N°10, 29 MARZO – 11 APRILE 2015 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 29 marzo 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: AFP; AP; AFP-Getty Images; Reuters; La Stampa; PressTV.
FOCUS KENYA ↴
Giovedì 2 aprile un commando di cinque terroristi legati al gruppo di militanza salafita somalo, al-Shabaab, ha fatto irruzione in un campus universitario di Garissa, nell’est del Kenya, uccidendo 147 persone, di cui 142 studenti, e ferendone 79. Si tratta del secondo attacco terroristico più sanguinoso nella storia del Paese africano, dopo quello del 1998 condotto da al-Qaeda all’Ambasciata USA di Nairobi in cui le vittime furono 212. Nel sito universitario di Garissa i militanti sono entrati all’alba e si sono diretti verso la zona riservata alle preghiere mattutine degli studenti cristiani. Secondo le testimonianze di alcuni studenti sopravvissuti, i terroristi hanno inizialmente separato coloro che erano in grado di recitare il Corano da coloro che non lo erano per poi uccidere questi ultimi. Quattro dei responsabili dell’attentato, una volta arrivate le forze militari, si sono fatti esplodere e il quinto terrorista è stato arrestato. Secondo quanto riportato dai servizi di sicurezza l’ideatore dell’attentato è Mohamed Kuno, un keniano ex-insegnante di una madrasa (scuola coranica) arruolatosi nel 2007 nelle milizie radicali somale. Nel rivendicare l’attentato gli al-Shabaab hanno affermato che si è trattato di un atto di guerra contro il Kenya, il quale dal 2011 sta combattendo in territorio somalo per sradicare la minaccia terroristica nell’ambito della missione AMISOM (African Union Mission in Somalia) dell’Unione Africana. Il motivo principale per cui Nairobi si trova in prima linea nella lotta contro il terrorismo è l’elevata porosità del confine con la Somalia che ha permesso ai militanti negli anni passati di varcare ripetutamente la frontiera per condurre rapimenti e attentati. Tali azioni, rendendo meno 1
sicuro il Paese ne danneggiano gravemente l’attività turistica, seconda maggiore fonte di guadagno per il Kenya. Il Presidente keniano, Uhuru Kenyatta, ha immediatamente richiamato l’attenzione sulla necessità di rafforzare l’addestramento delle forze di sicurezza affermando: «abbiamo sofferto ingiustamente a causa della carenza di personale di sicurezza adeguato». Kenyatta ha annunciato poi l’intenzione di rispondere «il più duramente possibile» all’attentato, inasprendo inoltre i controlli a coloro che sono ritenuti finanziatori del gruppo. Le misure prese nella settimana successiva sono state pertanto il congelamento dei conti correnti di 85 persone ed entità sospette di sostenere economicamente i terroristi e attacchi aerei a due campi di addestramento degli al-Shabaab avvenuti tra domenica 5 e lunedì 6. In merito a questi ultimi, tuttavia, il portavoce dell’esercito keniano, il Col. Obonyo, ha sostenuto che non sono stati attuati in ritorsione all’attentato di Garissa, ma che si è trattato di un’operazione decisa da tempo nell’ambito di AMISOM. Barack Obama ha confermato la volontà di dare sostegno a Nairobi per sconfiggere la minaccia terroristica rappresentata dagli al-Shabaab, continuando a collaborare inoltre con gli altri attori regionali. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Kimoon, dal canto suo ha commentato l’accaduto definendolo come «un atto terroristico» ed ha dichiarato che «le Nazioni Unite sono pronte ad aiutare il Paese africano al fine di prevenire e combattere il terrorismo e gli estremismi violenti». In seguito all’accaduto il governo keniano ha chiesto in particolare alle Nazioni Unite di chiudere il campo profughi di Dadaab – non lontano da Garissa, a meno di 90km dal confine con la Somalia – in quanto viene ritenuto uno dei rifugi dei terroristi che si mescolerebbero agli sfollati, eludendo i controlli governativi e potendo agire liberamente in territorio keniano. Si tratta del campo profughi più grande al mondo: ospita più di 500mila rifugiati somali. Il gruppo terroristico Harakat al-Shabaab al-Mujahideen (Movimento dei Giovani Mujahideen), sorto nel 2006 nell’ambito della guerra con l’Etiopia, era inizialmente una delle milizie armate che sostenevano l’Unione delle Corti Islamiche (in contrapposizione al governo federale di transizione somalo), organizzazione, questa, che intendeva instaurare uno Stato fondato sulla Sharia. In seguito al-Shabaab ha iniziato ad avere contatti con la cellula di al-Qaeda, confermandone ufficialmente l’alleanza nel 2009. Sebbene nel corso dei mesi passati il movimento ha subito notevoli colpi da parte di attacchi di AMISOM e delle forze statunitensi (tra cui l’uccisione del leader Ahmed Godane nel settembre 2014), detiene tuttora una forte influenza soprattutto nelle zone rurali della Somalia ed ha dimostrato, con il massacro di Garissa, di non essere disposto a cedere sotto gli attacchi militari. Alcuni analisti segnalano pertanto come la guerra a tale minaccia non potrà svolgersi solo su un piano militare quanto piuttosto sarebbe necessario un intervento di tipo ideologico-politico.
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IRAQ/SIRIA ↴
Le forze di sicurezza irachene hanno strappato Tikrit ai miliziani dello Stato Islamico (IS). I passaggi dei caccia statunitensi sui quartieri centrali della città hanno ridestato l’avanzata delle truppe di Baghdad, che tra il 30 e il 31 marzo sono infine riuscite a riprendere il controllo del complesso presidenziale nel cuore della città, dove i miliziani islamisti avevano organizzato una tenace e irriducibile resistenza. Il 1° aprile il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi e i vertici militari hanno sfilato nelle strade del centro urbano, sanzionando la riconquista del capoluogo della provincia di Salah ad-Din, mentre il 4 aprile l’esercito regolare ha consegnato alla polizia locale la responsabilità dell’ordine pubblico. I bombardamenti chirurgici dell’alleato statunitense sono stati decisivi nel promuovere l’ultima fase della controffensiva su Tikrit, che da oltre tre settimane era accerchiata dalle forze irachene. Il seppur tardivo coinvolgimento degli Stati Uniti ha messo in ombra il ruolo delle milizie sciite, che sino ad allora avevano in gran parte determinato il successo dell’operazione. L’autonomia dei potenti gruppi paramilitari sciiti, il veto americano sulla collaborazione con soggetti dichiaratamente sostenuti da parte iraniana e i numerosi precedenti d’intolleranza settaria nei riguardi della comunità sunnita hanno consigliato il governo presieduto da al-Abadi a smorzare la centralità operativa del Fronte di Mobilitazione Popolare, composto in maggioranza dalle milizie invise agli alleati occidentali e sunniti. Significativamente, il Ministro degli Interni Mohammed al-Ghaban ha celebrato l’azione della polizia federale e dei corpi speciali nella liberazione di Tikrit. Al contrario delle milizie legate agli interessi iraniani, le formazioni paramilitari sciite vicine all’Ayatollah Alì al-Sistani (quali le Brigate Firqat al-Abbas al-Qitaliyah, Liwa Ansar al-Marjeia e Liwa Ali al-Akbar) hanno preso parte alla capitolazione della città a fianco dell’esercito regolare. Se
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ciò evidenzia l’eterogeneità del Fronte di Mobilitazione Popolare, occorre tuttavia tenere presente che la Brigata Badr e i maggiori gruppi sciiti si sono schierati a presidio della periferia settentrionale di Tikrit, dove il Califfato mantiene il controllo di numerosi villaggi e snodi logistici. Nonostante il duro contraccolpo della perdita di Tikrit, l’IS ha moltiplicato gli attacchi nell’area compresa tra il capoluogo di Salah ad-Din e il polo petrolifero di Baiji, minacciando in particolare i giacimenti di Alas. Inoltre, l’intatta capacità dei fondamentalisti islamici di colpire la capitale e le provincie formalmente in pieno controllo delle forze governative rivela la robustezza delle risorse del Califfato, le cui incessanti e violente azioni di guerriglia nell’Anbar sunnita hanno costretto i vertici iracheni a rivedere l’ordine delle priorità strategiche della campagna contro l’IS. Poiché la persistente instabilità della provincia di Salah ad-Din ostacola l’avanzata verso Mosul, le autorità di Baghdad hanno infatti deciso di aumentare gli effettivi nell’area di Ramadi, epicentro di intensi scontri con i miliziani islamisti dove già il 31 marzo, in concomitanza con la fase culminante della battaglia di Tikrit, due divisioni dell’esercito regolare erano sopraggiunte nella base di Habbaniyah in vista di una prossima operazione su larga scala. Nella prima settimana di aprile, il Ministro della Difesa Khalid al-Obeidi e il governatore dell’Anbar Suhaib al-Rawi hanno concordato i provvedimenti per armare e integrare le tribù sunnite in quattro brigate di diecimila unità complessive a sostegno dell’esercito regolare, che l’8 aprile ha ufficialmente annunciato l’inizio dell’operazione. Tuttavia, la fulminea reazione dell’IS, i cui guerriglieri hanno preso possesso di Albu Faraj a nord di Ramadi e attaccato al-Dujail nella periferia settentrionale di Baghdad, indica che la diversione nell’Anbar è attesa a una prova di forza che sembra eccedere le capacità operative e politiche del governo iracheno. Laddove le istituzioni centrali non raggiungano l’obiettivo a lungo mancato di coinvolgere le comunità sunnite, la vastità della distesa desertica dell’Anbar e la solidità delle avanguardie islamiste potrebbero pregiudicare l’azione di contrasto dell’esercito regolare. Mentre il Comando Centrale degli Stati Uniti non ha ancora notificato alcun bombardamento nell’area interessata dall’operazione di terra, le influenti milizie sciite Kataib Hezbollah e Asaib Ahl al-Haq, come pure la Brigata Badr, hanno offerto assistenza alle truppe governative, tuttavia dietro la sottaciuta condizione di un ruolo passivo della coalizione internazionale. Intanto, tra il 6 e l’8 aprile, fonti locali riportano che i miliziani islamisti abbiano giustiziato almeno 330 individui appartenenti a varie tribù sunnite perché sospettati di complicità con le forze di sicurezza irachene. La visita a Washington di al-Abadi prevista per la prossima settimana sarà un appuntamento fondamentale per definire il proseguimento dell’operazione; in particolare, il Primo Ministro iracheno sottoporrà al Presidente statunitense Barack Obama la richiesta di dilazionare il pagamento delle commesse militari autorizzate dal Congresso, in virtù del pesante passivo di bilancio aggravato dalla caduta del prezzo del petrolio. L’incursione nel campo profughi di Yarmouk è invece lo specchio del rinnovato protagonismo del Califfato nello scenario siriano. Il quartiere alle porte di Damasco, 4
che accoglie circa 18mila profughi palestinesi, è caduto nelle mani dei guerriglieri dell’IS, che hanno vinto facilmente la resistenza della formazione jihadista palestinese Aknaf Bayt al-Maqdis e dei gruppi ribelli accorsi nel campo. I bombardamenti indiscriminati dell’aviazione siriana, che sembra aver fatto uso di barili-bomba, hanno ulteriormente aggravato l’estrema crisi umanitaria nel campo, che da due settimane non riceve rifornimenti di cibo e acqua. Mentre le Nazioni Unite hanno lanciato l’appello per l’istituzione di un corridoio umanitario per portare soccorso e assistenza ai profughi, Jabhat al-Nusra (JN) ha riaffermato l’antagonismo con il Califfato, seppur intimando ai gruppi islamisti che ne riconoscono la preminenza nel fronte ribelle di non portare rinforzi nel campo di Yarmouk. Gli stessi quartier-generali di JB e di gruppi minori a questo associati sono stati colpiti da una serie di attacchi orchestrati dall’IS nei pressi di Aleppo. Intanto, la conquista di Idlib, caduta dopo quattro giorni di intensi combattimenti, segna un crocevia importante nel contesto della guerra civile, rappresentando una pesante perdita per le forze governative e un ulteriore riconoscimento della leadership di JN. Quest’ultimo aspetto è destinato ad esercitare ripercussioni rilevanti sulla prospettiva di una eventuale transizione politica e negli stessi equilibri all’interno del fronte ribelle.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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YEMEN ↴
Mentre continuano le evacuazioni del personale delle rappresentanze diplomatiche e dei cittadini stranieri di India, Cina, Pakistan e Arabia Saudita da Aden, sul campo di battaglia non conoscono sosta gli scontri tra milizie filo-sciite Houthi, truppe regolari e azioni aeree della coalizione arabo-sunnita a guida saudita in Yemen. Attualmente i due maggiori fronti di combattimento si stanno registrando a nord, nel governatorato di Sa’ada, una delle roccaforti storiche delle milizie filosciite Houthi, e nel sud, ad Aden e nel governatorato di Shabwah. Nei territori di confine, l’Arabia Saudita sta combattendo i miliziani Houthi impegnati sia in un’azione di sfondamento, sia di consolidamento e controllo del proprio retroterra strategico. In una di queste iniziative, più precisamente nella provincia meridionale saudita di Asir, si è registrato il primo caduto tra le fila saudite. Nonostante la potenza di fuoco maggiore e i raid continui delle forze aeree saudite abbiano distrutto diverse postazioni militari e depositi di approvvigionamento degli Houthi, le azioni di Riyadh si sarebbero rivelate fin qui parzialmente inefficaci a causa anche degli aiuti e delle forniture giunte dall’Iran, grazie all’invio della 34esima flotta composta dalle navi Alborz e Busher e dislocate tra il Golfo di Aden e lo Stretto di Bab al-Mandeb ufficialmente in azioni di anti-pirateria internazionale. L’invio delle due navi, avvenuto l’8 aprile scorso, sarebbe mirato da un lato a garantire la protezione degli interessi strategici iraniani nell’area – come ha spiegato all’agenzia di stampa IRNA il Comandante della Marina iraniana, l’Ammiraglio Habibollah Sayyari – , dall’altro a favorire a sud una copertura dal mare agli Houthi, contenendo in parte l’iniziativa egiziana che nelle stesse acque vede dispiegati quattro vascelli che hanno già colpito le postazioni meridionali dei ribelli.
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Sempre l’Iran, per voce del Ministero degli Esteri, ha smentito categoricamente la notizia diffusa nei giorni scorsi da Reuters circa la presenza di due uomini delle forze speciali al-Quds, le truppe di elite dei Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) e responsabili delle operazioni speciali all’estero, che sarebbero stati catturati dalle milizie sunnite ad Aden. Secondo le ricostruzioni di stampa, i due soggetti avrebbero agito come consiglieri militari per i ribelli Houthi, ma non esistono conferme a questa notizia. Nel sud, intanto, aumenta l’escalation militare nei pressi di Aden, dove le milizie Houthi, dopo aver conquistato l’aeroporto cittadino, starebbero provando diverse azioni di accerchiamento prima di riuscire ad entrare nella seconda città del Paese. Sempre i ribelli starebbero portando avanti i loro attacchi nel governatorato di Shabwah. Qui gli insorti avrebbero strappato alle forze regolari il controllo della capitale Ataq (8 aprile), dell’aeroporto e dei palazzi governativi. Sebbene l’avanzata militare verso Aden continui in maniera irregolare, il 6 aprile scorso, alcune milizie sunnite fedeli ad Hadi sarebbero riuscite a conquistare ai ribelli la città strategica di Lawdar, pochi chilometri ad est di Aden. Intanto nella città deputata ad ospitare quel che resta del legittimo governo Hadi, le truppe regolari e i bombardamenti degli alleati sauditi non sono riusciti ad arrestare le iniziative degli Houthi, favoriti anche dalle azioni di guerriglia o contro-insorgenza delle forze ancora fedeli all’ex Presidente Ali Abdullah Saleh, attualmente alleate agli insorti anti-Hadi. Nel frattempo, nel sud-est del Paese, le truppe jihadiste di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), avrebbero infine rafforzato il proprio controllo dei territori sud-occidentali dell’Hadramawt, conquistando alle forze governative la città di Mukalla, un avamposto rilevante che in passato si era dimostrato un hub di primo livello per AQAP per il passaggio di armi e uomini da e verso lo Yemen. Sempre sul piano militare il Brigadiere Asiri, comandante saudita delle forze alleate anti-Houthi, ha spiegato che l’azione della coalizione potrebbe essere lunga e comportare anche diversi mesi (almeno sei) di combattimenti. Lo stesso Asiri ha confermato la notizia diffusa sulla stampa saudita che l’invio di uomini per un’azione terrestre potrebbe servire solo a consolidare la sicurezza del confine saudita – attualmente securitarizzato secondo il militare – e ad impedire che Aden possa cadere definitivamente nelle mani degli Houthi. In questo senso l’invio di truppe potrebbe non risollevare le sorti del conflitto, né permettere un ritorno allo status quo ante guerra. A rendere ancora più complesso il quadro strategico militare yemenita, vi è anche la contrarietà del Pakistan all’invio di uomini per combattere nel Paese. Nonostante le pressioni saudite e la visita del Ministro della Difesa egiziano Sedki Sobhi in Pakistan l’8 aprile, il Parlamento di Islamabad ha votato due giorni più tardi una Risoluzione con la quale ha deciso di ribadire la neutralità del Paese nei riguardi della crisi in Yemen, invitando il Premier Nawaz Sharif a intensificare gli sforzi per trovare una soluzione pacifica al conflitto.
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Infine, secondo la Croce Rossa Internazionale e le Nazioni Unite cresce quotidianamente il rischio di una crisi umanitaria nel Paese. Secondo dati ONU, dall’inizio dei bombardamenti della coalizione, il 25 marzo scorso, sarebbero almeno 100mila gli sfollati interni, circa un migliaio i morti e nelle città (soprattutto a Sana’a e ad Aden) la popolazione è priva dei beni di prima necessità. L’Operazione Decisive Storm è una missione regionale guidata dall’Arabia Saudita, insieme a 10 altri Paesi arabo-sunniti, con l’obiettivo di ripristinare la legittimità politica in Yemen riconosciuta nell’azione di governo del Presidente destituito Abd Rabbuh Mansour Hadi. Questa operazione militare, che rischia di aumentare le tensioni e le divisioni clanico-tribali interne e chiudere a qualsiasi tentativo di soluzione politica negoziata, ha di fatto provveduto a trasformare quello che si connotava per lo più come un conflitto interno e localizzato al solo Yemen in uno scontro sempre più internazionalizzato, che espone l’unica Repubblica del Golfo Persico/Arabico a divenire un nuovo teatro dello scontro settario regionale tra Riyadh e Teheran.
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BREVI GRECIA, 8-9 APRILE ↴ Mentre le autorità greche hanno annunciato il rimborso di una nuova tranche (dal valore di 460 milioni di euro) del
debito
contratto
con
il
Fondo
Monetario
Internazionale ed è ancora in corso l’elaborazione del programma dettagliato di riforme da presentare al c.d. “European Working Group” (anche noto come troika) per lo sblocco di un nuovo pacchetto di 7,2 miliardi entro la fine di aprile, il Premier Alexis Tsipras si è recato in visita a Mosca, dove ha incontrato Putin, Medvedev e il Patriarca Kirill. Al centro delle discussioni con il Presidente vi è stato innanzitutto il dossier energia, alla luce dell’importante ruolo che la Grecia vorrebbe giocare come Paese distributore del gas proveniente dalla Russia attraverso Turkish Stream, la nuova pipeline che, giungendo in Turchia, dovrebbe sostituire il fallito South Stream. Se da un lato Tsipras coglierebbe dunque l'occasione per smarcarsi dai vincoli posti dall’UE in materia energetica e per ciò che riguarda i rapporti con il Cremlino (specie in riferimento alle sanzioni economiche), dall’altro Putin stesso ha attualmente escluso una revoca dell’embargo alimentare russo – posto la scorsa estate come effetto dell’irrigidimento dei rapporti circa la crisi ucraina – nei confronti di Atene. Il Presidente russo, che ha tenuto a precisare di non voler utilizzare i rapporti con i partner greci per fare pressioni nei confronti di Bruxelles, pur confermando la conduzione di una politica tesa a creare delle fratture tra gli stessi Paesi europei (come sul tema delle sanzioni), si è limitato perciò a proporre la creazione di jointventure agricole greco-russe, alla luce del consistente export (almeno il 40%) di frutta greca verso la Russia. Putin ha altresì dichiarato che la Grecia non ha per il momento chiesto il supporto finanziario russo per il ripianamento dei debiti, ma non ha escluso che ciò possa avvenire sottoforma di prestiti erogabili sulla base di accordi di cooperazione insieme con la partecipazione ai programmi di privatizzazione greci (che nonostante le iniziali dichiarazioni dell'esecutivo non si sono arrestati), soprattutto nel settore delle infrastrutture. Tsipras e Putin hanno dunque firmato un memorandum che fissa nel 2016 l'anno della valorizzazione culturale tra i due Paesi. NIGERIA, 31 MARZO ↴ Le
elezioni
presidenziali
del
28
marzo
hanno
consegnato la vittoria a Muhammadu Buhari, candidato musulmano delle opposizioni che ha sopravanzato il Presidente uscente, il cristiano Goodluck Jonathan. Come prevedibile alla vigilia delle consultazioni, il partito
All
Progressives’
Congress
di
Buhari
ha 9
conquistato gli Stati settentrionali a maggioranza musulmana, ma il programma di cambiamento promosso dall’ex Generale ha strappato consensi anche nel sud del Paese, specialmente nelle regioni occidentali. Buhari, che già ha retto il governo nigeriano dal 1983 al 1985 a seguito di un golpe militare, ha incentrato la propria candidatura sugli imperativi della lotta alla corruzione e del contrasto al gruppo terrorista Boko Haram, riscuotendo la fiducia di buona parte dell’elettorato cristiano. Buhari è stato premiato da oltre 15 milioni di voti, con uno scarto positivo di quasi 3 milioni di voti su Goodluck Jonathan. Malgrado la denuncia di alcune irregolarità, le operazioni di voto e di scrutinio sono state certificate dagli osservatori internazionali. L’avvicendamento alla guida del Paese è stato accolto come la premessa di una profonda discontinuità rispetto alla gestione di Goodluck Jonathan, in carica dal 2010. Delegittimato dalla minaccia del terrorismo islamico e dai numerosi episodi di corruzione, la posizione del Presidente uscente è stata pure compromessa dal crollo dei prezzi petroliferi che ha pesantemente colpito l’economia nigeriana.
PANAMA, 10-11 APRILE ↴ Passerà alla storia il settimo Vertice delle Americhe che si è tenuto a Panama tra il 10 e l’11 aprile. Per la prima volta da oltre sessantacinque anni, ovvero da quando Fidel
Castro incontrò
a
Washington
l’allora
vice
Presidente statunitense Richard Nixon, il leader di Cuba, Raùl Castro, e il Presidente statunitense, Barack Obama,
sono
tornati
al
dialogo faccia
a
faccia
stringendosi la mano. Con una «conversazione schietta e fruttuosa», Obama ha sottolineato che «questo è ovviamente un incontro storico» per voltare pagina rispetto ad un passato fatto di diffidenza e ostilità. Da oggi, ha continuato il Presidente degli Stati Uniti, «è possibile per noi voltare pagina e sviluppare un nuovo rapporto tra i nostri due Paesi»: «vogliamo stabilire relazioni diplomatiche. Ho chiesto al Congresso che cominci a lavorare per sospendere l’embargo vigente per decenni. Guardiamo al futuro». Anche Castro si è detto fiducioso per il futuro delle relazioni bilaterali:
«Obama
è onesto»
e «umile»,
ha
affermato distinguendolo dai
predecessori; benché differenze tra Washington e L’Avana persistano, «possiamo essere in disaccordo oggi su qualcosa su cui potremmo trovarci d’accordo domani». L’incontro tra i due era stato preceduto da una riunione tra il Segretario di Stato USA, John Kerry, e il Ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, con quest’ultimo che ha richiesto che L’Avana venga rimossa dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo per procedere speditamente con la normalizzazione dei rapporti. Un riconoscimento che, pare, Obama sia incline a consentire. Anche Papa Francesco, regista del disgelo tra Cuba e Stati Uniti, ha fatto sentire la sua voce in quest’occasione storica. Con un messaggio letto dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, Bergoglio ha
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invitato i Paesi partecipanti al summit a fare di più per ridurre la disuguaglianza economico-sociale nelle Americhe.
PAKISTAN, 9 APRILE ↴ Il
quotidiano
panarabo
al-Hayat
ha
riportato
la
dichiarazione di Aymann Dean, ex-militante qaedista, il quale sostiene che in base alle informazioni in suo possesso l’organizzazione siriana di Jabhat al-Nusra ha affermato di essere intenzionata a separarsi da alQaeda «in modo ordinato e secondo piani stabiliti». Inoltre, sempre secondo Dean, il successore di Osama Bin Laden alla guida di alQaeda, il chirurgo egiziano Aymann al-Zawahiri, avrebbe annunciato la volontà di sciogliere «l’organizzazione prima della fine dell’anno» rinunciando ai suoi poteri e dissolvendo il giuramento di fedeltà delle varie cellule ad esso legate consentendone la confluenza nello Stato Islamico (IS) di Abu Bakr al-Baghdadi. Dietro la decisione di al-Zawahiri vi sarebbero, oltre alla crescente espansione dell’IS, anche motivi di tipo economico. L’intento finale potrebbe essere infatti quello di unire i fondi dei diversi gruppi di militanza al fine di formare una struttura più resistente agli attacchi delle forze armate internazionali. Giovedì 9 aprile inoltre, l’intera sezione di Bajaur del movimento terroristico Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), ha riconosciuto la supremazia di al-Baghdadi ufficializzando la propria lealtà al Califfo dell’IS. A darne conferma è stato un comunicato del portavoce del TTP, Mohammad Khorasani, in cui si afferma che il leader della sezione di Bajaur, Maulana Abu Bakar e il suo vice, Qari Zahid, hanno dichiarato lealtà a Hafiz Saeed Khan, il wali dell’IS (una sorta di governatore) nella regione Khorasan. La decisione di allearsi con al-Baghdadi giunge in un momento in cui il TTP pachistano sta sperimentando il sorgere di molteplici divisioni interne le quali, sommate all’intensificarsi delle operazioni internazionali contro il terrorismo nella regione, ne stanno compromettendo le capacità operative.
STATI UNITI, 8 APRILE ↴ Prosegue la corsa alla Casa Bianca in vista delle elezioni presidenziali del 2016 sia per il Partito Repubblicano che per quello Democratico. Dopo l’annuncio ufficiale del Senatore del Texas, Ted Cruz, ha sciolto la riserva, infatti, il Senatore repubblicano del Kentucky, Rand Paul, che intende calamitare il consenso delle frange più estremiste della destra dell’elettorato americano, come il Tea Party, cercando di conciliarle con l’anima più centrista e, più in generale, di riavvicinare la vecchia ala del partito con quella nuova. 11
«Corro per la presidenza per riportare il nostro Paese ai principi di libertà e governo limitato», ha annunciato Paul, che sulla politica estera ha voluto sottolineare le sue divergenze con l’influente Senatore John McCain affermando, ad esempio, sul possibile invio di truppe «in Libia, Iraq, Siria, Nigeria: penso che le persone dovrebbero fermarsi e pensare che dobbiamo difendere i nostri interessi, ma non necessariamente inviare truppe dappertutto in ogni momento». È intanto atteso ad ore l’annuncio ufficiale di ciò che si sa già da mesi: la candidatura a leader del Partito Democratico dell’ex Segretario di Stato nonché ex First Lady, Hillary Clinton. La Clinton ha già incassato l’appoggio del Presidente, Barack Obama, che ha affermato che «Hillary è stata un Segretario di Stato eccezionale» e quindi ha tutte le carte per essere «un Presidente eccellente». Nella prossima settimana dovrebbe essere il turno del Senatore della Florida, Marco Rubio, e del governatore del Wisconsin, Scott Walker, ad annunciare la candidatura. Imminente, inoltre, l’ufficializzazione di quello che fin qui appare il candidato di maggior peso del Partito Repubblicano: Jeb Bush.
TURCHIA, 31 MARZO ↴ A pochi mesi dalle elezioni del 7 giugno, torna a salire la tensione politica in Turchia, aggravata dai fatti di cronaca che l'hanno segnata tra il 31 marzo e il 1° aprile. Il blitz terroristico compiuto al Tribunale di Istanbul (31 marzo) da un commando di due uomini legato al Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (DHKP-C) – formazione marxista-leninista annoverata dalle autorità turche nella lista delle organizzazioni terroristiche per via di numerosi attentati in passato – , che ha preso in ostaggio il Procuratore Mehmet Selim Kiraz – che stava seguendo le indagini relative alla morte del giovane Berkin Elvan, ucciso durante gli scontri di Gezi Park del 2013 –, si è concluso con il fallimento dell'operazione delle forze di sicurezza turche e dunque con l’uccisione di entrambi i sequestratori e la morte dello stesso Kiraz. Almeno 32 attivisti legati a DHKP-C sono stati successivamente arrestati nel corso di una maxi-operazione ad Antalya, Smirne ed Eskisehir. Nello stesso giorno un vasto blackout elettrico ha colpito per alcune ore numerose città e almeno 40 province dell’intero Paese: il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu e il Ministro per l’Energia Taner Yıldız non hanno escluso nessuna possibilità, nemmeno quella di un possibile attacco cibernetico. A distanza di poche ore un allarme bomba, rivelatosi successivamente falso, è stato segnalato sul volo della Turkish Airlines diretto in Portogallo. Il 1° aprile un tentativo di attacco armato contro una sede della polizia di Vatan Sokak, al centro di Istanbul, si è concluso con la morte di uno dei due assalitori, una donna che sembrerebbe aver indossato un giubetto esplosivo, e il ferimento e l’arresto dell'altro mentre tentava di scappare. In precedenza un uomo armato, poi arrestato, si era introdotto in una sede del partito AKP nel quartiere di Kartal, ad Istanbul. Nonostante la concomitanza degli eventi, tutti i fatti sarebbero indipendenti 12
l’uno dall'altro. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha in seguito nuovamente autorizzato nuove misure censorie: dopo l’ennesima interruzione di Facebook e Twitter, YouTube e Google risultano ancora bloccati al fine di impedire – hanno spiegato le autorità – la diffusione della propaganda terroristica.
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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 2-10 APRILE ↴ Un uomo si è fatto esplodere nel corso di una dimostrazione contro la corruzione nella provincia orientale di Khost. Le vittime dell’esplosione sono state 17 e i feriti più di 50. I manifestanti si erano riversati nelle strade da alcuni giorni per chiedere la rimozione del governatore provinciale. Nessun gruppo terroristico ha rivendicato l’azione e i talebani afghani ne hanno negato la responsabilità. Il 10 aprile sono stati compiuti inoltre altri due attentati: il primo – rivendicato dai talebani – contro un convoglio NATO a Jalalabad con un bilancio di 4 civili morti e 12 feriti, il secondo a Ghazni, dove un minibus è esploso a causa di una mina causando la morte dei 12 passeggeri.
EGITTO, 2-11 APRILE ↴ Il governo Mahlab ha annunciato l’avvio della terza fase di espansione (di un ulteriore chilometro) della buffer zone istituita nel nord Sinai, tra la parte egiziana di Rafah e la Striscia di Gaza, in risposta agli attentati provocati dalla Provincia islamica del Sinai, già nota in passato come Ansar Bayt al-Maqdis, che il 24 ottobre scorso hanno provocato la morte di 31 soldati. Proprio la sigla jihadista oggi legata allo Stato Islamico è responsabile di due nuovi attacchi contro alcuni checkpoint militari a Sheikh Zuweid e ad al-Arish che hanno provocato complessivamente venti morti. Intanto al Cairo le forze di polizie hanno ucciso in uno scontro a fuoco Hammam Mohamed Attia, leader di Ajnad Misr, cellula terroristica attiva dal 2013 nella capitale egiziana e nel suo distretto e autrice di numerosi attacchi contro le istituzioni centrali cairote. Lo stesso gruppo ha annunciato poche ore dopo via Twitter che Izzeddin al-Masri è il nuovo leader del gruppo. Sempre al Cairo, infine, una Corte egiziana ha confermato la pena di morte per il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Badie e altre 13 persone, accusate di aver pianificato con gli scontri di piazza di Rabaa al-Adawiya e al-Nahda nella capitale egiziana un golpe contro lo Stato nell’agosto del 2013.
IRAN, 6-8 APRILE ↴ A seguito della firma del framework agreement tra i Paesi 5+1 e Iran, i vertici della Repubblica Islamica e la Francia hanno posto alcuni distinguo sulla effettiva validità dell’accordo quadro raggiunto a Losanna il 2 aprile scorso e da definire entro il 30 giugno 2015, scadenza ufficiale delle trattative sul nucleare iraniano. La Guida Suprema Alì Khamenei e il Presidente della Repubblica Hassan Rouhani hanno affermato che Teheran non sottoscriverà alcun accordo fino a quando tutte le sanzioni internazionali non saranno revocate. Immediata la risposta di Parigi che per voce del Ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha spiegato che le sanzioni non saranno eliminate nell’immediato ma verranno revocate gradualmente non appena l’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica avrà valutato l’effettivo rispetto degli impegni assunti
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dalla Repubblica Islamica a Losanna. Intanto Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita a Teheran dove ha incontrato il collega Rouhani, nonostante le recenti tensioni tra i due Paesi circa le accuse di Ankara sul ruolo iraniano nella crisi in Yemen. Oltre a discutere dei numerosi scenari di crisi aperti in Medio Oriente, l’incontro bilaterale è stato l’occasione per la firma di una serie di accordi nel settore dell’energia, dell’economia e della sanità mirati a dare sviluppo all’interscambio commerciale fra i due Paesi, elevandolo dagli attuali 13,7 miliardi di dollari a circa 30 entro la fine del 2015.
PALESTINA, 1° APRILE ↴ Dopo la concessione da parte delle Nazioni Unite nel novembre 2012 dello status di osservatore permanente come Stato non membro e dopo aver presentato ufficialmente richiesta all’ONU il 2 gennaio scorso la domanda di adesione alla Corte Penale Internazionale (CPI), il 1° aprile la Palestina ha segnato un nuovo punto nella sua strategia diplomatica essendo divenuta il 123esimo membro del Tribunale internazionale istituito all’Aja, nei Paesi Bassi. In base allo Statuto di Roma, la Palestina potrà ora presentare alla CPI uno o più dossier nei quali potrà formalizzare le accuse crimini contro l’umanità nei Territori Occupati di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Striscia di Gaza contro Israele e i suoi vertici politici e militari.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 8 APRILE ↴ I delegati delle fazioni rivali dei musulmani Séléka e dei cristiani anti-Balaka hanno firmato un accordo per il cessate il fuoco a Nairobi, al termine di due mesi di intensi negoziati, grazie alla mediazione del Presidente keniano Uhuru Kenyatta. L’intesa tra i due gruppi armati è volta ad aprire una fase di transizione verso l’auspicata ricomposizione politica del conflitto.
TUNISIA, 30 MARZO ↴ Il Ministero degli Interni tunisino ha annunciato l’uccisione di nove uomini presumibilmente appartenenti alla Brigata Okba Ibn Nafaa, accusata dell’attentato a Tunisi del 18 marzo. Tra questi figurerebbe anche il jihadista algerino Lokmane Abou Sakhr, sospettato di aver diretto l’attacco al Museo del Bardo. Il blitz, a cui ne è seguito un altro (3 aprile) che ha condotto all’arresto di altre 21 persone apparentemente legate a due cellule fiancheggiatrici, è avvenuto nella zona montagnosa occidentale di Sidi Aich, nel governatorato di Gafsa. Kasserine, a 90 Km da lì, il 7 aprile è stata teatro di un’imboscata ai danni delle forze di sicurezza tunisine: almeno 3 soldati sono stati uccisi ad un posto di blocco da un gruppo di militanti non ancora identificato.
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UCRAINA, 10 APRILE ↴ L’investigatore capo del Servizio di Sicurezza dell'Ucraina (SBU), Vasyl Vovk, ha accusato l’ex capo dello stesso Servizio, Oleksandr Yakimenko, di aver finanziato il terrorismo e fornito aiuti militari – in particolare armi automatiche, proiettili e granate – ai separatisti filo-russi dell'est. Le forniture sarebbero state consegnate nella regione intorno al Mar d’Azov nel maggio 2014, ossia dopo l'inizio dell'operazione antiterrorismo del Premier Arsenyi Yatsenyuk. Yakimenko era stato rimosso dall’incarico con una mozione parlamentare dopo la destituzione di Viktor Yanukovich. Ha suscitato polemiche, intanto, la nomina (8 aprile) di Dmitro Yarosh, leader della formazione neo-nazista Pravy Sektor, come consigliere del Capo di Stato Maggiore dell’esercito ucraino, il colonnello Viktor Muzhenko.
UNGHERIA, 7 APRILE ↴ I Ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, Nikos Kotzias e Peter Szijjarto, hanno incontrato a Budapest gli omologhi di Macedonia, Serbia e Ungheria per discutere della realizzazione di Turkish Stream, il gasdotto che nelle intenzioni di Putin, dopo la decisione del dicembre scorso, dovrebbe sostituire completamente South Stream, la pipeline preposta alla conduzione di oro blu dalla Russia all’Europa aggirando l’Ucraina. I cinque Ministri hanno dunque espresso la volontà di supportare questo progetto con la conduzione del gas attraverso i rispettivi Paesi, chiedendo che l’UE possa cofinanziare i costi legati alla realizzazione allo scopo di rafforzare la sicurezza energetica europea. La nuova infrastruttura, la cui costruzione – nonostante i timori relativi all’economia russa – dovrebbe iniziare entro il 2016 e che attraverso il Mar Nero dovrebbe raggiungere la città turca di Ipsala, dovrebbe condurre 47miliardi di metri cubi di gas ai Balcani e all’Europa Centrale.
UZBEKISTAN, 29 MARZO ↴ Si sono svolte in Uzbekistan le elezioni presidenziali che hanno riconsegnato per la quarta volta consecutiva il mandato a Islam Karimov, nonostante la Costituzione ammetta la possibilità di ricoprire il ruolo per soltanto due mandati. Il risultato del voto – il 90,39% dei favori per Karimov – è stato tuttavia fortemente criticato e non riconosciuto come regolare dalla delegazione degli osservatori OSCE, i quali hanno denunciato numerose violazioni nel corso delle votazioni.
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ANALISI E COMMENTI LA RIFORMA DELL’INTELLIGENCE IN GIAPPONE PAOLO BALMAS ↴ L’attuale governo giapponese guidato da Shinzo Abe sta affrontando una serie di riforme che hanno come obiettivo un immediato rilancio dell’economia del Paese. All’estero, l’attenzione del pubblico è per lo più rivolta alla realizzazione del programma economico-politico, noto con il nome di Tre Frecce. Tuttavia, in Giappone, un’ampia parte del dibattito pubblico è riservata alla nuova interpretazione della Costituzione che permetterà la riorganizzazione delle Forze Armate e la possibilità di intervento in scenari di guerra per difendere i propri alleati. Ma negli ultimi tempi, anche un’altra questione sta suscitando l’interesse degli osservatori: la riforma del sistema di intelligence. Nel 1945, il governo di occupazione statunitense impose lo smantellamento delle Forze Armate e la creazione di una Forza di Autodifesa nazionale. Il sistema di intelligence fu ridotto al solo settore interno. Sin da allora manca un servizio esterno di raccolta delle informazioni (…) SEGUE >>>
DRAFTING WITH IRAN: LA LUNGA STRADA VERSO L’ACCORDO PER IL NUCLEARE STEFANO LUPO ↴ Key Parameters of a “Joint Comprehensive Plan of Action” (JCPOA). Una definizione che ben rappresenta la complessità e l’ampiezza delle tematiche gestite a Losanna dal gruppo dei 5+1 e dall’Iran, alla presenza di Federica Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. L’intesa raggiunta il 2 aprile, introdotta dalla Mogherini stessa e dal visibilmente soddisfatto Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, è essenzialmente un “framework agreement”, una sorta di accordo quadro. È di per sé una definizione che non ha precisi contorni per quanto concerne l’implementazione dei temi evidenziati, ma è proprio questo uno dei suoi punti di forza. Quanto stabilito indica i parametri dell’accordo che dovrà essere ultimato entro il 30 di giugno prossimo, stabilendone i punti cardine (centrifughe, strutture, arricchimento, sanzioni, ispezioni, plutonio, trasparenza, fasi d’implementazione, ricerca e sviluppo) e inserisce chiaramente gli archi temporali di riferimento (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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