BloGlobal Weekly N°26/2014

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N째26, 23-29 NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 30 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti

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FOCUS EGITTO↴

Quella appena passata è stata per l’Egitto una settimana molto intensa sia sotto il profilo diplomatico, sia per quanto riguarda la politica interna e di sicurezza. Dal 24 al 27, il Presidente al-Sisi è stato impegnato in un importante viaggio di lavoro tra Italia e Francia – la sua prima visita in Europa da Capo di Stato –, nel quale ha incontrato le massime autorità dei due Paesi mediterranei. Nella tappa italiana, il Presidente egiziano ha preso parte all’Italian-Egyptian Business Council – un foro di dialogo economico volto a promuovere gli investimenti nei due Paesi –, durante il quale ha avuto due importanti bilaterali con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Presidente della Repubblica Napolitano, con i quali sono stati affrontati i temi sensibili alle due parti come la minaccia terroristica e la questione libica. Nello spiegare alla stampa la rilevanza strategica che gioca l'Egitto per l’Italia «nelle questioni geopolitiche del Mediterraneo», Renzi ha colto l'occasione per manifestare la propria solidarietà al popolo egiziano «colpito nelle ultime settimane da gravi attentati». L'Italia, ha proseguito Renzi, porterà avanti al fianco dell’alleato egiziano una «lotta senza quartiere al terrorismo, lotta che va rafforzata […] attraverso una maggiore cooperazione Europa-Egitto […] senza cedimento né arrendevolezza […] facendo di tutto per combattere il terrorismo e favorire la stabilità dell'area». A margine degli incontri ufficiali, al-Sisi ha incontrato anche Papa Francesco, con il quale ha affrontato i temi del rispetto delle minoranze, in particolare quelle cristiane – i copti in Egitto rappresentano all’incirca il 10% della popolazione totale – e le principali questioni internazionali di comune interesse, «con particolare riferimento al

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ruolo dell'Egitto nella promozione della pace e della stabilità nel Medio Oriente e nel Nord Africa». Al termine dei colloqui ufficiali, al-Sisi ha incontrato la folta comunità di imprenditori italiani interessati ad investire nel Paese. L’Italia è il terzo partner commerciale del Paese dopo USA e Cina e il secondo europeo dopo la Germania. Nella due giorni a Roma, l'Agenzia per la promozione delle Imprese Italiane all’Estero (ICE) e l'Egyptian Commercial Service (ECS) hanno firmato un memorandum d’intesa su 14 progetti di investimento nel Paese da 100 miliardi di euro, alcuni di quali di grande rilevanza strategica, come l’ampliamento dei lavori del Canale di Suez, lo sviluppo dell’area industriale e mineraria tra i porti sul Mar Rosso e la Valle del Nilo, la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità tra Alessandria, Il Cairo e Assuan e alcuni importanti investimenti nell'energia solare. Il 26 e il 27 novembre, al-Sisi è dunque volato in Francia dove a Parigi ha incontrato il Presidente François Hollande e i Ministri di Esteri e Difesa, Laurent Fabius e Jean Yves Le Drian. Negli incontri ufficiali le parti oltre ad auspicare un maggior coinvolgimento economico e una crescita dell’interscambio commerciale, hanno discusso anche circa la possibilità di una vendita di armamenti francesi all’antiquato arsenale egiziano. Sono in discussione infatti alcuni contratti di fornitura da un miliardo di euro per quattro navi corvetta Gowind alla marina militare e il rinnovo dello stock di jet Mirage 2000 all’aviazione. Intanto dopo settimane di attesa, sono giunti al Cairo gli otto elicotteri Apache promessi all’esecutivo egiziano dall’amministrazione Obama due anni or sono ma bloccati nell’ottobre del 2013 da Washington a causa della repressione nei confronti della Fratellanza Musulmana. Sul piano interno, la situazione rimane pressoché incandescente a causa di alcune decisioni del governo e della magistratura che hanno riportato in piazza i giovani e, più in generale, gli Egiziani scontenti dell’attuale corso politico nazionale. Alla base di ciò vi è da un lato un disegno di legge che propone in senso restrittivo una riforma delle misure in materia di anti-terrorismo per la lotta ai gruppi dissidenti dichiarando “terroristi” tutti coloro che potrebbero porre in pericolo l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, e, dall’altro, la proposta parlamentare di abolizione del partito salafita egiziano al-Nour in quanto ritenuto un partito religioso. Una norma, questa, che dal punto di vista del governo sarebbe coerente con quanto fatto nell’agosto scorso nei confronti della messa al bando di Giustizia e Libertà, il braccio politico dei Fratelli Musulmani. Tutte queste situazioni hanno spinto salafiti e islamisti vicini all’Ikhwan a scendere in piazza in diversi centri del Paese nel venerdì della collera (28 novembre) contro il Presidente al-Sisi e il governo Mahlab, rei di aver destituito il Presidente legittimo Mohammed Mursi e di voler svilire i valori sociali e culturali dell’Islam. Sebbene contrassegnate da 3 morti (tra cui un ufficiale dell’esercito ad Alessandria), una ventina di feriti e all’incirca un’ottantina di arresti, le proteste non hanno raggiunto il

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consenso sperato dagli organizzatori anche per le defezioni di alcuni dei più importanti leader islamisti come Abdel Moneim Aboul Fotouh, che ritenevano le marce una strumentalizzazione politica in favore del governo. Nel frattempo, una Corte d’assise del Cairo ha prosciolto il 29 novembre l’ex rais Hosni Mubarak da tutte le accuse pendenti a suoi carico per fatti risalenti alla rivoluzione del 2011. Le principali accuse riguardavano uno scandalo di corruzione e tangenti nelle quali erano coinvolti anche i figli di Mubarak, Gamal e Ala’a, e, soprattutto, quello relativo all’accusa di concorso in omicidio per le 239 morti dei manifestanti del gennaio-febbraio 2011, ossia prima della sua destituzione ufficiale giunta il 25 febbraio. Insieme all’anziano rais erano imputati anche l'ex Ministro degli Interni Habib al-Adly e sei ex responsabili dei servizi di sicurezza nazionali. Secondo il procuratore generale del Cairo le accuse contro Mubarak decadono a causa dell’infondatezza dei capi di imputazione. Secondo il magistrato era tecnicamente inammissibile accusare Mubarak di essere il mandante delle repressioni e pertanto non doveva neanche essere processato. A giugno 2012, Mubarak era stato condannato all'ergastolo ma la sentenza era stata invalidata per ragioni formali e, quindi, l'intero processo fu ricominciato. Immediate si sono levate le proteste dei giovani contro il verdetto di assoluzione per Mubarak. Per tutta la notte si sono tenute al Cairo e nelle principali città del Paese manifestazioni di protesta contro la decisione della magistratura egiziana che hanno provocato la morte di un manifestante e l’arresto di una settantina di persone da parte delle forze di polizia.

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STATI UNITI ↴

Il grand giurì americano, composto da nove giudici bianchi e tre afro-americani, ha deciso di non incriminare Darren Wilson, il poliziotto bianco che nell’agosto scorso nella piccola cittadina di Ferguson ha sparato ed ucciso Michael Brown, un ragazzo di colore di diciotto anni e disarmato. Poco dopo l’annuncio sono ricominciate le proteste da parte dei manifestanti, che avevano già colpito il Missouri nelle scorse settimane. Le manifestazioni si sono poi estese a centosettanta città americane, come Seattle, Los Angeles, Philadelphia, Denver e Atlanta. A Ferguson è intervenuta la Guardia Nazionale per fermare saccheggi, incendi ed atti di vandalismo che, nei due giorni successivi alla sentenza, hanno flagellato la cittadina. Dalla Casa Bianca, il Presidente Obama ha rivolto un appello ai compatrioti: «Bruciare edifici, incendiare auto, distruggere proprietà, mettere le persone in pericolo. Tutto ciò è distruttivo. Non ci sono scuse», ha affermato Obama. «Le persone dovrebbero essere punite se hanno compiuto [questi] atti criminali». Ha continuato: «Il mio messaggio va a quelle persone che guardano al futuro in modo costruttivo, cercano di organizzarsi e fare domande su come migliorare la situazione: voglio che sappiano che il loro Presidente ha intenzione di lavorare con loro». «La conclusione», ha dichiarato, «è che niente di significativo emerge da atti distruttivi. Non ho mai visto una legge sui diritti civili e una sull'immigrazione e la sanità nascere da auto incendiate». Alla fine ha comunque osservato che «in qualunque parte dell'America una comunità non si sente benvenuta o trattata giustamente, ciò mette tutti noi a rischio. E noi tutti dobbiamo esserne preoccupati». Nel frattempo Wilson ha annunciato di aver lasciato la polizia visto che, come ha dichiarato il suo avvocato, «il primo giorno che ritornerà in servizio in strada qualcosa

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di terribile potrebbe succedere a lui o a qualcuno che lavora con lui. L'ultima cosa che vuole è mettere la vita di altri agenti in pericolo». Intanto a Washington il Segretario alla Difesa, il repubblicano Chuck Hagel, ha rassegnato le proprie dimissioni da capo del Pentagono dopo due anni dall’assunzione dell’incarico. Nella conferenza stampa, Obama ha detto che era «arrivato il tempo perché Hagel lasci la guida del Pentagono: non è stato un Ministro della Difesa comune, ma anzi uno esemplare». Il Segretario di Stato, John Kerry, ha affermato di essere «molto triste dopo aver sentito che Chuck ha deciso di rassegnare le sue dimissioni». Più che di dimissioni di Hagel, comunque, secondo quanto lasciato trapelare da fonti statunitensi, si è trattato di un licenziamento da parte di Obama. Secondo il New York Times, «nei prossimi due anni sarà necessario un altro tipo di focus» per la politica di sicurezza americana. Il Wall Street Journal ha svelato i contenuti di due lettere private inviate da Hagel al Presidente in cui il Segretario aveva chiesto un maggior vigore nell’interfacciarsi con le azioni della Russia in Ucraina per rassicurare gli alleati europei della NATO e una maggiore chiarezza da parte dell’amministrazione nella strategia in Siria per combattere l’avanzata dell’IS. È dunque partito il toto-nomination per chi succederà ad Hagel. In cima alla lista, fino a due giorni fa, pareva esserci Michele Flournoy, una donna già sottosegretario alla Difesa e funzionario del Pentagono ai tempi dell'amministrazione Clinton. In realtà, lei stessa ha dichiarato che non è sua intenzione ricoprire quell’incarico: «L'altra sera ho parlato con il Presidente Obama e ho chiesto di rimuovermi dalla lista a causa di problemi famigliari». Un altro nome forte pareva essere quello di Jack Reed, senatore democratico del Rhode Island, ma anche il suo sembra essersi parecchio indebolito. Resta in corsa come favorito Ashton Carter, ex vice Segretario della Difesa tra l’ottobre 2011 e il dicembre 2013.

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UNIONE EUROPEA ↴

Nel corso della Plenaria del Parlamento Europeo dello scorso 26 novembre a Strasburgo, il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha lanciato l'ambizioso piano di investimenti da 315 miliardi per il periodo 2015-2017 volto a stimolare la ripresa economica dell'UE insieme con il completamento del processo di riforme e

con

la

disciplina

di

bilancio.

Entro giugno 2015

verrà

dunque

creato nuovo Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS) con un capitale iniziale di 21 miliardi di euro, 16 dei quali già inseriti nel budget UE (provenienti da Connecting Europefacility e Horizon 2020) e 5 messi a disposizione dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI). I 16 miliardi garantiti dall'UE dovranno essere in grado di generare investimenti di lungo termine per almeno 240 miliardi di euro attraverso un effetto moltiplicatore con un rapporto di 1:15 (cioè ogni euro investito sarà capace di produrre 15 euro di investimenti privati); mentre i 5 miliardi provenienti dalla BEI dovrebbero essere capaci di generare nell'economia reale almeno 75 miliardi di euro per piccole e medie imprese e imprese a media capitalizzazione. A ciò potrebbero aggiungersi investimenti aggiuntivi tra i 25 e i 30 miliardi di euro grazie ai fondi strutturali e d’investimento europei 2014-2020. Gli Stati membri potranno contribuire al piano su base volontaria immettendo risorse aggiuntive con il vantaggio che tale cofinanziamento non verrà conteggiato nei parametri fissati dal Patto di Stabilità e Crescita e dagli altri trattati sul rigore di bilancio, restando dunque al di fuori del calcolo del deficit. Il FEIS sosterrà pertanto investimenti strategici nelle infrastrutture, in particolare nella banda larga e nelle reti energetiche, nei trasporti negli agglomerati industriali, nonché nell’istruzione, nella ricerca e nell'innovazione, nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica. A tal fine già dallo scorso settembre una task force tra Commissione e BEI sta stilando un elenco dei progetti da sviluppare sulla base di 6


alcuni criteri fondamentali (valore aggiunto europeo, redditività fattibilità entro i prossimi tre anni) ai quali verrà affiancato anche un importante programma di assistenza tecnica al fine di rendere tali progetti più appetibili per gli investitori privati. L'ultimo aspetto riguarda infine una road map per la rimozione degli ostacoli alle opportunità di investimento in tutti i principali settori delle infrastrutture, dall’energia alle telecomunicazioni, ai trasporti e al digitale, nonché degli ostacoli nei mercati dei servizi e dei prodotti. Una volta approvato il piano dal Parlamento e dal Consiglio europeo del prossimo dicembre, che prevedrà tra l'altro l'adozione di nuove misure legislative, i Ventotto concluderanno dovranno concludere la programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei al fine di massimizzarne la leva finanziaria, mentre il FEIS vedrà il primo contributo aggiuntivo da parte della BEI. Una prima valutazione dell'efficacia del piano verrà effettuata da Commissione e Capi di Stato e di governo entro la metà del 2016, quando saranno eventualmente considerate altre opzioni aggiuntive; se funzionante, ha dichiarato Juncker, il piano potrà essere prorogato anche per il periodo 2018-2020. Secondo il vice Presidente della Commissione, Jyrki Katainen, il piano dovrebbe incarnare un «nuovo approccio a livello europeo per cambiare il modo in cui il denaro pubblico viene utilizzato», in particolare sostenendo i prestiti più rischiosi. Nonostante i pareri discordanti tra i gruppi parlamentari (particolarmente critico GUE/NGL), le nuove misure sono state accolte favorevolmente innanzitutto dall'Italia poiché considerate come il «frutto delle battaglie italiane a favore della crescita e dell'occupazione».

MECCANISMO PIANO DI INVESTIMENTI UE 2015-17; FONTE: COMMISSIONE EUROPEA

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BREVI AFGHANISTAN, 23-29 NOVEMBRE ↴ Si è concluso soltanto da poche ore l’attacco che alcuni talebani hanno lanciato contro una guesthouse situata nei pressi dell’edificio che ospita il Parlamento a Kabul. Le forze di sicurezza hanno ucciso due dei tre assalitori, che secondo alcuni testimoni indossavano uniformi dell’esercito afghano, mentre il quarto è morto durante l’esplosione che ha provocato la morte anche di due stranieri. Negli ultimi giorni Kabul è stata teatro di un’offensiva su larga scala dei talebani che negli ultimi dieci giorni hanno colpito la capitale per ben otto volte. Gli attacchi si sono concentrati sia contro obiettivi stranieri che contro le forze afghane, anche se l’attentato peggiore è stato il 23 novembre a Paktika nella provincia di Helmand e ha provocato la morte di 57 persone che stavano assistendo ad una partita di pallavolo. L’attacco più significativo è avvenuto venerdì 28 novembre quando un kamikaze talebano si è fatto esplodere al passaggio di un convoglio diplomatico britannico, provocando la morte di un inglese e di cinque afghani. Nella notte del 28, invece, i combattenti talebani hanno lanciato un attacco prolungato alla base di Shorabak nella provincia di Helmand, causando la morte di otto soldati afghani e il ferimento di sette. La base, conosciuta come Camp Bastion, è una ex-struttura utilizzata dall’esercito britannico che l’ha recentemente ceduta all’esercito afghano, nel quadro degli accordi di ritiro dal Paese delle truppe straniere. Questa serie di attacchi fa parte della strategia talebana di colpire sia membri delle truppe straniere che membri delle forze afghane nel tentativo di opporsi agli accordi siglati recentemente dal preseidente Ashraf Ghani che prevedono il proseguimento, in forma ridotta, della presenza di truppe NATO in Afghanistan per addestrare i militari dell’Afghan National Army.

AUSTRIA, 12 NOVEMBRE ↴ Si sono riuniti a Vienna i Ministri dell’Energia dei Paesi membri dell’OPEC per discutere del prezzo del petrolio, in drastica riduzione da mesi, che ha visto in novembre segnare i propri minimi da cinque anni a questa parte. La decisione finale è stata quella di non ridurre la produzione complessiva, lasciando così che il costo del barile prosegua la sua corsa al ribasso. Regista di questa operazione, che non ha trovato concordi tutti i Paesi dell’organizzazione, è stata l’Arabia Saudita, per la quale l’attuale prezzo del petrolio in relazione alle riserve nazionali disponibili non rappresenta una minaccia per la stabilità, a differenza di altri Stati come l’Iran, la

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Libia e il Venezuela, che al contrario spingevano per un taglio della produzione. Rafael Ramirez, il Ministro di Caracas, aveva cercato un appoggio esterno nella Russia e nel Messico per convincere i colleghi della necessità della riduzione. Anche Mosca come Teheran, ad esempio, ha bisogno che il prezzo del singolo barile sia ben più elevato del 65 dollari con cui è acquistabile ora per far quadrare i conti del bilancio nazionale. Il Ministro saudita del Petrolio, Ali Al Naimi, soddisfatto dall’esito della riunione, ha commentato che «il mercato del petrolio finirà per stabilizzarsi da solo». L’OPEC ha deciso di riaggiornarsi nel giugno 2015 per discutere nuovamente quali mosse congiunte debbano essere applicate. A farne le spese sin da ora sono stati alcuni colossi americani ed europei dell’industria energetica, che alla borsa di New York sono stati messi sotto pressione. È stato il caso di Exxon Mobil (-3,42%), Chevron (-4,4%), ConocoPhillips (-5,41%), Hess (-7,68%), Marathon Oil (-8,22%), Devon Energy (6,26%) e Occidental Petroleum (-8,60%).

IRAQ-SIRIA,

26 NOVEMBRE ↴

Damasco non depone le armi nel conflitto che da tre anni

insanguina

il

Paese.

Traendo

vantaggio

dall’affermazione sulla scena regionale della minaccia califfale,

il

repressione

regime delle

alawita

opposizioni.

ha

intensificato

Nelle

ultime

la sei

settimane la flotta siriana ha condotto più di duemila attacchi, diretti in parte contro la fortezza jihadista a Raqqa, in parte contro le postazioni dei ribelli. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani oltre cinquecento persone, tra cui numerosi civili, sono decedute nei raid. Se nel nord della Siria le milizie dello Stato Islamico sovrastano in risorse ed effettivi le forze antagoniste ad al-Assad, a sud della capitale sacche di resistenza continuano a fronteggiare le truppe governative. Sostenuto materialmente dalla Giordania, il fronte ribelle forte di circa 30mila guerriglieri è frammentato in oltre cinquanta fazioni in lotta per la guida di una rivoluzione ormai svuotata dei contenuti riformatori che contraddistinsero l’adunata di popolo contro la casa regnante. La commistione di elementi qaedisti e di formazioni “moderate” permane nel condizionare la risposta statunitense, benché il rinnovamento del Senato a vantaggio del polo repubblicano e le dimissioni del Segretario della Difesa Hagel – voce dissenziente all’interno dell’amministrazione Obama sulla questione siriana – tendono il fianco a soluzioni diverse, finanche maggiormente incisive, nei riguardi di Bashar al-Assad. Nel frattempo, il Ministro degli Esteri siriano Walid Muallem è stato ricevuto a Sochi da Vladimir Putin, determinato a garantire la stabilità del governo di Damasco. Mentre un doppio attacco suicida lanciato dal confine turco (nonostante le smentite di Ankara) ha tentato di indebolire la resistenza curda a Kobane aprendo un quarto fronte di combattimento, la provincia irachena di Anbar è tuttora sotto scacco delle uniformi nere del Califfato, apparentemente non vulnerabili rispetto ai 9


bombardamenti della coalizione internazionale. Infine, Hezbollah ha confermato il ruolo del generale iraniano Qassem Suleimani nel coordinamento sul campo di battaglia delle milizie sciite che da Baghdad a Samarra, fino a lambire Kirkuk e Baiji, si sono frapposte in modo decisivo contro l’urto jihadista.

ISRAELE, 23 NOVEMBRE ↴ Durante

la

riunione

di

gabinetto

dell’esecutivo

israeliano è passato a maggioranza (15 voti a favore e 7 contrari) il disegno di legge che vorrebbe fare di Israele uno “Stato della nazione ebraica”. La decisione ha provocato profonde lacerazioni anche all’interno della maggioranza di governo: la legge è stata infatti approvata con i voti dei soli partiti della destra nazionalista (Likud, Yisrael Beiteinu e HaBayit HaYehudi), mentre hanno votato contro i centristi di Yesh Atid del Ministro delle Finanze Yair Lapid e HaTnuah del Ministro della Giustizia Tzipi Livni e, unica dissidente dello stesso Likud, il Ministro dello Sport Limor Livnat. Questo nuovo colpo di spugna di Netanyahu in favore dei partiti di destra israeliana segna da un lato uno spostamento dell’asse di governo sempre più in favore del partito di Bennett e Liebermann, dall’altro apre alla possibilità concreta di elezioni anticipate se, come ha promesso il Premier subito dopo il voto di domenica, il disegno di legge andasse alla Knesset e fosse infine approvato a maggioranza. Uno scenario, questo, che ha costretto un’immediata discesa in campo del Presidente della Repubblica Reuven Rivlin, il quale ha stigmatizzato la proposta di legge di Netanyahu spiegando che di fatto Israele è già «lo Stato nazionale del popolo ebraico». Alla base delle preoccupazioni di Rivlin vi sarebbe il timore che una legge identitaria possa radicalizzare ulteriormente le divisioni nel Paese non solo con i Palestinesi ma anche e soprattutto con gli Arabi-Iraeliani, che sono una porzione rilevante della popolazione totale (circa il 20%, 1,5 milioni di abitanti su 8 totali). La proposta di legge di uno Stato ebraico era stata già ampiamente dibattuta nei passati mesi ma sembrava essere stata accontatonata per motivi di opportunità politica dall’esecutivo a seguito della crescente escalation di violenze nel Paese e nei Territori Occupati dopo la Guerra di Gaza e gli attentati palestinesi in Israele e in Cisgiordania. Tuttavia, i voti dei Parlamenti nazionali di Svezia, Regno Unito, Irlanda, Spagna e Danimarca di uno riconoscimento di uno Stato palestinese – e quello ancora in corso in Francia che dovrebbe aver luogo il prossimo 2 dicembre – e il prolungamento delle trattative sul nuclare iraniano, avrebbero convinto Netanyahu ad accellerare l’iter della formazione di uno Stato ebraico israeliano in modo da rafforzare la posizione del suo esecutivo costituendo un governo mono-colore e libero dalle cosiddette “colombe” centriste che potrebbero rallentare l’azione politica del governo. Intanto a Gerusalemme lo Shin Bet, l’agenzia di intelligence per la sicurezza interna, ha arrestato una cellula di 30 persone – alcune delle quali straniere (giordani e kuwaitiani) ed altre appartenenti 10


alle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas – pronte a preparare un attentato al Teddy Stadium e alla linea dei tram di Gerusalemme. Secondo l’antiterrorismo israeliano i miliziani arrestati sarebbero stati addestrati in Siria, in Turchia e a Gaza. Lo stesso gruppo sarebbe stato responsabile di un altro attentato senza vittime il 31 agosto scorso in Cisgiordania.

KASHMIR, 27 NOVEMBRE ↴ Si sono aperte, il 25 novembre, le urne per la prima delle cinque fasi che porteranno all’elezione degli 87 seggi parlamentari nel Kashmir indiano. I risultati saranno resi noti il 23 dicembre. I quattro maggiori partiti a contendersi la maggioranza sono il Jammu and Kashmir National Conference (NC, attualmente a capo dell’assemblea), il People’s Democratic Party (PDP partito di opposizione), il Bharatiya Janata Party (BJP, partito induista del Premier indiano Narendra Modi) e l’Indian National Congress (INC, il partito di Sonia Gandhi). In occasione dell’inizio delle elezioni nella zona del Kashmir amministrata dall’India, i gruppi separatisti musulmani hanno chiesto alla popolazione di boicottare il voto e di non recarsi alle urne. Una mossa, questa, che potrebbe rivelarsi, tuttavia, vantaggiosa per il partito del Premier indiano Narendra Modi, il BJP, che sta cercando una vittoria storica nel Kashmir. Il voto della popolazione induista, infatti, sarebbe cruciale qualora i musulmani scegliessero di non votare. Tuttavia, sebbene ci sia un generale malcontento nei confronti del partito locale finora in carica, il Jammu and Kashmir NC, a causa della cattiva gestione della crisi dovuta alle inondazioni di settembre unita ad una carenza di lavoro e opportunità per i giovani kashmiri, risulta alquanto improbabile che il BJP induista ottenga la maggioranza dei seggi nello Stato. In questo scenario sono ripresi gli scontri nella zona di Arnia, teatro delle dispute armate di ottobre scorso. Dei militanti musulmani si sono infiltrati attraverso il confine con il Pakistan e, asserragliandosi in un bunker, hanno aperto il fuoco contro le truppe indiane causando la morte di almeno dieci persone. Gli accadimenti violenti degli ultimi mesi rappresentano il più acuto inasprimento della tensione in Kashmir a partire dall’entrata in vigore del cessate il fuoco del 2003 tra India e Pakistan. Il Kashmir, in cui risiede una popolazione a maggioranza musulmana, infatti, è territorio rivendicato da entrambi i Paesi fin dalla loro creazione ed è stato suddiviso in tre aree separate: una sottoposta alla giurisdizione indiana, una a quella pakistana ed una, minore, all’amministrazione cinese.

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NIGERIA, 25-28 NOVEMBRE ↴ Un triplice attacco esplosivo è avvenuto venerdì 28 novembre all’interno della grande moschea di Kano, la più grande città del nord della Nigeria. Secondo i testimoni la prima esplosione sarebbe avvenuta all’esterno della moschea, seguita poi da due grandi esplosioni all’interno: successivamente alcuni uomini armati hanno iniziato a sparare indiscriminatamente sulla folla mentre scappava in cerca di rifugio. Il bilancio finale dell’attacco dinamitardo è di 120 morti ed almeno 270 feriti. Al momento non c’è stata alcuna rivendicazione ma tutti gli indizi punterebbero sul gruppo terroristico di Boko Haram. Probabilmente l’obiettivo dell’attentato era l’Emiro di Kano, Sanusi Lamido Sanusi, una delle personalità più influenti del Paese, che la settimana scorsa aveva spinto la popolazione ad opporsi all’offensiva di Boko Haram, accusando le autorità nazionali di non fare abbastanza per garantire la sicurezza delle persone che vivono in quella zona della Nigeria. L’attacco sembra però un avvertimento piuttosto che un attacco vero e proprio, in quanto, al momento dell’esplosione, l’Emiro non si trovava all’interno della moschea per la preghiera del venerdì, bensì in Arabia Saudita. L’esplosione ha causato la reazione indignata della popolazione di Kano che, scontenta dell’intervento tardivo della polizia, ha manifestato massicciamente per le strade della città. Nell’altra città del nord della Nigeria presa di mira da Boko Haram, Maiduguri, martedì 25 novembre due donne kamikaze si sono fatte esplodere in un mercato popolare, provocando la morte di 45 persone. Anche in questo caso l’attentato non è stato rivendicato, ma gli osservatori lo attribuiscono alla setta islamista di Boko Haram che è nata proprio in questa città, in passato sottoposta ad attacchi quasi quotidiani. Di sicuro Boko Haram è responsabile di un'altra carneficina avvenuta a Dorno Baga, un paese situato sulle rive del lago Ciad, dove sono stati uccisi 48 commercianti in viaggio per fare acquisti.

RUSSIA-ABKHAZIA, 24 NOVEMBRE ↴ Il Presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto, lunedì 24 novembre a Sochi sulla costa del Mar Nero, il leader dell’autoproclamata Khadzhimba.

I

due

Repubblica politici

dell’Abkhazia,

hanno

concluso

Raul uno

strategico accordo militare che prevede, per il prossimo triennio, una cooperazione tra Russia e Abkhazia nei settori di difesa, sicurezza, forze dell’ordine e controllo dei confini. Il risultato sarà, di fatto, un considerevole controllo da parte di Mosca della politica interna alla regione abkhaza e porterà le truppe di Putin al confine tra questa e la Georgia. La rilevanza dell’accordo, ritenuto illegale dalla comunità internazionale – compresi UE e NATO – risiede nel fatto che l’Abkhazia sia stata riconosciuta indipendente da soli sei membri 12


ONU, e dunque un’ingerenza negli affari interni di Sukhumi, capitale della regione, significa un’ingerenza nella politica interna georgiana. L’Abkhazia, così come l’Ossezia del Sud sono, infatti, due regioni secessioniste della Georgia le quali hanno dichiarato la propria indipendenza dopo la dissoluzione dell’URSS ma che sono state formalmente riconosciute come Stati autonomi dalla Russia soltanto dopo la Seconda Guerra civile nel 2008. A maggio scorso le proteste popolari, supportate dal Cremlino, hanno deposto dal vertice dell’autoproclamata Repubblica il Presidente Alexander Ankvab, sostituendolo con Raul Khadzhimba, ex membro del KGB sovietico. Le preoccupazioni espresse immediatamente dopo l’accordo dall’Unione Europea e dalla NATO riguarano la possibilità che Mosca riservi per questo territorio le stesse mire espansionistiche attuate nella penisola crimeana. In merito a tale allarme il Segretario Generale NATO, Jens Stoltenberg, ha affermato che «La NATO sostiene l’integrità territoriale della Georgia e non riconosce il trattato di alleanza strategica firmato dalla regione abcasa e dalla Russia». Dal canto suo Putin ha risposto dicendo che «L’accordo è stato siglato per garantire la sicrezza assoluta dell’Abkhazia [...] e creare le condizioni per l’ulteriore sviluppo dei legami commerciali ed economici».

UCRAINA, 27 NOVEMBRE ↴ Si è tenuta il 27 novembre la prima sessione della nuova Verchovna Rada (il Parlamento ucraino) come risultato delle elezioni legislative dello scorso 26 ottobre.

Arseniy

Yatsenyuk,

supportato

dalla

coalizione di cinque partiti chiamata “Ucraina Europea” che conta 288 deputati su 421, è stato nominato Primo Ministro, mentre Vladimir Groisman, ex Ministro dello Sviluppo Regionale ed esponente del Blocco Poroshenko, è stato eletto Presidente del Parlamento. Nonostante l'appartenenza alla stessa maggioranza, la nomina dei due uomini evidenzia un certo confronto e una serie di frizioni latenti tra gli stessi Yatsenyuk e Poroshenko. Nello stesso giorno, inoltre, il Consiglio dell'Unione Europea, sulla base dell'intesa del 17 novembre, ha deciso l'estensione delle sanzioni nei confronti di 13 nuove personalità e di 5 entità, portando così la blackist dei soggetti sottoposti a restrizioni a 132 persone e 28 organizzazioni di varia natura. Il nuovo congelamento di beni e le limitazioni sul rilascio dei visti verso l'Europa questa volta ha riguardato persone e gruppi direttamente coinvolti nelle elezioni nel Donbass dello scorso 2 novembre e ritenute illegittime dalla comunità internazionale: tra essi Sergey Kozyakov, capo della Commissione elettorale dell'auto-proclamata Repubblica

Popolare

di

Lugansk;

Oleksandr

Kofman

e

Ravil

Khalikov,

rispettivamente vice Presidente del Parlamento e primo vice Premier, nonché ex Procuratore Generale, dell'auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk. Per quanto riguarda le entità, invece, sono stati colpiti gruppi politici quali la Repubblica

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di Donetsk, Pace per la Regione di Lugansk, Free Donbass, Unione Popolare e l'Unione Economica di Lugansk.

VATICANO, 28-30 NOVEMBRE ↴ È stata una settimana particolarmente intensa per la diplomazia della Santa Sede. Dopo aver incontrato a Roma il Presidente egiziano al-Sisi il 24 novembre, il giorno

seguente

il

Pontefice

ha

presieduto

a

Strasburgo una sessione congiunta del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa. A ventisei anni dalla visita di Giovanni Paolo II – quando il progetto comunitario ancora cedeva di fronte al Muro di Berlino, emblema di un continente ostaggio della cortina di ferro – il discorso di Papa Bergoglio, soffermatosi in particolare sui temi dell’occupazione e dell’immigrazione, apre un capitolo nuovo nelle relazioni ufficiali tra la Santa Sede e le Istituzioni europee. La breve visita della guida spirituale della Chiesa Cattolica ha preceduto un impegnativo viaggio di tre giorni in Turchia, tradizionale ponte tra Occidente e Oriente che la prossimità della crisi siroirachena e le ambivalenze di Erdoğan rendono un interlocutore principale nella contesa ideologica e militare sollevata dal Califfato. Ospite del Presidente turco, Bergoglio ha celebrato il dialogo interreligioso e interculturale tra le confessioni e i culti che si affacciano sul Mediterraneo, richiamando la Turchia alla responsabilità di promuovere la pacificazione del Medio Oriente e lodandone l’impegno profuso nell’assistenza ai profughi in fuga dagli epicentri di conflitto. A sostanziare le ferma denuncia del fondamentalismo religioso e della brutale violenza ordita dallo Stato Islamico, il Pontefice ha in seguito incontrato il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e il Mufti di Instanbul Rahmi Yaran.

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ALTRE DAL MONDO BAHRAIN, 22 NOVEMBRE ↴ Chiamata alle urne per l’elezione della camera bassa del Parlamento, la maggioranza sciita capeggiata dal partito d’opposizione al-Wefaq ha promosso il boicottaggio delle consultazioni poiché ritenute incongruenti con il risveglio democratico del Bahrain e strumentali all’esercizio di un potere assoluto da parte della leadership sunnita. La diffusa astensione tende a sconfessare la legittimità della tornata elettorale, la prima dalle contestazioni emerse violentemente nel febbraio 2011, mentre le strade sono state teatro di scontri e incidenti. A una settimana di distanza si è tenuto il ballottaggio per l’attribuzione di trentaquattro seggi parlamentari (su un totale di quaranta) non assegnati al primo turno. La tensione resta elevata.

BULGARIA, 26 NOVEMBRE ↴ Un’operazione di polizia ha portato all’arresto dell’imam Ahmed Mussa nella moschea di Pazardzhik. Il religioso, già noto per la vicinanza alle incarnazioni estremiste dell’Islam politico, è accusato assieme ad altre sei persone d’incitamento alla guerra e di propaganda anti-democratica in ragione di una predicazione ostentatamente favorevole alla causa dello Stato Islamico. Nel contesto della medesima operazione, le forze dell’ordine hanno ispezionato più di quaranta abitazioni in quattro centri urbani in cui le comunità musulmane sono storicamente ben radicate.

BURKINA FASO, 23-27 NOVEMBRE ↴ Dopo le nomine di Michel Kafando e di Isaac Zida, rispettivamente a Presidente e a Primo Ministro di transizione, il 23 novembre è stata diramata, in tarda serata, anche la lista dei 26 Ministri del governo temporaneo. I due uomini forti della transizione hanno tenuto per sé gli incarichi nei loro settori di competenza, con il Presidente a dirigere il Ministero degli Esteri e il Primo Ministro quello della Difesa. Altri tre componenti delle forze armate, molto vicini al Premier Zida, sono entrati a far parte del governo, acquisendo le cariche di alcuni tra i Ministeri più importanti, mentre molte altre nomine provengono dalla società civile. Ancor prima di occupare la sua carica il Ministro della Cultura Adama Sagnon ha dato le sue dimissioni, a causa delle proteste popolari per la sua nomina, in quanto colpevole di aver insabbiato l’inchiesta sull’uccisione del giornalista Norbert Zongo. Nel frattempo, si è installato, giovedì, anche il terzo organo previsto dalla Carta di transizione, ovvero il Consiglio Nazionale Transitorio, alla cui presidenza è stato nominato un giornalista, Cherif Mounima Sy.

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CINA-HONG KONG, 22 NOVEMBRE ↴ Il giovane Joshua Wong, leader della rivolta studentesca di Hong-Kong, scoppiata nell’agosto scorso con la richiesta di poter eleggere autonomamente i propri rappresentanti governativi, è stato arrestato, insieme all’altro giovane di spicco della protesta, Lester Shum e ad 150 manifestanti. L’arresto è avvenuto mercoledì 26 novembre con l’accusa di aver ostruito il lavoro degli ufficiali di polizia nell’attività di sgombro dell’assedio dell’area di Mong Kok durato circa 60 giorni. Gli studenti sono stati poi rilasciati e la causa è stata rimandata a gennaio. I giovani leader sono stati tuttavia interdetti dalla zona delle proteste dalla Corte di Hong Kong.

CONGO, REPUBBLICA DEMOCRATICA, 23 NOVEMBRE ↴ Una nuova offensiva molto violenta è avvenuta nel Nord Kivu da parte dei ribelli. L’attacco ha avuto luogo a una ventina di chilometri ad est dell’aeroporto della città di Beni e ha interessato quattro villaggi. Non c’è ancora un bilancio definitivo dell’assalto, ma fonti governative prospettano una cifra che oscilla tra i 70 e i 100 morti. Le conclusioni delle indagini preliminari puntano gli occhi sui ribelli ugandesi dell’ADF, autori di numerose attacchi nella regione che, a partire dalla metà di ottobre hanno causato più di 200 vittime. Spaventata da questa nuova minaccia, alcuni giorni prima, la società civile congolese aveva esortato l’esercito, la polizia e l’ONU ad agire con urgenza per ristabilire la sicurezza nella regione.

IRAN, 24 NOVEMBRE ↴ Il termine dei negoziati sul nucleare iraniano è stato prorogato al 30 giugno 2015. Si tratta della seconda dilazione sul raggiungimento di un accordo di compromesso avente ad oggetto l’ambizioso programma nucleare di Teheran e le sanzioni economiche applicate da Washington, un braccio di ferro che per entrambe le parti assume un valore prioritario nelle rispettive agende politiche. Se la crisi siriana e il conseguente ostruzionismo sino-russo già avevano ostacolato le trattative, l’affermazione dello Stato Islamico e la ridiscussione degli equilibri mediorientali attribuiscono alla contesa un valore strategico di primissimo piano. Consapevoli della posta in gioco, le dirigenze di Stati Uniti e Iran hanno salutato con favore il prolungamento dei colloqui.

LIBIA, 28 NOVEMBRE ↴ L’ex Generale Khalifa Haftar ha dichiarato di voler riportare, entro il 15 dicembre, il Parlamento stanziato a Tobruk nella capitale Tripoli ed ha iniziato la campagna di attacchi aerei contro l’aeroporto di Mitiga. Il Ministro degli Esteri Gentiloni ha affermato, nel frattempo, in merito alla crisi libica che «un intervento di peacekeeping, rigorosamente sotto l'egida ONU, vedrebbe l'Italia impegnata in prima fila, purché preceduto dall'avvio di un percorso negoziale verso nuove elezioni garantito da un governo di saggi. In assenza di ciò mostrare le divise rischia solo di peggiorare la 16


situazione». Inoltre, il Consiglio di Sicurezza ONU ha dichiarato che il Comitato Sanzioni sta elaborando provvedimenti, diretti contro le parti in lotta nel Paese nordafricano, da attuare qualora continuino a non cercare concretamente una soluzione pacifica al conflitto.

MESSICO, 27 NOVEMBRE ↴ Il Presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato un nuovo piano nazionale contro il crimine organizzato e la corruzione dilaganti. Il piano fornisce maggiori poteri al Congresso che può decidere lo scioglimento delle amministrazioni locali conniventi con i trafficanti di droga e concede alle autorità locali maggiore controllo sulla polizia municipale che verrà riorganizzata in 32 corpi statali. Il piano si focalizzerà, inizialmente, sui quattro Stati più coinvolti nelle violenze di questi mesi: Guerrero, Michoacan, Jalisco e Tamaulipas. «Il Messico non può continuare così» ha detto il Presidente durante una cerimonia al Palazzo Nazionale della capitale, «dopo Iguala, il Paese deve cambiare». La spinta decisiva all’approvazione di questo nuovo piano anti-crimine è venuta proprio dalla vicenda dei 43 studenti di Iguala, uccisi da un gang locale con il tacito accordo della polizia, e dalle massicce proteste popolari che hanno fatto seguito alla loro scomparsa.

NEPAL, 27 NOVEMBRE ↴ È stato firmato a Kathmandu, in Nepal, un importante accordo di cooperazione energetica tra le otto nazioni parti al 18esimo vertice SAARC (l’Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale) svoltosi nelle giornate del 26 e 27 novembre. Altri due accordi firmati dai Paesi membri riguardano la regolamentazione del traffico di passeggeri e merci e la gestione delle linee ferroviarie tra gli Stati membri. Le questioni discusse, inoltre, nel summit sono state la riduzione della povertà, la promozione del turismo, la generazione di opportunità di lavoro e le tecniche di controllo degli effetti dei cambiamenti climatici.

PORTOGALLO, 23 NOVEMBRE ↴ José Socrates, Primo Ministro portoghese dal 2005 al 2011 e leader del Partito Socialista, è stato messo in stato di fermo provvisorio insieme ad altri tre uomini nell’ambito di un’indagine per frode fiscale, riciclaggio di denaro e corruzione. L’arresto di Socrates segue peraltro allo scoppio di un altro scandalo, riguardante la concessione di visti facili agli investitori stranieri, che aveva condotto alle dimissioni del Ministro dell'Interno, Miguel Macedo, lo scorso 17 novembre.

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SPAGNA, 26 NOVEMBRE ↴ Il Ministro della Sanità, Ana Mato, esponente del Partito Popolare e figura vicina al Premier Mariano Rajoy, ha rassegnato le proprie dimissioni a causa del presunto coinvolgimento nello scandalo Gürtel, vicenda di corruzione e favori illeciti nato nel novembre del 2007 e che ha investito negli anni dirigenti e funzionari del PP. É stato invece prosciolto l'ex Ministro dell'Interno, Angel Acerbes. In seguito ad una nuova stagione di indagini avviate lo scorso mese di ottobre (Operación Puníca, definita la Tangentopoli spagnola), e che ha condotto all'arresto di circa 50 esponenti politici e di numerosi imprenditori, lo stesso Rajoy ha annunciato un piano di misure anticorruzione che comprende una nuova legge sul finanziamento dei partiti, un nuovo statuto per la nomina delle alte cariche, una riforma parziale del codice penale.

TUNISIA, 23 NOVEMBRE ↴ Il primo turno delle elezioni presidenziali non è stato sufficiente a decretare il prossimo vertice della Tunisia. Béji Caïd Essebsi, anziano leader del partito di maggioranza Nidaa Tounes, ha ottenuto il 39,4% dei suffragi contro il 33,4% difeso da Moncef Marzouki, Presidente uscente che ha guidato il Paese nella transizione democratica successiva alla deposizione di Ben Alì. Mentre le fazioni politiche ingaggiano contrattazioni per la formazione di un auspicato governo di coalizione, il ballottaggio per l’elezione del Capo di Stato si terrà presumibilmente nella seconda metà di dicembre.

VENEZUELA, 26 NOVEMBRE ↴ La polizia politica venezuelana ha ratificato a Maria Corina Machado, oppositrice del governo chavista rimossa dalla corsa per la Presidenza alle passate elezioni del 2013, una citazione in giudizio, con l’accusa di aver partecipato ad una presunta cospirazione per l’uccisione dell’attuale Presidente Nicolás Maduro. L’accusa deriverebbe dall’analisi di alcune mail, inviate dalla Machado ad alcuni esponenti dell’opposizione, durante le proteste antigovernative avvenute in Venezuela tra il marzo e il maggio scorso. In realtà Corina Machado è stata già interrogata per la stessa questione in giugno ma nessuna accusa era stata formulata. Nel frattempo il Venezuela si trova a dover affrontare le proteste dei carcerati del penitenziario di David Viloria che richiedono un miglior trattamento: nonostante il governo abbia proceduto al trasferimento di 145 persone, la morte per overdose di droga di 13 prigionieri ha rinfocolato le proteste degli attivisti.

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ANALISI E COMMENTI L’IMPERATIVO STRATEGICO DELL’IRAN DI FRONTE AL NEGOZIATO NUCLEARE STEFANO LUPO ↴ Non devono essere stati giorni facili per il Presidente Rouhani e il Ministro degli Esteri Zarif. Man mano che al tavolo negoziale tra Parigi e Vienna ci si rendeva conto dell’inconciliabilità delle posizioni sulle questioni più stringenti tra le parti in causa, in Iran scoppiava la polemica alimentata da chi sostiene che la posizione troppo morbida di Zarif già un anno fa avesse predisposto il Gruppo 5+1 (il Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania) a una linea d’azione più intransigente, vedendo Teheran più disponibile al compromesso. E pensare che più di una volta Zarif ha cercato di dissuadere il Presidente Rouhani dal rimanere troppo allineato ai dettami della flessibilità eroica della Guida Suprema Khamenei. Il Presidente, eletto più di un anno fa proprio grazie al suo equilibrio tra le varie istanze, non se l’è sentita di sbilanciarsi troppo, con il rischio di cadere anima e corpo tra le braccia dell’ala dura, religiosa e governativa (…) SEGUE >>>

IMMIGRAZIONE: DA MARE NOSTRUM A TRITON, CHE GOVERNANCE HA IN MENTE L’EUROPA?

SALVATORE DENARO ↴ La crescita del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e le numerose tragedie verificatesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa hanno recentemente condotto l’Unione Europea a tentare di assumere un ruolo di maggiore responsabilità in materia di immigrazione e di controllo delle frontiere. In seguito alle costanti richieste da parte del governo italiano circa un maggiore impegno dell’Europa, lo scorso agosto Frontex, l’agenzia europea creata con il Regolamento 2007/2004 del Consiglio UE con lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri, ha annunciato la creazione della missione Frontex Plus – poi rinominata Triton – che, operativa dal 1° novembre, e integrando le due missioni già attive nel Mediterraneo (la Enea e la Hermes), dovrebbe sostituire gradualmente l’operazione italiana militare ed umanitaria Mare Nostrum (…) SEGUE >>>

COUNTRY PROFILES: BURKINA FASO BEATRICE NICOLINI ↴ Mali, Togo, Ghana, Costa d’Avorio, Benin e Niger. Tutti questi Paesi confinano con il Burkina Faso, già Repubblica dell’Alto Volta: un piccolo Paese dell’Africa occidentale (274.200 Km2, CIA World Fact Book) privo di sbocchi al mare e povero persino per gli standard della regione che ha sempre sofferto di carestie e di colpi di Stato militari. Il suo territorio è complessivamente pianeggiante; d’estate le piogge sono frequenti

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e il clima è tropicale, mentre da settembre a maggio soffia il vento secco dell’Harmattan, il vento del deserto che porta anche la rivoluzione. Nell’ottobre di quest’anno la popolazione (16,93 milioni – World Bank 2013) si è sollevata contro il Presidente Blaise Compaoré deponendolo. Il Burkina Faso appartiene alla più ampia regione dell’impero del Songhai che fu un crocevia importante per scambi mercantili e una delle tappe fondamentali nei percorsi carovanieri trans-sahariani. Forti dunque furono sempre i contatti e gli scambi tra popolazioni, merci e idee (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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