendo con entrambe le parti.

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PAKISTAN↴

Il 16 dicembre la città di Peshawar è stata teatro di uno dei massacri più sanguinosi della storia recente pakistana. Un commando di nove militanti del gruppo terroristico talebano Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) ha fatto irruzione in una scuola secondaria militare e ha aperto il fuoco indiscriminatamente su studenti, studentesse e insegnanti. Tre attentatori si sono inoltre fatti esplodere all’interno dell’edificio. Il bilancio dei morti è di 132 ragazzi e nove adulti. I militanti, con vesti di militari pakistani, sono giunti alla scuola nella Warsak Road a bordo di un pick-up intorno alle 10.30 del mattino. Dopo aver raggiunto il retro della struttura hanno dato alle fiamme la vettura in modo da bloccare il passaggio e si sono introdotti da un ingresso secondario dove hanno ucciso un soldato, un usciere ed un giardiniere così da poter raggiungere l’interno scolastico. Dopo circa sette ore di assedio, la polizia è riuscita a porre fine all’attacco riprendendo il controllo della scuola e uccidendo gli attentatori. A rivendicare l’azione terroristica è giunto un comunicato del portavoce talebano Muhammad Umar Khorasani contenente le parole «per l’attacco abbiamo scelto accuratamente la scuola dell’esercito perchè il governo sta colpendo le nostre famiglie e le nostre donne. Vogliamo che proviate la nostra stessa sofferenza.» Si tratta pertanto di una ritorsione dei talebani nei confronti delle forze armate di Islamabad che stanno conducendo dal giugno scorso una mirata campagna di contro-terrorismo nella regione di confine con il vicino Afghanistan, coordinatamente con gli Stati Uniti. Dall’inizio dell’operazione la zona della provincia Khyber Pakhtunkhwa, il cui capoluogo è appunto Peshawar, è stata la più colpita da questo tipo di attentati. L’estrema porosità del confine ha portato, inoltre, molti militanti talebani

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pakistani a trovare rifugio nelle vicine montagne afghane per poter organizzare i propri colpi al riparo dagli attacchi delle forze pakistane. Tra questi militanti nascosti oltre il confine è compreso il leader del TTP, Maulana Fazlullah, ritenuto la mente dell’attentato alla scuola. Immediatamente dopo l’accaduto, Raheel Sharif, comandante dell’esercito, e Rizwan Akhtar, capo dei servizi segreti pakistani (ISI), si sono recati a Kabul per incontrare il Presidente Ashraf Ghani e chiedere a questi maggiore cooperazione e coordinamento nelle azioni di intelligence di contro-terrorismo. Ghani ha in seguito affermato che «è arrivato il momento per Afghanistan e Pakistan di agire insieme nella lotta al terrorismo e all’estremismo con onestà ed efficacia». È noto, difatti, che i due governi abbiano in passato segretamente supportato i movimenti terroristici diretti a destabilizzare i rispettivi stati confinanti. Tuttavia negli ultimi mesi, in vista del prossimo ritiro delle truppe americane dal suolo afghano, la cooperazione sembra essere l’unica via percorribile al fine di evitare il completo degenerare della sicurezza nella regione. In merito alla strage da più parti si sono levate accuse nei confronti dei terroristi. In primis Nawaz Sharif, Primo Ministro pakistano, dopo aver annunciato tre giorni di lutto nazionale, ha affermato «vendicheremo ognuna e tutte le gocce di sangue dei nostri figli versate oggi». Le ferme parole di Raheel Sharif sull’accaduto hanno asserito «questi terroristi hanno colpito il cuore della nazione. Ma la nostra decisione di contrastare la minaccia ha ricevuto un nuovo impulso. Perseguiremo questi mostri e i loro sostenitori finchè non saranno del tutto eliminati». Il Premio Nobel per la pace, la giovane pakistana Malala Yousafzai in merito all’accaduto si è detta con «il cuore spezzato da questo attacco senza senso e compiuto a sangue freddo che si è verificato dinnanzi a noi». Dagli Stati Uniti arrivano le parole del Presidente Obama, che ha confermato la vicinanza al popolo pakistano e ad Islamabad nella lotta al terrorismo, e quelle del Segretario di Stato John Kerry che ha aggiunto «la notizia dell’aspra uccisione di più di 120 studenti a Peshawar è devastante. Questa mattina, ovunque viviate, chiunque siate, quelli sono i nostri figli e questa è una perdita per il mondo intero. Questo atto di terrore infuria e scuote ogni coscienza [...]. I responsabili devono essere chiamati a rispondere dinnanzi alla giustizia». Dal canto suo il Segretario Generale ONU, Ban Ki-moon, ha condannato l’attacco dicendo che «nessuna causa può giustificare una tale brutalità. Nessun reclamo può scusare un tale orrore [...]. Andare a scuola non dovrebbe rappresentare un atto di coraggio». Infine, il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni in un tweet ha descritto un «crimine contro l’umanità la strage di Peshawar. Italia solidale con famiglie e governo pakistano».

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BREVI IRAQ, 17 DICEMBRE ↴ I peshmerga curdi hanno condotto con successo un’operazione di terra sorretta dal fuoco dei caccia statunitensi nelle aree occidentali della provincia di Ninive al fine di riconquistare il controllo dei villaggi tra Zumar e il monte Sinjar. Oltre ottanta i caduti nelle file dello Stato Islamico. Nell’Anbar l’esercito iracheno ha invece colpito i miliziani dell’IS a est di Falluja, mentre i bombardamenti della coalizione internazionale hanno tamponato una nuova irruzione nei pressi di Haditha. Nonostante le smentite delle autorità militari, i guerriglieri del Califfato continuano a impegnare le forze regolari di Baghdad a Baiji, snodo logistico ed economico di primaria importanza strategica che alla metà di novembre le forze di sicurezza irachene erano riuscite a recuperare. Fonti non ufficiali documentano che l’esercito iracheno sia stato costretto a lasciare i quartieri meridionali della città poiché a corto di munizioni. Gli sbarramenti delle forze islamiste hanno avuto infatti buon gioco nell’ostacolare i rifornimenti provenienti dalla capitale, dunque debilitando la risalita verso Mosul. Il governo presieduto da Haider al-Abadi deve guardarsi non solo dagli estremisti sunniti sul campo di battaglia, ma anche dal fuoco amico all’interno delle instabili istituzioni politiche e dal peggioramento della situazione economica. Baghdad ha accolto l’offerta kuwaitiana della sospensione delle riparazioni dovute per l’invasione del 1990, ma il crollo nel prezzo del petrolio aggrava il deficit di bilancio e costringerà l’esecutivo iracheno a forzare la mano per un incremento dei livelli di produzione. Il Pentagono, per voce del Capo di Stato Maggiore interforze, il Generale Martin Dempsey, rende nota l’eliminazione di elementi chiave dell’organigramma califfale – tra cui Haji Mutazz, uomo di fiducia di al-Baghdadi, e Abd al-Basit, uno dei maggiori comandanti militari. Dall’inizio delle operazioni nel mese di agosto, l’aviazione della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti ha compiuto 1.361 raid contro avamposti e postazioni dello Stato Islamico. Intanto, il Segretario della Difesa Chuck Hagel ha diramato le direttive per il dispiegamento di oltre mille soldati, che nelle prossime due settimane aumenteranno sensibilmente la presenza statunitense in Iraq. Anche Germania e Italia hanno annunciato il prossimo schieramento di contingenti per l’addestramento delle truppe irachene. Il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha ammesso in un intervento alle Commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato che l’Italia contribuirà con l’invio di 280 tra consiglieri militari e addestratori delle forze curde e irachene (circa 100 unità), reparti logistici, unità per la sicurezza della base e anche 4/5 elicotteri del tipo NH-90 per compiti di trasporto ed evacuazione di feriti. Una cinquantina di militari italiani, infine, saranno inviati con compiti di consulenza presso i comandi iracheni a Baghdad e presso il

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quartier generale dell’operazione Inherent Resolve in Kuwait. In totale i militari italiani operativi nello scenario siro-iracheno saranno 525.

ISRAELE-PALESTINA, 17 DICEMBRE ↴ Con la mediazione giordana, l’Autorità Palestinese ha presentato al Consiglio di Sicurezza ONU una bozza di risoluzione per un accordo di pace con Israele che rimanda

esplicitamente

al

ritiro

israeliano

dalla

Cisgiordania entro novembre 2016 e al ripristino dei confini precedenti al 1967. L’Ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha dichiarato che il testo del documento è aperto a eventuali modifiche, esprimendo il proposito di raggiungere un compromesso negoziale che superi il veto statunitense, annunciato dal Segretario di Stato John Kerry a seguito degli incontri a Roma con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a Parigi con le delegazioni francesi, britanniche e tedesche, a Londra con il negoziatore palestinese Saeb Erekat e i rappresentanti della Lega Araba. Kerry ha dichiarato che lo status quo è insostenibile per entrambe le parti, ma ha giudicato inaccettabile il calendario proposto unilateralmente da Ramallah. Mentre la diplomazia israeliana ha denunciato la mozione palestinese quale atto di aggressione verso l’integrità di Israele, le cancellerie europee dirette da Parigi sono al lavoro su una bozza alternativa al fine di rilanciare il processo di pace dopo la brusca e sanguinosa interruzione degli scontri di Gaza, dell’agosto scorso. Nel frattempo il Parlamento europeo riunito a Strasburgo ha approvato una mozione che «sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati», basata sui confini del 1967 e con Gerusalemme capitale condivisa di «uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma». Inoltre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha rimosso Hamas dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche, adducendo motivazioni procedurali e mantenendo in vigore le misure restrittive sul congelamento dei beni. La sentenza è stata acremente rimproverata dal governo israeliano, mentre la portavoce dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Maja Kocijancic, ha precisato che le istituzioni europee considerano a tutti gli effetti Hamas come un gruppo terroristico. Nei prossimi due mesi il Consiglio europeo potrà ricorrere in appello contro la decisione della Corte. La decisione europea ha provocato le immediate proteste e richieste di chiarificazioni israeliane, fornendo così un nuovo elemento di tensioni tra Hamas e governo di Tel Aviv. Proprio quest’ultimo, a seguito dell’ennesimo lancio di razzi dalla Striscia verso il territorio israeliano, ha autorizzato la IAF (Israeli Air Force) a rispondere alla provocazione palestinese con alcuni raid aerei contro obiettivi e avamposti strategici di Hamas. Secondo l’agenzia stampa palestinese Maan, gli aerei israeliani hanno colpito un'installazione militare a nord-ovest di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, 7


senza fare vittime. Nel frattempo in Israele, le autorità militari hanno rilasciato all’incirca un migliaio di permessi speciali ai cristiani palestinesi di Cisgiordania in modo da poter festeggiare le festività e potersi recare a Gerusalemme e nelle altre città sante per la cristianità.

RUSSIA, 15 DICEMBRE ↴ La decisione della Bank of Russia di innalzare i tassi d'interesse di quasi 7 punti percentuali, dal 10,5% al 17%, con lo scopo di rafforzare il rublo (provato dal crollo del prezzo del petrolio oltre che dalle sanzioni occidentali) e di arrestare l'inflazione e la svalutazione, non ha bloccato il deprezzamento della valuta. Il rublo ha difatti perso il 20% del suo valore rispetto ad euro e dollaro in un giorno, raggiungendo nuovi minimi assoluti: 66,14 rubli per un dollaro e 82,67 per un euro. Già lo scorso 11 dicembre la Banca centrale russa aveva ritoccato il tasso di riferimento di un punto (dal 9,5%). La stessa Direttrice dell'Istituto bancario, Elvira Nabjullina, ha commentato che se il prezzo del petrolio resterà sui livelli attuali (circa 60 dollari al barile contro i 115 di giugno), Mosca potrà vedere una contrazione del PIL di almeno il 4,5%. Anche l'indice di borsa russo, l'RTS, ha chiuso la giornata del 17 dicembre con una perdita del 12,3% rispetto al giorno precedente, segnando il più forte ribasso dal 2008 in una sola giornata. L'inflazione ha raggiunto il 9% (e potrebbe raggiungere il 15% nei prossimi sei mesi) e la fuga di capitali nel 2014 dovrebbe essere di 125 milioni di dollari. Si tratta dello scenario più critico dopo la crisi del 1998. Nella sua tradizionale conferenza di fine anno (18 dicembre), il Presidente Vladimir Putin ha dichiarato che la crisi è determinata da elementi esterni e che il Paese ha le riserve sufficienti per affrontarla, delineando un orizzonte temporale di ripresa di circa due anni, a patto, evidentemente, dell'avvio di una diversificazione dell'economia nazionale.

UNIONE EUROPEA, 18 DICEMBRE ↴ L'ultimo Consiglio europeo del semestre di presidenza italiano si è concluso con l'approvazione del piano di investimenti da 315 miliardi di euro per il periodo 2015-2017 proposto dal Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Da gennaio 2015 prenderà dunque avvio la creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), aperto ai contribuenti degli Stati membri direttamente o attraverso le banche di promozione nazionali. La possibilità, inoltre, di considerare gli investimenti al di fuori del Patto di stabilità e crescita è secondo il Presidente del 8


Consiglio Matteo Renzi un primo segnale per un cambiamento di approccio - votato cioè alla flessibilità - nei confronti della crisi economica. Il Consiglio ha allo stesso tempo bocciato la richiesta di otto Paesi dell'est Europa circa la proroga fino al 2016 per l'impiego dei fondi europei 2007-13. Sul piano delle relazioni esterne, e precisamente transatlantiche, il Consiglio ha richiesto la conclusione entro la fine del 2015 dell'accordo commerciale e di investimenti con gli Stati Uniti (TTIP), definito ambizioso, globale e reciprocamente vantaggioso. Spazio infine per la situazione economica russa e la crisi ucraina: se non sono per ora previste ulteriori sanzioni verso Mosca, e accogliendo favorevolmente la formazione del nuovo governo di Kiev (a cui Bruxelles ha destinato 500 milioni di euro si assistenza macrofinanziaria), è stato ugualmente approvato un nuovo pacchetto di misure restrittive per la Crimea. Dal 20 dicembre le imprese europee non potranno comprare beni immobiliari o finanziare imprese della penisola, così come è fatto divieto di esportare beni e tecnologie nel settore dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell'energia, per l'esplorazione e l'estrazione di petrolio o di gas, per l'assistenza tecnica e i servizi ingegneristici.

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ALTRE DAL MONDO AUSTRALIA, 15 DICEMBRE ↴ Si è concluso con un bilancio finale di tre morti e alcuni feriti il blitz delle forze di polizia australiane avvenuto a Sidney all’alba di martedì. Un fondamentalista islamico di origini iraniane, Man Haron Monis, aveva fatto irruzione in un bar della catena di distribuzione Lindt, situato nella centrale Martin Place, prendendo in ostaggio le dodici persone che erano all’interno. Le vittime, oltre all’assalitore, sono il gestore del Lindt Cafe, Toni Morrison, e l’avvocato Katrina Dawson. Monis era conosciuto dalla polizia australiana in quanto accusato di alcuni crimini a sfondo sessuale, ma è ritenuto un caso isolato.

COLOMBIA, 18 DICEMBRE ↴ I ribelli marxisti delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale e indefinito, augurandosi di poterlo trasformare in un armistizio e affermando che riprenderanno le armi solo se saranno attaccati dall’esercito. Il cessate il fuoco è unilaterale poiché il Presidente colombiano Manuel Santos ha rifiutato la proposta di un accordo bilaterale, ritenendola uno stratagemma delle FARC per guadagnare tempo e per riarmarsi. L’annuncio del coprifuoco, che avrà effetto dalla mezzanotte di sabato, giunge mentre a l’Avana si stanno svolgendo i colloqui di pace tra FARC e governo colombiano, ripresi dopo il rilascio di un generale dell’esercito.

EGITTO, 18-20 DICEMBRE ↴ Il Comandante della marina militare siriana, nonché cugino di Bashar al Assad, si è recato per una visita ufficiale al Cairo nella quale ha incontrato il Presidente Abdel Fattah al-Sisi. Emad al-Assad ha partecipato ufficialmente ad una conferenza delle marine militari arabe, ma secondo fonti di stampa mediorientali nell’incontro con il Presidente egiziano si sarebbe discusso di un possibile ruolo del Cairo quale mediatore indipendente nella crisi siriana. Intanto a Roma, il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha incontrato in un bilaterale il suo omologo egiziano Sedki Sobhi per discutere di cooperazione militare rafforzata. Possibile un interesse reciproco sulla questione libica.

GIAPPONE, 14 DICEMBRE ↴ La 47esima elezione generale per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti giapponese, indette anticipatamente lo scorso novembre, ha visto la decisa affermazione del Partito Liberal Democratico (LDP) del Premier Shinzo Abe che, insieme con gli alleati del Komeito (KM), ha ottenuto due terzi dei seggi (326 su 475). Ha ottenuto 10


solo 73 seggi il Partito Democratico (DPJ) di Banri Kaieda, all'opposizione insieme con i Comunisti (JCP) di Kazuo Shii (21 seggi). Nonostante la bassa affluenza alle urne (53%, 7 punti in meno rispetto al 2012, il dato più basso dal dopoguerra), il risultato rappresenta un successo personale per lo stesso Abe e per la sua politica di riforme strutturali ribattezzata “Abenomics”.

ITALIA-INDIA, 19 DICEMBRE ↴ Il Ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj ha dichiarato di aver preso in esame una proposta italiana per la soluzione del caso marò, i fucilieri della Marina accusati dell'omicidio di due pescatori nelle acque del Kerala nel 2012, anche se ha tenuto a specificare che la questione è più che mai nelle mani della Corte Suprema indiana. Il 17 dicembre l'Italia aveva richiamato il proprio Ambasciatore a New Delhi, Daniele Mancini, dopo la decisione della stessa Corte di non prolungare la permanenza in Italia di Massimiliano Latorre e di concedere un permesso a Salvatore Girone. I Ministri Gentiloni e Pinotti hanno dichiarato nuovamente di essere pronti per intraprendere la via dell'arbitrato internazionale.

SOMALIA, 15 DICEMBRE ↴ Alcuni ribelli del gruppo islamista al-Shabaab hanno attaccato una base militare nel sud della Somalia. Aden Nur, portavoce dell’esercito, ha rivelato che l’attacco alla base, situata nella regione di Shabelle, è iniziato alle 3 della mattina ed ha causato la morte di dieci persone e la perdita di alcuni automezzi militari. L’attacco è stato prontamente rivendicato da al-Shabaab, attraverso il suo portavoce militare, Sheikh Abdiasis Abu Musab, che ha riferito che le vittime sono 14. L’attacco dei ribelli legati ad al-Qaeda è una risposta alle recenti offensive lanciate dalle truppe somale e dell’Unione Africana che hanno riconquistato numerose posizioni occupate da al-Shabaab.

YEMEN, 16 DICEMBRE ↴ Un doppio attentato esplosivo ha provocato la morte di 25 persone, tra i quali 15 bambini, nella città di Radaa, nella provincia yemenita di Bayda, a sud della capitale Sana’a. La prima esplosione è avvenuta mentre un bus scolastico stava giungendo ad un checkpoint controllato dagli Houthi: le 15 vittime erano tutte bambine che frequentavano una scuola elementare e non è chiaro se l’obiettivo principale fossero loro oppure i ribelli. La seconda esplosione è invece avvenuta nei pressi della casa di un leader Houthi, Abdullah Idris, ed ha causato la morte di dieci persone. Gli Houthi hanno, da subito, accusato le milizie di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), con le quali sono impegnati in una cruenta guerra interna per la conquista del potere.

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ANALISI E COMMENTI MERCOSUR-ALLEANZA DEL PACIFICO: CIFRE, SCENARI E DINAMICHE DELLA NUOVA SFIDA LATINOAMERICANA

FRANCESCO TRUPIA ↴ Dopo un anno difficile dal punto di vista politico ed economico, l’America Latina sembra poter annunciare la sua ennesima sfida su scala globale. Come definito dal governatore argentino di Entre Ríos, Sergio Urribarri, che ha anche ufficializzato l’appuntamento del 16-17 dicembre nella città brasiliana di Paraná, lo «storico avvenimento» riguardante l’incontro tra esponenti dei Paesi membri del MERCOSUR e dell’Alleanza del Pacifico (AP) potrebbe spostare in modo decisivo l’asse dell’economia globale verso il continente latino-americano. L’ufficiale volontà politica dei due blocchi economici di promuovere una definitiva integrazione e crescita, non solo regionale ma anche mondiale, valorizza una possibile unione che manifesta statistiche più che notevoli. Il possibile futuro blocco MERCOSUR-AP rappresenterebbe, con i suoi 47,7 miliardi di dollari, l’80% delle esportazioni dell’intero sub-continente, per un valore dell’export che si aggira intorno ai 23,7 miliardi di dollari e che oscilla su scala globale tra il 5%-6% dei beni e servizi provenienti dalla stessa area geografica. Inoltre, MERCOSUR e AP rappresentano il 90% del PIL dell’intera America Latina, compresa anche la comunità caraibica, ed il 25% – ossia 1/5 – di quello globale britannica nel 1843. Tra le figure istituzionali più rilevanti presenti alla tavola rotonda svoltasi il 23 novembre scorso nella capitale cilena di Santiago vi erano il Ministro degli Esteri brasiliano, Luiz Alberto Figueiredo, i suoi omologhi di Messico (José Antonio Meade), Argentina (Carlos Alberto Bianco), il vice Ministro colombiano degli Esteri (Arturo Morales), il Cancelliere del Perù (Carlos Morales Moscoso), il Direttore Generale delle Relazioni Economiche Internazionali del Cile (Andrés Rebolled) ed il Segretario del Ministero dell’Economia del Messico (Ildefonso Guajardo) (…) SEGUE >>>

LA TUNISIA DOPO LA PRIMAVERA ARABA. INTERVISTA A CHIARA SEBASTIANI SARA BRZUSZKIEWICZ E GIUSEPPE DENTICE ↴ Trascorsi da pochi giorni il quarto anniversario dell’atto di Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco davanti agli uffici del governatorato di Sidi Bouzid in un ultimo gesto di protesta contro il sequestro della propria attività, il prossimo 21 dicembre la Tunisia andrà al voto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Una tappa importante per il cammino post-rivoluzionario – a tratti incidentato – intrapreso da quella Tunisia che il 14 gennaio 2011 mise fine al regime di Zine El Abidine Ben Alì. Proprio quella Tunisia, oggi ritenuta il miglior laboratorio di idee politiche partorito dalle Rivoluzioni Arabe, aveva visto la protesta propagarsi in tutto il Paese, proseguendo anche successivamente quando il Presidente Ben Ali, prima di fuggire in Arabia Saudita, aveva tentato disperatamente di placare gli animi con promesse quali l’ammorbidimento della repressione, la liberalizzazione di internet e il rilascio dei prigionieri politici. Solo la fase iniziale della Rivoluzione

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poteva però dirsi conclusa, mentre quella costruttiva iniziava proprio in quei giorni, allorché la formazione dei partiti veniva liberalizzata e il 30 gennaio 2011 faceva ritorno in patria dall’ultraventennale esilio londinese il leader islamista Rashid Ghannouchi; ritorno che anticipava di poco la legalizzazione del partito islamista Ennahda, di cui questi è leader, che nelle elezioni del 23 ottobre 2011 per i membri dell’Assemblea Nazionale Costituente ottenne il 38% dei voti, pur dovendosi coalizzare con i partiti di estrazione secolare (Ettakatol e Congresso per la Repubblica). Il processo di pacificazione delle diverse istanze politiche e sociali, libere di esprimersi, non fu tuttavia indolore, come dimostrano non solo i numerosi casi di violenze da parte dei salafiti tunisini o gli omicidi politici di Chokri Belaid e di Mohamed Brahmi, attribuiti dalle autorità ad Ansar al-Sharia ma mai realmente comprovati dai fatti, ma anche dal fallimento del Dialogo Nazionale che aveva l’obiettivo di aprire un confronto tra le parti politiche e la creazione di un governo tecnico ad interim (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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