N째11, 12-25 APRILE 2015 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 26 aprile 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: AP Photo/Efrem Lukatsky; RIA Novosti/Iliya Pitalev; Anadolu Agency; Lapresse; Saleh al-Obeidi; Massimo Sestini; EPA; Reuters.
FOCUS CINA-PAKISTAN ↴
Dopo il rinvio dello scorso autunno a causa delle proteste anti-governative nelle principali città del Pakistan e, più in generale, dell’assenza delle condizioni minime di sicurezza, il Presidente cinese Xi Jinping si è recato il 20 e 21 aprile a Islamabad per un’importante visita ufficiale. Il viaggio di lavoro, che si inseriva all’interno di un’intensa agenda diplomatica cinese che ha portato Xi anche in Indonesia (21-24 aprile) per partecipare alla Riunione dei leader Asia-Africa e alle celebrazioni per il 60° anniversario della Conferenza di Bandung, si è rivelata un’utile occasione per rinsaldare la special relationship (la collaborazione bilaterale risale al 1971 e negli anni si è rafforzata in virtù della loro storica rivalità con l’India e delle loro complicate relazioni con gli USA) e per rilanciare la strategia diplomatica e commerciale cinese della New Silk Road Belt, che vede nel Pakistan un formidabile vettore geopolitico necessario alla compiutezza della penetrazione del Dragone in Asia centro-meridionale e, infine, nell’Europa balcanica e mediterranea. Negli incontri con il Presidente Mamnoon Hussain e il Primo Ministro Muhammad Sharif, il leader cinese ha ribadito dunque la strategica della relazione bilaterale esistente tra i due Paesi firmando 51 memorandum di cooperazione economica, commerciale, energetica (anche del nucleare civile), infrastrutturale, dell’anti-terrorismo e della tecnologia spaziale e marittima per un valore complessivo di 46 miliardi di dollari. Il principale tra questi riguarda la costruzione del China Pakistan Economic Corridor (CPEC), una rete di infrastrutture di vario livello (come strade, ferrovie, porti e oleodotti) lunga 3.200 chilometri, che congiungerà il porto pachistano di Gwadar sull’Oceano Indiano – già ampiamente finanziato in passato da Pechino e 1
divenuto il suo principale hub commerciale-portuale nell’area – con la città cinese di Kashgar, nella provincia del Xinjiang. Collegati a questo progetto ve ne sono di collaterali come la costruzione della diga e della centrale idroelettrica di Karot, su fiume Jhelum, nella quale Pechino investirà 1,65 miliardi di dollari, o i quattro impianti di produzione di energia elettrica finanziati dall’Industrial and Commercial Bank of China, con un investimento di 4,3 miliardi di dollari, che sorgeranno lungo il corridoio CPEC e serviranno a ridurre il cronico deficit energetico pachistano (in particolare di elettricità), causato dall’inefficienza delle proprie reti di distribuzione industriale e civile che causano innumerevoli black-out giornalieri.
CHINA PAKISTAN ECONOMIC CORRIDOR (CPEC) – FONTE: BBC
Al di là della rilevanza degli accordi firmati, permangono tuttavia alcuni dubbi relativi principalmente alla sicurezza e nello specifico alla vulnerabilità del progetto CPEC a causa di possibili attacchi terroristici. Il tracciato del CPEC dovrebbe attraversare tre aree altamente instabili (come il Baluchistan e il Kashmir pachistano e lo Xinjinag cinese) sempre più spesso teatri di scontri tra forze di sicurezza e gruppi clanico-tribali locali, oltre che di attentati terroristici legati a gruppi nazionalisti e 2
indipendentisti. Anche al fine di garantire la sicurezza nei lavori e nello sviluppo del corridoio sino-pachistano, secondo il quotidiano Dawn, l’esercito di Islamabad avrebbe creato un’unità speciale con il compito di proteggere i lavori e i cittadini cinesi che lavorano nel Paese da possibili attentati terroristici. Seppur non tra i primi punti in agenda, le questioni sicurezza sono state tra i piÚ importanti argomenti affrontati da Pechino e Islamabad che sono anche sul punto di finalizzare un accordo tra i 4 e i 5 miliardi di dollari per la vendita di otto sottomarini di fabbricazione cinese al Pakistan.
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IMMIGRAZIONE ↴
Il naufragio del 19 aprile – per cause ancora pienamente da chiarire – nel Canale di Sicilia, a 70 miglia dalle coste libiche, di un peschereccio con a bordo almeno 750 profughi e di cui solo una cinquantina di persone sono state messe in salvo, ha riacceso le polemiche sulla conduzione da parte dell'Unione Europa delle politiche di immigrazione e di controllo e sicurezza delle frontiere meridionali del Continente. Una polemica tanto più alimentata dalla chiusura negli scorsi mesi della missione italiana di Search and Rescue (SAR) Mare Nostrum, che aveva ottenuto risultati ragguardevoli, a favore di quella di respiro europeo, Triton, che, ridotta nelle risorse, nei mezzi e nel raggio di azione (da 175 a 30 miglia dalle coste italiane), si è rivelata inadeguata per la gestione dei flussi migratori.
LE VITTIME – FONTE: FRONTEX-IOM/ELABORAZIONE: ANSA CENTIMETRI
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In seguito ad un Vertice Affari Esteri tenutosi a Lussemburgo il 20 aprile, in cui il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è tornato a chiedere un maggior impegno di Bruxelles in un'emergenza che riguarda tutto il continente e non solo l’Italia, il Consiglio europeo straordinario del 23 aprile ha preso alcune decisioni che, pur non essendo vincolanti, delineano la prossima strategia UE su alcuni punti cardine: potenziamento delle operazioni di pattugliamento, lotta ai trafficanti, prevenzione dei flussi migratori illegali, rafforzamento della solidarietà interna. Per quanto riguarda il primo aspetto, verranno triplicati (fino a 120 milioni di euro) i finanziamenti per Triton e Poseidon (altra missione condotta da Frontex, nel Mar Egeo) per il biennio 2015-2016. A questo si accompagna un generico “incremento” dei mezzi a disposizione, mentre non vengono posti particolari vincoli all’impegno dei singoli Paesi. Ciò vorrà dire che Triton non verrà trasformata in una missione di SAR, ma manterrà il suo mandato originario, soprattutto se il coinvolgimento degli altri Stati UE si dovessero tradurre nella messa a disposizione, condizionata, di mezzi al di fuori della stessa Triton. È il caso del Regno Unito, che ha garantito la nave portaelicotteri Bulwark, tre elicotteri e due pattugliatori per operazioni di soccorso e salvataggio in cooperazione con l'Italia a patto che non rientri nell'ambito Triton e che le persone tratte in salvo non richiedano asilo al Regno Unito.
FONTE: FRONTEX (AGGIORNAMENTO AL GENNAIO 2015)
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Per quanto concerne il contrasto al traffico illegale di migranti, l’UE individua come priorità: lo smantellamento delle reti dei trafficanti attraverso la cooperazione tra Europol, Frontex, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) ed Eurojust, nonché attraverso una maggiore attività di intelligence con i Paesi terzi; la distruzione delle imbarcazioni prima che possano essere utilizzate dai trafficanti; la possibilità di avviare una missione nell’ambito della Politica Estera di Sicurezza e Difesa (PSDC); il ricorso ad Europol per l’individuazione e la soppressione – nel rispetto della Costituzione dei Paesi coinvolti – di contenuti diffusi su internet dai trafficanti allo scopo di attrarre migranti e rifugiati. Allo scopo di arginare i flussi migratori, Bruxelles ha ribadito l'impegno nel sostenere – evidentemente anche economicamente – i processi di democratizzazione di Tunisia, Egitto, Mali, Sudan, Niger, nonché nell’aumentare la cooperazione con i partner africani e con la Turchia (per ciò che concerne la Siria e l'Iraq) nel quadro delle partnership regionali (processi di Rabat e Khartoum) e di programmi di sviluppo (Africa settentrionale e Corno). La Commissione e l’Alto Rappresentante sono dunque invitati a mobilitare tutti gli strumenti per la riammissione nei Paesi di origine e di transito dei migranti clandestini e di istituire un nuovo programma di rimpatrio in coordinamento con Frontex. Come ha già anticipato il Presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, le questioni relative all’asilo e dunque sulle regole di Dublino (e le quote di accoglienza) – su cui più di tutto i Paesi UE mostrano le divergenze – torneranno ad essere oggetto di dibattito con l'Agenda per l'Immigrazione, che sarà presentata il prossimo 13 maggio e discussa durante il Consiglio Europeo di giugno. Per ciò che riguarda la Libia, esclusa per il momento l'avvio di una missione militare, vi sarebbe allo studio di Bruxelles la possibilità di istituire una task force per il controllo delle coste. Francia e Germania spingono per l'inserimento di un’eventuale azione di distruzione mirata dei barconi all'interno di una cornice legale internazionale offerta dalle Nazioni Unite. Un’opzione su cui tuttavia peserebbe la contrarietà espressa dal Ministro degli Esteri del governo di Tripoli, Muhammed al-Ghirani.
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IRAQ/SIRIA ↴
L’intensificarsi della pressione islamista nella provincia sunnita dell’Anbar ha presto frenato lo slancio acquisito dalle forze di sicurezza irachene dopo la riconquista di Tikrit. Il governo di Baghdad ha deciso di consolidare la sovranità nel cuore sunnita del Paese, deviando dal proposito originario di convergere su Mosul sia per motivazioni logistico-militari (anzitutto il fragile controllo delle linee di rifornimento e delle aree urbane in prossimità della capitale), sia di opportunità politica (data l’ingombrante centralità delle milizie sciite influenzate da parte iraniana e la marginalizzazione delle comunità sunnite). Tuttavia, le manovre nell’Anbar hanno da subito registrato la solida e organizzata risposta dello Stato Islamico (IS), in grado di sferrare il 15 aprile un pesante contrattacco nel capoluogo Ramadi e nella sua periferia nordorientale, costringendo l’esercito regolare e i guerriglieri tribali a una precipitosa ritirata. L’urgente schieramento di divisioni addizionali e l’incremento dei bombardamenti dei caccia statunitensi hanno permesso alle forze di sicurezza di recuperare terreno nel centro cittadino e nel sobborgo settentrionale di Albu Faraj. Se questi sviluppi hanno al momento allontanato lo spettro della caduta di Ramadi nelle mani dei miliziani islamisti, che già dal dicembre 2013 hanno regolarmente tenuto sotto scacco buona parte della città, secondo le stime rilasciate dalle Nazioni Unite le ostilità hanno provocato lo sfollamento di oltre 90mila persone, in cerca di rifugio nella vicina Falluja e a Baghdad. Gli attacchi mossi dal Califfato non hanno interessato la sola Ramadi, ma hanno pure colpito la raffineria di Baiji, a nord di Tikrit, riuscendo ad aprire una breccia in quella che è la maggiore infrastruttura petrolifera in territorio iracheno e che per tale ragione costituisce un obiettivo strategico di primo piano negli equilibri del conflitto. Benché l’esercito regolare e le milizie volontarie del Fronte di Mobilitazione Popolare abbiano ripreso il pieno controllo della raffineria, anche in questo frangente grazie 7
alla fondamentale copertura area dell’alleato statunitense, l’episodio segnala come la stessa area attorno a Tikrit sia ancora soggetta a frequenti irruzioni ed efficaci dimostrazioni di forza delle uniformi nere dell’IS.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: DI CARTOGRAPHY CENTER/MPG GOOGLE MAPS
Per la prima volta dall’assunzione dell’incarico, il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi si è recato a Washington per rafforzare l’intesa con l’amministrazione Obama, nonché stabilire con i funzionari della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale modalità e criteri di misure assistenziali dirette a compensare il forte passivo di bilancio (pari a 22 miliardi di dollari). La riduzione dei proventi petroliferi determinata dall’escalation del conflitto e dall’inaspettato crollo del prezzo del greggio ha infatti aggravato lo stato delle finanze irachene. In un incontro tenuto nello Studio Ovale e aperto alla stampa, il Presidente statunitense Barack Obama ha promesso lo stanziamento di 200 milioni di dollari per sostenere gli oneri della ricostruzione e del soccorso alla popolazione civile. Gli aiuti umanitari vanno ad aggiungersi ai quasi 2 miliardi spesi per finanziare lo sforzo bellico nel teatro siro-iracheno. Durante l’incontro bilaterale Obama ha ammonito che tutti i combattenti impegnati contro il Califfato debbano rispettare la sovranità irachena e 8
rispondere direttamente al governo di Baghdad, in ciò alludendo al controverso coinvolgimento di ufficiali iraniani nella direzione delle milizie sciite. A questo proposito, il vertice dell’esecutivo iracheno ha ribadito l’intento di integrare tutte le unità belligeranti sotto la catena di comando delle Forze Armate e ha inoltre definito come inaccettabile il ruolo operativo assunto dal Generale iraniano Qassem Suleimani, uomo ombra di Teheran nella crisi irachena. Sebbene al-Abadi non abbia presentato richiesta formale in merito a nuovi armamenti, il Ministero della Difesa iracheno ha comunicato che nel prossimo luglio, in concomitanza con la conclusione del programma di addestramento di alcuni piloti iracheni tuttora in svolgimento su suolo americano, gli Stati Uniti forniranno un numero non precisato di caccia F-16. Testimonianze raccolte dal Guardian attestano che il leader dell’IS, Abu Bakr al-Baghdadi, non sia più alla guida dell’organizzazione islamista a causa delle gravi ferite riportate a seguito di un raid aereo tra novembre e dicembre dello scorso anno. Intanto, il governo di Baghdad ha confermato la morte di Izzat Ibrahim al-Douri avvenuta lo scorso 17 aprile nella provincia centro-settentrionale di Salah ad-Din. AlDouri, al tempo braccio destro di Saddam Hussein e figura di vertice del partito Baath, era divenuto in seguito comandate del gruppo armato anti-governativo dell’Ordine Naqshbandi, alleato del Califfato. Nel frattempo si riaccendono gli scontri anche in Siria, dove i miliziani dell’IS combattono su più fronti: a sud, dove le unità del Califfato hanno strappato all’esercito regolare i villaggi di al-Asfar e al-Qasr nella provincia di Suwayda e sono state ingaggiate dalle formazioni ribelli in violenti e ripetuti scontri nei quartieri nordorientali di Damasco; a nord, dove il prolungato confronto con i Peshmerga curdi si è concentrato attorno alle città di Sarrin, lungo la via che congiunge Kobane alla roccaforte jihadista di Raqqa, e di Hasakah. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha richiamato tutte le parti coinvolte nel conflitto civile ad accordare l’istituzione di un corridoio umanitario per portare assistenza immediata ai rifugiati palestinesi nel campo di Yarmouk, che le infiltrazioni dei combattenti dell’IS hanno reso impenetrabile a ogni rifornimento di generi alimentari e beni di prima necessità. Intanto, l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha invitato a Ginevra le rappresentanze del governo di Bashar al-Assad, delle forze di opposizione e degli attori regionali coinvolti (Iran compreso) a una prossima sessione di negoziati che si aprirà nel mese di maggio, al fine di riprendere il filo interrotto di una risoluzione politica all’annosa guerra civile. Messo in crescente difficoltà nella provincia di Idlib dalle formazioni ribelli capeggiate da Jabhat al-Nusra, il regime di Damasco ha raggiunto un’intesa di collaborazione con i guerriglieri curdi contro le forze del Califfato, assicurando rinforzi e sostegno in termini di uomini, copertura aerea, munizioni e armamenti. Di comune accordo con le autorità locali, circa 700 combattenti tribali di estrazione sunnita si uniranno ai ranghi dei Peshmerga operanti nella provincia di Hasakah.
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YEMEN ↴
Con l’annuncio della fine dell’Operazione Decisive Storm e l’avvio di Restoring Hope, la coalizione arabo-sunnita a guida saudita ha dato inizio il 22-23 aprile alla seconda fase in Yemen della missione di contenimento delle milizie filo-sciite Houthi, attualmente capaci di controllare la capitale Sana’a e i principali avamposti strategici e militari del Paese dallo scorso autunno. Questa nuova operazione è caratterizzata da contenuti più politici e umanitari essendo stata mutuata sulla base della Risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, presentata dalla Giordania il 14 aprile scorso. Una Risoluzione che impone un embargo sulle armi ai miliziani Houthi e che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di una missione internazionale basata sull’aiuto umanitario, la protezione dei civili, la lotta al terrorismo, ma anche al proseguimento del blocco marittimo e alla possibilità di rispondere alle eventuali aggressioni militari delle forze anti-governative. Sebbene nelle premesse della missione dunque si cerchi a trovare un nuovo approccio risolutivo alla questione yemenita, come anche auspicato in un colloquio telefonico dal Presidente Barack Obama al Re saudita Salman, l’Operazione Resolute Hope si è finora contraddistinta per una continuità con quella precedente, lasciando tuttavia inalterata la possibilità di un invio a breve di forze terrestri saudite, qualora la situazione sul campo lo richiedesse. Si spiega infatti in questo senso la messa in allerta di una forza di intervento rapido in Yemen di 100.000 uomini della Guardia Nazionale saudita, attualmente dispiegati lungo i confini meridionali del regno degli al-Saud. Sul campo non accennano dunque a diminuire i raid dell’aviazione saudita e gli scontri militari tra forze lealiste e milizie ribelli anti-governative lungo la direttrice Nord-Sud,
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Amran-Sana’a-Ta’izz-Marib-Lahij-Aden, nel tentativo di costringere alla ritirata strategica i gruppi Houthi e quelli loro alleati vicini all’ex Presidente Saleh. Da questa situazione di caos, al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) è sembrata l’unica forza capace di trarre vantaggi, rafforzando la sua posizione intorno la città di Mukallah, nella parte orientale del Paese, ed espandendo il controllo all’aeroporto e all’area portuale.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN YEMEN – FONTE: AMERICAN ENTERPRISE INSTITUTE, STRATFOR, AL-JAZEERA ELABORAZIONE: BLOOMBERG GRAPHICS
Tuttavia è sul piano diplomatico che si è assistito ad alcuni rilevanti cambi di registro, che hanno coinvolto sia gli attori interni ed esterni al campo yemenita, sia le stesse Nazioni Unite. Nel primo caso, l’Iran ha presentato al Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon un piano di pace per lo Yemen in 4 punti e basato su: l'imposizione di un coprifuoco; un immediato stop agli attacchi militari; la consegna di aiuti umanitari e la ripresa di un dialogo politico per la formazione di un governo di unità nazionale. Una proposta immediatamente rigettata dal governo legittimo in esilio a Riyadh del Presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi e dall’Arabia Saudita che hanno reiterato le accuse all’Iran di interferire negli affari interni del Paese, nell’ambito di una strategia di espansione regionale. Una conferma di ciò sarebbe rappresentata dall’invio di una piccola flotta iraniana composta
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da 7-9 navi cariche di armi destinate ai ribelli sciiti Houthi. La dura reazione saudita e la promessa statunitense di intervenire in soccorso di Riyadh – prevedendo il dispiegamento della portaerei USS Theodore Roosevelt e del suo incrociatore di scorta USS Normandy con missili teleguidati per condurre operazioni di monitoraggio e di sicurezza marittima in appoggio ad altre 7 navi USA già operative nell’area – nel caso in cui l’iniziativa iraniana non fosse rientrata, ha indotto le navi iraniane a invertire la manovra e a ritornare verso le acque omanite, a sud di Salalah. Sempre sul piano diplomatico la casa regnante degli al-Saud sarebbe riuscita nel suo intento di far dimettere il 16 aprile scorso, l’Inviato Speciale ONU per lo Yemen, Jamal Benomar. Il diplomatico marocchino era stato costretto alle dimissioni dopo essere stato sfiduciato in sede di Consiglio di Sicurezza il 14 aprile. Benomar era stato duramente criticato dai Sauditi per aver sempre ricercato il dialogo con Ansarullah, il movimento politico che sponsorizza le iniziative, anche militari, degli Houthi. Parallelamente alla crisi politico-militare, si aggrava anche quella umanitaria. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fin dall’inizio della missione Decisive Storm sono morte oltre un migliaio di persone, oltre 3.000 sono rimaste ferite nei bombardamenti e all’incirca 150.000 sono gli sfollati interni. Sempre l’OMS ha denunciato che 4,5 dei 25 milioni di abitanti del Paese sono a rischio di una grave insicurezza alimentare e, infine, il 42% della popolazione ha bisogno di aiuti alimentari.
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BREVI CINA-IRAN-RUSSIA, 17 APRILE ↴ A margine della quarta Conferenza di Mosca sulla sicurezza
internazionale,
iraniano,
Hossein
convocazione
di
il
Ministro
Dehghan, un
incontro
ha
della
Difesa
proposto
trilaterale
con
la le
controparti cinesi e russe per definire il rafforzamento delle rispettive relazioni
bilaterali
e multilaterali
nell’ambito della Difesa. Dehghan ha esplicitamente ritratto la cooperazione con Cina, Federazione Russa e India in termini oppositivi «all’espansione della NATO verso est, al dispiegamento di scudi missilistici in Europa e alla concentrazione delle forze statunitensi lungo i confini sudorientali cinesi». Lungi dal rappresentare una provocazione, la dichiarazione rilasciata dal vertice delle Forze Armate iraniane è l’ultimo tassello di una convergenza strategica che muove verso la composizione di un fronte euroasiatico in grado di contendere e fronteggiare la supremazia statunitense e occidentale negli equilibri globali. Già in novembre le delegazioni dei tre Paesi si erano incontrate a Ginevra durante i negoziati sul programma nucleare iraniano, ma è la rinnovata collaborazione militare tra Mosca e Teheran a dare immediato contenuto politico alla prospettiva di un’intesa trilaterale destinata a ridefinire la chiave di volta delle alleanze regionali in tema di sicurezza. Il Ministro della Difesa cinese Chang Wanquan ha immediatamente aperto alla proposta iraniana, evidenziando sia gli ottimi rapporti militari costruiti sull’asse PechinoTeheran, sia la necessità di discutere le comuni minacce alla sicurezza nazionale.
IRAN, 22 APRILE ↴ Dopo il raggiungimento a Losanna del tanto agognato framework agreement, sono ripartiti a Vienna i negoziati tra l’Iran e il P5+1 per limare i dettagli ed ottenere, così, l’accordo finale entro giugno. Il 22 aprile i diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia,
Cina,
Germania,
cui
si
sommano
i
rappresentanti dell’Unione Europea, al fianco di quelli di Teheran hanno iniziato un nuovo round, durato tre giorni. Il vice Ministro degli Esteri dell’Iran, Abbas Araghchi, ha portato avanti la causa che sta più a cuore per il suo Paese, ovvero il cancellamento immediato di tutte le sanzioni economiche, affermando che è stato «uno dei principali argomenti di questo giro di colloqui. Se le altre parti dimostreranno la loro buona volontà politica, arriveremo di certo ad un accordo. Intendiamo chiedere una spiegazione alla squadra statunitense e una maggiore chiarezza sui dettagli 13
dell'eliminazione delle sanzioni». Washington ha però negato che vi sia alcuna possibilità che le sanzioni possano venire cancellate dall’oggi al domani, subordinando quindi la loro riduzione al rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. D’altro canto, il Presidente Barack Obama pare intenzionato a coinvolgere nel processo diplomatico il Congresso a maggioranza repubblicana, quanto meno fino al punto di non rischiare di mettere in pericolo il framework agreement. Nel frattempo, la Russia ha deciso di togliere l’embargo all’Iran sulla vendita di sistemi missilisti S-300 sbloccando così un accordo risalente al 2007 del valore di 800 milioni di dollari. Gli S-300, ha dichiarato il Ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov all’omologo americano John Kerry, molto contrario, «sono un'arma difensiva. Le ragioni dell'embargo sono ormai sfumate dopo l'accordo di Losanna sull'uso delle centrali nucleari. Dunque non c'è alcun motivo per negare all'Iran il diritto di proteggersi».
ITALIA-STATI UNITI, 16-17 APRILE ↴ Visita negli Stati Uniti del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che tra il 16 e il 17 aprile ha prima parlato agli studenti della Georgetown University e poi ha incontrato alla Casa Bianca il Presidente Barack Obama. Parlando alla Georgetown University, Renzi ha affermato che «per troppo tempo l'Italia è stata come la bella addormentata nel bosco ma noi siamo qui per svegliarla, per dare un indirizzo al futuro. Costruiremo un Paese in cui si va avanti non grazie agli amici degli amici ma dove il merito conta». Con Obama il Presidente del Consiglio ha toccato vari temi: dalla crisi ucraina a quella in Libia, dall'accordo di libero scambio (il TTIP) alla sicurezza energetica, passando per i cambiamenti climatici. Nella conferenza a margine, i due si sono soffermati in particolare sulla Libia, dove gli Stati Uniti hanno promesso, nelle parole di Obama, «che continueranno a sostenere gli sforzi e il ruolo guida dell'Italia nel Mediterraneo. Lavoreremo in modo estensivo con l'Italia per fronteggiare le minacce dello Stato Islamico, ma non abbiamo parlato di droni», confutando quanto supposto alla vigilia dai media. Roma e Washington tuttavia, ha concluso il Presidente, collaboreranno sulla base di una cooperazione rafforzata. In segno di ringraziamento, Renzi ha dichiarato che l’Italia manterrà le proprie truppe più a lungo, fino a fine anno, in Afghanistan per restare al fianco degli Stati Uniti. «Esco dall'incontro» con Obama, ha chiosato Renzi, «con la convinzione della piena condivisione con gli USA che nelle prossime settimane mostrerà i frutti più efficaci». Non è stato, però, un segnale di rafforzamento nei rapporti bilaterali l’annuncio fatto pochi giorni dopo da Obama per cui gli Stati Uniti, in un raid aereo condotto con i droni in Pakistan, hanno ucciso, seppur involontariamente, un cooperante italiano tenuto in ostaggio dai talebani, Giovanni Lo Porto. La notizia ha infatti alimentato un’onda di anti-americanismo in Italia, guastando il clima di amicizia che si era creato grazie al summit di Washington. 14
UCRAINA, 14 APRILE ↴ Al termine di un Vertice a Berlino, i Ministri degli Esteri di Germania, Francia, Russia e Ucraina – benché le distanze tra questi ultimi siano ancora notevoli – hanno concordato sulla necessità di procedere con il ritiro non solo delle armi pesanti, ma anche dei carri armati, categoria inizialmente non contemplata dall’accordo di Minsk, dalla linea di controllo nell’est ucraino. Nonostante gli scontri siano sensibilmente diminuiti dopo l’intesa sul cessate il fuoco, il governo di Kiev ha accusato i separatisti filo-russi di aver perpetrato nuovi attacchi, nel corso dei quali è stato ucciso un soldato ucraino, con armi di calibro maggiore a 100 mm, le quali sarebbero dovute essere già allontanate dalla linea del fronte. I separatisti hanno dal canto loro imputato a Kiev l’utilizzo di carri armati nella distruzione delle loro postazioni nel Donbass. Gli Stati Uniti, che nel frattempo per mezzo della portavoce del Dipartimento di Stato Marie Harf, hanno denunciato un nuovo ammassamento di truppe russe ai confini ucraini nonchè lo svolgimento di alcune esercitazioni militari dei separatisti con il supporto di Mosca (che sarebbe peraltro impegnata nella costruzione di un sistema di difesa aerea all’interno dei confini ucraini), hanno ufficialmente avviato (20 aprile) la missione di addestramento di 900 uomini della Guardia Nazionale ucraina (Operation Fearless Guardian-2015, della durata di sei mesi) nella base di Yavoriv, nella regione di Leopoli, nell’Ucraina occidentale. Ai circa 300 soldati della 173esima Brigata Aerotrasportata dovrebbero prossimamente aggiungersi istruttori britannici (dai 35 ai 75, oltre a quelli già presenti a Mykolaiv, dove è di stanza la 79esima Brigata Aerotrasportata), canadesi (200 uomini che saranno
impiegati
anche
a
Kamyanets-Podilsky
con
diverse
funzioni
di
prevenzione/sminamento e di formazione) e polacchi. Sul piano interno il leader dell’auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko, ha proposto un nuovo referendum sullo status della regione dopo un’apparente apertura in merito da parte di Vladimir Putin, il quale, nel corso di una trasmissione televisiva, ha dichiarato che i residenti del Donbass dovrebbero avere l’ultima parola sul modo di gestire il rapporto con le autorità centrali.
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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 18 APRILE ↴ Un nuovo attentato ha scosso l’Afghanistan, a Jalalabad, dove un kamikaze si è fatto esplodere davanti alla principale banca della città, provocando la morte di 33 persone e oltre 100 feriti. I talebani non hanno rivendicato l’attacco. Lo ha fatto invece lo Stato Islamico e più precisamente il ramo locale, Lo Stato Islamico del Khorasan, sconfessando la fazione dialogante degli insorgenti e cercando di rientrare nelle dinamiche di un Paese da cui l’Occidente intende ritirarsi militarmente entro l’anno.
EGITTO, 21 APRILE ↴ L’ex Presidente egiziano Mohammed Mursi è stato condannato dalla Corte d'Assise del Cairo a scontare una pena di 20 anni di carcere. Mursi, il primo Presidente dell'Egitto eletto democraticamente dopo la dimissioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011, è stato riconosciuto colpevole di essere implicato nelle torture e nelle uccisioni dei manifestanti che protestavano davanti il palazzo presidenziale di Heliopolis, il 5 dicembre del 2012. L’esponente della Fratellanza Mussulmana è stato, però, scagionato dall'accusa di istigazione all'omicidio di altri due manifestanti e di un giornalista durante la medesima manifestazione.
FINLANDIA, 19 APRILE ↴ Le elezioni parlamentari hanno assegnato la vittoria al Partito di Centro, guidato dall'ex imprenditore Juha Sipilä. Il Partito di Centro, finora all'opposizione, ha ottenuto poco più del 21% dei voti, conquistando 49 dei 200 seggi disponibili, mentre il Partito della Coalizione Nazionale, guidato dal Primo Ministro uscente Alexander Stubb, ha ricevuto il 18% dei voti, ottenendo 37 seggi. Nonostante la vittoria netta, Juha Sipilä sarà costretto a formare un governo di coalizione con la precedente maggioranza guidata da Stubb.
FRANCIA-ITALIA, 19-24 APRILE ↴ Uno studente algerino di informatica di 23 anni è stato arrestato a Parigi dalla Gendarmeria, mentre si apprestava a commettere un attentato terroristico contro una o più Chiese cristiane. Il Ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha annunciato, in conferenza stampa, l'arresto del giovane sottolineando che i servizi segreti da tempo controllavano i suoi movimenti. Intanto, in Italia, gli uomini della Digos di Sassari, hanno effettuato l’arresto di 24 persone appartenenti ad una cellula terroristica legata ad al-Qaeda. Il gruppo, con base in Sardegna, ma presente in altre 7 regioni, sarebbe considerato il responsabile di una serie di attacchi terroristici in Pakistan – tra cui
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quello al mercato di Peshawar del 2009 che provocò oltre 100 morti –, e avrebbe agevolato il fenomeno dell’immigrazione clandestina in Italia.
LIBIA, 13 APRILE ↴ Continuano tra il Marocco, l’Algeria e l’Egitto i colloqui tra i governi di Tripoli e Tobruk, l’unico internazionalmente riconosciuto, condotti dall'inviato speciale dell’ONU, Bernardino Leon. Questi ha definito molto vicina una riconciliazione politica tra le due parti in lotta. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha aggiornato i media affermando che «Leon, e la sua squadra continuano a lavorare in maniera instancabile con le parti libiche coinvolte, per aiutarle ad arrivare insieme ad uno spirito di compromesso».
MALI, 18 APRILE ↴ Un convoglio della MINUSMA, la missione dell’ONU in Mali, è stato attaccato da due uomini in moto, a circa 15 km dalla città di Gao. L’assalto, che ha causato la morte di due autisti e il ferimento di un’altra persona, è stato, probabilmente, organizzato dai gruppi ribelli che agiscono nel Nord del Mali. L’attacco è avvenuto due giorni da un altro attentato nella città di Ansongo, nel quale sono morti due civili e nove peacekeeper nigeriani sono stati feriti. Questa rinnovata violenza giunge proprio mentre ad Algeri sono ripresi i colloqui di pace tra il governo di Bamako e i gruppi ribelli antigovernativi dell’Azawad.
RUSSIA, 19 APRILE ↴ Le forze di sicurezza russe hanno comunicato di aver ucciso il leader dell’Emirato Islamico del Caucaso, Ali Abu Muhammad al-Daghestani, durante un raid avvenuto nei pressi della città di Buynaksk. Al-Daghestani era succeduto, agli inizi del 2014, allo storico leader caucasico Dokku Umarov, anch’egli ucciso dalle forze di sicurezza russe. Il designato alla successione di al-Daghestani sembrerebbe essere Aslambek Vadalov, veterano combattente ceceno.
SOMALIA, 20-21 APRILE ↴ Un’autobomba è esplosa nei pressi di un ristorante situato nei dintorni del palazzo presidenziale di Mogadiscio, causando la morte di 10 persone, tra le quali anche un bambino. L’attentato è stato rivendicato dagli al-Shabaab, il gruppo estremista islamico legato ad al-Qaeda. Un secondo attentato, sempre ad opera degli al-Shabaab, si è registrato il giorno successivo nei pressi di Garowe, nel Puntland, contro un minivan dell’UNICEF, uccidendo i quattro membri dell’organizzazione umanitaria.
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SUDAN, 13-17 APRILE ↴ A partire dal 13 aprile e per i quattro giorni successivi, si sono svolte le elezioni presidenziali e parlamentari in Sudan. Le consultazioni sono avvenute con il monitoraggio di osservatori stranieri inviati da Lega Araba, IGAD, Nigeria e Russia, mentre non ha partecipato l’Unione Europea che aveva più volte sottolineato la scarsa democraticità del processo elettorale sudanese. Secondo la Commissione Nazionale per le Elezioni (NEC) l’affluenza alle urne è stata molto bassa, circa 30%, soprattutto perché i principali partiti dell’opposizione hanno preferito boicottare le consultazioni. I risultati alla chiusura dei seggi non sono ancora stati resi noti anche se si prevede la netta vittoria del partito al potere, il National Congress Party e la riconferma del Presidente uscente, Omar al-Bashir.
TURCHIA-VATICANO, 12 APRILE ↴ Schermaglie diplomatiche tra Santa Sede e Turchia dopo che Papa Francesco ha definito “genocidio” il massacro degli armeni ordinato dal governo turco nel 1915. Ankara ha convocato il nunzio apostolico in Turchia e si è definita «dispiaciuta e delusa». Attriti anche tra la Francia e la stessa Santa Sede, che non è intenzionata ad accreditare come Ambasciatore in Vaticano Laurent Stéfanini, un diplomatico omosessuale francese.
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ANALISI E COMMENTI YEMEN, GENESI POLITICA ED EVOLUZIONE SETTARIA DI UN CONFLITTO REGIONALE ELEONORA ARDEMAGNI ↴ L’intervento aereo della coalizione militare araba in Yemen sta trasformando il conflitto periferico yemenita – forse il più trascurato e sottovalutato dell’intero quadrante mediorientale – in un conflitto centrale, per partecipazione regionale e attenzione politico-mediatica. Sarebbe però fuorviante guardare alla crisi dello Yemen come al prodotto di dinamiche primariamente esogene. Infatti, questo conflitto è innanzitutto uno scontro politico fra centro e periferie, una battaglia per il potere e le risorse che si sta però connotando di colori settari inediti, a causa dell’interferenza saudita e iraniana. La sovranità dello Yemen è da tempo sfidata dalle pulsioni autonomiste provenienti sia dal nord (gli houthi, gruppo minoritario dello sciismo zaidita originario dell’area di Sa’ada, sostenuto materialmente dall’Iran) che dal sud (il variegato Movimento meridionale, privo di leadership politica) (…) SEGUE >>>
ORDEM O PROGRESSO? IL BRASILE DEL FUTURO FRANCESCO TRUPIA ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA Immaginare il Brasile, la realtà geograficamente dominante dell’America Latina, come un Paese qualsiasi è un errore che molto spesso viene commesso da molti commentatori politici. Appare impossibile analizzare o cercare di decifrare gli avvenimenti brasiliani slegandoli da quei contesti politici, economici, sociali o finanziari, che rendono il gigante latino-americano uno dei simboli più importanti per biodiversità e tradizione indigena dell’intero continente. Lo sviluppo ha fatto parte di un collegamento endogeno riflesso sia nel commercio internazionale sia nella crescita regionale e nei programmi sociali di lotta alla povertà. Questo si è notato nell’export della soia, uno dei mercati più redditizi e spesso fattore di identificazione nazionale, così come nella descrizione finanziaria dell’inflaflução, termine coniato dal banchiere Edmar Bacha in riferimento all’altalenante derby calcistico (…) SEGUE >>>
UE: SICUREZZA, TERRORISMO E LE SFIDE DEL SISTEMA SCHENGEN CLAUDIO GIOVANNICO ↴ In seguito agli attentati di Parigi dello scorso 7 gennaio, temi controversi quali la libertà di espressione, il rapporto con l’Islam, la validità dei modelli di integrazione culturale e il mantenimento della sicurezza sono nuovamente tornati al centro del dibattito pubblico europeo, ponendo interrogativi su quali politiche adottare al fine di rispondere alla minaccia terroristica. Il dibattito in proposito si sta attualmente concentrando sulle modifiche a “Schengen” e ai relativi meccanismi di raccolta dati – il 19
Sistema Informativo (SIS) e l’adozione di un Passenger Name Record (PNR). Entrambi gli aspetti non possono tuttavia non tener conto del quadro di cooperazione in materia di affari interni e giustizia in essere. L’accordo di Schengen, del quale il prossimo 14 luglio ricorrerà il trentennale, permise l’abolizione di controlli sistematici alla frontiera, i quali rallentavano la mobilità, tra Paesi confinanti e interdipendenti. L’abbattimento delle frontiere interne altro non rappresentava che la materiale attuazione del principio di libera circolazione e stabilimento dei cittadini dell’UE, in ossequio al processo di integrazione europea, il quale trovò definitivo compimento, nel 1999, con l’inserimento dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione, per mezzo del Trattato di Amsterdam (…) SEGUE >>>
CINA E USA NEL RECENTE DIBATTITO SULLA SICUREZZA: IL FATTORE CYBER-SPACE MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴ In un articolo pubblicato recentemente, riguardante il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, Joseph Nye, illustre politologo statunitense nonché decano della John F. Kennedy School of Government di Harvard ed esperto di questioni relative l’Asia orientale, ha scritto che per dare una risposta politica appropriata alla tanto imponente quanto costante ascesa del Dragone, bisogna prestare grande attenzione al giusto bilanciamento tra realismo e integrazione. La chiave di lettura appena fornita, riassuntiva e allo stesso tempo molto efficace, può essere utilizzata anche per l’analisi del dibattito in merito alla cyber security divenuto, nel corso del tempo e con l’imperante progresso tecnologico, punto nodale, tra i tanti, dell’incontro-scontro tra le due grandi potenze mondiali. Se, da un lato, un discorso di containment risulta alquanto improbabile già dagli anni Novanta (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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