BloGlobal Weekly N°4/2015

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N째4, 1-7 FEBBRAIO 2015 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 8 febbraio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: Reuters; Reuters/Khaled Abdullah; AFP; AFP/Thomas Kienzle; EFE; AP; International Court of Justice;


FOCUS GRECIA ↴

Dopo l’insediamento, il nuovo governo greco di Alexis Tsipras ha iniziato il suo tour nelle capitali europee per cercare di raccogliere sostegno in vista di una possibile, ma improbabile, modifica delle clausole di rimborso dei titoli del debito pubblico nazionale. A Parigi, il Ministro delle Finanze greco Yunis Varoufakis, ha incassato il sostegno del suo omologo francese Michel Sapin. Varoufakis ha affermato che «il risarcimento del debito andrà legato alla crescita. Se non ci viene permesso di rilanciare l’economia non avremo mai la possibilità di pagare». Sapin ha osservato che «è giusto che Atene avvii un dialogo con le istituzioni finanziarie, anzi è indispensabile. Nessuno potrà uscire dalle difficoltà senza un ritorno alla crescita. Grecia e UE hanno bisogno di investimenti». Anche gli Stati Uniti, per bocca del Presidente Barack Obama, hanno invitato Bruxelles a venire incontro alle esigenze di Atene: «non si può continuare a spremere Paesi in recessione. Serve una strategia per permettergli di ripagare il debito». La successiva tappa di Varoufakis è stata Londra, dove ha incontrato il Cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, che ha definito lo situazione tra Atene e Bruxelles «il più grande rischio per l’economia globale» e per questo la Grecia dovrà agire «responsabilmente». Anche Tsipras, in parallelo a Varoufakis, si è recato in visita presso vari Paesi dell’Unione Europea per completare quanto fatto dal suo Ministro. La tappa di Roma è stata particolarmente significativa per la distanza tra due Paesi le cui finanze sono, in differenti modi, sotto l’occhio attento di Bruxelles e Francoforte. Tsipras ha

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dichiarato che «i cittadini e i creditori europei non devono avere paura delle mosse che faremo. Anzi, dovrebbero avere paura se si restasse in questo vicolo cieco finanziario, dove il vecchio debito viene finanziato facendo nuovi debiti. Prendiamo l’impegno di non creare nuovo deficit e raggiungere l’equilibrio di bilancio anche attuando le riforme» ma «serve il tempo necessario per la ripresa economica a medio termine». Il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Matteo Renzi, ha enfatizzato da un lato la necessità di una certa flessibilità da parte delle istituzioni europee, dall’altro ha sottolineato l’importanza di rispettare gli accordi presi: «credo fortemente – ha detto Renzi – che ci siano le condizioni per trovare un punto d’intesa con le istituzioni europee da parte delle autorità greche», tuttavia «dobbiamo e vogliamo rispettare le regole, tutti insieme, con le necessarie flessibilità e intelligenza e, contemporaneamente, lottare insieme per l’Europa della crescita. Facciamo il tifo, diamo il nostro supporto perché questa situazione di emergenza sia affrontata nelle sedi proprie europee». Di fronte all’incertezza in campo, la Banca Centrale Europea ha fatto sapere che toglierà ad Atene la possibilità di finanziarsi attraverso junk bond a garanzia dei prestiti fin qui fornitole. La Germania ha rifiutato di adottare un atteggiamento minimamente conciliante verso la Grecia. Il Ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, non ha nascosto il suo «scetticismo. Alcune delle misure proposte da Atene non vanno nella giusta direzione». Laconico e allusivo è stato il commento di Varoufakis: «quando stasera tornerò nel mio Paese troverò un Parlamento in cui il terzo partito non è un partito neonazista, ma nazista». Tsipras ha chiosato affermando che «la democrazia greca non intende ricattare nessuno e non può essere ricattata. Ci chiedono di implementare le riforme a cui ci siamo impegnati e noi rispondiamo che rispettiamo le regole europee ma lavoriamo per cambiarle».

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IRAQ/SIRIA ↴

L’attacco sferrato dallo Stato Islamico su Kirkuk il 26 gennaio ha affrettato il trasferimento a sud della città petrolifera di alcune centinaia di combattenti turcomanni precedentemente impegnati nelle aree di Amerli e Tuz Khurmatu. I miliziani presteranno servizio accanto ai Peshmerga curdi al fine di rafforzare le difese di Kirkuk. Già nella giornata del 31 gennaio i guerriglieri curdi hanno ripreso il vasto giacimento petrolifero nella vicina Khabaz, dove i jihadisti avevano concluso l’offensiva prendendo in ostaggio oltre venti dipendenti e dando alle fiamme tre pozzi. Nella prima settimana di febbraio il Califfato ha invece diretto le proprie iniziative nell’Anbar, aggredendo le unità dell’esercito regolare e delle milizie sciite tra Falluja e Samarra allo scopo di compromettere la sicurezza della rete viaria. Il 3 febbraio il Consiglio dei Ministri iracheno ha approvato sia la bozza di legge sulla formazione della Guardia Nazionale, sia gli emendamenti da apporre alla legge che delineò il processo di de-baathificazione dopo la caduta di Saddam Hussein. Tuttavia, il dibattito parlamentare si annuncia incandescente. Entrambi i provvedimenti sono cardine del progetto di riconciliazione nazionale avanzato dall’esecutivo presieduto da Haider al-Abadi, ma implicano la controversa mediazione delle tensioni settarie. A conferma della criticità della posta in gioco, i Ministri sunniti hanno boicottato durante la seduta ministeriale il voto interno sulla revisione della legge che vieta il conferimento di incarichi pubblici agli ex funzionari a vario titolo coinvolti con il precedente regime baathista. Il passaggio parlamentare della proposta legislativa sulla Guardia Nazionale è anch’essa oggetto di forte contestazione poiché tra le fazioni politiche affiorano prospettive incompatibili su forma e mandato della suddetta: intesa dai rappresentati di estrazione sunnita quale strumento consono a riportare i gruppi tribali in un quadro di legalità costituzionale, saldando un nuovo

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patto di legittimità con le istituzioni centrali, alla Guardia Nazionale è invece attribuito dalla maggioranza sciita il compito principale di coordinare quel fronte di mobilitazione popolare oggi composto prevalentemente dalle milizie sciite finanziate e armate dall’Iran.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ 1-7 FEBBRAIO 2015 - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

Intanto, la brutale esecuzione del pilota giordano Moaz al-Kassasbeh ha sollecitato una determinata reazione della monarchia hashemita che ha intensificato i bombardamenti aerei in Siria e in Iraq. Nessun Paese arabo appartenente alla coalizione internazionale allestita dagli Stati Uniti aveva sinora condotto operazioni di combattimento in territorio iracheno, rispettando il veto fissato dalle autorità di Baghdad. Re Abdullah ha promesso una guerra implacabile contro i miscredenti dello

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Stato Islamico. La Giordania ha inoltre eseguito la condanna capitale di un detenuto iracheno, appartenente ad al-Qaeda, e di Sajida al-Rishawi, su cui gravava la responsabilità di plurimi attentati realizzati ad Amman nel 2005 e al cui rilascio il Califfato aveva condizionato la liberazione di al-Kassasbeh. Se la Giordania aumenta la misura dell’intervento militare contro le roccaforti islamiste, l’alleanza multilaterale accusa però lo sganciamento degli Emirati Arabi Uniti dalle operazioni militari. Secondo il Pentagono, la decisione di tenere a terra i caccia da combattimento è motivata dall’assenza di opportune garanzie di recupero dei piloti in caso di abbattimento. A seguito dell’imprigionamento di al-Kassasbeh, gli Emirati Arabi Uniti avevano espressamente richiesto agli Stati Uniti di spostare i veivoli multiruolo V-22 Ospreys dal Kuwait al confine siriano. Consapevole dell’importanza diplomatica prima ancora che militare della partecipazione diretta di Abu Dhabi nello sforzo bellico contro lo Stato Islamico, Washington ha annunciato l’imminente riposizionamento di alcuni asset logistici nelle aree settentrionali dell’Iraq al fine di ridurre il tempo di eventuali missioni di recupero. La decisione è suscettibile di aumentare la vulnerabilità del personale americano presente in territorio iracheno e dunque conferma le preoccupazioni della Casa Bianca relativamente all’ampiezza della coalizione anti-IS. Del resto, oltre a Giordania e Arabia Saudita, dei Paesi arabi che hanno preso parte alle operazioni belliche, il Qatar ha svolto unicamente funzioni di supporto operativo, mentre il Bahrain ha garantito un modesto apporto solo nei primi giorni della campagna. Inoltre, Abu Dhabi ha assunto una posizione particolarmente dura sul mancato rafforzamento delle tribù sunnite nell’Anbar iracheno, come recentemente ribadito in occasione della Conferenza di Londra. In Siria, la riconquista di Kobane ha incoraggiato l’avanzamento dei guerriglieri curdi, che sostenuti dal fuoco americano hanno gradualmente liberato un centinaio di villaggi in prossimità del confine siro-turco. Lo scacco patito nel nord-ovest del Paese, ha invece spinto la dirigenza del Califfato a mobilitare risorse e richiamo ideologico lungo la direttrice che da Raqqa guarda a Damasco. Nello scenario della guerra civile, il gruppo ribelle Harakat Hazm, di simpatie occidentali e considerato una fazione moderata del campo anti-Assad, è confluito nel Fronte Sham, soggetto islamista che contende la preminenza di Jabhat al-Nusra (JaN). Nei giorni precedenti il gruppo Harakat Hazm era stato coinvolto in violenti scontri con i militanti di JaN nella provincia di Aleppo. La cooptazione nel Fronte Sham è stata dunque giustificata dal proposito di moderare le aspre contrapposizioni che dividono le numerose etichette che si oppongono al governo di Damasco. Non a caso il Fronte Sham e JaN hanno contestualmente annunciato l’istituzione di un centro operativo congiunto ad Aleppo. Infine, il 5 febbraio un massiccio bombardamento dell’aviazione siriana nel centro di Damasco ha provocato la morte di almeno ottantadue persone, in risposta all’esplosione di colpi di mortaio ed al lancio di razzi che nella stessa giornata un gruppo ribelle aveva rivolto contro i quartieri della capitale. È l’attacco più sanguinoso dal raid compiuto in novembre contro le postazioni dello Stato Islamico a Raqqa. 5


UCRAINA ↴

È rinviato al prossimo mercoledì 11 febbraio, in un nuovo incontro a Minsk tra Germania, Francia, Russia e Ucraina, un nuovo possibile accordo di pace sul conflitto ucraino. Dopo una lunga conference call (8 febbraio), i leader dei quattro Paesi si sono infatti detti d'accordo ad incontrarsi nuovamente per discutere di un nuovo piano di pace per il Donbass che riesca effettivamente ad implementare quanto concordato nella stessa capitale bielorussa lo scorso mese di settembre. Vladimir Putin, intervenuto da Sochi dove ha incontrato Aleksandr Lukashenko, ha tuttavia specificato che il vertice ci sarà solo se entro quella data – che peraltro avverrà all'indomani di eventuali nuove sanzioni da parte dell'Unione Europea – si sarà trovato un compromesso su determinate posizioni (un incontro del gruppo di contatto, con la mediazione dell'OCSE, si svolgerà infatti il martedì 10 febbraio). Una di queste condizioni riguarda evidentemente il possibile invio di armi a Kiev da parte degli Stati Uniti: su nuova richiesta di Poroshenko, e nonostante la contrarietà espressa in merito lo scorso autunno, Washington – come ha lasciato intravvedere il vice Presidente Joe Biden a margine della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera (5-7 febbraio) – sembra aver aperto alla possibilità di un invio di armi letali difensive, salvo tuttavia nuovamente retrocedere: il Segretario di Stato USA John Kerry, dopo un nuovo bilaterale con il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, ha infatti dichiarato che non esiste una soluzione militare alla crisi. E sulla necessità di una soluzione diplomatica è concorde anche l'UE, come ha specificato l'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, Federica Mogherini, preoccupata per l'ulteriore irrigidimento dei rapporti con Mosca.

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L'intesa che dunque ci si aspetta a Minsk, anche se Angela Merkel ha lasciato trasparire i propri timori circa l'effettiva riuscita, dovrebbe riguardare una nuova definizione della linea di controllo (corrispondente con la linea di demarcazione attuale del conflitto) e della distanza di allontanamento delle armi pesanti dalla stessa. Sempre la Germania ha difatti lanciato l'allarme per l'invio di un nuovo convoglio russo di 170 camion nelle città roccaforti dei separatisti che, insieme con gli aiuti umanitari, potrebbero celare armamenti e soldati russi. A riprova della presenza russa in Ucraina, Poroshenko ha sventolato nel corso della Conferenza di Monaco passaporti di militari russi che combatterebbero al fianco degli insorti. Di fronte all'eventualità di una nuova escalation – o di una guerra, come ha minacciato Hollande – Jens Stoltenberg, Segretario Generale della NATO, sta intanto rivedendo il posizionamento della difesa transatlantica. Nel corso del Vertice ministeriale dell'Alleanza Atlantica del 5 febbraio, i Paesi NATO hanno annunciato un significativo aumento di truppe e mezzi nell'Est Europa.

DISPOSITIVI DI SICUREZZA NATO - FONTE: CENTIMETRI/LA STAMPA

In particolare, la dotazione della nuova NATO Responce Force (NRF) – il cui rafforzamento era stato stabilito a margine del Vertice di Newport di settembre e la cui gestione sarà affidata a rotazione a Germania, Italia, Francia, Polonia, Regno Unito e

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Spagna – passerà da 13mila a 30mila soldati. Nell'ambito della NRF opererà la nuova brigata Spearhead (VJTF) composta da 5mila soldati dispiegabili in 48 ore. Anche se i dettagli logistici e operativi non saranno definiti prima di giugno e prima del Summit di Varsavia del 2016, la VJTF è già schierabile grazie ai contributi di Germania, Olanda e Norvegia. Il nuovo dispositivo potrà inoltre contare su sei centri di comando e controllo in Polonia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania. L'obiettivo sarà quello di creare un fronte di deterrenza contro la minaccia di un conflitto su più ampia scala con la Russia, che ha immediatamente richiamato 2mila riservisti (ordinanza in realtà che il Cremlino emette su base annuale), ma anche di rispondere alle minacce alla sicurezza provenienti da sud e, dunque, dal terrorismo islamico.

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BREVI BRASILE, 5 FEBBRAIO ↴ Non si arrestano le polemiche in Brasile per quello che si sta configurando come il più grande caso di corruzione politica ed economica della storia del Paese latino-americano. Lo scandalo Petrobras, iniziato nel 2012 dopo le inchieste e gli arresti di Paulo Roberto Costa, ex Direttore delle attività raffinanzione, e di Renato Duque, Capo dei servizi e delle attività ingegneristiche del gruppo fino al 2012, rischia infatti di scoperchiare un vaso di pandora dalle potenzialità politiche destabilizzanti e capaci colpire direttamente il governo della rieletta Presidente Dilma Rousseff. Lo scandalo Petrobras si basa sull’accusa di smistamento di fondi pubblici per 3 miliardi di euro nel periodo 200412 verso deputati del Partido do Trabalhadores (PT) e dei suoi alleati di governo da parte dei dirigenti della holding energetica. Questo caso, congiuntamente con la recessione economica e le conseguenze della più grave crisi idrica da 80 anni a questa parte, contribuisce a rendere più fragile e instabile l’inizio del secondo mandato per Dilma Rousseff, che, sebbene non ancora coinvolta tecnicamente nell’inchiesta, potrebbe rischiare nei prossimi mesi un’accusa di impeachment da parte del Congresso brasiliano. A contribuire al clima di incertezza si sono aggiunte da un lato l’arresto di João Vaccari Neto, tesoriere del PT, dall’altro le dimissioni di Maria das Graças Foster, ex Amministratore Delegato di Petrobras e personalità molto vicina alla stessa Presidente Rousseff, accusata insieme a José Carlos Cosenza, Direttore degli approvvigionamenti del gruppo, di aver fatto parte di questo sistema di illeciti. Le dimissioni della Foster sono state dovute alla divulgazione dei dati dell’inchiesta interna da lei stessa promossa e che mostrava un maxi giro di corruzione che ha coinvolto il colosso petrolifero nazionale e probabilmente personalità anche dello stesso governo brasiliano. Intanto Aldemir Bendine, già a capo del Banco do Brasil, è stato nominato nuovo Chief Executive del gruppo.

CROAZIA/SERBIA, 3 FEBBRAIO ↴ La Corte Internazionale di Giustizia (CIG), il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, ha respinto le accuse reciproche di genocidio mosse da Croazia (nel 1999) e Serbia (nel 2009) per gli episodi di violenza compiuti nel corso delle guerre nei Balcani tra il 1991 e il 1995. Il riferimento era in particolare alla distruzione

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della città croata di Vukovar e alla cacciata dei serbi della Kraijna in occasione dell'Operazione Tempesta. Dopo 16 anni di lavori, Peter Tomka, a capo di una commissione di 17 magistrati, ha dunque chiarito che i due eserciti si resero colpevoli di crimini ascrivibili al reato di pulizia etnica durante il conflitto, ma nessuna delle due parti è riuscita a provare che le azioni avessero lo scopo intenzionale di distruggere «in tutto o in parte un gruppo etnico, nazionale o religioso in quanto tale». Si tratta di un verdetto non del tutto inaspettato e che ripercorre la linea adottata anche dal Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia (TPI), incaricato di giudicare i crimini commessi nella regione negli anni successivi al 1991 che non ha mai incriminato i due Paesi con l'accusa di genocidio. Tomka ha pertanto raccomandato i due governi di proseguire sulla strada della collaborazione, in particolare per ciò che riguarda lo scambio di informazioni sulle persone che risultano ancora scomparse e sulle riparazioni nei confronti delle famiglie delle vittime.

EGITTO, 3-6 FEBBRAIO ↴ Nella settimana che ha visto la liberazione del giornalista di al-Jazeera, l’australiano Peter Greste estradato in Canada – mentre restano ancora incerte le posizioni dei due egiziani Baher Mohamed e Mohammed

Fahmy

arrestati

con

l’accusa

di

«spionaggio a favore dei Fratelli Musulmani» –, al Cairo, Qualibiya, Port Said e Alessandria non conosce sosta la serie di attacchi con ordigni artigianali o IED (improvised explosive device) che si stanno verificando con una progressiva regolarità sin dall’inizio del nuovo anno in Egitto. Ad essere colpite sono state le metro e le infrastrutture strategiche come gli aeroporti. Nonostante il numero crescente di attentati a bassa intensità, si registrano una sola vittima e poche decine di feriti. Di tutt’altro tenore invece è la situazione nella Penisola del Sinai. Dopo gli attacchi molteplici e coordinati della scorsa settimana tra al-Arish, Sheikh Zuweid, Port Said e Suez, costati la vita ad almeno una trentina di soldati, 3 poliziotti e 2 civili, il governo ha deciso di rinforzare le misure anti-terroristiche attraverso l’istituzione di un comando unificato delle forze di intelligence, polizia e militari sotto la guida unica del Generale Osama Roshdy Askar. Sempre il Generale Askar ha ricevuto l’incarico direttamente dal Ministro della Difesa Sedki Sobhi di guidare la seconda e terza armata operativa nel Sinai settentrionale nelle operazioni di counterterrorism contro le forze insurrezionali islamiste legate alla Provincia del Sinai (sigla terroristica legata all’IS e meglio nota come Ansar Bayt al-Maqdis). Proprio le brigate guidate da Askar hanno ucciso nei giorni scorsi 27 dei 47 islamisti totali ammazzati nel Nord Sinai, in una delle operazioni militari più complesse dai tempi dello Yom Kippur del 1973. Sempre in un’ottica di rafforzamento della sicurezza interna, Il Cairo starebbe portando a termine alcune trattative con Parigi per una fornitura militare da 4,5 miliardi di euro comprendente 24 jet Rafale e 1 nave-fregata FREMM.

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Parallelamente le forze di sicurezza hanno scatenanto un nuovo giro di vite contro soggetti ritenuti vicini alla Fratellanza Musulmana (da metà 2013 a oggi sono state arrestate almeno 41mila persone, di cui 29mila affiliate all’Ikwhan). Proprio nelle stesse ore in cui esplodevano alcuni ordigni al Cairo, un tribunale della capitale confermava la condanna a morte per 183 militanti dei Fratelli Musulmani ritenuti responsabili della morte di 11 poliziotti in un assalto avvenuto nell'agosto 2013 a Kerdasa, pochi giorni dopo la deposizione di Mohammed Mursi del luglio dello stesso anno.

LIBIA, 6 FEBBRAIO ↴ Dopo la conclusione in un nulla di fatto dei tentativi svolti in seno alle Nazioni Unite a Ginevra per cercare una soluzione alla crisi libica, sono ripresi nella passata settimana

gli

scontri

in

più

parti

del

Paese

nordafricano. Nella notte di martedì 3 febbraio alcuni uomini armati hanno assalito il giacimento petrolifero di al-Mabruk, situato a circa 170 Km a sud di Sirte. Il sito, gestito da una joint-venture tra la National Oil Company (NOC) libica e la francese Total, aveva cessato le proprie attività già dal 2013 e tutti i dipendenti stranieri erano stati evacuati dalla zona da tempo. Le vittime dell’attentato, appartenenti ad una forza di guardia del giacimento, sono circa dieci. Tre filippini che si trovavano nel luogo per conto dell’italiana Sogepi S.r.l. sono inoltre stati presi in ostaggio. Sebbene nessun gruppo di militanza libico abbia ancora rivendicato la responsabilità dell’attentato, si pensa che l’assalto possa essere stato condotto per mano dell’Islamic Youth Shoura Council di Derna, lo stesso movimento che ha perpetrato l’assalto all’Hotel Corinthia del 27 gennaio scorso e affiliato al Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. A tre giorni di distanza dall’assalto di Mabruk in aggiunta, il 6 febbraio, un’autobomba è esplosa nella cittadina cirenaica di Bengasi causando due morti e venti feriti. Gli ufficiali militari delle forze armate dell’ex generale Khalifa Haftar hanno affermato che l’ordigno esplosivo era diretto contro una base di rifornimenti militari ma che sia casualmente esploso precocemente uccidendo un uomo e un bambino. Ad inizio settimana infine uno dei due Parlamenti presenti in Libia, in particolare quello stanziato a Tobruk, che riconosce quale Primo Ministro ufficiale Abdullah al-Thani, ha dichiarato cessata la validità della legge per l’isolamento politico nei confronti degli ex ufficiali del regime del Colonnello Gheddafi. Si tratta di un provvedimento emanato nel maggio 2013 dal Congresso Generale a maggioranza islamica formato in seguito alla caduta del regime nel 2011 che prevedeva un allontamento dalla vita politica libica di dieci anni per gli ex ufficiali. Come ha affermato il membro del Parlamento di Tobruk, Tareq al-Garrouchi, «tutti i libici sono uguali. Nessuno deve essere privato del diritto alla partecipazione politica, eccettuati coloro i quali siano stati dichiarati colpevoli di reati penali». 11


NIGERIA, 3-7 FEBBRAIO ↴ Il 6 febbraio, i miliziani islamici di Boko Haram, di stanza a Malam Fatori, hanno attaccato la città nigerina di Bosso, situata al confine con la Nigeria, nella regione del Lago Ciad. Le forze armate di Niger e Ciad dislocate nell’area sono rapidamente intervenute e hanno respinto indietro la minaccia. Un pò più ad ovest, la città di Diffa, altro punto sensibile situato al confine tra Nigeria e Niger, è stata colpita da diversi colpi di artiglieria: le forze armate nigerine hanno prontamente risposto alla minaccia, prima con la forza aerea, poi con le truppe di terra che hanno ricondotto Boko Haram all’interno del territorio nigeriano. È stato il primo attacco di Boko Haram in Niger, al cui Presidente, Mahamadou Issoufou, il leader del gruppo Abubakar Shekau aveva rimproverato la partecipazione alla marcia repubblicana di Parigi contro il terrorismo, giurando vendetta. In precedenza, la mattina del 4 febbraio, numerosi combattenti di Boko Haram avevano assaltato la città di Fotokol, in Camerun, entrando nella grande moschea e uccidendo tutti coloro che erano lì in preghiera, prima di incendiare completamente l’edificio. Le truppe camerunensi e quelle ciadiane sono intervenute rapidamente, ma ciò non ha evitato che il numero di vittime civili fosse molto alto. L’attacco di Boko Haram alla città di Fotokol rappresenta una risposta all’offensiva delle truppe del Ciad che il giorno prima avevano riconquistato la città nigeriana di Gamboru, da circa un mese nelle mani dei miliziani islamici. Nonostante la dimostrata capacità di attaccare su più fronti, è stata Boko Haram a subire le perdite maggiori: in questi ultimi quattro giorni la setta islamica ha perduto almeno 300 uomini, grazie soprattutto all’intervento degli eserciti di Ciad, Niger e Camerun. Proprio in queste giornate sta prendendo forma la forza di intervento regionale decisa al meeting di Niamey dei Paesi del bacino del Lago Ciad e approvata dal vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba: si tratterebbe di una forza di 8700 uomini, costituita da soldati di Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin. Nonostante ciò, la commissione elettorale nigeriana ha deciso di posticipare al 28 marzo le elezioni presidenziali previste per il 14 febbraio, adducendo motivi di sicurezza. È una scelta comprensibile, data la situazione, ma che potrebbe essere interpretata dalle forze politiche di opposizione al Presidente Goodluck Jonathan come un modo per cercare di riguadagnare consenso.

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OFFENSIVA MILITARE DI BOKO HARAMA - FONTE: AFP

YEMEN, 5 FEBBRAIO ↴ È stato raggiunto a Sana’a nella serata di mercoledì 4 febbraio un accordo tra i partiti politici yemeniti per la creazione di un Consiglio Presidenziale ad interim che resterà in carica per un anno, fino all’indizione di nuove elezioni. In seguito alle dimissioni del 22 gennaio del Presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi e del Premier Khaled Bahah, i ribelli sciiti Houthi che hanno conquistato progressivamente il potere nel Paese, hanno dichiarato che se non si fosse trovato un accordo tra le varie parti entro il 4 febbraio per la soluzione della crisi politica, avrebbero agito unilateralmente alla formazione di un nuovo governo. Il Consiglio Presidenziale per il quale è stato trovato l’accordo dei nove gruppi politici, compresi i separatisi sudisti Herak, sarà composto da cinque personalità guidate da Ali Nasser Mohammed, Presidente dello Yemen del Sud prima dell’unità statale nel 1990. Sono inoltre riprese le azioni di controterrorismo americane dirette ad indebolire al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) che trova in Yemen la propria roccaforte. Giovedì 5 febbraio AQAP ha infatti confermato l’avvenuta uccisione da parte di un attacco con droni statunitensi del 31 13


gennaio a Shabwa, del leader del movimento, Harith al-Nadhari. Insieme al target viaggiavano nella medesima autoettura anche altri tre jihadisti, Said Bafaraj, Abdelsamie al-Haddaa e Azzam al-Hadrami. Il gruppo AQAP è uno dei più attivi tra quelli appartenenti alla rete di al-Qaeda e il 14 gennaio scorso ha reclamato tramite un video la responsabilità dell’attacco al giornale satirico francese Charlie Hebdo. Nonostante ci siano dei dubbi in merito alla diretta affiliazione degli attentatori di Parigi con AQAP, ciò che è certo è che i fratelli Kouachi, responsabili della strage di Cherlie Hebdo e dell’assalto al supermercato ebraico, si sono recati per un periodo in Yemen dove hanno con molta probailità ricevuto addestramento dalle milizie di AQAP. L’operazione statunitense arriva significativamente dopo alcuni mesi in cui le rappresaglie sono state interrotte a causa della delicata situazione politica dello Yemen.

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ALTRE DAL MONDO ARGENTINA, 3-4 FEBBRAIO ↴ Sembra essere arrivato ad una svolta il caso di omicidio riguardante il Procuratore argentino Alberto Nisman. Il quotidiano Clarin ha diffuso nei giorni scorsi una bozza scritta dallo stesso Nisman in cui chiedeva l'arresto della Presidente Cristina Kirchner e del Ministro degli Esteri Héctor Timerman, accusati di aver negoziato segretamente con l’Iran un accordo basato su petrolio in cambio dell'impunità di alcuni dirigenti iraniani imputati per l'attentato contro la mutua ebraica AMIA di Buenos Aires del 1994. Nel frattempo Cristina Kirchner si è recata in visita ufficiale a Pechino dove ha incontrato il Presidente cinese Xi Jinping per firmare 15 accordi in materia economica, commerciale, aerospaziale, infrastrutturale ed energetica.

BANGLADESH, 2-7 FEBBRAIO ↴ Nove persone sono morte a seguito di due differenti attacchi compiuti da membri dell’opposizione ai danni di un autobus e di un autocarro nelle città di Dacca e Bharisal. All’inizio della settimana, nella città di Chuddogram, un altro ordigno, attribuito al Bangladesh Nationalist Party (BNP), era esploso contro un autobus provocando la morte di 7 persone ed il ferimento di 15. Questa serie di attentati sono da ricondurre alla tensione montante nel Paese, dovuta all’accrescere delle rivalità tra il Primo Ministro Sheikha Hasina e la rivale del BNP Begum Khaleda Zia.

COREA DEL NORD, 4-7 FEBBRAIO ↴ Una nuova interruzione dei negoziati nucleari tra Corea del Nord e Stati Uniti è arrivata il 4 febbraio da parte di Pyongyang. Nel comunicato del Presidente Kim Jong-un intitolato «L’imperialismo USA andrà incontro alla suo destino finale» si afferma che la Corea del Nord non intende per ora sedersi al tavolo del negoziato, ma che è pronta a reagire con attacchi nucleari e guerra cibernetica a ogni aggressione statunitense. Il 7 febbraio inoltre è stata diffusa la notizia secondo cui un nuovo missile balistico antinave è stato testato dal regime nordcoreano in risposta ai previsti addestramenti militari congiunti di Stati Uniti e Corea del Sud.

FRANCIA, 3 FEBBRAIO ↴ Tre militari francesi, che in linea con il piano anti-terrorismo Vigipirate erano di guardia ad un palazzo di Nizza che ospita tre organismi ebraici, sono stati accoltellati da un trentenne originario del Mali, Moussa Coulibaly. Nonostante l'omonimia con l'attentatore di Parigi, non ci sarebbero collegamenti tra le due vicende. Intanto l'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza comune Federica Mogherini, e i

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Ministri degli Esteri di Spagna e Lettonia, José Manuel Garcia-Margallo e Edgars Rinkēvičs, stanno spingendo per un Vertice mediterraneo sul jihadismo che dovrebbe tenersi a Barcellona il prossimo mese di aprile e che mira a rafforzare la cooperazione in materia di anti-terrorismo tra UE e Paesi della sponda sud del Mediterraneo.

MYANMAR, 5 FEBBRAIO ↴ Violenti scontri nel nord-est lungo il confine cinese hanno provocato la morte di venti persone, tra soldati dell’esercito regolare e guerriglieri ribelli, a seguito della richiesta di unione federale formalizzata dal Consiglio federale delle nazionalità unite (UNFC), che raccoglie le minoranze etniche contrapposte al governo centrale. Khu Oo Reh, Segretario del UNFC, ha puntualizzato che l’avvio di un processo federale che riconosca l’autonomia dei gruppi etnici porrebbe le premesse per un cessate il fuoco generale. Tuttavia, il disegno federale è incompatibile con le disposizioni costituzionali introdotte nel 2008 dalla giunta militare guidata dal Presidente Thein Sein. Intanto, continuano le manifestazioni di piazza degli studenti universitari contro la legge sull’educazione recentemente approvata dal Parlamento che secondo i dimostranti pone divieti all’attività politica all’interno delle istituzioni educative.

SOMALIA, 6 FEBBRAIO ↴ Un’operazione statunitense condotta il 31 gennaio con l’uso di droni nella cittadina meridionale di Dinsor ha portato all’uccisione di un leader degli al-Shaabab, Abdi Nur Mahdi, anche conosciuto come Yusuf Dheeg. Il leader era considerato responsabile degli attacchi esterni alla Somalia, inclusi quelli del 2013 al centro commerciale di Nairobi e del 2010 nella capitale dell’Uganda, Kampala. Il Contrammiraglio della US Navy, John Kirby, ha affermato che «questa operazione è stata, come altre, un esempio dell’impegno del governo degli Stati Uniti insieme ai nostri alleati e partner, nei confronti del popolo e del governo della Somalia».

SUD SUDAN, 2 FEBBRAIO ↴ Dopo quattro giorni di intense contrattazioni, il Presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il leader dell’opposizione Riek Machar hanno raggiunto ad Addis Abeba un nuovo accordo di pace per porre fine alle ostilità che vanno avanti da diversi mesi nel Paese. L’intesa, proposta dall’Intergovernmental Authority on Development (IGAD), prevede la condivisione del potere, per cui Salva Kiir rimarrà Presidente, mentre Riek Machar riprenderà la posizione di vice Presidente, e una nuova suddivisone dei seggi in Parlamento.

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STATI UNITI, 6 FEBBRAIO ↴ È stata pubblicata la nuova National Security Strategy americana nella quale Barack Obama delinea le nuove linee guida per la politica estera e di sicurezza statunitense alla luce, in particolare, della crisi in Ucraina, e quindi dei rapporti con la Russia, e della minaccia del terrorismo di matrice islamica, soprattutto dell’IS.

THAILANDIA, 1° FEBBRAIO ↴ Due bombe artigianali sono esplose dinanzi ad un lussuoso centro commerciale della capitale Bangkok senza tuttavia causare vittime. Secondo gli investigatori lo scopo delle bombe era di creare panico e non fare vittime. La situazione politica thailandese ha raggiunto livelli di tensione molto alti dopo che la giunta militare al potere ha bandito dal fare politica, per cinque anni, la Premier deposta Yingluck Shinawatra, sorella dell’auto-esiliato ex Premier Thaksin Shinawatra.

TIMOR EST, 5 FEBBRAIO ↴ Xanana Gusmão ha rassegnato le dimissioni da Primo Ministro al fine di facilitare la prossima riforma dell’Esecutivo e l’affermazione di una nuova classe dirigente. Simbolo della lotta armata contro la più che ventennale occupazione indonesiana, dall’indipendenza nel 2002 sino al 2007 Gusmão era stato Presidente di Timor Est e successivamente aveva assunto la guida del governo.

TUNISIA, 5 FEBBRAIO ↴ A tre mesi dalle elezioni parlamentari, il Parlamento tunisino ha votato la fiducia al nuovo Esecutivo di coalizione presieduto da Habib Essid. L’alleanza di governo comprende il partito laico di maggioranza Nidaa Tounes, il movimento islamista moderato Ennahda e gruppi minori. Saranno dunque le due principali fazioni politiche del Paese a imprimere la direzione del processo democratico.

VENEZUELA, 3 FEBBRAIO ↴ Gli Stati Uniti hanno annunciato nuove sanzioni nei confronti del Venezuela. Washington sanzionerà funzionari di Caracas che si sono resi complici di violazioni dei diritti umani e che sono stati responsabili di atti di corruzione pubblica. In particolare, saranno ristretti il numero dei visti per entrare negli USA.

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ANALISI E COMMENTI COUNTRY PROFILES: COSTA RICA FRANCESCO TRUPIA ↴ Fra i tanti Paesi dell’intera America Centrale il Costa Rica ha evidenziato, insieme al Messico, un’esponenziale crescita nell’ultimo biennio. Conseguenza di una lunga corsa alla stabilità politico-economica, il Costa Rica rappresenta uno dei maggiori rappresentanti dell’intera Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) Grazie all’indipendenza raggiunta nel 1821, il processo di democratizzazione costaricano si è concluso con la Costituzione del 1848 che diede origine ad una Repubblica parlamentare e ad un regime politico tra i più stabili della regione latina. Gli alti livelli di democraticità delle sue istituzioni hanno fin oggi manifestato tutta la loro forte tradizione egualitaria fondata sul rispetto dei valori democratici. Dopo la conclusione della guerra civile nel 1948, l’allora Presidente José Figueres Ferrer decise di abolire l’esercito nazionale, divenendo il primo Paese al mondo a rinunciare ad una propria forza di difesa militare (…) SEGUE >>>

LA COREA DEL NORD NELLE MAGLIE DEL CYBER-SPACE GLOBALE: L’INSTABILE EQUILIBRIO TRA REPRESSIONE INTERNA E RAPPORTI INTERNAZIONALI

MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴ Nell’alveo della contemporaneità, il fitto intreccio delle sfide globali “tradizionali” si interseca irrimediabilmente con le dinamiche legate alla nuova geografia della comunicazione, coinvolgendo in profondità l’ambiente delle Relazioni Internazionali e portando i suoi attori a confrontarsi su un terreno invisibile, ma al contempo denso di significati strategici La Corea del Nord occupa, nel contesto del multiforme cyberspace asiatico, una posizione di assoluta particolarità, ricca di complesse sfaccettature e di controversi sviluppi. Per effetto di risonanza con la generale condizione del macrocosmo sociale nordcoreano, anche lo spazio concettuale della rete risente delle pesanti restrizioni di quella che è stata definita la nazione più opaca e oppressa del mondo, guidata dall’ennesimo leader facente parte della dinastia dei Kim, Kim Jongun, e sempre attiva nella sistematica repressione d’ogni tentativo di emancipazione (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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