BloGlobal Weekly N°25/2014

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N°25, 9–22 NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 23 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti

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FOCUS ESTREMO ORIENTE↴

Tre importanti vertici di cooperazione economica si sono tenuti dal 10 al 16 novembre in Asia. Si tratta del meeting annuale APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), del summit ASEAN (Association for South East Asian Nation) e dell’incontro dei membri del G20, svoltisi rispettivamente in Cina, Birmania e Australia. Al Vertice APEC, tenutosi a 50 Km a nord di Pechino presso il lago Yanqi, hanno partecipato ventuno economie che si affacciano sull’Oceano Pacifico. L’evento segna, per la Cina, il primo grande avvenimento dall’entrata in carica di Xi Jinping a Presidente della Repubblica Popolare Cinese, nel marzo 2013. Nell’incontro tra i leader dell’Asia-Pacifico il Presidente Xi è riuscito nell’intento di confermare la posizione predominante del proprio Paese nell’area. Xi ha ottenuto, di fatto, una maggiore attenzione verso l’accordo Free Trade Association of Asia/Pacific (FTAAP), da egli supportato, che intende favorire gli scambi commerciali tra i Paesi APEC. Il maggiore impegno verso la stipula dell’accordo sarà dato dal lancio di uno studio strategico comune del quale gli Stati dovranno presentare i propri risultati entro la fine del 2016. La proposta cinese del FTAAP, tuttavia, altro non è che una contro risposta al progetto degli Stati Uniti di concludere un accordo simile che esclude, invece, Pechino dai Paesi coinvolti. Si tratta della Trans Pacific Partnership (TPP). Nel merito di tale accordo Obama ha tenuto, nel corso delle due giornate di dialoghi, un incontro con gli undici Paesi interessati al TPP presso l’Ambasciata americana a Pechino e non nella tenuta del summit.

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Nella dichiarazione finale del meeting i leader APEC hanno sottolineato, oltre alle linee per dare una spinta alla conclusione del FTAAP, l’intenzione di combattere la corruzione ufficiale, le varie forme di protezionismo, nonché di cercare una maggiore integrazione economica, espandere lo sviluppo delle infrastrutture e creare una comune area di prosperità nella zona dell’Asia-Pacifico. A margine delle riunioni ufficiali, in aggiunta, si sono avuti importanti incontri bilaterali. Da sottolineare quello avvenuto tra il Presidente cinese Xi e il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, il primo incontro ufficiale in due anni. Dal 2012, infatti, i due Paesi sono in una situazione di attrito dovuta alla rivendicazione da parte di Pechino delle isole Senkaku/Diaoyu, nel Mar Cinese Meridionale, poste sotto l’amministrazione giapponese. Nonostante la freddezza del Presidente cinese, l’incontro tra i due è stato significativo in quanto segna la ripresa delle relazioni diplomatiche in seguito all’intesa della settimana precedente raggiunta dal Consigliere di Stato cinese, Yang Jiechi, e il National Security Advisor giapponese, Shotaro Yachi, in merito alla gestione della crisi delle isole. Un ulteriore incontro bilaterale è avvenuto tra Obama e Xi. In questa sede è stata sottolineata, in primis, dal Presidente USA, la questione del rispetto dei diritti umani da parte di Pechino, dopodiché i due hanno affrontato il tema dello spionaggio cibernetico ed hanno siglato, inoltre, un importante accordo per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Relativamente alla presenza della Russia al meeting, infine, Putin ha incontrato il Presidente cinese per discutere soprattutto della questione energetica. L’argomento è di rilevante importanza per la Cina data la crescente necessità di energia essenziale a sostenere il suo sviluppo economico; il tema è parimenti importante per Mosca che, dall’inizio delle ostilità in Ucraina, è in cerca di nuovi partner commerciali oltre all’Europa. Il secondo vertice economico è stato quello del gruppo dei Paesi del Sud-est Asiatico, l’ASEAN. L’Associazione, che comprende dieci Paesi dell’area, si è riunita il 12 novembre nella capitale birmana Naypyidaw per la sua 25esima edizione. Centrale nelle discussioni – anche in questa sede dopo il vertice APEC – è stata la disputa relativa al Mare Cinese Meridionale, a causa della rivendicazione su tali acque di Vietnam e Filippine, entrambi membri ASEAN. Il motivo che sta alla base di tale contesa è la posizione strategica per le vie di comunicazione unita alla presenza nell’area di giacimenti di gas e petrolio. Quello che in concreto il gruppo sta cercando di stipulare, quindi, è un codice di condotta da adottare in merito alla gestione della zona marina, prima che la presidenza del forum passi, nel 2015, alla Malesia (Paese favorevole alle posizioni cinesi). Oltre a ciò, in seno al forum ASEAN, si è discussa la necessità di continuare il progresso verso la creazione di una comunità economica tra i dieci Paesi, da realizzare entro la fine del 2015. Ha chiuso infine la settimana dei vertici internazionali il G-20 di Brisbane, in Australia, il 15 e 16 novembre. In seno a tale riunione dei Paesi che insieme rappresentano l’85% dell’economia mondiale, si è discusso non solo di temi economici, ma anche di cambiamenti climatici, Ebola e IS. In particolare i leader hanno dichiarato 2


nel documento finale dell’incontro l’intenzione a cooperare per la soluzione al problema sanitario del virus Ebola e di essere disposti a cercare una risposta comune alle crisi umanitarie, compresa quella attuale in Medio Oriente, così come di sostenere un’azione forte ed effettiva che possa contrastare le sfide climatiche. In merito alle questioni economiche, i grandi del G-20 hanno annunciato un pacchetto di oltre 800 misure che consentirebbe una crescita economica pari al 2,1% del PIL entro il 2018. Ciò equivarrebbe ad un aumento dell’output globale di 2mila miliardi di dollari e, dunque, in concreto, un cospicuo aumento di posti di lavoro. Un tema, questo della crescita, caro al Premier italiano, Matteo Renzi, il quale ha, infatti, auspicato che «l’UE [presente al tavolo del G20 con Jean C. Junker e H. van Rompuy] faccia tesoro di questa raccomandazione» per spostare l’attenzione dal rigore alla crescita. A Brisbane è stata sottolineata, in aggiunta, l’importanza di aumentare la presenza femminile nella forza lavoro globale accanto alla soluzione al problema della disoccupazione giovanile. I grandi 20 hanno redatto un piano d’azione per raggiungere tali obiettivi, le misure riguardano soprattutto l’incremento degli investimenti, sia pubblici che privati, e il miglioramento del clima finanziario all’interno dei vari Paesi. Tuttavia, nel corso del summit, non sono mancati momenti di tensione nei confronti della Russia. Durante le due giornate, infatti, il Premier canadese Stephen Harper, incontrando Putin, ha affermato: «Credo che dovrò stringerle la mano, ma ho solo una cosa da dirle: esca dall’Ucraina».

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ISRAELE ↴

Non conosce sosta il vortice di tensioni che sta caratterizzando negli ultimi mesi Gerusalemme e che fa da più parti presagire una Terza Intifada. Ultimo episodio di questa escalation è l’attentato del 18 novembre nella città santa, alla sinagoga Kehilat Yaakov, nel quartiere ortodosso di Har Nof a Gerusalemme Ovest. Secondo le ricostruzioni della polizia gerosolimitana, i due attentatori – morti in un conflitto a fuoco con le forze di sicurezza israeliane – sarebbero palestinesi provenienti dalla parte est di Gerusalemme che armati di pistole, asce e coltelli avrebbero ucciso 5 persone (4 rabbini e un poliziotto) e ferito almeno una decina di loro. La polizia di Gerusalemme ha spiegato che gli attacchi alla Sinagoga ricalcherebbero in pieno il modus operandi delle ultime eclatanti azioni contro cittadini israeliani. In sostanza si ritengono questi atti di terrorismo legati a singoli soggetti, definiti in gergo “lupi solitari”, non legati apparentemente ad alcuna organizzazione eversiva. In questo senso gli attentati con le auto e quello contro la sinagoga rappresentano episodi legati più che altro alla difficile condizione in cui vivono i soggetti arabi e palestinesi a Gerusalemme e, più in generale, nella West Bank. Come ha scritto Ashel Pfeffer su Haaretz, questi elementi radicalizzati sarebbero stati portati a compiere un’ennesima strage a causa del difficile clima di tensione che si sta creando in tutta la Cisgiordania dovuto sia alle difficili condizioni di vita nel territorio (alta disoccupazione e basso tenore di vita soprattutto tra i palestinesi), sia per le scelte del governo di Tel Aviv di voler continuare ad ampliare le colonie ebraiche e a costruire insediamenti a Gerusalemme Est. Il rischio maggiore, continua Pfeffer, è che lo scontro tra Israele e Palestina si trasferisca da un piano puramente nazionalista ad uno squisitamente religioso alimentando così un’escalation di

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violenze senza fine, nel quale potrebbero inserirsi altre realtà ancor più radicali e violente da ambo le parti. L’attentato in un primo momento è sembrato essere stato rivendicato dal Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, ma pochi minuti dopo è giunta sia la smentita del gruppo di resistenza palestinese, sia la paternità dell’attacco attribuita ad Hamas. L’organizzazione al potere a Gaza ha immediatamente definito l’atto come «una vendetta eroica» e si è congratulato con i martiri palestinesi. Secondo Hamas l’attentato rappresenta una rappresaglia contro le iniziative israeliane volte a modificare lo status giuridico internazionale che “protegge” Gerusalemme e la Spianata delle Moschee. Infatti, come ha scritto l’esponente dell’ala egiziana di Hamas, Moussa Abu Marzouq, in un post in arabo su Facebook, «siamo alle porte di una vera e propria Intifada innescata da Gerusalemme, al-Aqsa e dalle colonie». Non si è fatta attendere la condanna del governo israeliano. Il Primo Ministro Netanyahu ha dapprima addossato le responsabilità dell’atto ad Abu Mazen e al suo entourage definendoli dei «fomentatori di odio», in secondo luogo ha ordinato l’abbattimento delle abitazioni dei due terroristi a Gerusalemme Ovest; infine, ha giurato una pronta, dura e ferma risposta contro tutti i gruppi terroristici. Nel frattempo Abu Mazen ha preso le distanze da Hamas e ha condannato l’attacco accusando l’organizzazione islamista per l’ennesima volta di non essere interessata alla pace. Condanne unanimi sono giunte anche dalla comunità internazionale. Gli Stati Uniti, attraverso il Segretario di Stato John Kerry e il Presidente Obama hanno definito gli attacchi alla sinagoga «Puro terrore inumano» che «non merita alcuna giustificazione». Anche il Premier David Cameron, l’Alto Rappresentate della Politica Estera e di Sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, e il neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni hanno manifestato «la più ferma condanna per l'ignobile attacco armato».

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SIRIA-IRAQ ↴

Sostenuto dalle milizie sciite, l’esercito regolare iracheno ha raggiunto la raffineria di Baiji dopo essersi assicurato un passaggio nel vicino centro urbano, che lo Stato Islamico aveva soggiogato nello scorso giugno dopo la caduta di Mosul. Benché l’operazione detenga un importante impatto strategico, Baghdad continua a subire tanto gli strali dei violenti attacchi jihadisti, quanto la persistente debolezza degli apparati di sicurezza. Gli ufficiali statunitensi presenti nel Paese testimoniano che soltanto un’esigua fazione della forza armata possa essere mobilitata nei teatri di scontro: appena 125mila uomini su un totale che, tra corpi militari e di polizia, sfiorava il milione di unità prima della rotta convulsa provocata dall’offensiva dell’IS. Sottoscrivendo le accuse di corruzione e d’incompetenza degli alti ranghi dell’esercito, riprodotte anche dall’influente Ayatollah al-Sistani, il Primo Ministro Haider alAbadi ha rimosso trentasei vertici militari, tra cui l’intera catena di comando operativa nella provincia contesa dell’Anbar. Il Premier iracheno ha accentrato il provvedimento nella propria potestà decisionale, ignorando la previsione costituzionale che attribuisce al Parlamento l’esercizio di una funzione di controllo sulle nomine dei comandanti delle Forze Armate. L’atto d’imperio esprime la necessità di scansare le trame negoziali che dividono le fazioni politiche irachene. L’autorità di al-Abadi è contestata nello stesso blocco sciita, laddove il predecessore al-Maliki rifiuta un ruolo marginale nel gioco politico interno e si rende interprete dell’insofferenza addotta dalle misure di riconciliazione avviate dal nuovo governo per compattare il fronte sunnita in un rinnovato progetto di unità nazionale. Al fine di non acuire la frattura settaria, al-Abadi ha in precedenza opposto il conferimento del Ministero degli Interni a Hadi al-Ameri, leader della Badr Organization, invisa ai gruppi tribali sunniti.

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Il ruolo delle formazioni paramilitari sciite resta tuttavia un punto controverso per l’esecutivo iracheno: seppur indispensabili al contenimento della minaccia califfale, numerosi episodi di vendetta indiscriminatamente compiuti contro cittadini sunniti non affiliati allo Stato Islamico riversano effetti disgreganti sul progetto politico perseguito da Baghdad. Le pressioni della comunità internazionale hanno sollecitato le autorità delle milizie a emanare sanzioni nei confronti dei responsabili di crimini contro la popolazione civile (il 31 ottobre Asaib Ahl al-Haq ha annunciato l’espulsione di quarantanove miliziani), ma la fragile e spuntata sovranità delle istituzioni centrali incoraggia il progressivo consolidamento del potere acquisito da queste organizzazioni – spesso strumento e/o pedina di scambio della diplomazia iraniana. Malgrado ciò, Nickolay Mladenov – rappresentante delle Nazioni Unite nel Paese e responsabile della missione UNAMI (United Nations Assistance Mission for Iraq) – ha riferito al Consiglio di Sicurezza che la politica inclusiva dettata dal governo iracheno ha trovato prime manifestazioni di adesione da parte delle tribù sunnite, disponibili a un coinvolgimento nei corpi volontari allestiti e armati da Baghdad. Sul piano delle relazioni esterne, il 20 novembre al-Abadi ha ricevuto il suo omologo Ahmet Davutoğlu, che ha riaffermato l’interesse turco rispetto all’integrità irachena. Se già l’8 novembre il Ministro degli Esteri Ibrahim al-Jaafari aveva intrattenuto dei colloqui con le autorità turche, marcando una discontinuità con la precedente gestione al-Maliki, il valore strategico della visita di Davutoğlu è rafforzato dall’ostentata composizione di un asse trilaterale Baghdad-Ankara-Erbil, in cui la Turchia emerge quale mediatore delle relazioni tra il governo semi-autonomo del Kurdistan e il governo centrale. Proprio sotto i buoni uffici della diplomazia turca, Baghdad e Erbil hanno firmato un accordo di fondamentale rilevanza in base al quale le istituzioni irachene onoreranno il pagamento degli stipendi agli impiegati dell’amministrazione curda (a lungo interrotti a causa delle ripetute violazioni sulle esportazioni petrolifere), mentre il Kurdistan avrà libertà di commercializzare attraverso il porto turco di Ceyhan una quota giornaliera di 150mila barili di greggio. Le concessioni deliberate da al-Abadi, votate all’allentamento della contrapposizione etnica, tendono un ponte essenziale per la pacificazione del Paese. Nonostante ciò, la solidità del Califfato non sembra incrinarsi né sotto i bombardamenti della coalizione internazionale, né sotto l’isolamento intessuto da Baghdad. Per la prima volta dall’inizio delle ostilità, un attentato dinamitardo ha colpito un palazzo governativo nel cuore di Erbil, causando la morte di sei persone. Venerdì 21 novembre le milizie jihadiste hanno lanciato un pesante attacco nei quartieri orientali di Ramadi, che per larga parte è controllata dalle uniformi nere, mentre la controffensiva dell’esercito iracheno nell’Anbar appare sfilacciata e ancora priva del sostegno diffuso del tessuto tribale. A dissipare le ombre sulla morte di al-Baghdadi, lo Stato Islamico ha rilasciato un messaggio audio in cui la (presunta) voce del Califfo ha nuovamente incitato il jihad globale, promettendo l’unificazione dei fermenti estremisti che infiammano la regione 7


mediorientale. È invece accertata l’uccisione di Radwan Taleb al-Hamdouni, autorevole consigliere militare che nell’organigramma califfale reggeva le funzioni di wali (governatore) di Mosul. L’articolazione e la profondità del corpo decisionale, che si compone di specifici organi consiliari e amministrativi, rendono tuttavia lo Stato Islamico meno vulnerabile all’eliminazione delle sue teste, anche qualora si trattasse di quella apicale di al-Baghdadi. Data la temibile impreparazione delle forze di sicurezza irachene, il Pentagono ha deciso di posticipare la consegna di otto caccia F-16, ad oggi bloccati nella base di Tucscon dove l’Air Force sta conducendo l’addestramento dei piloti iracheni. L’andamento sul campo di battaglia ha inoltre esortato l’amministrazione Obama ad autorizzare il dispiegamento di cinquanta consiglieri militari nella base di al-Assad poiché la distanza dei comandi operativi stabiliti a Baghdad e Erbil ha sinora condizionato negativamente le attività di assistenza prestate all’esercito regolare nella provincia dell’Anbar, ossia nello scenario chiave della lotta contro i miliziani jihadisti. A dieci anni dalla sanguinosa battaglia di Falluja, le truppe statunitensi (benché senza compiti di combattimento) hanno dunque rimesso piede nel nucleo sunnita che un tempo costituì il basamento del regime baathista di Saddam Hussein e che oggi rappresenta la giuntura della minaccia islamista. Mentre l’esecutivo ha formalmente presentato al Congresso la richiesta per un finanziamento addizionale di 5.6 miliardi di dollari al fine di sostenere l’attuale esposizione bellica, la CNN rende nota l’imminente revisione di una strategia ritenuta, da fonti interne al Pentagono e alla Casa Bianca, come militarmente e politicamente insostenibile in ragione della pervicacia dell’IS e del veto sostanziale sulla transizione siriana, dove anzi Bashar al-Assad sembra beneficiare dell’intervento americano. La priorità assegnata allo scenario iracheno contraddice il radicamento del Califfato a cavallo della labile frontiera che separa i due Paesi e scredita l’avversione ufficialmente mantenuta da Washington contro il regime di Damasco. L’attenzione statunitense sulle risorse jihadiste in terra siriana ha infatti alleggerito gli urti dei gruppi estremisti contro le forze fedeli alla dirigenza alawita, che per contro è così riuscita a rinchiudere le opposizioni nella sola Aleppo, ultimo baluardo della ribellione antiAssad. Da questo versante, le monarchie arabe non esitano a biasimare l’ambivalenza di Washington, richiamando la presidenza Obama a una presa di posizione definitiva sulla rimozione di Assad. Mentre l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Staffan de Mistura ha proposto il traguardo di una tregua provvisoria tra le forze ribelli e Damasco, Riyadh e Ankara sono portavoce di un accordo quadro sulla situazione siriana che contempli la mediazione russa al fine di stemperare la reticenza iraniana. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno trovato un’intesa con la Turchia per l’addestramento e l’equipaggiamento di circa 2mila combattenti dell’opposizione “moderata” ad Assad, da svolgersi nella base turca di Kirsehir. Se le parti sono ancora distanti sulle clausole applicative, l’accordo è in tutta evidenza

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un compromesso che non concorrerebbe a risolvere l’impasse strategica della superpotenza americana, mentre la controparte turca rilancia l’ipotesi di una no-fly zone nella Siria settentrionale allo scopo di indebolire sia Damasco, che lo Stato Islamico. Su questi punti saranno incentrati i colloqui tra il governo turco ed il Vice Presidente Joe Biden, sopraggiunto in Turchia nella giornata del 21. Infine, una massiccia ondata di bombardamenti concertata con i peshmerga siriani ha permesso nella giornata del 18 novembre la conquista di sei edifici nel centro di Kobane, adibiti dai jihadisti a quartier generale ed arsenale. Per entrambi i contendenti, la battaglia per la città assume un valore emblematico sul piano della propaganda, ma i recenti sviluppi sembrano aver spostato l’ago della bilancia verso la resistenza curda.

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UCRAINA ↴

Dopo l'allarme lanciato lo scorso 7 novembre dal portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza e di Difesa ucraino, Andriy Lysenko, la NATO ha confermato l'ingresso non autorizzato di mezzi e blindati russi – tank, artiglieria, truppe da combattimento e sistemi di difesa aerea secondo il Segretario Jens Stoltenberg e il Comandante supremo delle forze Alleate in Europa, il Gen. Philip Breedlove – nell'est dell'Ucraina. Il Ministro della Difesa di Kiev, Stepan Poltorak, ha dichiarato la presenza di almeno 7.500 soldati russi che impedirebbero la stabilizzazione del Paese, denunciando allo stesso tempo il riacuirsi delle violenze nella regione di Lugansk con l'uccisione di quattro soldati e di un civile ucraino, oltre al ferimento di altri dieci nel corso di scontri con i separatisti filo-russi. Anche il portavoce della missione di monitoraggio OCSE, Michael Bociurkiw, ha dichiarato di aver osservato dall'8 novembre il passaggio di almeno 126 veicoli non identificati (senza segni distintivi sulle uniformi), impegnati a trasportare dispositivi pesanti (pistole e lanciarazzi multipli), in evidente violazione degli accordi di Minsk del 5 settembre. Se il portavoce del Ministero della Difesa russo, il Generale Maggiore Igor Konashenkov, ha dichiarato che non vi è alcuna evidenza di ciò, il Ministro Sergej Shoigu si è dal canto suo limitato a confermare che l'attuale situazione militare e politica nel sudovest russo richiede la necessità di un rafforzamento lungo questo asse con la possibile formazione di una forza multi-servizio completa e autosufficiente nel Distretto Federale di Crimea. Poltorak si è pertanto detto pronto ad un nuovo dispiegamento di truppe nell'est – specialmente a protezione di Mariupol e del suo porto – in risposta ad una nuova possibile offensiva da parte dei separatisti con il supporto russo. I timori di un'invasione di Mosca sono stati peraltro esternati dall’Ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite, Iuri Sergheiev. Oltre al fronte ucraino, d'altra parte, il rinnovato attivismo militare russo (le esercitazioni militari congiunte con la Serbia il 14 10


novembre, l'accordo su operazioni bilaterali nel Mediterraneo con la Cina e l'intesa militare con il Pakistan del 20 e 21 novembre, nonché l'intenzione di inviare bombardieri a lungo raggio nel Golfo del Messico vicino alle acque territoriali degli Stati Uniti) preoccupa non poco la comunità internazionale. Mentre la Germania – dopo il teso faccia a faccia tra Angela Merkel e Vladimir Putin al G-20 di Brisbane – tenta una mediazione inviando il proprio Ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, a Kiev e a Mosca per discutere con Poroshenko e lo stesso Putin dell'implementazione degli accordi di Minsk, l'Unione Europea sembra per ora aver rinunciato ad inasprire le sanzioni nei confronti della Russia, puntando piuttosto ad un riallacciamento dei rapporti: nonostante nei giorni precedenti si fossero diffuse voci circa l'approvazione di nuove misure a carico di Mosca, nell'ultimo Consiglio Affari Esteri (17 novembre), il primo del nuovo corso Juncker, è stato infatti stabilito che il Servizio Europeo di Azione Esterna e la Commissione europea presenteranno entro la fine di novembre una lista di nominativi – limitata ai separatisti – da colpire con il congelamento dei beni e con l'impossibilità di viaggiare nell'UE. A conferma di quello che sembra essere un parziale arretramento rispetto alla posizione precedente quando dichiarava la Russia non più un partner strategico, l'Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza Comune, Federica Mogherini, ha spiegato che insieme con il sostegno delle riforme in Ucraina è necessaria una rivisitazione dei rapporti e dunque il rilancio del dialogo con la Russia. Una posizione condivisa anche dal neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, che ha dichiarato il proprio supporto ad un'escalation qualitativa – e non quantitativa – delle misure poste nei confronti di Mosca. Sul fronte interno all'Ucraina, il 21 novembre è stato siglato un accordo per un governo di coalizione dopo le elezioni dello scorso 26 ottobre: ne fanno parte il Blocco del Presidente Poroshenko, Fronte Popolare del Premier Arseniy Yatsenyuk, Samopomich (Autodifesa) di Oleg Liashko e Patria di Yulia Timoshenko. Il patto prevede la cancellazione del Paese come Stato non allineato – seguendo dunque la proposta avanzata da Yatsenyuk nei primi giorni di settembre –, un percorso di adesione alla NATO, la ripresa del controllo della Crimea, la riforma della legge elettorale, la decentralizzazione delle strutture di potere, l'annullamento dell'immunità dei legislatori, il divieto dell'utilizzo di simboli sovietici e nazisti, la regolamentazione dei settori energetico e agricolo per il prosieguo del cammino sulla strada dell'integrazione europea. Il nuovo esecutivo sarà dunque annunciato entro dieci giorni e la prima sessione del nuovo Parlamento è programmata per il prossimo 27 novembre.

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BREVI AFGHANISTAN, 2 NOVEMBRE ↴ Il Presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani, si è recato in visita nel vicino Pakistan il 14 e il 15 novembre per la prima volta dalla sua elezione in settembre per incontrare il Primo Ministro Nawaz Sharif. Con Ghani si è recato ad Islamabad anche il Generale dell’Esercito afghano, Sher Muhamad. Afghanistan e Pakistan hanno ribadito la comune lotta a contrastare la minaccia destabilizzante del terrorismo, indicando come necessità un rafforzamento della cooperazione ed una espansione delle relazioni bilaterali. «Pace e stabilità in Afghanistan sono interessi vitali per il Pakistan», ha affermato la portavoce del Ministro degli Esteri pakistano Tasnim Aslam, «Islamabad ha sostenuto con forza il processo di pace e di riconciliazione a guida afghana». Funzionari statunitensi hanno descritto la visita di Ghani come «un’opportunità importante» per la stabilità regionale. Dan Feldman, lo special envoy americano per l’Af-Pak, ha affermato che «sembra esserci un forte desiderio da ambo le parte che questa relazioni si fondi su una base più solida che contribuisca ad una maggiore stabilità dell’area»; la visita di Ghani «è uno dei migliori indicatori che in futuro potrà esserci stabilità». Intanto, uno scoop del New York Times ha rivelato che Obama, dopo un vivace dibattito all’interno dell’amministrazione, ha firmato un ordine segreto nelle scorse settimane per prorogare di dodici mesi la missione di combattimento dei soldati americani in Afghanistan. Secondo quanto comunicato all’opinione pubblica, dal 2015 le truppe avrebbero dovuto avere solo compiti di addestramento delle Forze Armate afghane. Le nuove direttive, al contrario, autorizzano i militari statunitensi, supportati se necessario dall’aviazione, a compiere operazioni di war fighting contro i talebani e altri gruppi di insorgenti.

AZERBAIJAN, 12 NOVEMBRE ↴ Un elicottero militare armeno, un Mil MI-24, è stato abbattuto dalle forze armate azere nella regione di Agdam, al confine tra l'Azerbaijan e il Nagorno Karabakh,

regione

contesa

e

auto-proclamatasi

indipendente nel 1992. Secondo quanto dichiarato dal Ministro della Difesa azero, Zakir Hasanov, due elicotteri armeni avrebbero tentato di attaccare postazioni azere situate lungo il confine, provocando dunque la risposta delle forze di Baku che hanno aperto il fuoco colpendo uno dei due velivoli e uccidendone i membri a bordo. Secondo David Babaian, portavoce del governo del Nagorno Karabakh, gli elicotteri erano invece

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impegnati in una missione di addestramento e ha negato qualsiasi coinvolgimento in operazioni da combattimento. Il portavoce del Ministero della Difesa armeno, Artsrun Hovannisyan, ha definito l'episodio «una provocazione senza precedenti» di cui è pienamente responsabile il governo di Baku e che rischia di scatenare una nuova escalation di tensioni. Mentre il Segretario Generale dell'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), Nikolai Bordyuzha, ha affermato che l'abbattimento dell'elicottero è una minaccia per la stabilità e la pace della regione, l'OCSE ha deciso di inviare propri osservatori per monitorare l'andamento delle attività lungo la linea di contatto tra i due Paesi. L'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza UE, Federica Mogherini, ha inoltre richiesto l'avvio di un'inchiesta volta ad accertare le responsabilità. Quella del Mil Mi-24 si inscrive tuttavia in una serie di tensioni che continuano dalla scorsa estate, quando una serie di scontri a fuoco sono scoppiati lungo la linea del cessate il fuoco e che hanno provocato la morte di almeno 20 persone. Nonostante la tregua siglata con gli Accordi di Bishkek (1994), episodi di violenza e indicenti più o meno gravi tra Armenia e Azerbaijan si sono verificati con una certa regolarità e potrebbero trovare nuova eco nella delicata posizione dei Paesi ex URSS alla luce dello scenario di crisi aperto con la guerra in Ucraina.

CINA, 5 NOVEMBRE ↴ Il Presidente cinese, Xi Jinping, e il Primo Ministro australiano, Tony Abbott, hanno raggiunto un accordo per l’istituzione di un’area di libero scambio tra i due Paesi. I servizi e i prodotti dell’Australia, come riso, latte, lana, cotone, potranno così varcare i confini cinesi senza il pagamento di dazi e tariffe doganali per i prossimi quattro anni. Secondo il Ministero del Commercio di Canberra, l’intesa coprirà il 99,9% delle esportazioni australiane e, ad opinione di Abbott, «creerà posti di lavoro e migliorerà il nostro livello di vita». Viceversa Pechino vedrà ridotte le barriere che impediscono agli investimenti cinesi di diffondersi in Australia. Verrà infatti innalzato da 248 milioni a un miliardo di dollari australiani il limite oltre il quale sarà richiesta un’autorizzazione ad hoc da parte del governo di Canberra per aprire le porte agli investimenti cinesi. Il memorandum è stato firmato dopo un negoziato durato dieci anni. Pechino non è attiva solo nell’area del Pacifico. Il Primo Ministro, Li Keqiang, e il Ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu, hanno annunciato il rafforzamento della cooperazione militare bilaterale. Per l’occasione, i due Paesi terranno esercitazioni navali congiunte nel Mediterraneo dalla primavera 2015. Shoigu ha affermato che «la nostra cooperazione nella sfera militare ha un grande potenziale e la parte russa è pronta a svilupparlo i tutti i settori possibili. La formazione di un sistema di sicurezza regionale è l'obiettivo principale dei nostri sforzi». Il vice Ministro della Difesa russo, Anatoly Antonov, ha aggiunto che «Russia

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e Cina devono lavorare insieme per opporsi alle nuove sfide alla sicurezza dello Stato» poste dall’influenza globale degli Stati Uniti.

EGITTO, 12 NOVEMBRE ↴ Dopo il tam tam mediatico delle scorse settimane Ansar Bayt al-Maqdis (ABM) e Stato Islamico (IS) hanno ufficialmente dichiarato la propria alleanza strategica nel Sinai, al fine di fare del territorio non solo un nuovo wilayat (provincia) islamista, ma anche un avamposto per gli attentati contro i regimi egiziano e israeliano. La notizia ha creato tuttavia alcune frizioni all’interno dello stesso gruppo islamista: infatti l’ala dell’organizzazione operativa nella Valle del Nilo non avrebbe gradito lo shift di ABM Sinai in favore del gruppo di al-Baghdadi giurando invece fedeltà e affinità ideologica ad al-Qaeda core. Una frizione, questa, che se non dovesse rientrare potrebbe portare ad un frazionamento della maggiore organizzazione terroristica nel Sinai. Intanto, nelle stesse ore della bayah tra ABM e IS, si registrava a 40 chilometri al largo di Damietta un altro attentato. Ad essere attaccata è stata una nave vedetta della marina militare egiziana. Durante gli scontri a fuoco sono morte 17 persone e diverse decine sarebbero stati i feriti. I 32 assalitori, giunti a bordo della vedetta con tre imbarcazioni di piccole dimensioni, sarebbero stati tutti arrestati grazie anche al coinvolgimento dell’aviazione egiziana. Sono state smentite dai militari egiziani le notizie circa la scomparsa in mare di 8 marinai. Fino ad ora non sono giunte rivendicazioni ma le autorità cairote hanno immediatamente identificato l’attacco come terroristico. Al di là della paternità dell’atto, si tratta comunque di un salto di qualità notevole in quanto questo attentato è il primo in mare contro un soggetto operativo come la Marina egiziana. Il Ministro degli Interni Ibrahim non ha fornito ulteriori dettagli ma ha accusato le agenzie di intelligence occidentali di aver supportato le operazioni dei terroristi. Nel frattempo continuano gli attacchi al Cairo e nel Sinai, dove il 18 novembre nei pressi di Rafah sono stati uccisi dieci civili a causa del lancio di alcuni razzi. Nonostante l’aumento dei soldati sul territorio e l’applicazione di nuove e più stringenti misure di anti-terrorismo (è stata raddoppiata a 1 km l’ampiezza della buffer zone lungo il confine con Gaza dopo la scoperta di nuovi tunnel alla frontiera con la Striscia), le autorità centrali non sembrerebbero essere in grado di contenere l’ondata di violenze jihadiste.

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KOSOVO, 10 NOVEMBRE ↴ Il nuovo Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha nominato Jean Paul Jacque a capo di una commissione indipendente incaricata di fare luce sulle accuse di corruzione che pendono su EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo), la missione dell’UE lanciata nel 2008 in Kosovo con il compito di ristabilire la sfera giurisdizionale nel Paese. Le accuse di corruzione erano già sorte in passato ma furono sempre archiviate dalla stessa EULEX come prestestuose e volte a creare destabilizzazione in Kosovo. Solo intorno alla metà del 2013 l’EULEX e le autorità giudiziarie kosovare decisero di lanciare un’inchiesta congiunta dopo le accuse mosse questa volta dal procuratore inglese dello stesso organismo europeo, Maria Bamieh, e da un’inchiesta del quotidiano kosovaro Koha Ditore. Gli eventi si riferirebbero a tre casi acclarati avvenuti tra il 2011 e il 2013 nei quali alcuni dirigenti di EULEX avrebbero accettato tangenti da personalità più o meno legate al mondo criminale locale in modo da favorire l’archiviazione di alcune indagini di alto livello proprio contro queste figure politiche e criminali vicine in passato ai guerriglieri albanesi dell’UÇK. Jacque, noto giurista fracese e già a capo del Segretariato Generale del Consiglio dell’Unione Europea, avrà quattro mesi di tempo per portare a termine la sua missione e fornire una relazione dettagliata direttamente all’Alto Rappresentante dell’UE.

LIBIA, 8-20 NOVEMBRE ↴ Non si arresta l’escalation di violenze e caos che imperversa in Libia dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011. Esplosioni di diverso tipo sono avvenute nel corso delle ultime due settimane nel Paese. L’8 novembre si è verificato un attentato all’aeroporto di Labraq, nei pressi della cittadina di al-Bayda, lo scalo usato dal Premier al-Thani. Un’autobomba è esplosa, inoltre, in una strada affollata di Tobruk, la cittadina dove si riunisce il Parlamento dichiarato incostituzionale a inizio novembre dalla Corte Suprema di Tripoli. Il bilancio dei due attentati è stato di 13 vittime e oltre 15 feriti. Il neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni ha espresso «seria preoccupazione per la violenta esplosione avvenuta [..] a Tobruk e che ha provocato vittime e feriti e costituisce l'ultimo episodio di una lunga serie di atti di violenza che nuocciono alla stabilità e alla causa della riconciliazione nazionale». Altri due attacchi sono stati registrati a Tripoli: uno nei pressi dell’Ambasciata egiziana e l’altro, dopo pochi minuti, di fronte all’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti. I due Paesi, infatti, sono accusati dai militanti islamisti che con-

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trollano la capitale, riuniti nella piattaforma “Operazione Alba Libica”, di essere i responsabili degli attacchi aerei avvenuti ai loro danni nell’agosto scorso. A Bengasi, tuttavia, dopo altre esplosioni e scontri che hanno causato 14 vittime e numerosi feriti, è stato raggiunto il primo accordo per una tregua – mediata dalle Nazioni Unite – di dodici ore, nella giornata di mercoledì 19 novembre, così da poter evacuare i civili e recuperare i corpi delle vittime. Nella stessa giornata del 19 novembre, in seno alle Nazioni Unite, il gruppo armato Ansar al-Sharia è stato inserito nella blacklist dei movimenti terroristici. Di conseguenza sarà posto un embargo sulle armi dirette ai militanti, avverrà il congelamento dei beni appartenenti al movimento e sarà imposto il divieto di effettuare viaggi internazionali per coloro che sono a questi affiliati. Il provvedimento risulta valido sia per il gruppo Ansar al-Sharia di Bengasi che per il corrispettivo movimento di Derna. In quest’ultima città, inoltre, è stato segnalato l’arrivo di un convoglio di auto battenti la bandiera nera del califfo dell’IS al-Baghdadi. Solo poche settimane fa l’Islamic Youth Shura Council, un gruppo di Derna vicino all’IS, aveva dichiarato l’istituzione del wilayat di al-Barqa (la provincia della Cirenaica). Infine, si è concluso positivamente il rapimento degli ostaggi italiani catturati nei mesi scorsi in Libia da parte delle milizie locali. Marco Vallisa e Gianluca Salviato, entrambi dipendenti di ditte italiane di costruzioni operanti nel Paese nordafricano, sono stati rilasciati rispettivamente l’11 e il 14 novembre scorsi.

STATI UNITI, 6 NOVEMBRE ↴ È stata bocciata al Senato la riforma della National Security Agency (NSA), l’agenzia di intelligence degli Stati Uniti che in passato era stata coinvolta nello scandalo Datagate per le intercettazioni telefoniche nei confronti di cittadini americani e di Capi di Stato e di governo alleati. Il Freedom Act, che intendeva concludere lo spionaggio indiscriminato, è stato bloccato in quanto non ha ricevuto i sessanta consensi necessari, fermandosi invece a cinquantotto. La riforma, auspicata dall’amministrazione Obama, è stata affossata dal “fuoco amico” di alcuni senatori democratici, come quello della Florida, Bill Nelson. Decisiva è stata la preoccupazione di minare eccessivamente le capacità di intelligence nel momento in cui nuovi timori di attentati si sono diffusi tra la popolazione a causa delle minacce dell’IS. Il problema, probabilmente, verrà risollevato nel 2015, quando scadranno i poteri speciali alla NSA garantitile all’indomani degli attentati dell’11 settembre col Patriot Act. Nel frattempo, Obama ha presentato agli americani il decreto sull’immigrazione che regolarizzerà circa cinque milioni di clandestini concedendo loro un permesso di soggiorno ed impedendo che questi vengano rimpatriati con la forza. «Non è un’amnistia di massa. Si tratta di responsabilità e di misure di buon senso», ha affermato il Presidente, «siamo sempre stati e saremo sempre un Paese di immigrati. Anche noi siamo stati stranieri una volta, e ciò che ci rende americani è la nostra adesione a un’ideale 16


comune, quello che tutti siamo creati ugualiÂť. I Repubblicani, che da gennaio avranno il completo controllo del Congresso, si sono levati sugli scudi, accusando Obama di abusare dei poteri presidenziali e di scavalcare le istituzioni democratiche comportandosi come ÂŤun re o un imperatoreÂť.

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ALTRE DAL MONDO BURKINA FASO, 19 NOVEMBRE ↴ Il colonnello Isaac Zida è il nuovo Primo Ministro ad interim del Burkina Faso. Zida guiderà l’esecutivo nel periodo di transizione che porterà il Paese a nuove elezioni nel novembre 2015, così come prefigurato dall’accordo che il 14 novembre ha tracciato l’agenda del nuovo corso politico. A seguito della destituzione del Presidente Blaise Compaoré, i negoziati aperti dalle gerarchie militari ai rappresentanti dei partiti politici, della società civile e dei gruppi confessionali avevano già espresso nella giornata del 17 novembre l’ex Ministro degli Esteri Michel Kafando quale Capo di Stato.

COLOMBIA, 17 NOVEMBRE ↴ Il rapimento del generale dell’esercito Rubén Darío Alzate, di un consigliere militare e di 3 soldati a Las Mercedes, uno villaggio a 15 chilometri da Quibdo, capitale del Choco, nell’ovest del Paese, ha portato ad un’interruzione ufficiale delle trattative di pace tra governo colombiano e forze delle FARC. L’atto definito come «inaccettabile» dal Presidente Juan Manuel Santos potrebbe tuttavia non portare ad una completa chiusura del dialogo qualora i militari fossero liberati a breve, derubricando l’accaduto come una sorta di incidente di percorso. Intanto è in corso un’operazione dell’esercito nelle zone dell’avvenuto rapimento per salvare i 5 uomini e far riprendere al più presto possibile il dialogo politico tra gli attori in campo a Cuba.

GIAPPONE, 18 NOVEMBRE ↴ Il Primo Ministro del Giappone, Shinzo Abe, ha sciolto la Camera Bassa del Parlamento e ha convocato nuove elezioni che si terranno il prossimo 14 dicembre. La decisione segue l’annuncio di una nuova recessione del Paese, la terza nel corso degli ultimi quattro anni. Alle urne Abe, che appare favorito, intende chiedere la legittimazione popolare per continuare a perseguire la cosiddetta Abenomics, che al momento non ha dato i frutti sperati.

KENYA, 22 NOVEMBRE ↴ È di 28 morti il bilancio di un attentato ai danni di un autobus di turisti diretto a Nairobi avvenuto nella contea di Mandera, nella località di Arabia, al confine con la Somalia. L'attacco, per opera di un commando di una decina di uomini, è stato rivendicato dal gruppo terroristico di al-Shabaab come ritorsione per i blitz condotti dalla polizia kenyana in alcune moschee di Mombasa sospettate di nascondere armi.

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IRAN, 22 NOVEMBRE ↴ È iniziato martedì 18 novembre l’ultimo round di trattative in merito all’accordo sul programma nucleare iraniano. L’Iran sta affrontando il dialogo con i cosiddetti P5+1 (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia e Germania), con la mediazione dell’ex-Alto Rappresentante dell’UE Catherine Ashton, per discutere di un nuovo accordo che vada a sostituire il precedente, in scadenza al 24 novembre. Non si è ancora raggiunto, tuttavia, un punto comune per decidere il numero e il tipo i reattori di cui l’Iran potrà dotarsi, a causa delle posizioni divergenti delle parti. Per tale motivo – nel caso in cui anche le trattative di domenica 23 non riusciranno a dare i frutti desiderati e dovranno essere rimandate a marzo 2015 – si spera almeno in una ulteriore proroga dell’accordo esistente, così da evitare una situazione di completa libertà per l’Iran. Si teme, infatti, che quest’ultimo, svincolato dall’accordo, possa decidere di procedere ad un arricchimento dell’uranio superiore a quello consentito per scopi civili.

NIGERIA, 21 OTTOBRE ↴ Un attentato nel villaggio di Azaya Kura, attribuito al gruppo Boko Haram, ha provocato la morte di quarantacinque persone. L’attacco dei miliziani si verifica a dieci giorni dal sanguinoso atto terroristico che ha colpito una processione religiosa a Postiskum durante la cerimonia dell’ashura, la ricorrenza della morte dell’imam Hussein commemorata dallo sciismo. Benché l’esercito nigeriano sia riuscito a riprendere il controllo di alcuni avamposti presidiati dai Boko Haram nelle zone settentrionali del Paese, nei tre stati di Borno, Yobe e Adamawa gli episodi di violenza non tendono a esaurirsi. Il voto del Parlamento sulla proposta presidenziale di estensione dello stato di emergenza imposto diciotto mesi orsono nelle regioni maggiormente interessate dalle insurrezioni terroristiche è stato sospeso in virtù dei disordini scoppiati nello stesso consesso parlamentare. Lo stato di emergenza, da molti ritenuto fallimentare e controproducente, è dunque decaduto.

PAKISTAN-RUSSIA, 20 NOVEMBRE ↴ A margine della visita ad Islamabad di Sergej Shoigu, la prima dopo 45 anni di un Ministro della Difesa russo nel Paese, Pakistan e Russia hanno firmato un accordo di cooperazione militare. Dopo il sollevamento dell'embargo sulle forniture di armi al Pakistan (2 giugno), i due Stati hanno dichiarato la loro disponibilità a promuovere le relazioni bilaterali nel campo della Difesa – soprattutto per ciò che riguarda la condivisione di intelligence, le operazioni congiunte di counterterrorism, il controllo degli armamenti e la cooperazione nell'istruzione militare – con lo scopo di assicurare la stabilità e alla sicurezza della regione.

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POLONIA, 17 NOVEMBRE ↴ La Russia ha espulso alcuni diplomatici polacchi, tre delegati militari e un impiegato della sezione politica, con l’accusa di «incompatibilità con il loro status», formula con la quale si intendono attività di spionaggio. La decisione sarebbe peraltro una risposta ad alcune misure attuate dal governo di Varsavia nel corso del mese di ottobre: un ufficiale del Ministero della Difesa russo e un avvocato russo-polacco erano stati infatti arrestati con l’accusa di spionaggio, mentre il Ministero degli Esteri polacco si era rifiutato di accreditare un corrispondente russo sospettato di lavorare per un’agenzia di sicurezza senza nome. La Germania ha dichiarato che la Russia avrebbe inoltro espulso un diplomatico tedesco come rappresaglia ad un’identica azione fatta dal governo di Berlino nei confronti di un funzionario russo in servizio presso il Consolato generale di Bonn.

ROMANIA, 16 NOVEMBRE ↴ Con il 54,6% dei voti, il conservatore Klaus Iohannis, leader del Partito Liberal Nazionale (PNL), ha battuto al secondo turno delle elezioni presidenziali il Premier socialista uscente Victor Ponta, attestatosi al 45,33% dei consensi. Nonostante i risultati ufficiali non siano stati ancora diramati, Ponta ha riconosciuto la sconfitta. La partecipazione elettorale è stata di circa il 60%, 20 punti in più rispetto al primo turno del 6 novembre.

SUD SUDAN, 11 NOVEMBRE ↴ Nonostante gli accordi per la cessazione delle ostilità sottoscritti il 25 agosto, la tensione nell’Alto Nilo resta elevata: occasionali scontri a fuoco tra le truppe governative e le forze ribelli dell’ex vice Presidente Riek Machar, strumentalmente appoggiate dal governo sudanese, continuano a ostacolare il processo di pace tra Khartoum e Juba. Le incursioni dal confine sudanese peraltro attentano alle infrastrutture energetiche del governatorato, che per quattro quinti contribuisce all’intera produzione petrolifera del Paese. Le misure punitive ricorsivamente annunciate dall’IGAD (Intergovernmental Authority on Development) non sembrano dunque aver prodotto gli esiti auspicati.

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ANALISI E COMMENTI LA CATALOGNA DIFRONTE AL NON-VOTO: LA “SCONFITTA” DI ARTUR MAS DAVIDE VITTORI ↴ In Catalogna si è svolta la consultazione non vincolante sull’indipendenza catalana: il “processo partecipativo” – così è stata chiamata questa giornata – nell’impossibilità legale di avere qualcosa di simile ad un referendum (anche non vincolante) – ha visto una partecipazione di due milioni di persone (il 32%) su una platea di sei milioni. Un successo, per il fronte indipendentista, ottenuto con oltre l’80% dei Sì; una debacle secondo i giornali conservatori. Nonostante si fosse paventato un prelievo delle urne dei seggi perché “illegali”, tale ipotesi ad urne aperte è stata scongiurata dai giudici, che hanno ritenuto questa possibile sanzione “sproporzionata”: le votazioni, quindi, si sono svolte senza incidenti di rilievo, anche se le indagini continueranno a carico degli organizzatori della consulta. All’appuntamento del 9 novembre la Spagna e Catalogna sono arrivate dopo una storia travagliata tra il centralismo, il federalismo e l’indipendentismo a contendersi un proprio margine di manovra (…) SEGUE >>>

VERSO UNA NUOVA ASIA-PACIFICO PAOLO BALMAS ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA L’Asia-Pacifico, più che una regione geografica, è un concetto strategico. Prima di tutto non ha dei confini precisi. A ben vedere, infatti, questi differiscono in base al punto di vista dal quale, di volta in volta, si decide di osservare gli avvenimenti. Ciò accade anche per necessità, a causa della vasta estensione. Inoltre, quando si parla di Asia-Pacifico, si prende principalmente in considerazione la dimensione costiera, peninsulare e insulare dei Paesi che la costituiscono, in particolare di quelli asiatici. Esistono, però, casi come quello della Repubblica Popolare Cinese o dell’India, che incarnano una potenza sia marittima che continentale: realtà che sono impossibili da scindere. Non potremmo immaginare, infatti, il ruolo politico, economico e militare della Cina dimenticando i vasti territori e gli interessi interni, soprattutto in un momento in cui sembrano acquisire un’importanza strategica di primo piano. Spesso ci si dimentica dei lontani Paesi del Sud, Australia e Nuova Zelanda, che sono parte integrante dell’Asia-Pacifico. Infine, si è molto indecisi se inserire o meno quelli più periferici, come Pakistan e Mongolia (…) SEGUE >>>

IS E PROFILI DI DIRITTO INTERNAZIONALE GIANLUIGI MASTRANDREA BONAVIRI – FRANCESCO MINICI ↴ I recenti avvenimenti in Iraq e Siria hanno richiamato l’attenzione della comunità internazionale sull’Islamic State (IS) in Iraq e in Siria, il cui progressivo e inedito

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rafforzamento ha destato un’ondata di forte preoccupazione tra tutti i principali attori dello scenario internazionale. L’azione sempre più risoluta del gruppo, infatti, costituisce una minaccia non solo per la stabilità dello scacchiere mediorientale ma anche per la pace e per la sicurezza internazionale. Considerata da una prospettiva giuridica, la questione risulta complessa e articolata, coinvolgendo diversi profili di diritto internazionale. Da un lato, è necessario condurre un’attenta analisi sullo status giuridico dell’IS valutando se ricorrano i presupposti per poterlo qualificare come governo insurrezionale e stabilendo se la sua matrice terroristica possa o meno incidere su tale qualificazione. Dall’altro lato, non può trascurarsi il dibattito attinente alla legittimità dell’intervento recentemente condotto dall’amministrazione statunitense in Iraq e Siria al fine di contrastare l’avanzata dell’IS (…) SEGUE >>>

ALLEANZA A RISCHIO? ANALISI DELLE RELAZIONI TRA PAKISTAN E CINA DANIELE GRASSI ↴ La visita a Pechino nei primi giorni di novembre da parte del Primo Ministro pakistano, Nawaz Sharif, giunge in una fase estremamente delicata per il Pakistan e per l’intera regione, e rappresenta un importante banco di prova per l’alleanza tra i due Paesi Il governo di Islamabad fu tra i primi a stabilire relazioni con la Repubblica Popolare Cinese, nel 1950. Uniti dal comune obiettivo di contrastare le ambizioni regionali dell’India, Pakistan e Cina hanno negli anni rafforzato la loro alleanza a livello politico e militare, divenuta oramai elemento imprescindibile per l’analisi delle dinamiche regionali. Anche dal punto di vista economico i due Paesi hanno ottenuto buoni risultati: dal 2009 la Cina rappresenta il principale partner commerciale del Pakistan, con un volume di scambi che nel 2013 ha raggiunto il valore di 15 miliardi di dollari. È proprio in questo settore che si concentrano le maggiori aspettative di entrambi i Paesi. Tuttavia, a dispetto della comune volontà di sfruttare al massimo il grande potenziale economico esistente, permangono significativi ostacoli (…) SEGUE >>>

I DRONI NELLE OPERAZIONI DI INTELLIGENCE E ANTI-TERRORISMO IN YEMEN E PAKISTAN VIOLETTA ORBAN ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA La regione mediorientale, crocevia di importanti interessi strategici, economici e geopolitici, ricopre un ruolo rilevante ed estremamente delicato nel panorama delle relazioni internazionali. Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno conferito nuova urgenza alle problematiche relative alle interrelazioni tra regimi politici interni, terrorismo internazionale e sicurezza globale e hanno focalizzato l’attenzione in particolar modo su alcuni Paesi in chiave di anti-terrorismo, di sradicamento di formazioni integraliste e di stabilizzazione dell’area. Nel 2004 l’amministrazione repubblicana di Bush, che aveva precedentemente presentato gli interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003 come azioni miranti a rovesciare governi e gruppi ritenuti fiancheggiatori di cellule terroriste in grado di destabilizzare l’ordine globale, ha esposto ufficialmente le linee guida della politica mediorientale statunitense. Per la prima 22


volta si è fatto esplicito riferimento al concetto di Grande Medio Oriente, prospettando un radicale cambiamento della politica occidentale in un arco esteso dal mondo arabo ad Iran, Turchia, Israele, Pakistan e Afghanistan, con lo scopo di esercitare pressioni a favore dell’apertura di spazi di democratizzazione e garantire un livello più elevato di sicurezza internazionale (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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