BloGlobal Weekly N°5 2015

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N째5, 8-21 FEBBRAIO 2015 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 22 febbraio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra

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FOCUS LIBIA ↴

Il deteriorarsi della questione della sicurezza in Libia ha portato, il 15 febbraio, alla chiusura dell’Ambasciata italiana a Tripoli. Come affermato dal Ministro della Difesa Roberta Pinotti «l'Italia è stato l'ultimo Paese a chiudere la propria sede diplomatica in Libia. E l’ho ha fatto per motivi di sicurezza, i rischi si sono elevati al punto che la nostra presenza non era più utile, anzi l'Ambasciata poteva diventare un bersaglio». Il motivo che ha condotto a tale decisione è stato in particolare la presa del controllo da parte di gruppi affiliati all’IS di importanti postazioni strategiche nella città di Sirte, sulla costa libica. È giunta infatti, il 13 febbraio, la notizia della conquista da parte dell’IS delle sedi di una televisione libica, di alcune stazioni radio e dell’ospedale di Sirte. In seguito alla notizia della conquista di Sirte, il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha inizialmente affermato che si tratta di «una situazione di minaccia per l'Italia» e pertanto se la mediazione dell'ONU in corso dovesse fallire, Roma sarebbe «pronta a combattere, in un quadro di legalità internazionale». Tale posizione interventista è stata tuttavia ridimensionata dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministro Matteo Renzi che ha raccomandato «saggezza, prudenza e senso della situazione: non si passi dall’indifferenza totale all’isteria, alla preoccupazione irragionevole». Il Premier ha poi ricordato durante l’assemblea del proprio partito che «da tre anni in Libia la situazione è fuori controllo, lo abbiamo detto in tutte le sedi e continueremo a farlo. Ma la comunità internazionale, se vuole, ha tutti gli strumenti per poter intervenire. La proposta è di aspettare il Consiglio di Sicurezza ONU». Gentiloni nel corso dell’informativa urgente sulla Libia alla Camera dei Deputati tenutasi il 18 1


febbraio ha affermato che «il tempo a disposizione non è infinito» e «rischia di esaurirsi molto presto, pregiudicando i fragili risultati raggiunti. Chiediamo alla comunità diplomatica di aumentare gli sforzi. Non vogliamo avventure, né crociate, ma l’unica soluzione alla crisi è quella politica e impone un cambio di passo da parte della comunità internazionale». Nell’evolversi della crisi libica, infatti, un ulteriore elemento di destabilizzazione è stata la diffusione lunedì 16 febbraio di un video da parte dell’IS in cui vengono mostrate le immagini della decapitazione di 21 cristiani copti egiziani sulla costa di Sirte. Nel filmato, che reca gli stessi tratti caratteristici degli altri provenienti dal Califfato islamico, uno dei jihadisti prima di proseguire con il massacro afferma che «il mare in cui avete gettato il corpo dello sceicco Osama Bin Laden, lo giuriamo ad Allah, lo mescoleremo col vostro sangue». Le vittime, tutte egiziane originarie di Minya e della regione dell’Alto Nilo, si erano recate in Libia per motivi di lavoro ed erano state rapite tra i mesi di dicembre e gennaio scorso. In risposta a tale atto terroristico il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato che il Paese «si riserva il diritto di ritorsione con i metodi e i tempi ritenuti adeguati al fine di punire tali assassini e criminali». Pertanto sono seguiti immediatamente nella stessa giornata i primi raid aerei con jet militari sulle città di Derna e Sirte. Il Ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha poi affermato che i raid hanno colpito esclusivamente campi di addestramento e depositi armi dei militanti affiliati all’IS. Anche il Presidente russo Vladimir Putin, nell’esprimere la propria vicinanza ad al-Sisi, ha affermato che la Russia «è disponibile ad una più stretta cooperazione possibile con l'Egitto nella lotta contro tutte le forme di terrorismo». In seno alle Nazioni Unite, l’Inviato Speciale Bernardino Leon che sta cercando da gennaio di portare allo stesso tavolo le varie fazioni in campo per trovare una soluzione alla crisi libica, ha espresso la propria condanna a tali atti «orribili e brutali» aggiungendo che «nessuna parola può esprimere il mio sdegno e repulsione nei confronti della decapitazione di 21 uomini colpiti per nessun altra ragione se non per il loro credo religioso e la loro nazionalità». Il Consiglio di Sicurezza riunitosi il 19 febbraio ha concluso che la via da percorrere sarà esclusivamente quella diplomatica. L’obiettivo da raggiungere sarà quello di mediare le posizioni dei due governi esistenti in Libia, quello di Tripoli e quello di Tobruk, in modo da porre fine all’instabilità istituzionale libica che risulta essere terreno più che fertile per l’infiltrazione di gruppi estremisti legati al Califfato di al-Baghdadi. Dal canto suo, nel merito di una futura iniziativa internazionale in seno alle Nazioni Unite, l’Italia ha già confermato la ferma volontà di giocare un ruolo di primo piano in azioni di peacekeeping e stabilizzazione dell’area. Nel video contenente la decapitazione dei 21 copti è contenuta inoltre una minaccia all’Italia nel quale il jihadista afferma che «col permesso di Allah, conquisteremo Roma». Tuttavia il riferimento a Roma non è chiaro se sia un’indicazione geografica mirata ad indicare effettivamente l’Italia o se nella simbologia dell’IS la parola Roma

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possa essere un identificazione dell’Occidente intero o, infine, solo il simbolo del Cristianesimo. In merito ai timori di un effettivo pericolo per l’Italia tuttavia non sembrano esserci riscontri pratici plausibili che possano destare una reale preoccupazione. Mentre ciò che sembra rappresentare un serio problema da affrontare quanto prima è la questione dei massicci afflussi di migranti sulle coste italiane provenienti appunto dalla Libia. Da non sottovalutare un incidente avvenuto nella giornata di domenica 15 durante un’operazione di soccorso ad uno dei barconi di migranti. Una motovedetta italiana che stava effettuando delle manovre di trasbordo da un barcone è stata intimata – anche con spari - da un gruppo di uomini armati a lasciare loro l’imbarcazione una volta terminata l’operazione. Infine nella mattinata di venerdì 20, tre autobombe sono state fatte esplodere nella città di Gubba, a 40km da Derna, per mano del gruppo Wilayat Barqah (Stato o Provincia della Cirenaica), un movimento affiliato all’IS. Secondo fonti locali le vittime sarebbero almeno 40. Gubba, nel mirino dei terroristi, è la città di provenienza di Ageela Salah Issa, Speaker di dei Camera dei Rappresentanti del Parlamento di Tobruk, controllato dalle truppe del Generale Khalifa Haftar, che sta conducendo un’operazione militare contro i militanti di Alba nell’est del Paese.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN LIBIA - FONTE: THE WALL STREET JOURNAL

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STATI UNITI ↴

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha ufficialmente inoltrato la richiesta al Congresso per avere l’autorizzazione all’uso della forza militare contro lo Stato Islamico per una durata complessiva di tre anni senza escludere l’utilizzo delle truppe di terra (il testo inviato dalla Casa Bianca, tuttavia, risulta volutamente ambiguo in questo senso). L’IS, ha detto Obama, costituisce «una grave minaccia per il popolo e la stabilità dell’Iraq, della Siria, dell’intero Medio Oriente e per la sicurezza nazionale americana. Se non verrà contrastato, porrà questa minaccia non solo nel Medio Oriente ma anche nel nostro territorio nazionale». La minaccia, insomma, si estende al di là dell’area mediorientale e proprio per questo Obama ha richiesto di essere dotato di poteri di guerra senza vincoli geografici. Il 18 febbraio si è tenuto poi a Washington un vertice cui hanno partecipato sessanta Capi di Stato e di Governo durante il quale si è discusso di terrorismo fondamentalista senza far riferimento esplicito, almeno nella forma, a quello di matrice islamista. Non a caso Obama ha affermato che «non siamo in guerra con l’Islam, ma contro la gente che ha tradito l’Islam», accusando di genocidio l’IS: «le comunità musulmane, sia gli intellettuali che i rappresentanti religiosi, hanno la responsabilità di respingere non solo interpretazioni sbagliate dell’Islam, ma anche la menzogna che siamo in qualche modo impegnati in uno scontro di civiltà, che gli Stati Uniti e l’Occidente sono in qualche maniera in guerra con l’Islam». Quella del terrorismo, sia esso a firma dell’IS sia di al-Qaeda, rappresenta «una sfida per il mondo intero, non solo per l'America. Bisogna lavorare insieme ai nostri alleati. Ci vorrà tempo, ma li sconfiggeremo». Tutti insieme, perciò, «dobbiamo trovare il modo di amplificare le voci di pace, tolleranza e inclusione, e dobbiamo farlo specialmente online».

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Nel frattempo pare che la Guida Suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, abbia inviato una lettera segreta ad Obama riconoscendo indirettamente l’utilità di una collaborazione più o meno formale tra Washington e Teheran nella comune lotta contro la minaccia dell’IS pur rinunciando a prendere impegni vincolanti. Intanto, sul fronte interno, sono da registrarsi le dichiarazioni rilasciate da Rudolph Giuliani, popolare ex sindaco di New York, che ha accusato Obama di non amare gli Stati Uniti: «Non vi ama», ha detto agli americani, «e non mi ama. Lui non ama questo Paese come lo amo io e come lo amate voi». Immediata la replica stizzita della Casa Bianca, che ha parlato di «affermazioni orribili» da parte del ribattezzato “Sindaco d’America”. Un altro attacco al Presidente è arrivato da uno dei candidati alla leadership repubblicana in vista delle elezioni del 2016, Jeb Bush. In un discorso pronunciato al Chicago Council on Global Affairs, il fratello del predecessore di Obama ha definito la politica estera dell’attuale amministrazione «incoerente e indecisa»: «la grande ironia della presidenza Obama sta nel fatto che proprio lui annunciò un maggiore impegno in politica internazionale e ora lascia un'America meno influente». «Il mio obiettivo», ha continuato, «è far riguadagnare all'America la leadership nel mondo» attraverso «la fiducia e il sostegno dei nostri amici, non facciamo più paura ai nostri nemici». Infine, Ashton Carter si è insediato ufficialmente a Capo del Pentagono succedendo così a Chuck Hagel. Ashton è stato approvato dal Congresso con 93 voti a favore e 5 contrari.

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UCRAINA ↴

Dopo una lunga maratona negoziale, i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina, riuniti a Minsk l’11 febbraio per trovare una soluzione diplomatica al conflitto nel Donbass, hanno raggiunto un accordo globale sul cessate il fuoco e un accordo politico globale sulla crisi. I tredici punti dell’intesa prevedono:

1.

l’immediato e completo cessate il fuoco nei rispettivi distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk con decorrenza dalla mezzanotte del 15 febbraio;

2.

la creazione di una zona di sicurezza per fasce a seconda dei sistemi d’arma utilizzati (50 Km nel caso di sistemi di artiglieria del calibro di 100 mm, e più di 140 Km per i lanciarazzi). L’allontanamento delle truppe dalla bufferzone dovrà iniziare non più tardi del secondo giorno di cessate il fuoco e terminare entro 14 giorni. Il processo di trasferimento dei soldati dovrà essere sostenuto dal Gruppo di contatto e il monitoraggio spetterà all’OSCE;

3.

la garanzia di un controllo effettivo da parte dell’OSCE sul cessate il fuoco, a partire dal primo giorno;

4.

l’avvio immediato di un dialogo nazionale sullo svolgimento delle elezioni locali in conformità con la Legge ucraina e con la legge “sulla modalità temporanea dell’amministrazione locale nelle repubbliche regionali di Donetsk e Lugansk”. Entro 30 giorni dalla firma di tale documento bisognerà recepire le risoluzioni del Consiglio Supremo del Territorio che includerà misure particolari in accordo alla Legge “sulla modalità temporanea del governo locale, in particolare nelle repubbliche regionali di Donetsk e Lugansk”;

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5.

la concessione di un’amnistia attraverso l’introduzione di una legge sul divieto di perseguire le persone coinvolte negli eventi accaduti nelle repubbliche di Donetsk e di Lugansk;

6.

la liberazione e lo scambio di tutti i prigionieri e delle persone detenute illegalmente in base al principio di “Tutti per tutti”, entro cinque giorni dal cessate il fuoco;

7.

la garanzia dell’accesso, della consegna e della distribuzione degli aiuti umanitari sulla base dei meccanismi internazionali;

8.

l’avvio di un processo di ricostruzione del tessuto sociale ed economico, a partire dal pagamento dei servizi di welfare. L’Ucraina si impegnerà a ripristinare la gestione del sistema bancario nelle regioni colpite dal conflitto, eventualmente con il supporto di finanziario di organi internazionali;

9.

il recupero del pieno controllo territoriale da parte di Kiev entro il 2015;

10. il ritiro di tutte le milizie e le tecnologie militari straniere dal territorio ucraino, sotto la supervisione dell’OSCE. Dovrà essere inoltre assicurato il disarmo totale di tutti i combattenti illegali; 11. il varo di una riforma costituzionale entro la fine del 2015: dovrà essere in particolare implementata una decentralizzazione che tenga conto delle caratteristiche specifiche delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, per le quali dovrà essere inoltre introdotta una legge sullo status; 12. le questioni relative alle elezioni locali saranno discusse e concordate con i rappresentanti delle diverse regioni di Donetsk e di Lugansk nei contesti di un gruppo di contatto trilaterale. Le elezioni si terranno nel rispetto degli standard OSCE e sotto il suo monitoraggio; 13. il prosieguo delle attività del Gruppo di contatto trilaterale.

LINEE DI CONTROLLO A CONFRONTO - FONTE: BBC

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Minsk-2 include inoltre: 1) l’abolizione delle sanzioni e delle misure restrittive nei confronti delle persone coinvolte negli eventi accaduti nelle repubbliche di Donetsk e Lugansk; 2) il diritto all’autodeterminazione linguistica; 3) la partecipazione degli organi dell’amministrazione locale nelle procedure di nomina dei capi delle procure e dei tribunali nelle regioni particolari delle repubbliche di Donetsk e di Lugansk; 4) la possibilità per organi gli governativi centrali di stipulare accordi con gli organi competenti di autonomia locale per lo sviluppo economico, sociale e culturale delle particolari regioni delle repubbliche di Donetsk e di Lugansk; 5) l’assistenza dello Stato allo sviluppo socio-economico delle regioni di Donetsk e Lugansk; 6) l’assicurazione che le autorità centrali promuovano la collaborazione delle repubbliche di Donetsk e Lugansk con le regioni russe; 7) l’istituzione di una milizia nazionale in accordo con la decisione dei governi locali per garantire l’ordine nelle repubbliche di Donetsk e Lugansk.

Contemporaneamente (12 febbraio) il Fondo Monetario Internazionale ha inoltre deciso l’estensione della durata degli aiuti concessi a Kiev, per fondi di 17,5 miliardi di euro spalmati in quattro anni, nel quadro di un pacchetto complessivo di aiuti internazionali da 40 miliardi di dollari. Il Premier Arseny Yatsenyuk ha assicurato che il governo rispetterà le condizioni poste dall’organizzazione per ottenere la stabilizzazione economica e finanziaria del Paese. Sebbene il cessate il fuoco sia dunque formalmente entrato in vigore alla mezzanotte locale del 15 febbraio, sono continuati gli scontri, in particolare intorno a Donetsk, Lugansk e alla città di Debaltseve, dove le forze di Kiev (il numero dei soldati è ancora incerto), già impegnati nella smobilitazione in accordo all’intesa di Minsk, il 18 febbraio sono state infine costrette alla completa ritirata a seguito di una nuova offensiva da parte dei separatisti. La presa di Debaltseve, duramente criticata dai Paesi occidentali, rappresenta un’importante vittoria militare e politica per i separatisti delle auto-proclamate Repubbliche di Donetsk e Luganks, i quali, secondo le autorità centrali ucraine, starebbero pianificando un ulteriore attacco contro la città di Mariupol.

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TASCA DI DEBALTSEVE - FONTE: BBC

Petro Poroshenko, di ritorno da un viaggio nell’est del Paese, ha chiesto al Consiglio ucraino di Sicurezza Nazionale e della Difesa di approvare una proposta per il dispiegamento di una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite laddove non fosse possibile una missione di polizia dell’Unione Europea. Il piano è stato tuttavia bocciato sia dal capo negoziatore dei filo-russi, Denis Pushilin, sia dall’Ambasciatore russo all’ONU, Vitaly Churkin, secondo i quali la cosa costituirebbe una violazione degli accordi di Minsk in quanto gli unici ammessi al monitoraggio dell’implementazione dell’intesa è l’OSCE. Il 16 febbraio sono nel frattempo entrate in vigore le nuove sanzioni economiche approvate dai Ministri degli Esteri dell’UE il 9 febbraio. Tre le 19 nuove personalità colpite spiccano il vice Ministro della Difesa, Anatoly Antonov, il primo vice Ministro della Difesa russo, Arkady Bakhin, e il vice Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe, Andrei Kartapolov. Le nuove entità colpite – in tutto 9 – sono invece tutti gruppi armati separatisti accusati di minare l’integrità territoriale ucraina (la Guardia Nazionale Cosacca; i battaglioni Sparta, Somalia, Zarya, Oplot, Kalmius, Death; la Brigata Prizrak; il Movimento pubblico ‘Novorossiya’). Angela Merkel ha aggiunto che la Commissione europea è stata invitata a predisporre ulteriori misure qualora le condizioni le rendano necessarie e che l’UE «è aperta a tutte le possibilità di risposta». Alle misure europee hanno fatto eco il 17 febbraio quelle imposte dal Canada a 37 nuovi individui ucraini e russi (tra cui Sergey Chemezov, Amministratore Delegato della Rostec Corporation) e 17 entità. Nuove sanzioni sono anche al vaglio degli Stati Uniti, il cui Segretario di Stato John Kerry, in un incontro a Londra con il Ministro degli Esteri Philip Hammond (21 febbraio), ha nuovamente aperto alla possibilità dell’invio di armi pesanti a Kiev, un’opzione per ora completamente esclusa dai partner britannici nonostante lo stesso Dicastero degli Esteri e quello della Difesa abbiano riferito di nuove incursioni aeree nello spazio aereo britannico a largo delle coste della Cornovaglia (si tratterebbe di due bombardieri Tupolev Tu-95 intercettati e scortati da due caccia Typhoon della Royal Air Force). 9


BREVI DANIMARCA, 14 FEBBRAIO ↴ Un uomo ha aperto il fuoco contro il centro culturale Krudttønden Cafè di Copenaghen, uccidendo un civile e ferendo tre agenti di polizia, mentre si stava svolgendo una conferenza dal titolo “Blasfemia e libertà di parola” organizzata dal disegnatore svedese Lars Vilks – ritenuto il target dell'azione –, già sotto scorta per aver in passato pubblicato delle vignette su Maometto sul quotidiano danese Jyllands-Posten. All'incontro era presente anche l'Ambasciatore francese François Zimeray. Poche ore più tardi lo stesso attentatore ha preso d'assalto la sinagoga ebraica di via Krystalgade, nel centro della capitale, ferendo altri due poliziotti e uccidendo un altro uomo. Il presunto responsabile dell'attacco, successivamente individuato e ucciso nel corso di una sparatoria con la polizia nel quartiere di Norrebrø, sarebbe Omar Abdel Hamid al-Hussein, un 22enne di origini giordane-palestinesi ma cresciuto in Danimarca e già noto alle forze di sicurezza per possesso di armi e violenze (il 30 gennaio era infatti uscito dal carcere dopo aver scontato una condanna per aver accoltellato un uomo su un treno nel novembre 2013). Al-Hussein sembrerebbe aver agito da solo, sebbene altri due giovani siano stati messi in stato di fermo con l'accusa di favoreggiamento e di aver offerto all'uomo un luogo dove nascondersi. Nonostante le tipologie dell'attentato e di obiettivo ricordino le stragi di Parigi dello scorso mese di gennaio, non sembrerebbero per ora esserci collegamenti tra le due vicende e più in generale con le cellule terroristiche europee, né al-Hussein sembrerebbe aver avuto in passato esperienze di addestramento in Siria o in Iraq.

EGITTO, 9-10 FEBBRAIO ↴ Accolto con il massimo delle onorificenze e con i titoli dei quotidiani locali che lo definivano «l’eroe dei nostri tempi», l’attesa visita del Presidente russo Vladimir Putin in Egitto – la prima dal 2005 – è stata molto positiva

e

contrassegnata

da

un

rafforzamento

dell’asse russo-egiziano. Negli incontri con il suo omologo Abdel Fattah al-Sisi, con il Primo Ministro Ibrahim Mahlab, con gli altri esponenti del governo e con i più importanti rappresentanti dello Stato, Putin ha discusso di numerosi temi: rapporti bilaterali, economia, crisi in Medio Oriente, con particolare riferimento alla Libia e alla minaccia dello Stato Islamico in Siria e Iraq. Il bilaterale è stata anche l’occasione per firmare 10


28 importanti accordi di cooperazione, soprattutto in materia di energia ed economia. Si inseriscono in questo contesto la firma di un memorandum per la costruzione di una centrale nucleare nell’ovest del Paese, nella regione di al-Dabaa, così come gli accordi per il miglioramento della cooperazione in termini di investimenti per l’esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale. Inoltre i due leader hanno definito la costruzione di una zona economica esclusiva industriale russa lungo il canale di Suez – già perarltro discussa in occasione della visita di al-Sisi lo scorso agosto a Sochi –, l’attrazione di investimenti russi per diversi progetti commerciali che potrebbero portare l’Egitto nell’orbita economica dell’Unione Euroasiatica e l’introduzione del rublo come moneta per i pagamenti bilaterali in ambito commerciale senza, dunque, la mediazione del

dollaro, nonché un deciso

rafforzamento dell’interscambio commerciale bilaterale (cresciuto rispetto al 2013 di oltre il 50%). La visita di Putin in Egitto ha confermato ancora una volta lo shift politico del Cairo verso Mosca e più in generale verso una politica estera sempre meno legata dall’asse di ferro pre-Primavere Arabe con Washington.

GRECIA, 20 FEBBRAIO ↴ Dopo un duro confronto all’interno dell’Eurogruppo circa l’estensione del programma di salvataggio della Grecia che scadeva il prossimo 28 febbraio, i Ministri delle Finanze dell’UE e il governo greco – rappresentato dal Premier Alexis Tsipras e dal Ministro Yanis Varoufakis – hanno infine raggiunto un accordo per un allungamento di quattro di mesi del piano di aiuti (non sei come inizialmente richiesto dai greci) senza alcuna nuova misura di austerità, come annunciato dallo stesso Varoufakis. Il compromesso prevede la presentazione di un programma di riforme da parte del governo Tsipras entro lunedì 23 febbraio – che sarà successivamente valutato dalle Istituzioni (queste non saranno più denominate “troika”), il completamento delle misure contenute nel Master Financial Assistance Facility Agreement (MFFA) così come contratte dal precedente governo Samaras e il rispetto degli

obblighi

finanziari

nei

confronti

dei

creditori

europei.

Il

tandem

Tsipras/Varoufakis non è riuscito per ora a vincere il nodo dei fondi destinati agli Istituti bancari (European System of Financial Supervisors - ESFS): questi continueranno ad essere destinati per ricapitalizzazioni o costi di risoluzione e non anche per generali scopi di finanziamento. Anche per quanto riguarda il punto più critico della trattativa, ossia l’avanzo primario di bilancio – che la Grecia aveva chiesto di poter contenere entro l’1,5% contro il 3% per quest’anno e il 4,5% nel 2016 richiesto dall’Eurogruppo –, tutto è rimasto invariato, ma Atene ha ottenuto la prima significativa apertura in termini di flessibilità: lo stesso Presidente dei Ministri dell’area Euro, Jeroen Dijsselbloem, ha confermato che l’UE terrà conto della situazione congiunturale greca.

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ITALIA, 10 FEBBRAIO ↴ Ad oltre un mese di distanza dagli attentati di Parigi, il Consiglio dei Ministri italiano ha definitivamente varato la nuova normativa in materia di contrasto ai fenomeni terroristici, in particolare quelli di matrice islamica. Tra le norme del nuovo pacchetto sicurezza assumono una particolare rilevanza le misure riguardanti la lotta ai combattenti stranieri (i c.d. foreign fighters), l’incremento dei poteri a disposizione dei prefetti (tra i quali quelli di espulsione) e dei servizi segreti, maggiori controlli su siti web che inneggiano al fanatismo religioso, un impegno massiccio dei militari già impegnati nell’“operazione Strade sicure” (che saliranno a 4.850) e, infine, la creazione di ufficio che curerà le inchieste di terrorismo in coordinamento con la Direzione Nazionale Antimafia. Il Ministro degli Interni Angelino Alfano ha sottolineato soprattutto l’importanza delle norme del decreto legge riguardanti i foreign fighters. La nuova norma infatti colpisce chi va a combattere all’estero, punendo da 3 a 6 anni di reclusione chi si arruola nelle organizzazioni terroristiche; sempre da 3 a 6 anni chi supporta i combattenti, organizzando, finanziando e facendo propaganda; da 5 a 10 anni «per i lupi solitari, chi si autoaddestra all’uso delle armi, con aggravanti per chi lo fa via web». Il decreto inoltre rafforza il ruolo dell’intelligence nostrana, favorendo le operazioni sotto copertura ed allargando le garanzie funzionali per gli infiltrati. Infine, come affermato anche dalla titolare della Difesa, il Ministro Roberta Pinotti, nel decreto esiste la proroga alle missioni internazionali, compresa quella contro lo Stato Islamico che vede l’Italia schierare circa 550 unità (soprattutto addestratori e consiglieri militari) tra Iraq e Kuwait. Sebbene le norme sembrino indirizzarsi soprattutto verso uno scenario di contrasto e repressione dei fenomeni terroristici, il nuovo d.l. non pare ancora provvisto degli strumenti normativi capaci di fare prevenzione e deradicalizzazione.

NIGERIA, 16-21 FEBBRAIO ↴ Dopo il vertice degli Stati del bacino del Lago Ciad, svoltosi a Niamey, e quello dell’Unione Africana, tenutosi ad Addis Abeba, anche i Paesi appartenenti alla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEEAC/ECCAS) hanno tenuto un vertice straordinario, lunedì 16 febbraio, per delineare una strategia comune contro la minaccia alla sicurezza, rappresentata dai miliziani islamisti di Boko Haram. Gli Stati della CEEAC/ECCAS, a cui non appartiene la Nigeria, hanno dato il loro appoggio alla costituzione di una forza militare regionale di 8.700 uomini, con un mandato chiaro e delle regole di ingaggio ben definite. Proprio durante lo svolgimento

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del Vertice, nella regione camerunense di Waza, al confine con la Nigeria, cinque soldati del Camerun sono morti a seguito di scontri con Boko Haram, mentre sarebbero 86 i miliziani uccisi. A qualche chilometro di distanza, circa mille combattenti e persone probabilmente legate alla setta islamica sono state catturate e rinchiuse nella prigione di Maroua. Alcuni giorni prima militanti di Boko Haram, a bordo di alcune canoe, avevano attaccato il villaggio di Ngouboua, situato sulla riva del Lago Ciad, provocando la morte di 10 persone, prima di essere respinte dalle truppe ciadiane giunte in soccorso. Ciad, Camerun e Niger sono i Paesi che hanno deciso di fornire il loro appoggio militare alla Nigeria e da allora sono stati oggetto di attacchi da parte del movimento guidato da Abubakar Shekau. Il 17 febbraio, un aereo da guerra, identificato come appartenente all’aviazione nigeriana, ha colpito il villaggio nigerino di Abadam, causando la morte di 37 civili. Aldilà dell’errore, l’episodio ha messo in luce la difficoltà di utilizzo dell’aviazione contro i miliziani di Boko Haram, bravi a nascondersi tra la popolazione civile e ad utilizzarla come scudo umano. Nelle ultime ore un portavoce del Ministero della Difesa ha dichiarato che l’esercito nigeriano ha riconquistato la città di Baga, località strategica situata sul Lago Ciad, conquistata da Boko Haram lo scorso 3 gennaio al termine di uno dei maggiori eccidi compiuti dalla setta islamista.

SIRIA/IRAQ, 12-16 FEBBRAIO ↴ Nella settimana in cui l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite e della Lega Araba Staffan de Mistura si è recato a Damasco per discutere con il Presidente Bashar alAssad la possibilità di definire una tregua delle violenze tra esercito regolare e insorti nella città di Aleppo, le forze curde del Syria's People's Protection Units (YPG) hanno preso possesso del territorio di Ayn al-Arab, nei pressi di Kobane, cacciando nuovamente indietro l’offensiva dello Stato Islamico verso la città martire lungo il confine turco-siriano. Nel frattempo le forze ribelli rimaste sotto il cappello del Free Syrian Army e quelle dell’YPG stanno combattendo i miliziani dell’IS a Manbij, al-Bab e Ariha, villaggi strategici lungo la direttirce orientale-occidentale di Aleppo. Secondo fonti non confermate l’IS avrebbe abbandonato questi villaggi dando così adito a voci di un “ritiro tattico”, forse per concentrare e consolidare le proprie forze in nuove offensive più rilevanti dal punto di vista strategico come quelle ancora in corso a Kirkuk e nella regione di al-Anbar. Sempre sul fronte siriano, nella regione nord-orientale di Dara’a, le forze lealiste, insieme al supporto più o meno dichiarato dei Pasdaran iraniani e dei miliziani libanesi di Hezbollah, avrebbero lanciato una serrata controffensiva militare all’IS nella città di Nawa. Il coinvolgimento iraniano nella guerra all’IS ha conosciuto un nuovo importante ruolo – frutto anche dei recenti colloqui tra il governo locale di Kirkuk, l'Organizzazione Badr, e il governo iracheno – nel contenimento della minaccia 13


jihadista del Califfato in Iraq. Dopo aver respinto gli attacchi di IS su Kirkuk, Erbil e nella zona di Hawija, le forze regolari, i peshmerga curdi e le milizie – irachene e iraniane – anti-IS starebbero collaborando insieme nonostante i diversi interessi in gioco che minano puntualmente l’unità del fronte iracheno per respingere l’avanzata delle truppe del Califfo non solo sul piano militare ma anche su quello politico interno. Le uccisioni da parte di sconosciuti – anche se i sospetti ricadrebbero sulle milizie irachene sciite – di importanti personalità politiche sunnite come gli Sceicchi Swedan e al-Janabi, avvenute nei giorni tra il 14 e il 16 febbraio scorsi, hanno provocato la sospensione delle attività parlamentari delle liste sunnite in Parlamento in protesta contro l’autorità sempre più indebolita del Premier Haider al-Abadi, reo di essere incapace di porre un freno alle violenze settarie delle milizie sciite nel Paese.

SITUAZIONE SUL CAMPO AL 17 FEBBRAIO 2015 - FONTE: BBC

Nel frattempo le milizie dello Stato Islamico hanno ricominciato ad attaccare le province di al-Anbar, Salah ad-Din e Ninive dove tra il 12 e 13 febbraio hanno lanciato attacchi multipli contro le postazioni delle forze regolari dell’esercito iracheno. In

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particolare nella provincia di al-Anbar, le milizie islamiste hanno lanciato un duro attacco contro la base area irachena di Ayn al-Asad, nel distretto di al-Baghdadi, 200 chilometri a ovest di Baghdad, dove 320 marines statunitensi stanno addestrando i soldati della Settima divisione irachena. Mentre il Dipartimento di Stato USA ha tenuto a precisare che gli attacchi contro la base sono stati respinti con successo, il governo iracheno ha affermato che il 90% del distretto di al-Baghdadi è caduto sotto il controllo dell’IS e che negli stessi giorni dell’offensiva contro la base aerea irachena, i jihadisti dello Stato Islamico hanno arso vive 45 persone ad al-Baghdadi.

YEMEN, 15-21 FEBBRAIO ↴ In seguito a quello che da più parti è stato definito un colpo di Stato del gruppo sciita Houti a fine gennaio, non si arresta l’esclation di violenze in Yemen. Il 16 febbraio ad Aden, nel sud del Paese, si sono verificati duri scontri nei quali almeno tre persone hanno perso la vita. La battaglia è scoppiata in seguito alla formazione da parte dei governatori delle regioni meridionali di Aden, Lahij e Mahra, di un gruppo di opposizione al colpo di Stato degli Houthi e a sostegno del Presidente dimissionario Abd Rabbuh Mansur Hadi. Al termine dei combattimenti la coalizione lealista ha affermato di detenere la posizione strategica di un quartier-generale dell’intelligence, una stazione televisiva e altri edifici di rilevante importanza economica. Nella stessa giornata è stata resa nota la Risoluzione delle Nazioni Unite adottata all’unanimità in seno al Consiglio di Sicurezza il 15 febbraio. Nel documento si intima ai ribelli Houthi di ritirarsi «immediatamente e incondizionatamente» dalle posizioni governative della capitale Sana’a, data la situazione di crisi che è scaturita in seguito all’occupazione de facto del settembre scorso e che sta conducendo il Paese vicino al collasso; dalle Nazioni Unite viene richiesto inoltre di rilasciare dagli arresti domiciliari il Presidente Hadi, il Primo Ministro Khaled Bahah e altri esponenti del governo legittimo. Non vengono espressamente mezionate sanzioni di tipo coercitivo, come richiesto dagli Stati vicini, ma viene indicata l’intenzione di andare oltre nel procedimento qualora gli Houthi non dovessero assolvere a tali richieste. In tale situazione di diminuite garanzie di sicurezza, tutte le Ambasciate straniere presenti in Yemen hanno deciso di bloccare temporaneamente le proprie attività, evacuando il personale dallo Stato del Golfo. L’ultima rappresentanza diplomatica a chiudere è stata quella turca, il 16 febbraio, preceduta dal Giappone il giorno prima e altre nel corso della precedente settimana quali Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Italia, Germania e Corea del Sud. Mentre ad Ibb nel corso di ulteriori proteste antiHouthi un manifestante ha perso la vita, il 21 febbraio il Presidente Hadi è riuscito ad allontanarsi dalla propria abitazione per raggiungere Aden dove ha tenuto nel pomeriggio dei colloqui con i leader politici del sud per far fronte alla situazione. Hadi ha inoltre inviato un comunicato ad al-Jazeera, firmato «il Presidente della 15


Repubblica», in cui denucia l’avvenuto golpe da parte degli Houthi e il non riconoscimento della loro autorità, chiedendo infine alla comunità internazionale di proteggere il processo di transizione politica in Yemen.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 21 FEBBRAIO ↴ Il nuovo Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ashton Carter, ha effettuato una visita a sorpresa a Kabul. Stati Uniti ed Afghanistan, ha detto, dovrebbero iniziare «seri colloqui per la revisione del ritiro delle truppe» USA dal Paese, magari spostando il termine ultimo del ritiro completo. Il Presidente afghano, Ashraf Ghani, ha affermato che «ora siamo sulla strada giusta per raggiungere la pace, ma non possiamo dare dettagli ulteriori».

ARGENTINA, 19 FEBBRAIO ↴ Oltre 400mila persone hanno sfilato per le strade di Buenos Aires in una manifestazione di sostegno alla magistratura e contro le autorità nazionali ritenute responsabili della morte del Pubblico Ministero Alberto Nisman, trovato senza vita nel suo appartamento nella capitale in circostanze misteriose. Solo pochi giorni prima, il 13 febbraio, il Procuratore Federale Gerardo Pollicita aveva chiesto formalmente di aprire un’indagine contro la Presidente Cristina Fernandez de Kirchner, il Ministro degli Esteri Héctor Timerman, il deputato “oficialista” Andrés Larroque, il leader sindacale Luis D'Eñía e il dirigente della coalizione di sinistra Quebracho, Fernando Esteche, tutti accusati di aver occultato le prove di un coinvolgimento iraniano nell’attentato alla mutua ebraica AMIA di Buenos Aires del 1994.

INDIA, 7-10 FEBBRAIO ↴ Le operazioni di spoglio nelle elezioni locali dello stato di Delhi hanno confermato, come da previsioni della vigilia, la storica ed ampia vittoria all’Aam Adami Party (AAP), il partito anti-corruzione, che ha ottenuto 67 dei 70 seggi totali dell’Assemblea. Il Bharatiya Janata Party, il partito del Premier Narendra Modi, ha ottenuto i rimanenti 3 seggi, mentre l’Indian National Congress rimarrà fuori dall’Assemblea locale.

IRAN, 20 FEBBRAIO ↴ Sono ripresi a Ginevra i colloqui sul dossier nucleare iraniano tra Teheran e il P5+1. Per ora, ha detto il vice Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, il clima è stato «serio e positivo, anche se questo non significa che ci siano stati sviluppi meravigliosi». Sul tavolo delle trattative sono due le questioni spinose: il numero delle centrifughe che Teheran potrà avere e il sollevamento delle sanzioni economiche.

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MALI, 19 FEBBRAIO ↴ Il governo maliano, nel quadro dei colloqui di pace sponsorizzati dall’ONU, ha trovato un accordo con sei gruppi ribelli per la cessazione immediata delle ostilità nel nord del Paese. Il cessate il fuoco del 19 febbraio è stato firmato in presenza di Ramtane Lamamra, Ministro degli Esteri algerino, e Mongi Hamdi, il Capo della missione di pace dell’ONU in Mali (MINUSMA), nel corso del quinto round di colloqui, iniziati ad Algeri il 16 febbraio. Lamamra ha detto che l’accordo, che esclude i gruppi collegati ad AQIM, mira a «creare un clima e uno stato d’animo sul terreno che aiuteranno a raggiungere un accordo globale di pace».

MYANMAR, 13 FEBBRAIO ↴ È di 47 soldati uccisi e 73 feriti il bilancio di quattro giorni di combattimenti in Myanmar tra esercito e ribelli di etnia cinese Kokang. Teatro degli scontri è lo Stato settentrionale di Shan, vicino alla frontiera con la Cina – temporaneamente chiusa per motivi di sicurezza nazionale –, dove da tempo la minoranza cinese è attiva contro il governo centrale birmano. Il Myanmar, composto da 135 etnie, vive una stagione di violenze legate soprattutto alla difficoltà di convivenza pacifica tra la maggioranza birmana e le diverse minoranze sparse in tutto il territorio, come testimoniato anche dalle tensioni con i Karen e i Rohingya.

MOLDAVIA, 18 FEBBRAIO ↴ Con 60 voti favorevoli su 101, il Parlamento moldavo ha concesso la fiducia al nuovo governo filo-europeista guidato dal giovane imprenditore e leader del Partito liberale democratico di Moldova (PLDM), Chiril Gaburici. La nomina, avvenuta grazie all’appoggio esterno fornito dal Partito Comunista di Vladimir Voronin – di per sé non completamente a sfavore del processo di integrazione europea –, è giunta all’indomani della bocciatura di un governo guidato nuovamente dall’uscente Iurie Leancă e ha sbloccato un’impasse politico-istituzionale che durava dalle elezioni legislative dello scorso 30 novembre.

PAKISTAN, 13 FEBBRAIO ↴ Un attentato è avvenuto in una moschea sciita di Peshawar, la città principale nel nord ovest del Pakistan. Il commando di tre terroristi, che ha causato 19 morti e più di 40 feriti, ha agito con pistole e granate; nell’attacco uno dei tre si è fatto inoltre esplodere mentre un altro è stato arrestato. A reclamare l’attentato sono stati i talebani pachistani del movimento Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), i quali hanno confermato che ad organizzare l’attacco sono stati gli stessi responsabili del massacro alla scuola militare di Rawalpindi avvenuto nel dicembre scorso e che il motivo alla base dell’attacco è stata una ritorsione in seguito all’esecuzione capitale per impiccagione, il 19 dicembre, di un militante del gruppo, conosciuto col nome di Dr. Usman. 18


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 14 FEBBRAIO ↴ Il Presidente Joseph Kabila ha annunciato di voler rinunciare all’aiuto della MONUSCO, la missione dell’ONU nel RD Congo, nella lotta contro i ribelli delle Forces Democratiques de Liberation du Rwanda (FDLR) operanti nell’est del Paese. La decisione, già comunicata al Capo missione della MONUSCO Martin Kobler, è stata presa dopo la richiesta dell’ONU di sostituire due Generali dell’armata congolese, accusati di violazioni dei diritti umani e ritenuta da Kinshasa un’eccessiva ingerenza negli affari interni del Paese.

SOMALIA, 20 FEBBRAIO ↴ Un attentato contro il Central Hotel di Mogadiscio rivendicato del gruppo islamista alShabaab ha provocato la morte di 25 persone e il ferimento di almeno una quarantina di civili. Tra le 25 vittime riunite per il venerdì di preghiera anche esponenti politici, come il vice Sindaco della capitale somala.

UNGHERIA, 17 FEBBRAIO ↴ Nel corso di un incontro ufficiale a Budapest, Vladimir Putin e il Premier ungherese Viktor Orban hanno siglato un importante accordo di durata quinquennale per una proroga del contratto attuale per la fornitura di gas. Il Presidente russo ha inoltre rinnovato l’intento di finanziare la ristrutturazione della centrale nucleare di Paks, annunciando un progetto congiunto per la realizzazione di un gasdotto alternativo a South Stream. Il Vertice – il primo bilaterale in Paese dell’UE dopo l’estate del 2014 – ha un alto valore politico ed evidenzia, nonostante l’approvazione delle sanzioni, l’assertività della politica estera ed economica di Orban rispetto alla linea adottata dall’UE nei confronti di Mosca.

VENEZUELA, 19 FEBBRAIO ↴ È stato arrestato con un’operazione speciale degli uomini del servizio di intelligence venezuelano (SEBIN) il sindaco di Caracas Antonio Ledezma, tra i più attivi e influenti leader anti-chavisti, con l’accusa di ordire un colpo di Stato contro il regime. L’arresto di Ledezma apre un nuovo giro di vite del Presidente Maduro contro i golpisti accusati di voler sovvertire «la pace nel Paese, la sicurezza e la Costituzione».

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ANALISI E COMMENTI LIBIA, QUALE SOLUZIONE ALLA CRISI? INTERVISTA AL GEN. CARLO JEAN ALESSANDRO TINTI E GIUSEPPE DENTICE ↴ Con la bocciatura dell’intervento militare da parte del Consiglio di Sicurezza straordinario delle Nazioni Unite, sembra essere tornata a prevalere la linea della prudenza nella gestione della crisi in Libia. Il futuro chiarimento dei margini di una qualsiasi iniziativa internazionale – sia essa di monitoraggio e di peacekeeping, di addestramento delle forze regolari e di sostegno alla riabilitazione economica, per le quali l’Italia si è inoltre candidata a giocare un ruolo di primo piano – dipenderà evidentemente da un’esatta valutazione del contesto libico e dei fattori di rischio ad esso collegati. Del complesso scenario libico e delle sue implicazioni ne abbiamo parlato con il Gen. Carlo Jean (…) SEGUE >>>

DATA CENTER, DOMINIO DEL CYBERSPAZIO E DECLINO DELLO STATO-NAZIONE SIMONE VETTORE ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA La tesi, non nuova, è stata di recente rilanciata dal Financial Times in un articolo dal titolo eloquente, The new country of Facebook: a detta dell’autrice, i social network, anche se a questo punto la definizione risulta riduttiva, dall’alto dei loro milioni di utenti e della profonda conoscenza che essi hanno di questi ultimi (ben superiore rispetto a quella che gli Stati hanno dei propri cittadini), insidiano sempre più il primato dello Stato-nazione e, in un futuro che potrebbe essere più prossimo di quanto si possa credere, potrebbero finire per erogare una serie di servizi che, tradizionalmente, sono sempre stati suo appannaggio. Precisato che il verificarsi di tale scenario appare effettivamente verosimile così come condivisibili paiono essere i timori sollevati in ordine ai diritti, o meglio ai “non diritti”, dei cittadini virtuali di Facebook, va però rilevato come l’articolo non vada sufficientemente al cuore della questione, ovvero non spieghi le cause profonde di questo passaggio di “sovranità” ma si limiti piuttosto a descriverne le (probabili) conseguenze (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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