N°23, 19 OTTOBRE – 1° NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 2 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: AP; Reuters; AFP; John Locher/AP; AFP/Ashraf Shazly; CNN; Gleb Garanich/Reuters; EPA;
FOCUS BURKINA FASO ↴
Dopo 27 anni di governo, Blaise Compaoré non è più il Presidente del Burkina Faso: le sue dimissioni sono state comunicate il 30 ottobre scorso a seguito delle violente proteste popolari ancora in corso. Secondo le ultime indiscrezioni di stampa, Compaoré – dato precedentemente in fuga in Senegal – avrebbe trovato rifugio, grazie all’aiuto francese, in Costa d’Avorio, a Yamoussoukro, centro economico situato a circa 240 chilometri dalla capitale Abidjan. A causare la dipartita del Presidente sono state le violenti proteste popolari contro l’ultimo tentativo di prolungare il suo periodo di permanenza alla Presidenza attraverso un discutibile cambiamento dell’articolo 37 della Costituzione burkinabè, che limita a soli due i mandati l’incarico presidenziale. In realtà Blaise Compaorè, salito al potere con un sanguinoso colpo di Stato nel 1987, era già stato confermato alla presidenza per due periodi di sette anni e poi per altri due di cinque, e si apprestava a trovare un nuovo escamotage per ripresentarsi alle elezioni del 2015. Le proteste popolari contro questo proposito sono andate avanti per diverse settimane ma hanno toccato l’apice nella giornata del 30 ottobre, quando, alla vigilia della firma del contestato emendamento, le manifestazioni di dissenso si sono sviluppate anche nella capitale Ouagadougou: Parlamento e sede della televisione nazionale sono stati presi d’assalto. Non sono serviti a nulla gli appelli alla calma e alla cessazione delle ostilità emessi alla radio nazionale da Compaoré, né l’annuncio del ritiro dell’emendamento costituzionale: le opposizioni e i gruppi civili hanno continuato le loro proteste, chiedendo le dimissioni immediate del Presidente.
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Due alti ufficiali dell’esercito hanno successivamente affermato, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, di ritenersi alla guida del governo di transizione che si preoccuperà di riportare il Paese alla normalità: il primo è il Generale Nabéré Honoré Traoré, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, molto vicino a Compaorè, il secondo è il colonnello Yacouba Isaac Zida, comandante aggiunto della Guardia Presidenziale. Il giorno dopo, a seguito di una lunga e turbolenta lotta interna all’esercito, è il colonnello Zida ad affermarsi quale leader ad interim del Paese. La scelta di Zida pare tuttavia non trovare il pieno appoggio popolare: infatti tra i manifestanti scesi in piazza contro Compaoré, il nome più gradito risultava essere quello di Kouamé Lougué, ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito e già Ministro della Difesa, dimissionato proprio da Compaorè nel 2005. Ad ogni modo, la nomina di Zida non sarebbe in linea con quanto prevede invece la Costituzione burkinabé che nel caso di dimissioni del Capo dello Stato attribuisce al Presidente del Senato poteri transitori, con l’obiettivo di indire elezioni in un periodo tra i 60 e 90 giorni: molti credono che l’intervento dell’esercito possa prolungare questo periodo di transizione. Proprio a causa di questo timore, i partiti di opposizione, i sindacati e i diversi gruppi della società civile hanno indetto una grande marcia popolare per il 2 novembre per protestare contro la presa del potere da parte dell’esercito. «Questa vittoria politica è il frutto delle proteste popolari, e il compito di gestire la transizione spetta, per diritto, al popolo», ha affermato un rappresentante dei gruppi di opposizione. Nel frattempo, il Colonnello Zida ha già deciso la riapertura delle frontiere aeree e il mantenimento di un coprifuoco limitato alle sole ore notturne. In questo scenario di crisi politica, l’Unione Africana prova ad intervenire intimando il ristabilimento della tranquillità sociale e minacciando l’esercito circa il fatto che qualsiasi tipo di repressione violenta della volontà popolare condizionerà l’appoggio politico internazionale e il sostegno finanziario al Paese.
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EGITTO ↴
La spirale di violenza che contraddistingue il Sinai centro-settentrionale ha conosciuto un nuovo e cruento episodio. Il 24 ottobre un duplice attentato tra al-Arish e Sheikh Zuweid ha provocato la morte di 31 militari egiziani (di cui due ufficiali), facendo registrare così il più grave attentato contro le autorità centrali cairote dalla seconda rivoluzione egiziana iniziata con la deposizione dell’ex Presidente Mohammed Mursi, il 3 luglio 2013. Gli attacchi, rivendicati poche ore dopo dalle sigle jihadiste di Ajnad Misr e da Ansar Bayt al-Maqdis, sono stati rivolti contro un checkpoint militare ad al-Kharouba, nei pressi di al al-Arish – e nel quale sono morte 24 persone –, e contro la base di Karm al-Kawadess, vicino Sheikh Zuweid, uccidendo sette soldati. Nel condannare gli attentati, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi ha accusato Hamas e “forze straniere” (senza tuttavia specificare quali queste siano) di essere i mandanti dei nuovi attacchi nel Sinai. Anche la Lega Araba ha condannato fermamente gli episodi e in una nota di condoglianze alle famiglie dei militari morti, il Segretario Generale, l’egiziano Nabil al-Arabi, ha ribadito che l’organizzazione sostiene «tutte le misure prese dall'Egitto contro il terrorismo e chiede alla comunità internazionale di sostenere a sua volta gli sforzi egiziani per eliminare questa piaga che colpisce diverse parti del mondo arabo». Cordoglio e condanna anche da parte dei Fratelli Musulmani, i quali però hanno addebitato i gesti alla sistematica repressione perpetrata contro qualsiasi forza islamista, moderata o radicale che essa sia, da parte del Presidente al-Sisi. Secondo il gruppo dichiarato fuorilegge nel dicembre 2013, i militari sono i responsabili politici della grave situazione di insicurezza che vive l’intero Paese e soprattutto per l’escalation di attacchi nel Sinai settentrionale.
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Il Consiglio di Difesa egiziano, presieduto dallo stesso Presidente al-Sisi, ha pertanto autorizzato una serie di misure straordinarie contro il terrorismo nel Sinai. Innanzitutto ha lanciato una nuova operazione di counterterrorism, mirata al solo Sinai settentrionale, imponendo per tre mesi lo stato d'emergenza e un coprifuoco notturno nel territorio. In secondo luogo sono partite le operazioni militari, uccidendo in due raid distinti con elicotteri da combattimento otto militanti islamisti (27 e 28 ottobre). Tra questi le forze di sicurezza ritengono di aver eliminato due degli autori materiali degli attentati del 24 ottobre. Un’altra operazione aerea è stata lanciata il 1° novembre quando gli elicotteri egiziani hanno effettuato attacchi contro i villaggi di al-Tuma alMukataa e di al-Mahdiya, nel Sinai Centrale, ritenuti da tempo le roccaforti di Ansar Bayt al-Maqdis e dei diversi gruppi jihadisti attivi nella Penisola. Il Consiglio di Difesa ha inoltre conferito nuovi e più ampi poteri speciali all’esercito: la misura autorizza la protezione militare per tutte le infrastrutture ritenute strategiche come gasdotti, linee ferroviarie, edifici pubblici, strade e ponti; un attacco contro queste sarà equiparato ad un atto di terrorismo e i soggetti, anche civili, rei degli attentati saranno sottoposti a giudizio delle corti militari. Infine, è stata stabilita la chiusura sine die del valico di Rafah e l’istituzione di una buffer zone di 500 metri di larghezza per 13 chilometri
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tutto il confine che separa l’Egitto dalla Striscia di Gaza. Questa misura risulta essere molto importante nell’ottica dell’esercito perché mirata a snidare i terroristi dai rifugi sicuri lungo il confine di Gaza e il valico di Rafah, da dove partono diverse centinaia di tunnel sotterranei utilizzati per il trasporto da e verso la Striscia di beni di prima necessità (al fine di aggirare l’embargo ancora vigente nel territorio gazawi), ma anche armi e droga. Sebbene le forze di sicurezza egiziane abbiano distrutto circa l’80% dei 1.500 tunnel finora scoperti, le autorità del Cairo non sono ancora riuscite a interrompere questo flusso clandestino. La buffer zone è stata istituita lo scorso 30 ottobre dopo che l’esercito aveva lanciato un ultimatum di 48 ore agli abitanti siti lungo il confine con l’ordine di abbandonare immediatamente il luogo sottoposto a legislazione militare. Sono state pertanto distrutte 800 abitazioni e sono state fornite 313 lire egiziane come compensazione alle oltre un migliaio di famiglie residenti (circa 10.000 persone).
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L’istituzione di una zona cuscinetto nel Sinai settentrionale è stata molto criticata all’interno dell’Egitto, tanto da far paventare ad alcuni attivisti per i diritti umani che la misura fosse contraria all’articolo 62 della nuova Costituzione, in quanto non garantiva «libertà di movimento, residenza ed emigrazione». L’amministrazione Obama ha invece appoggiato politicamente tale iniziativa e ha ricordato che presto Il Cairo riceverà i 10 elicotteri Apache previsti dagli accordi di fornitura militare bilaterale. Sempre Washington, attraverso la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, ha ribadito tutto il supporto degli Stati Uniti alle azioni di lotta al terrorismo internazionale nel Paese e nella regione. La Penisola del Sinai già pochi anni prima della caduta di Mubarak aveva sperimentato una stagione terroristica che si credeva conclusa dopo i numerosi arresti contro soprattutto le comunità beduine locali. Con la deposizione del vecchio rais nel 2011, il territorio non è più sotto il controllo delle autorità centrali del Cairo.
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TURCHIA-SIRIA-IRAQ ↴
Nella giornata del 30 ottobre, 50 guerriglieri dell’Esercito Siriano Libero sono entrati a Kobane per cingerne le difese contro il lungo assedio portato avanti dalle forze dello Stato Islamico (IS), che mantengono saldamente il controllo su circa metà della zona urbana, oramai trasfigurata in uno spettrale teatro di battaglia. Si tratta di un primo drappello che anticipa l’arrivo di 150 peshmerga iracheni, equipaggiati con armamento pesante e in attesa nella vicina Suruc di unirsi alla lotta sul confine turcosiriano. Dietro le sollecitazioni degli alleati occidentali, il governo presieduto da Davutoğlu ha rimosso i veti alzati contro un intervento a vantaggio della salvaguardia di Kobane, raggiungendo un’intesa con le autorità di Erbil per il passaggio di uomini e armi nell’enclave curda in territorio siriano. Lo scatto in avanti della leadership turca è maturato a seguito dei molteplici lanci effettuati il 19 ottobre dai C-130 americani per rifornire l’ala armata del Partito di Unione Democratica (PYD), ossia della principale fazione curda siriana di opposizione al regime di al-Assad, che Ankara (e fino a pochi giorni orsono anche Washington) designa come organizzazione terroristica alla stregua del PKK. Erdoğan aveva precedentemente dichiarato che armare i militanti del PYD sarebbe stato inaccettabile, inoltre condannando il pesante silenzio occidentale nei riguardi della guerra civile che da tre anni sconvolge lo scenario siriano ed alla quale è fatta risalire l’odierna escalation. Di fronte al pragmatismo esibito dall’amministrazione Obama, il governo turco è stato costretto a recuperare terreno in una partita diplomatica altrimenti perdente, individuando in Masoud Barzani, Presidente del Kurdistan iracheno e inviso al PYD, un interlocutore privilegiato. Nonostante l’accordo di collaborazione negoziato a Dohuk, il fronte curdo è tutt’altro che unitario, laddove i peshmerga siriani impegnati a Kobane hanno accolto con
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disapprovazione l’ingerenza delle forze di Barzani, nonché dell’Esercito Siriano Libero, ed accusano Ankara di voler marginalizzare la posizione del PYD nella gestione della crisi. Mentre è sul tavolo l’ipotesi di portare a oltre mille unità il contingente dei ribelli siriani, nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre i raid statunitensi hanno sostenuto la riconquista del villaggio di Tel-Shahir, situato sulla vicina collina che guarda Kobane – postazione adibita a punto di raccolta del ponte aereo allestito dalla coalizione internazionale. Le stesse truppe fedeli a Damasco sono in lotta serrata con i militanti jihadisti. I bombardamenti statunitensi, come ammesso dal vertice del Pentagono Chuck Hagel, avvantaggiano l’esercito regolare nella repressione delle opposizioni. La presa di Morek dopo nove mesi di interregno delle forze ribelli ne è il segno tangibile. Tuttavia, la sovranità di Damasco è contesa se non propriamente inesistente in gran parte del Paese, dalle provincie settentrionali sino al confine iracheno, e la pressione del Califfato diventa progressivamente insostenibile per il regime di al-Assad. L’International Business Times ha documentato la decapitazione di 70 ufficiali siriani compiuta dai miliziani di Jahbat al-Nusra. È tuttavia nella provincia di al-Anbar, nel cuore sunnita dell’Iraq da cui proruppe la chiamata alle armi di al-Baghdadi, che si sta consumando il capitolo centrale del conflitto sollevato dall’instaurazione del sedicente Stato Islamico. Le divisioni dell’esercito iracheno operative nell’area sono state gravemente danneggiate dal fuoco jihadista e dalle numerose diserzioni. Per converso, le colonne dell’IS tengono sotto scacco la base aerea di Ain al-Asad (ultima installazione lasciata dai Marines nel dicembre 2011), mobilitano rinforzi verso Falluja ed ambiscono a sferrare attacchi decisivi contro il capoluogo Ramadi e la diga di Haditha, obiettivi strategici la cui capitolazione pregiudicherebbe la stessa tenuta di Baghdad. Abdulwahab al-Saadi, Generale di corpo d’armata e comandante delle forze governative schierate nella provincia, ha annunciato un’imminente operazione per la riconquista di Baiji, sede della maggiore raffineria irachena, caduta nelle mani dell’IS a seguito dell’assoggettamento di Mosul. Tuttavia, il Comando Centrale degli Stati Uniti avverte che una solida controffensiva dell’esercito iracheno richiederà mesi di preparazione, mentre il governo di Baghdad non appare materialmente e politicamente in grado di sostenere la flebile resistenza delle tribù sunnite. Dopo quattro mesi di combattimenti, solo l’integrazione di 10mila miliziani sciiti ha permesso alle forze di sicurezza irachene di riprendere Jurf al-Sakhar, cittadina sull’Eufrate a circa 30 km da Karbala, quest’ultimo luogo sacro dello sciismo che ospita la tomba dell’imam Hussain ibn Ali, nipote del profeta Muhammad. Malgrado ciò, la presenza delle milizie sciite (dirette da Teheran) aggrava la reciproca diffidenza tra le istituzioni centrali ed il tessuto tribale dei gruppi sunniti, benché l’ascrizione di questi alla causa di un accordo di unità nazionale costituisca un tassello ineludibile della lotta contro l’IS. A conclusione di una riunione ad Amman con alcune figure di spicco delle tribù di Anbar, il Primo Ministro Haider al-Abadi – recatosi a Teheran nei giorni precedenti per 7
un lungo colloquio con Rouhani volto a rafforzare la cooperazione militare tra le parti – ha dato il proprio benestare alla creazione di una forza volontaria di 30mila unità entro la quale coordinare ed armare la resistenza sunnita. Eppure, il dispendio di risorse belliche nel teatro siriano da parte della coalizione internazionale e la debolezza strutturale del nuovo governo tendono al consolidamento delle conquiste jihadiste nel Paese. A rappresentare atrocemente tanto la concretezza del furore ideologico dei seguaci di al-Baghdadi, quanto la precarietà della provincia di Anbar è il rinvenimento di due fosse comuni nei pressi di Ramadi e di Hīt, quest’ultima sottratta al controllo dell’esercito iracheno il 14 ottobre: sarebbero oltre 220 gli uomini, appartenenti alla tribù sunnita di Albu Nimr, giustiziati per ritorsione dalle divise nere del Califfato. A ciò si aggiunge la notizia, raccolta da Human Rights Watch, dell’esecuzione di almeno 600 prigionieri perpetrata all’interno del carcere di Baboush nello scorso giugno, all’apice dell’offensiva che piegò Mosul.
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UCRAINA ↴
Come da aspettative, le elezioni legislative anticipate del 26 ottobre hanno decretato la vittoria dei partiti filo-occidentali, segnando probabilmente un nuovo passo nella crisi iniziata nel novembre dello scorso anno. Il partito del Premier Arseniy Yatsenyuk, Narodniy Front (Fronte Popolare), ha ottenuto il 21,68% dei voti, superando di pochi decimi la formazione del Capo dello Stato, Blocco Poroshenko, attestatasi al 21,64%, al di sotto dunque delle previsioni iniziali basate sul largo consenso registrato in occasione delle elezioni presidenziali di maggio e sui sondaggi che la davano al 30%. Al terzo posto Samopomich (Auto Aiuto), formazione moderata esordiente guidata dal sindaco di Leopoli Andriy Sadovy, che ha raggiunto il 10,5% dei consensi, mentre crolla Batkivshchyna (Patria) di Yulia Timoshenko, passata dal 25,5% del 2012 – prima del distacco di Yatsenyuk – al 5,68%, appena sufficiente per entrare nel Parlamento. Si ferma al 7,6% il Partito Radicale di Oleh Lyashko, che pur migliorando significativamente la propria performance (1,8% nel 2012), non è riuscito a superare il 10% previsto dai sondaggi. Ottiene l'8,3% il Blocco Opposizione guidato dall'ex Ministro dell'Energia Yuri Boyko e sponsorizzato dagli oligarchi Rinat Akhmetov e Dmytro Firtash: l'erede del Partito delle Regioni dell'ex Presidente Yanukovich resta l'unico gruppo apertamente contrario al processo di integrazione europea in seno al Parlamento, nonché prima forza politica nelle regioni orientali di Dnipropetrovsk, Donetsk, Luhansk, Kharkiv e Zaporizhia. Restano infine fuori dalla Rada i gruppi politici più estremisti, come Svoboda, passato dal 10,4% al 4,7%, il Partito Comunista, anch'esso sceso al 3,8% dal 13,1% del 2012, e Pravy Sektor, fermo all'1,8%. L'affluenza alle urne è stata del 54,4%, in calo di 5 punti rispetto alle consultazioni del 2012; bloccate inoltre le operazioni di voto nelle zone controllate dai separatisti (circa 30 seggi su 450 in Parlamento resteranno vuoti), i quali hanno convocato per il 2 novembre elezioni autonome. 9
L'annuncio del riconoscimento da parte della Russia del voto autoregolato nelle Repubbliche Popolari autoproclamate di Donetsk e Lugansk – differentemente da quanto aveva fatto in occasione dei referendum indipendentisti dello scorso maggio – ha nuovamente riacceso le tensioni tra Mosca e Kiev, la quale ha aperto un'inchiesta su un possibile sovvertimento dell'ordine costituzionale in base «al comma 3 dell'articolo 109 del codice penale ucraino», come ha spiegato il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale ucraino Volodimir Poliovi. Mentre Vladimir Putin ha ribadito la necessità di instaurare un serio dialogo tra le autorità centrali e quelle del Donbass per una stabilizzazione della situazione, gli Stati Uniti, attraverso il portavoce del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca, Bernadette Meehan, hanno dichiarato il voto illegittimo e hanno accusato il Cremlino – posizione condivisa anche dal Segretario della NATO, Jens Stoltenberg – di minare il processo di pace e di violare palesemente gli accordi di Minsk dello scorso 5 settembre, che in ragione di un conferimento di uno status speciale per queste regioni prevedevano un voto locale per il prossimo 7 dicembre. Più cauta in merito la posizione dell'Unione Europea, anche alla luce dell'accordo sul gas raggiunto il 30 settembre che sembra scongiurare un blocco degli approvvigionamenti per il prossimo inverno. Secondo il cosiddetto Winter Package, mediato dal Commissario europeo uscente Gunther Oettinger e i cui termini sono fissati fino a marzo del 2015, Kiev pagherà a Mosca i primi 4 miliardi di metri cubi di oro blu al prezzo di 378 dollari ogni mille metri cubi fino alla fine del 2014 e di 365 dollari ogni mille metri cubi nel primo trimestre 2015. A Gazprom verrà inoltre saldato un debito di 3,1 miliardi di dollari attraverso un pagamento in due tranche, la prima da 1,45 miliardi da pagare subito e la seconda da 1,65 miliardi da saldare entro la fine dell'anno. UE e Fondo Monetario Internazionale si faranno garanti di tale impegno. Il 1° novembre è intanto entrato in vigore l'Accordo di Associazione con Bruxelles, anche se la zona di libero scambio commerciale funzionerà solo dall'inizio del 2016 e nel frangente resterà in vigore il regime di libero scambio all'interno della CSI con la possibilità di un'apertura di Kiev a determinati prodotti europei.
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BREVI AFGHANISTAN, 26 OTTOBRE ↴ Sono state simbolicamente ammainate le bandiere di Stati Uniti e Regno Unito nella base militare di Camp Bastion e in quella vicina di Leatherneck, situate nella provincia afghana di Helmand. Ciò significa che è terminata la combat mission in Afghanistan dei due Paesi. Le Forze Armate locali hanno preso il controllo di entrambe le basi. Il ritiro, da tempo iniziato, proseguirà celermente nel corso dei prossimi mesi. Con la conclusione della missione International Security Assistance Force (ISAF), in Afghanistan resteranno, complessivamente, circa dodicimila soldati occidentali con compiti di sostegno ed addestramento alle Forze locali, di cui la gran parte (poco meno di diecimila) sarà fornita da Washington. Un sondaggio della BBC ha rilevato che meno della metà dei cittadini statunitensi ritiene sia stato utile l’impegno ultradecennale dei propri militari in Afghanistan. Due terzi pensano che l’attuale governo di Kabul non riuscirà a proteggere gli afghani da una nuova guerra civile senza un’assistenza concreta di Washington. Nel Regno Unito solo un britannico su quattro ha dichiarato che l’impegno delle Forze di Sua Maestà in ISAF ha migliorato la situazione dell’Afghanistan. Solamente il 14% del campione, infine, ha sostenuto che l’intervento militare ha reso la propria nazione più sicura. Nel frattempo, il nuovo Capo di Stato afghano, Ashraf Ghani, si è recato il 31 ottobre a Pechino per una conferenza regionale cui hanno partecipato una trentina di Paesi, tra cui Pakistan e Iran. Ghani ha affermato che «la pace è l’assoluta priorità» invitando gli insorti, «particolarmente i talebani» a «partecipare al processo di pace inter-afghano». Per l’occasione, Cina e Afghanistan hanno firmato una serie di accordi del valore di circa trecento milioni di dollari.
CANADA, 20-22 OTTOBRE ↴ Due attentati si sono succeduti, nel corso delle ultime settimane, in Canada. Il primo è avvenuto lunedì 20 ottobre a St-Jean-Sur-Richelieu – in Quebec – per mano di Martin Couture-Rouleau, 25 anni, il quale si è diretto con la propria auto contro una pattuglia di militari causando la morte di uno dei due. CoutureRouleau è stato a sua volta ucciso dalla polizia durante l’inseguimento seguito all’attentato. Il secondo episodio violento si è verificato due giorni dopo, il 22 ottobre, presso la sede del Parlamento canadese, Parliament Hill, mentre erano in corso, alla presenza del Primo Ministro Stephan Harper, i regolari lavori dell’Assemblea.
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L’attentatore, Michael Zehaf-Bibeau, ha aperto il fuoco uccidendo un poliziotto di origini italiane, Nathan Cirillo, e ferendone altri due di fronte all’edificio. Zehaf-Bibeau è stato ucciso per mano di un poliziotto all’interno della sede del Parlamento, mentre cercava di raggiungere le sale interne. I due attentatori erano entrambi canadesi di recente convertiti all’Islam. Nei confronti di Couture-Rouleau, il governo canadese aveva emesso nei mesi passati un provvedimento per il sequestro del passaporto in quanto considerato “viaggiatore a rischio”, categoria nella quale vengono inserititi tutti coloro che sono sospettati di avere intenzione di recarsi all’estero per commettere crimini. Couture-Rouleau era, dunque, già noto alla sicurezza per le sue idee estremiste. Zehaf-Bibeau non era inserito, invece,
nella stessa lista dei 93
soggetti a rischio, ma aveva recentemente richiesto di avere il suo passaporto, secondo alcuni conoscenti, con lo scopo di recarsi in Siria. Inoltre, il padre di ZehafBibeau nel 2011 abbracciò la causa dei ribelli libici combattendo contro il regime di Gheddafi. Le indagini hanno dimostrato che i due uomini hanno agito separatamente l’uno dall’altro e senza il supporto di alcun commando o cellula affiliata a gruppi islamici. La notizia dei due attentati sorprende il Canada, un Paese con un numero particolarmente basso di omicidi annuali e di criminalità, a differenza dei vicini Stati Uniti. Inoltre, lo Stato canadese, a differenza degli USA, conduce una politica piuttosto restrittiva in materia di armi da fuoco, motivo per cui questi accadimenti risultano essere generalmente piuttosto rari.
CINA-HONG KONG, 20-23 OTTOBRE ↴ Si è tenuto a Pechino, dal 20 al 23 ottobre, il IV Plenum del Comitato permanente del Partito comunista cinese, la sessione annule plenaria diretta a decidere le politiche da adottare nell’anno successivo. Il tema centrale della discussione è stato la “regolamentazione del Paese attraverso la legge” che potrebbe apparire simile al concetto di Stato di diritto. Tuttavia, in base al comunicato di chiusura del Plenum, le caratteristiche connotate allo Stato di diritto cinese sono ben diverse da quelle intese con tale definizione. Resta, infatti, preponderante in Cina il potere decisionale del Partito, con una nuova interpretazione socialista del concetto originario. Tra le misure decise dal Comitato del Partito troviamo un incremento nella rigidità della selezione dei giudici in base al merito e una maggiore indipendenza delle corti giurisdizionali dai governi locali. Tale provvedimento, tuttavia, da alcuni analisti è visto come una mera misura per il Partito per poter controllare maggiormente il potere giudiziario. Un ulteriore obiettivo annunciato è stata la volontà di apportare maggiore trasparenza nelle decisioni del governo e di continuare nella lotta alla corruzione. A conferma di tale volontà sono stati espulsi nella stessa sessione cinque grandi rappresentanti del Partito accusati di corruzione. Anche in questo caso non mancano voci a sostegno della tesi secondo cui l’epurazione sia solo una conseguenza
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dei dissidi tra le varie fazioni interne al Partito, piuttosto che una reale lotta alla corruzione. È stata poi sottolineata con particolare enfasi l’importanza di riportare in primo piano la Costituzione cinese, così da realizzare in modo migliore lo Stato di Diritto. Infine, è stato dichiarato che la ricerca della realizzazione di uno Stato di Diritto non significa un calo dell’autorità del Partito: questo resta al di sopra della legge e della Costituzione e lo Stato di Diritto rimane solamente un meccanismo per assicurare l’autorità di Pechino e non, come ci si attendeva al momento dell’entrata in carica del Presidente Xi Jinping, una limitazione al potere centrale. Ad Hong Kong, nel frattempo, il 21 ottobre si è avuto un significativo, sebbene infruttuoso, incontro tra i ragazzi del movimento di protesta pacifica Occupy Central e le autorità di Hong Kong. Il dialogo si è tenuto nelle sale dell’Accademia di Medicina ed è stato trasmesso nelle piazze della città. Si può definire significativo in quanto si tratta della prima volta che il governo di Hong Kong apre le trattative con manifestanti trattandoli al proprio pari, mentre è stato, per converso, infruttuoso a causa della conclusione dell’incontro con un nulla di fatto, e cioè con nessuna risposta concreta da parte degli ufficiali ai giovani studenti. In particolare ciò che i manifestanti chiedono al Governatore Leung Chun-ying, a gran voce da settimane nelle strade di Hong Kong, è di poter aver maggiore potere decisionale nella scelta del futuro leader della cittàStato. Ciò che ora, pertanto, dopo il fallimento del dialogo viene preso in considerazione dai manifestanti è la possibilità di muovere verso Pechino in occasione dell’apertura, nella prossima settimana, del Forum APEC (Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica), così da portare all’attenzione delle autorità internazionali, che saranno presenti, le richieste della gioventù di Hong Kong.
ISRAELE, 30-31 OTTOBRE ↴ Non conoscono sosta gli scontri che ormai con cadenza giornaliera
si
Gerusalemme
registrano e
in
tutta
dallo la
scorso
luglio
Cisgiordania.
a Dal
ritrovamento dei corpi dei tre ragazzini ebrei rapiti nei pressi di Hebron, che aveva dato origine all’ennesima guerra a Gaza, la tensione nei Territori Occupati è alta e non sembra scorgersi all’orizzonte un episodio che possa favorire un clima di distensione. Incidenti tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana sono scoppiati nel quartiere di Abu Tor, nella parte orientale di Gerusalemme, dopo l'uccisione da parte degli agenti di Moatez Higazi, un palestinese ritenuto il presunto responsabile di una sparatoria avvenuta il 29 ottobre scorso nel quale è rimasto gravemente ferito il rabbino nazionalista Yehuda Glick. Quest’ultimo è un personaggio discusso nella comunità ebraica poiché nella sua ultima battaglia politica si è impegnato in favore della necessità di garantire maggiori accessi e opportunità di preghiera agli ebrei alla Spianata delle Moschee, storico luogo religioso comune a tutte le religioni monoteiste e conteso dalle stesse. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele e Giordania 13
siglarono un’intesa sullo status del luogo sacro nel quale si impediva agli ebrei di recitarvi preghiere. Una situazione che il governo Netanyahu vuole modificare in favore di un libero afflusso di fedeli ebrei. A seguito dell’attentato contro il rabbino Glick, le autorità cittadine avevano deciso di chiudere per il venerdì di preghiera la Spianata delle Moschee. L’ultima chiusura risale al 2000, dopo la visita del Premier Ariel Sharon, che diede inizio alla rivolta palestinese contro Israele nota anche come Seconda Intifada. Immediata e dura è stata la reazione palestinese, che per voce del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), Abu Mazen, ha equiparato la chiusura del luogo sacro ad «una dichiarazione di guerra contro il popolo palestinese». Anche Fatah, partito di riferimento del Presidente dell’ANP e maggiore forza politica in Cisgiordania, ha accusato le autorità israeliane di attuare azioni discriminatorie contro i Palestinesi e per questo motivo ha proclamato una giornata della collera e l’organizazzione di diverse manifestazioni non solo a Gerusalemme, ma in tutta la West Bank. Per evitare nuovi e più pesanti scontri, le autorità israeliane hanno parzialmente revocato il divieto di chiusura del luogo sacro ordinandone l’accesso solo agli uomini con più di 50 anni e alle donne. Oltre a Gerusalemme, altri incidenti si sono registrati a Ramallah e a Hebron, sempre in Cisgiordania. Solo pochi giorni prima, il 28 ottobre, il sindaco di Gerusalemme, l’israeliano Nir Barkat, aveva compiuto un sopralluogo sulla Spianata delle Moschee che alcuni siti web vicini ad Hamas avevano etichettato come un atto sacrilego e provocatorio.
LIBIA, 31 OTTOBRE ↴ In una comunicazione del delle
forze
armate
31 ottobre il comandante
speciali
di
Bengasi,
Wanis
Bukhamada, ha affermato che le truppe dell’esercito libico hanno ripreso, dopo tre anni di assedio, il controllo della città. L’esercito aveva precedentemente confermato di avere espulso i militanti di Ansar alSharia dalla zona dell’aeroporto Benina di Bengasi e dal campo “17 Febbraio”, punto strategico e roccaforte dei miliziani nella zona del porto. La notizia della presa di Bengasi arriva dopo giorni di continui combattimenti avvenuti nelle strade della città, ulteriormente aumentati nell’ultimo mese. L’operazione dell’esercito è stata condotta in concertazione con le truppe dell’ex-generale Khalifa Haftar. A Bengasi, di fatti, dal maggio scorso, oltre alle forze speciali libiche, è sceso in campo Kahlifa Haftar con Operazione Dignità lanciata contro i gruppi jihadisti presenti nell’area. Tuttavia, il Parlamento regolarmente eletto, e attualmente stanziato a Tobruk, ha appoggiato ufficialmente l’operazione di Haftar solamente nelle ultime settimane. Accanto alla perdita di Bengasi inflitta ai jhiadisti negli ultimi giorni di ottobre, una visita rilevante è avvenuta da parte del Primo Ministro libico al-Thani in Sudan. Dal 27 al 29 ottobre al-Thani si è recato in visita a Khartoum dove ha incontrato il Presidente sudanese Omar al-Bashir. In seguito ai dialoghi è stata riferita dal Ministro degli Esteri 14
sudanese, Ali Karti, la volontà del governo di Khartoum di andare incontro alle necessità libiche nella ricerca di una soluzione alla crisi dello Stato nordafricano. Karti ha affermato, inoltre, di avere già un piano per cercare di unificare le diverse posizioni libiche. Tale proposta sarà discussa nel corso di un prossimo meeting da tenersi nella capitale sudanese alla presenza dei Ministri dei Paesi vicini alla Libia. Un’ulteriore importante affermazione è stata fatta, in tale occasione, da Saud al-Birair (capo della SBU, Sudanese Business Union) il quale ha confermato che il governo sudanese si adopererà per creare campi militari di addestramento per l’esercito libico. Al termine della visita, infine, al-Thani ha dichiarato la propria disponibilità ad avviare le trattative con le varie milizie libiche per cercare una soluzione al caos imperversante nel Paese. L’ufficiale libico ha altresì aggiunto che ciò potrà avvenire solamente ad una condizione, e cioè che venga dimostrata la volontà da tutte le parti in campo ad apportare delle rinunce ai propri obiettivi.
MALI, 28-31 OTTOBRE ↴ Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, violenti scontri sono avvenuti nel nord del Mali tra le forze francesi, impegnate da più di un anno nella caccia ai jihadisti saheliani, e gruppi ribelli, alcuni dei quali legati ad alQaeda
nel
Maghreb
Islamico.
Gli
scontri,
come
riportato dal Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian, hanno provocato la morte di un soldato transalpino, il decimo dall’inizio dell’impegno francese, prima con l’Operation Serval, poi successivamente con l’Operation Barkhane. Quest’ultima sta concentrando i propri sforzi nel nord montagnoso del Paese, l’Azawad, dove i gruppi jihadisti sono riusciti a far arrivare numerosi convogli di rifornimenti, mostrando una rinnovata vitalità. Nel frattempo, il coordinamento dei Movimenti per l’Azawad ha annunciato di aver trovato un accordo per la creazione di un’unità di coordinamento militare per il nord composta dieci ufficiali, al cui comando ci sarà il colonnello Mohamed Ag Najim. Questa struttura, che raggrupperà le forze di MNLA (Mouvement National pour la Libération de l’Azawad), HCUA (Haut Conseil pour l'Unité de l'Azawad) e MAA (Mouvement Arabe de l'Azawad), avrà lo scopo di rispondere all’insicurezza dilagante nel nord del Paese e di proteggere gli abitanti locali dalle azioni del governo. Questa intesa si inserisce nell’ambito del rispetto del cessate il fuoco siglato il 23 maggio scorso a Kidal, e chiede, pertanto, al governo di Bamako di fare altrettanto, al fine di porre le basi di un accordo di pace per il Mali. A tal proposito, ad Algeri si è tenuta la terza sessione dei colloqui di pace tra rappresentanti del governo di Bamako e i gruppi armati che agiscono nell’Azawad, che hanno prodotto la stesura di un documento su cui basare i futuri rapporti. Mentre Abdoulaye Diop, capo della diplomazia maliana, si è espesso in favore di questo documento, chiedendo che non venga messa in discussione l’integrità territoriale del Paese, Moussa Ag Ataher, portavoce dei gruppi
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ribelli, ha espresso tutta la sua preoccupazione e lo scetticismo nei confronti di un atto che non contiene nessuna delle loro richieste, in primis la possibilità di costituire un sistema federale.
RUSSIA, 29 OTTOBRE ↴ In un comunicato emesso dal proprio portavoce, Jay Janzen, la NATO ha denunciato un’“insolita” attività di aerei militari russi nei cieli del Mar Nero, del Mar Baltico e del Mar del Nord. I voli intercettati sarebbero in particolar modo 26. Le incursioni nello spazio aereo europeo, avvenute nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, sono state condotte da quattro gruppi di mezzi che comprendono bombardieri strategici Tu-95 Bear H, caccia MiG-31 e altri tipi di aerei da guerra tra cui due Su-34, un Su-27 e due Su-24, allertando pertanto le aviazioni di Norvegia, Regno Unito, Portogallo, Germania e Turchia. Il rischio maggiore è, insieme con un ulteriore innalzamento delle tensioni tra Mosca e Occidente relativamente alla crisi in Ucraina, che non avendo piani di volo e non utilizzando transponder, queste operazioni possano interferire con i voi civili. Già il 21 ottobre un Ilyushin Il-20, velivolo utilizzato nella raccolta di dati di intelligence e decollato dalla base aerea di Kaliningrad, era stato intercettato nello spazio aereo estone da caccia dell'aviazione danese e da F-16 portoghesi della NATO. A fine settembre, peraltro, due aerei da combattimento Sukhoi Su-24 avevano violato lo spazio aereo svedese, seguiti a ruota da sei caccia russi MiG-35 entrati nell'Air Defence Identification Zone dell'Alaska e intercettati da aerei da guerra americani e canadesi. L'Alleanza Atlantica ha inoltre dichiarato di aver intercettato nel 2014 oltre cento velivoli da guerra russi, circa tre volte di più rispetto al 2013. Gli episodi si aggiungono alla denuncia (28 ottobre) da parte del Servizio Informazioni per la Sicurezza (BIS) della Repubblica Ceca circa un significativo aumento delle spie russe nel Paese e al caso del presunto sottomarino della marina moscovita – attribuito dal Cremlino invece all'Olanda – che a metà ottobre avrebbe violato le acque territoriali svedesi. A preoccupare NATO e cancellerie occidentali è anche il recente annuncio (16 ottobre) da parte del Presidente della Commissione Difesa della Duma di Stato, l'Ammiraglio Vladimir Komoyedov, di un nuovo aumento del budget per le spese militari per il 2015 fino a 3,3 trilioni di rubli (81 miliardi di dollari), pari al 4,2% del PIL.
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STATI UNITI, 31 OTTOBRE ↴ Il 4 novembre i cittadini degli Stati Uniti si recheranno alle urne per le consuete elezioni di midterm che permetteranno al Partito Democratico e a quello Repubblicano di mantenere o di guadagnare il controllo delle due camere del Congresso. Con la popolarità del Presidente, Barack Obama, che è scesa ai minimi termini, particolare importanza è rappresentata dalla situazione economica del Paese. Con un tasso di disoccupazione che si è stabilmente attestato al di sotto della fatidica soglia psicologica del 6% e con le stime di crescita del Prodotto Interno Lordo ad un ritmo pari al 3,5% (superiore alle previsioni degli analisti), la Federal Reserve (FED) ha annunciato di interrompere il cosiddetto quantitative easing (QE), ovvero la propria politica di stimolo monetario all’economia del Paese, che dalla crisi del 2007/2008 ha pompato nel sistema centinaia di miliardi dollari. Non verranno, però, alzati i tassi di interesse, che resteranno al minimo storico nel range tra lo 0% e lo 0,25%. Janet Yellen, governatore della FED, ha dichiarato che la fine del QE è dovuta ad «un continuo miglioramento del mercato del lavoro e ad un'inflazione che torna verso l'obiettivo di lungo termine del 2%». Eppure, le statistiche recentemente diffuse dalle istituzioni nascondono l’altro lato della medaglia. In termini di crescita su base annuale, la spesa delle famiglie e gli investimenti delle aziende si sono attestati ben al di sotto delle rispettive previsioni. Anche la spesa federale è aumentata del 4,6% nonostante il debito pubblico continui ad attestarsi al di sopra del tetto del 100%. Al di là dei semplici dati, sia la Yellen sia Obama hanno riconosciuto che l’attuale situazione economica ha incrementato la diseguaglianza sociale e l'erosione della ricchezza dei ceti medi.
TUNISIA, 26 OTTOBRE ↴ Il partito laico Nidaa Tounes ha ottenuto la maggioranza relativa nelle elezioni legislative indette per il rinnovo dell’Assemblea del Popolo. Il successo della formazione guidata da Beji Caid Essebsi, che ha conquistato 85 seggi contro i 69 ottenuti dal movimento Ennahda, consolida l’affermazione della transizione democratica a quasi quattro anni dall’esplosione della “Rivoluzione dei Gelsomini” e dal successivo allontanamento di Ben Ali. Dalle colonne del Washington Post, Fareed Zakaria ha commentato che il pacifico svolgimento di una seconda tornata parlamentare (dopo le elezioni costituenti del 2011) certifica l’approdo maturo verso un sistema politico autenticamente democratico e multipartitico, secondo una linea di marcata controtendenza rispetto ai risultati spesso infelici e turbolenti dei rivolgimenti popolari che dalla miccia algerina del dicembre 2010 infiammarono il mondo arabo.
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Gli osservatori internazionali hanno confermato la sostanziale regolarità e trasparenza delle consultazioni. L’esito elettorale impone tuttavia al partito di maggioranza relativa di formare una coalizione di governo, aperta al principale antagonista ovvero ai partiti minori di taglio secolare rappresentati nell’aula parlamentare. La debolezza economica e il richiamo dell’estremismo islamico potrebbero avvalorare la prima ipotesi, ossia la sottoscrizione di un’alleanza di unità nazionale con Ennahda – partito tradizionalista e conservatore che guarda ad una lettura moderata dell’Islam politico, come comprovato dall’esperienza del governo tecnico e dalla promulgazione (gennaio 2014) di una Carta costituzionale decisamente progressista. Da questo punto di vista, il coinvolgimento politico di Ennahda, guidata da Rachid Ghannouchi, appare necessario per tutelare il percorso costituente intrapreso dalle istituzioni tunisine, evitando – lo insegna il caso egiziano – sia deragliamenti autoritari, sia la polarizzazione conflittuale degli schieramenti politici. L’accordo sulla prossima nomina presidenziale rappresenterà in tal senso un importante banco di prova. Mentre il Maghreb ed il Levante sembrano sprofondare in una sanguinosa spirale di instabilità, l’eccezione tunisina sembra illuminare di una luce diversa la possibile ridefinizione degli assetti interni.
YEMEN, 29 OTTOBRE – 1° NOVEMBRE ↴ I combattenti di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) hanno attaccato edifici governativi della sicurezza di al-Bayda, nella parte meridionale dello Yemen, uccidendo almeno quattro soldati prima di essere respinti dalle forze della sicurezza. L’attacco rappresenta una ripresa delle attività di AQAP che vede una minaccia nella rivolta degli sciiti Houthi, oramai in pieno controllo di molte aree strategiche del Paese. Nella giornata di venerdì 31 ottobre, gli Houthi, dopo aver rifiutato l’ennesima nomina di un nuovo Primo Ministro – l’ultima proposta è stata quella dell’ex Ministro del Petrolio Ahmed Awad bin Mubarak – da parte del Presidente Abd Rabbu Mansour al-Hadi, hanno tenuto una grande manifestazione a cui hanno partecipato trentamila persone e che si è conclusa con l’emissione di un comunicato che intima al Capo di Stato di formare, entro dieci giorni, un nuovo governo, composto esclusivamente da “tecnici”, senza finalità e collegamenti politici, altrimenti saranno valutate altre opzioni. Successivamente, sabato 1° novembre, è stato siglato un accordo in tal senso da esponenti del partito politico del Presidente, il General People’s Congress, e dei ribelli Houthi, alla presenza dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Jamal Benomar. L’annuncio giunge dopo il lancio di alcuni attacchi mortali dei ribelli Houthi, ai danni di una delle sezioni provinciali del partito sunnita al-Islah, principale rivale politico. Gli Houthi hanno circondato e poi attaccato il quartier generale del partito islamista, situato nella provincia di Ibb, provocando la morte di quattro persone e il sequestro di 25 sostenitori. I ribelli sciiti vedono in al-Islah, una possibile minaccia
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alle loro conquiste degli ultimi mesi, in particolare la capitale Sana’a, il porto di Hodeidah sul Mar Rosso e la città di Ibb. Nel frattempo, violenti scontri avvenuti a Radda, nello Yemen centrale, tra gli Houthi e l’influente tribù Qifa, hanno provocato la morte di 250 persone in soli tre giorni, costringendo i ribelli sciiti a ripiegare a sud.
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ALTRE DAL MONDO ALGERIA, 28 OTTOBRE ↴ Sono iniziate il 13 ottobre le proteste dei poliziotti algerini contro il governo e in particolare contro il Capo della polizia nazionale, il Generale Abdelghani Hamel. Le prime manifestazioni si sono avute nella città di Ghardaia dove hanno manifestato in circa 1.500 poliziotti contro le pessime condizioni lavorative a cui sono sottoposti. Sono seguite i giorni successivi nella capitale Algeri, e altrove nel Paese, altre manifestazioni dei colleghi in sostegno dei poliziotti di Ghardaia. Nella cittadina dell’Algeria meridionale, situata 500km a sud di Algeri, infatti, convivono due comunità differenti in costante lotta tra di loro, una berbera e l’altra araba. Le due comunità hanno visto dal dicembre scorso circa 100 morti negli scontri che si susseguono a causa della scarsità di posti di lavoro e di abitazioni. In seguito alle manifestazioni il governo ha accettato di cedere a molte delle richieste dei poliziotti, incluso un salario più alto, orari di lavoro più brevi, accesso a nuove abitazioni, ma ha parimenti ignorato la richiesta di dimettere Hamel.
BAHRAIN, 28 OTTOBRE ↴ Un tribunale di Manama ha dichiarato la sospensione per tre mesi del principale partito di opposizione sciita, al-Wefaq, riconosciuto colpevole di aver violato le legge sulle associazioni – status detenuto dalla stessa formazione – circa i propri criteri interni. Mentre la direzione del gruppo ha definito la misura «irrazionale e irresponsabile», l'episodio rischia di ingenerare nuove tensioni alla vigilia delle elezioni legislative (22 novembre) e dopo che lo stesso movimento nell'ultimo triennio si è reso protagonista di numerose manifestazioni di protesta contro il governo sunnita degli al-Khalifa. La decisione della Corte bahrainita si inscrive peraltro in continuità con la recente espulsione del diplomatico statunitense Tom Malinowski (7 luglio) dal Paese a causa dei suoi incontri con i rappresentanti di al-Wefaq.
BENIN, 29 OTTOBRE ↴ Più di 5000 persone hanno partecipato alla “Marcia per la sopravvivenza della democrazia”, organizzata da sindacati e partiti d’opposizione, lungo le strade di Cotonou, principale centro economico del Paese, per sollecitare l’istituzione di elezioni municipali, comunali e locali che il governo del Presidente Boni Yayi rimanda da tempo. Le elezioni si sarebbero dovute svolgere nel 2013, ma ci sarebbero, secondo funzionari del governo, dei problemi legati alla lista elettorale informatizzata che sarebbe in corso di aggiornamento. Resta il sospetto che il governo, per non perdere il consenso, stia ostacolando l’organizzazione di libere elezioni; decisione che, visto quanto sta accadendo in Burkina Faso, è estremamente pericolosa.
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BRASILE, 26 OTTOBRE ↴ Dilma Rousseff è stata confermata per un secondo mandato come Presidente del Brasile. Al ballottaggio ha sconfitto Aécio Neves con uno scarto di circa tre milioni di voti, ottenendo il 51,64% contro il 48,36% dello sfidante. Le elezioni hanno dimostrato un Paese spaccato a metà sulle politiche da intraprendere per il futuro. La Rousseff ha quindi disteso la mano verso l’opposizione dichiarando che «sono disposta al dialogo. Questo sarò il mio primo impegno di questo mandato: dialogare».
CIPRO, 20 OTTOBRE ↴ Una nave fregata Classe Barbaros della marina militare turca è entrata in acque territoriali sottoposte al controllo del governo di Cipro causandone l’immediata reazione. L’imbarcazione ha iniziato a raccogliere dati sismici per l’estrazione di gas e di petrolio dall’area a sud dell’isola cipriota. In questa zona risultano essere presenti, dalle stime circa 5 trilioni di metri cubici di gas estraibili. Si tratta, tuttavia, di una zona economica esclusiva del governo di Nicosia, il quale ha già dato autorizzazione alle multinazionali, l’italiana ENI e la sucoreana Kogas, per avviare le ricerche con fini di attività estrattive. Il Presidente cipriota Anastasiades si è appellato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon per chiedere sostegno di fronte alla violazione da parte di Ankara del diritto sovrano di Cipro sulla zona marina in questione ed ha affermato che finché la situazione resterà immutata si opporrà all’apertura di nuovi capitoli nel processo di ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Sia Ban Ki-moon, sia l’Unione Europea hanno espresso preoccupazione per la tensione creatasi e hanno chiesto alla Turchia di cessare le attività in rispetto delle norme di diritto internazionale.
CONGO, REPUBBLICA DEMOCRATICA, 30 OTTOBRE ↴ Scontri violenti sono avvenuti a Kampi ya Chuyi, località situata a circa 75 km dalla città di Beni, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, e hanno causato la morte di diciotto persone e il ferimento di sette. Gli attacchi sarebbero stati messi in atto dal gruppo ribelle ugandese dell’Allied Democratic Forces (ADF). Dall’inizio di ottobre, secondo alcune organizzazioni umanitarie, questi attacchi hanno provocato la morte di oltre cento persone e il ferimento grave di almeno ventisette civili, nella provincia di Beni. Il gruppo ribelle dell’ADF, confinato nell’est del Congo, porta avanti da anni una strategia armata nei confronti della popolazione congolese.
INDONESIA, 20 OTTOBRE ↴ Alla presenza del Segretario di Stato USA John Kerry e del Primo Ministro australiano Tony Abbott, il 20 ottobre si è insediata la presidenza di Joko Widodo, già Governatore di Jakarta, che avvicenda Yudhoyono alla guida del Paese. L’elezione di Widodo
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segna una discontinuità nella tradizionale e controversa collusione tra la classe dirigente e le gerarchie militari. Ad una settimana di distanza è stata approvata la compagine ministeriale che assisterà il neo Presidente nella pianificazione di un declamato profondo rinnovamento economico dell’Indonesia.
ITALIA, 31 OTTOBRE ↴ È Paolo Gentiloni il nuovo Ministro degli Esteri italiano. Dopo un confronto tra il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, è stato individuato come nome più consono a guidare la Farnesina l’ormai ex membro dalla Commissione Esteri della Camera dei Deputati. Gentiloni ha ottenuto la nomina a scapito di altri candidati come Marina Sereni, Elisabetta Belloni, Lia Quartapelle e Lapo Pistelli.
SUD SUDAN, 29-30 OTTOBRE ↴ Mentre fonti del governo di Salva Kiir annunciano di aver fermato l’avanzata dei ribelli nei pressi della città di Bentiu, nel nord del Paese, i ribelli del SPLM-In Opposition, guidati dall’ex vice President Riek Machar, affermano di aver respinto l’avanzata delle truppe governative e di aver conquistato l’importante hub petrolifero. Negli scontri tra forze lealiste e ribelli è stato attaccato il centro della città. Questo episodio ha di fatto posto fine all’accordo di cessate il fuoco mediato dall’Intergovernmental Authority on Development (IGAD) per cercare una soluzione politica al conflitto civile che da dieci mesi turba il Paese.
UNIONE EUROPEA, 1° NOVEMBRE ↴ Dopo la recente approvazione del Parlamento europeo, si è insediata la nuova Commissione presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker. «Le sfide dell'Europa non possono aspettare», ha detto Juncker, «da oggi io e la mia squadra ci impegneremo per dare all'Europa il nuovo inizio che abbiamo promesso». La prima questione che la nuova Commissione dovrà risolvere è la controversia sull’aumento dei contributi a Bruxelles da parte di Londra e Roma.
URUGUAY, 26 OTTOBRE ↴ Le attese elezioni presidenziali nel Paese che dovranno scegliere il successore di Pepe Mujica, non candidabile ad un secondo mandato secondo quanto previsto dalla Costituzione nazionale, non ha prodotto un nuovo Capo di Stato ma ha decretato alcuni importanti risultati. Il Frente Amplio, la coalizione di sinistra al governo, ha ottenuto il 47,06% dei voti nelle elezioni presidenziali e legislative di ieri, mantenendo così la sua maggioranza in Parlamento. Allo stesso tempo, il suo candidato, Tabaré Vazquez, sebbene non sia riuscito a vincere al primo turno risulta in netto vantaggio per il 22
prossimo ballottaggio del 30 novembre rispetto al più diretto avversario, il conservatore del Partido Nacional Luis Lacalle Pou, che ha ottenuto solo il 30,63% dei voti. Infatti anche con i voti dell’altro sfidante conservatore, Pedro Bordaberry, il centrodestra insieme raggiungerebbe il 42-43% consensi rimanendo dunque lontano dal 47% di Vazquez.
VENEZUELA, 24 OTTOBRE ↴ Dopo i due rimpasti di governo dei mesi scorsi, il Presidente Maduro ha operato un nuovo cambio in due Ministeri chiave del suo esecutivo, ossia Interni e Difesa. Al posto del Generale Miguel Rodríguez Torres è stata nominata l’Ammiraglio Carmen Meléndez, che ha lasciato il Dicastero della Difesa per far posto al Capo di Stato maggiore dell’Esercito, Vladimir Padrino López. Alla base dell’esautoramento di Rodríguez Torres vi è l’accusa di essere il mandante politico delle repressioni degli studenti durante le manifestazioni di rivolta anti-regime iniziate lo scorso febbraio.
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ANALISI E COMMENTI “THE UNITED STATES OF GAS”? IL MIRAGGIO DELL’INDIPENDENZA ENERGETICA ALESSANDRO TINTI ↴ Allo sfruttamento intensivo dello shale gas analisti e politici americani hanno accostato a colpo sicuro il termine “rivoluzione”. Gli incrementi produttivi innescati dall’estrazione di gas da argille e scisti bituminosi sono predicati quali il vettore che nel prossimo futuro ripoterà gli Stati Uniti alla posizione di preminenza occupata agli inizi del Novecento, ossia a quella di prima potenza energetica. Per un gigante economico che a lungo è stato centro di gravità delle transazioni di energia e che ha improntato la vocazione internazionale al dogma della liberalizzazione delle linee di approvvigionamento, le implicazioni geostrategiche di quest’annunciato cambio di paradigma del mercato energetico sono certamente imponenti. Tuttavia, una serie di questioni sottaciute dalle proiezioni sulla curva di produzione impone una lettura prudente della condizione d’indipendenza energetica eventualmente perseguibile dagli Stati Uniti – tanto sul piano della diversificazione globale dei siti estrattivi, quanto su quello dei costi non manifesti (…) SEGUE >>>
LE RELAZIONI TRA ITALIA E IRAN IN UNA PROSPETTIVA STORICA REDAZIONE ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA La vittoria alle elezioni presidenziali del 2013 di Hassan Rouhani – politico di lungo corso vicino ai cosiddetti “riformatori-moderati” nonché ex-capo negoziatore per il programma nucleare iraniano – ha permesso di ristabilire i canali diplomatici tra Washington e Teheran. La telefonata tra il Presidente statunitense Barack Obama e l’omologo iraniano ha rappresentato una svolta non solo simbolica, dato che anche il prezzo del petrolio nei giorni successivi ha subito un’immediata decrescita. La conseguenza delle trattative scaturite è stata, in Europa, l’allentamento delle sanzioni nei confronti di Teheran da parte dell’Unione, attraverso la modifica, approvata il 20 gennaio 2014, al regolamento (UE) n. 267/2012, concernente le misure restrittive nei confronti dell’Iran. Con questo regolamento l’Unione Europea ha deciso di implementare il cosiddetto Joint Plan of Action, ossia l’accordo sottoscritto dall’Iran e le controparti a Ginevra nel novembre del 2013 (…) SEGUE >>>
IL BRASILE DOPO IL VOTO: VECCHIE E NUOVE SFIDE PER DILMA ROUSSEFF FRANCESCO TRUPIA ↴ Il Brasile ha scelto. La campagna elettorale che ha condotto Dilma Rousseff verso la sua tutt’altro che agevole vittoria ha dimostrato che le potenzialità endogene al gi-
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gante sudamericano possono manifestare scenari non più scontati come quelli dell’ultimo ventennio. Appena giunta la notizia della vittoria della Rousseff – la Presidente è stata rieletta con il 51,64% contro il 48,36% del conservatore Aécio Neves –, i maggiori mezzi di comunicazione del Paese hanno criticato il sistema in cui si è svolta la stessa campagna elettorale appena conclusa. Le accuse maggiori sono ricadute sull’horario eleitoral gratuito [1] e sugli strateghi del marketing politico di cui la Rousseff si è circondata. Nonostante le critiche, Dilma Rousseff è fuoriuscita vincitrice da una battaglia elettorale che ha visto svanire già al primo turno il pericolo Marina Silva, clamorosamente sconfitta contro tutti i pronostici della vigilia, e poi Aécio Neves che in alcuni momenti precedenti al ballottaggio aveva superato, sebbene di pochi punti percentuali, la stessa Presidente oggi riconfermata (…) SEGUE >>>
LA MINACCIA – INTERNA E REGIONALE – DEL TERRORISMO IN EGITTO GIUSEPPE DENTICE ↴ QUESTO ARTICOLO È APPARSO ORIGINARIAMENTE SU ASPENIA ONLINE, RIVISTA DELL’ASPEN INSTITUTE ITALIA IL 16.10.2014 Anche dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi a Presidente della Repubblica nel maggio 2014, la transizione egiziana non può definirsi totalmente conclusa poiché a seguito delle destituzioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011 e di Mohamed Morsi nel luglio 2013 permane nel paese una rilevante serie di problemi. La sicurezza e il pericolo del terrorismo rappresentano sicuramente alcune delle maggiori criticità del periodo post-Primavere arabe. I cambiamenti al vertice del 2011 e del 2013 hanno acuito in Egitto una recrudescenza terroristica che si pensava parzialmente risolta dopo gli innumerevoli arresti di militanti e sospetti jihadisti a seguito degli attentati di Luxor del 1997 e quelli nel Sinai meridionale (Sharm al-Shaik, Dahab, Taba, Ras al-Shaitan e Nuweiba) del triennio 2004-06. Attualmente la minaccia è localizzata su più fronti: coinvolge la penisola del Sinai nella sua interezza, il mainland egiziano (Il Cairo, il distretto della capitale e il delta del Nilo) e le province occidentali vicino al confine libico. Secondo le autorità egiziane, Ansar Bayt al-Maqdis (ABM) è al momento la principale minaccia alla sicurezza nazionale, nonché il gruppo responsabile della maggior parte degli attacchi lanciati negli ultimi mesi in tutto il paese (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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