N°18, 3 AGOSTO – 6 SETTEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 7 settembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra
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FOCUS NATO ↴
Si è concluso l’importante vertice della NATO organizzato a Newport, Galles del Sud, nei giorni 4 e 5 settembre, l’ultimo con Segretario Generale il danese Anders Fogh Rasmussen. Sono state quattro le questioni all’ordine del giorno: l’Afghanistan alla vigilia della conclusione della missione ISAF, la crisi ucraina, il rafforzamento militare dell’Alleanza e l’innalzamento del budget da devolvere alla difesa. Sull’Afghanistan, gli Alleati hanno ribadito la loro ferma intenzione di lanciare la missione di training and mentoring Resolute Support, a patto che il futuro Capo di Stato afghano – non ancora nominato nonostante le elezioni si siano concluse da oltre due mesi – firmi in tempi brevi gli accordi legali che permettano alle truppe NATO di stazionare nel Paese. Come ha affermato Rasmussen, «senza la firma, non ci può essere la missione. La nostra pianificazione è stata completata, ma il tempo è poco. Con la fine di ISAF, cambieremo la natura del nostro impegno in Afghanistan, ma esso proseguirà in altre vesti perché la sua stabilità significa sicurezza per noi». L’Ucraina è stata la questione più spinosa e dibattuta al vertice. Nel primo giorno di summit, il 4 settembre, il leader alleati hanno incontrato nell’ambito della NATOUkraine Commission il Presidente Poroshenko, cui è stato manifestato un forte sostegno per risolvere una crisi che rischia di portare allo smembramento del Paese a causa del sostegno russo ai separatisti ucraini. «Il nostro supporto è concreto e tangibile», ha affermato Rasmussen, in passato «l’Ucraina è stata al fianco della NATO, ora è la NATO a stare al fianco dell’Ucraina». L’Alleanza ha approvato un pacchetto di aiuti a Kiev del valore di quindici milioni strutturato in quattro aree: difesa cibernetica, sostegno medico, logistica, command & control & communications. Sul rafforzamento 1
militare, a Newport è stato approvato il Readiness Action Plan (RAP) che, ad opinione di Rasmussen, «è la dimostrazione della nostra solidarietà e della nostra risolutezza». In un contesto di crisi generalizzata, dal Nord Africa all’Est Europa passando per il Medio Oriente, «la NATO deve essere pronta ad affrontare un ampio spettro di tipologie di missioni». Ma l’attenzione si è incentrata soprattutto sul rafforzamento della difesa collettiva faccia a faccia con l’espansionismo russo. Il cuore del RAP è la creazione della Very High Readiness Joint Task Force, più brevemente chiamata Spearhead (punta di lancia), ossia di una forza di intervento interforze e multinazionale a dispiegamento molto rapido capace di attivarsi in due giorni, tempo minore rispetto a quello della NATO Response Force, che richiede cinque giorni. Spearhead sarà composta da quattromila soldati a rotazione tra i Paesi che vi aderiranno; dovrebbe essere operativa in pochi mesi, probabilmente entro la fine del 2014. La Gran Bretagna ha già promesso di offrire il 25% dei militari necessari. Nel contesto del RAP verranno anche istituite nuove basi NATO nell’Est Europa, più precisamente nei tre Paesi Baltici, in Polonia e in Romania. Infine, sull’annosa questione del burden sharing, gli Alleati hanno promesso di innalzare la spesa militare nel modo più efficiente ed efficace possibile. Per gran parte dei membri dell’Alleanza, infatti, essa si attesta al di sotto della soglia del 2% del PIL che la stessa NATO ha identificato come limite minimo nel corso del post-Guerra Fredda.
FONTE: BBC
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PAKISTAN ↴
Sono in corso dal 14 agosto, giorno del 67° anniversario dell’indipendenza del Pakistan, vibranti proteste di piazza a Islamabad e nelle altre principali città del Paese mirate a chiedere le dimissioni del Primo Ministro Nawaz Sharif, accusato dalle opposizioni e dai manifestanti di essere stato eletto attraverso brogli nelle elezioni parlamentari dell’11 maggio 2013 che videro la netta affermazione del Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N). A chiederne le dimissioni sono stati i promotori dell’Azadi March (Marcia per la Libertà), l'ex campione di cricket, Imran Khan, leader del Pakistan Tehreek-e-Insaaf (PTI), e Tahrik ul-Qadri, alla guida del Pakistan Awami Tehreek (PAT), che guidano da settimane le manifestazioni anti-Premier. In quella che la stampa locale ha definito una strana e convergente alleanza tra i due leader, uno populista-nazionalista, l’altro un religioso sufi, nonché entrambi candidati alle precedenti elezioni, il Paese si trova spaccato a metà tra coloro che sostengono la legittimità del Premier e dell’esecutivo in carica e chi invece invoca una mobilitazione civile ma pacifica contro «coloro che hanno occupato le istituzioni nazionali». Il rischio è che la marcia possa radicalizzarsi in una sorta di guerriglia urbana per poi sfociare in un movimento che possa condurre il Paese in una ennesima guerra civile. Intanto le istituzioni e l’esercito professano un’apparente calma e dichiarano la situazione sotto controllo, nonostante in occasione delle manifestazioni del 30 agosto nella capitale pachistana siano morte 2 persone, arrestate diverse centinaia e circa 400 manifestanti hanno assaltato la sede della televisione di Stato PTV. Dietro pressioni delle Forze Armate pachistane guidate dal Generale Raheel Sharif, il Premier ha annunciato la formazione di una commissione d’inchiesta sulle accuse di brogli elettorali e allo stesso tempo ha aperto alla possibilità di dialogo con
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le opposizioni, le quali al momento si rifiutano di confrontarsi con il governo proponendo invece azioni vaghe come la creazione di un esecutivo di unità nazionale di tecnocrati incaricato di riscrivere una nuova Costituzione, i cui termini però sono ancora indefiniti. In questa situazione di profondo caos istituzionale vi è inoltre il rischio di una ripresa delle violenze talebane non solo nelle aree tribali del nord del Waziristan, ma anche nelle città strategiche di Rawalpindi, Lahore, Karachi e Islamabad. I Talebani pachistani in questo modo potrebbero trovare conveniente lanciare una nuova campagna di attentati per indebolire e destabilizzare l’operato del governo. In questo clima di incertezza, che secondo il Ministero delle Finanze sta causando danni economici pari a 5 miliardi di dollari, rimane sullo sfondo l’esercito, da sempre un attore di primo piano della scena politica nazionale e, oggi come in passato, il principale avversario politico dello stesso Sharif. Le Forze Armate pachistane, che ebbero un ruolo rilevante nel golpe militare del 1999 ai danni di Sharif e che portò al potere l’ex generale Pervez Musharraf, non avrebbero gradito alcune azioni politiche dell’esecutivo in questi 12 mesi come il maggiore controllo del governo civile sullo stesso esercito, il processo per tradimento nei confronti di Musharraf o il miglioramento delle relazioni con i vicini India e Afghanistan. Tuttavia secondo la stampa locale l’esercito, pur essendo vicina ai settori del PAT e del PTI, non avrebbe intenzione di intervenire nelle proteste per evitare di alzare ulteriormente il livello di scontro interno.
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SIRIA ↴
La minaccia dello Stato Islamico da una parte e il conflitto tra Israele ed Hamas dall’altra, non hanno di certo reso meno problematica la delicata situazione siriana. Dal primo settembre si registrano scontri violenti tra le forze siriane e i ribelli islamici sulle alture del Golan: i combattimenti sono avvenuti nei pressi della città di Hamidiyeh, nel governatorato di Quneitra, vicino al problematico confine con Israele che, naturalmente, guarda con preoccupazione a un possibile allargamento del conflitto al proprio territorio. L’agenzia di Stato siriana SANA ha riferito che l’esercito ha ucciso numerosi terroristi e distrutto alcune postazioni dei ribelli, anche se non è chiaro se l’esercito di Assad abbia ripreso il completo controllo del confine. L’offensiva delle truppe di Assad è avvenuta in un’area che i ribelli avevano conquistato lo scorso 27 agosto, e dove, il giorno successivo, i ribelli del Fronte al-Nusra hanno rapito 45 soldati delle isole Fiji e circondato un contingente di soldati filippini, entrambi appartenenti alla missione UNDOF (United Nations Disengagement Observer Force) delle Nazioni Unite che monitora il complicato confine tra Siria e Israele sin dal 1974. Le truppe filippine sono riuscite a scappare, mentre i soldati figiani sono tuttora nelle mani del Fronte al-Nusra e non è chiaro dove siano detenuti. Il comandante militare del contingente delle Fiji, il Generale Mosese Tikoitoga, ha affermato che i ribelli islamici hanno fatto tre precise richieste per ottenere il rilascio dei peacekeepers: la cancellazione del Fronte al-Nusra dalla lista ONU dei gruppi terroristici, l’invio di aiuti umanitari alle zone di Damasco controllate dai ribelli e il pagamento di compensazioni per la morte di tre combattenti uccisi da truppe ONU. Una dichiarazione online del gruppo 5
islamista ha confermato che i soldati delle Fiji sono in ottime condizioni e in un luogo sicuro, pubblicando una loro foto con tanto di Identity Card e che alla base della decisione di rapirli vi è «la politica dell’ONU che sta ignorando il quotidiano spargimento di sangue musulmano perpetrato dalle truppe di Assad». Non è la prima volta che personale dell’UNDOF viene rapito dai ribelli islamici: durante il 2013 per ben due volte i peacekeepers della missione internazionale erano stati rapiti, salvo poi essere rilasciati in breve tempo. Le alture del Golan rappresentano un importante punto strategico al confine tra Siria e Israele, e una missione ONU è incaricata di monitorare la zona smilitarizzata, creata a seguito dell’armistizio del 1974. Il contingente UNDOF è costituito da 1.224 soldati, equipaggiati con armamento leggero, provenienti da Fiji, India, Irlanda, Nepal, Paesi Bassi e Filippine. La vicenda dei soldati rapiti da al-Nusra ha diffuso il criticismo tra le nazioni che contribuiscono con proprie truppe all’operazione, con particolar riferimento al funzionamento della linea di comando, attualmente a guida indiana. L’Irlanda, che contribuisce con 130 soldati al contingente ONU, ha avvisato che non provvederà alla prevista rotazione del suo contingente, finché non si procederà a rinforzare le misure di sicurezza e ad adeguare le regole di ingaggio alla nuova situazione. La preoccupazione delle nazioni interessate deriva, in particolar modo, dalle dichiarazioni fatte alla stampa dal comandante del contingente filippino, che ha rivelato come le sue truppe abbiano ricevuto l’ordine di arrendersi alle milizie di alNusra. Nel frattempo, sul fronte interno, le truppe governative di Assad hanno indirizzato gli ultimi assalti sul quartiere di Jobar a Damasco, altro caposaldo della resistenza siriana: nella sola giornata del 3 settembre sono stati condotti 27 attacchi aerei, in cui sarebbe morto anche un bambino. Il governo ritiene strategicamente importante il quartiere di Jobar, che farebbe seguito alla riconquista di numerose aree della capitale.
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UCRAINA ↴
Il protocollo di intesa per il raggiungimento di una tregua nelle regioni orientali ucraine siglato il 5 settembre a Minsk dal governo di Kiev (rappresentato dall'ex Presidente Leonid Kuchma) e dai separatisti filo-russi (rappresentati dalle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, Alexander Zakharcenko e Igor Plotnitski) con la mediazione della Russia (nella persona dell'Ambasciatore russo in Ucraina, Mikhail Zurabov) e dell'OSCE (rappresentato da Heidi Tagliavini), sembra essere durato meno di 48 ore, quando nuovi scontri tra forze governative e gruppi ribelli sono scoppiati nella città portuale di Mariupol. Nonostante tale accordo, in effetti, l'escalation di tensioni che si era innalzata negli ultimi giorni di agosto non si era ancora completamente placata. Benché nel corso di un altro Vertice nella stessa capitale bielorussa (26 agosto) le parti avessero concordato l'istituzione di un gruppo di contatto per giungere ad una soluzione diplomatica, la successiva apertura di un nuovo fronte di conflitto nelle aree meridionali del Paese e il conseguente assedio di alcune località sul Mar di Azov (tra cui l'importante centro di Novoazovsk tra il 27 e il 29 agosto), hanno gettato nuova benzina sulla crisi ucraina. A tali eventi ha d'altra parte contribuito la diffusione da parte del Comprehensive Crisis and Operation Center (CCOMC) della NATO di immagini satellitari (27 agosto) che certificherebbero la presenza di almeno un migliaio di soldati russi impegnati sul territorio ucraino (oltre ai circa 20mila dislocati lungo i confini), nell'area di Krasnodon, e che attesterebbero – secondo quanto dichiarato dal Generale Nico Tak – la fornitura da parte di Mosca ai ribelli di sistemi antiaerei, artiglieria, carri armati e blindati per il trasporto truppe. Mentre il Presidente Poroshenko ha denunciato l'inva-
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sione russa ed è volato a Bruxelles dove, in occasione del Consiglio Europeo straordinario dedicato agli scenari di crisi e alla nomina dei nuovi vertici delle Istituzioni europee, ha chiesto all'Unione Europea e ai Paesi occidentali ogni sostegno – soprattutto militare – possibile, il Premier Yatsenyuk ha presentato al Consiglio dei Ministri (3 settembre) il piano per la costruzione di un muro sui confini russo-ucraini (lungo le regioni di Kharkiv, Donetsk e Lugansk) e ha immediatamente chiesto al Parlamento di rivedere lo status di Paese non allineato e di presentare nuovamente domanda di adesione all'Alleanza Atlantica. Non solo l'opzione della membership non è stata esclusa dal Segretario Rasmussen, quanto anche la Francia ha deciso di sospendere la consegna della prima delle due navi porta-elicottero classe Mistral alla Russia e il Regno Unito ha annunciato l'intenzione di creare una joint expeditionary force di 10mila uomini con Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Norvegia e Olanda sotto l'egida dell'Alleanza Atlantica (sulla posizione di quest'ultima relativamente alla crisi ucraina cfr. il Focus "NATO", pag. 1). Dal canto suo l'UE, che attraverso il neo Alto Rappresentate per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza comune Federica Mogherini ha dichiarato Mosca non più partner strategico per Bruxelles, sta attualmente studiando la possibilità di adottare un nuovo pacchetto di sanzioni – orientate soprattutto sull'import/export di armi oltre che sul mercato obbligazionario – che si aggiungerebbero a quanto già approvato lo scorso 30 luglio. Mentre Obama si è recato in visita in Estonia (4 settembre) per rassicurare i Baltici sugli impegni dell'Alleanza Atlantica, Putin non ha smesso di alternare gesti di distensione a quelli più risoluti – tra cui la dichiarazione di voler rafforzare il potenziale nucleare russo –, chiedendo di riconoscere l'esistenza de facto dello Stato di Novorossiya. Sebbene lo stesso Presidente russo abbia dichiarato di non essere parte di un conflitto, e che in ragione di ciò il Cremlino non dovrà siglare alcun accordo di tregua, ha continuato a perseguire una soluzione diplomatica che includesse il riconoscimento dell'autonomia delle regioni in questione. L'apertura del nuovo fronte e il coinvolgimento delle forze regolari russe, strangolando l'accesso ucraino sul Mar d'Azov (dove il 31 agosto un pattugliatore battente bandiera di Kiev è stato attaccato) e tentando di creare una continuità territoriale con la Crimea, sono evidentemente seguiti alla vasta offensiva che il governo di Yatsenyuk ha condotto durante l'estate nelle regioni di Donestsk e Lugansk e che hanno portato l'esercito centrale a riprendere il controllo di ampie zone, lasciando ai separatisti le città principali. Anche la polemica durante i giorni di Ferragosto sull'ingresso di un convoglio umanitario russo, e che aveva sollevato i timori circa la possibilità di un'incursione russa mascherata, si è risolta con il benestare al transito da parte di Kiev, che però ne ha stabilito percorso e modalità di consegna, anche attraverso l'intervento della Croce Rossa Internazionale. Sul piano strettamente interno il 25 agosto Poroshenko
ha
peraltro
annunciato
lo
scioglimento
del
Parlamento
quale passo fondamentale per uscire dalla guerra, indicendo nuove consultazioni per il prossimo 26 ottobre. Il suo portavoce, Sviatoslav Tsegolko, ha accusato l'ex maggioranza di aver approvato in passato leggi dittatoriali di cui dovrà rispondere.
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BREVI EGITTO, 12-13 AGOSTO ↴ Il Presidente Abdel Fattah al-Sisi si è nuovamente recato a Sochi, in Russia, per un incontro ufficiale con Vladimir Putin, in quella che è stata la prima visita da Capo di Stato egiziano. Nell’incontro i due leader hanno discusso dei principali temi di attualità internazionali ma soprattutto di economia e di commercio bilaterale (l’interscambio è aumentato del 70%, arrivando a 3,5 miliardi di dollari nel 2012). Il vertice è stato anche l’occasione per discutere di un maggiore coinvolgimento economico russo nei piani infrastrutturali egiziani come quello dell’ampliamento del nuovo Canale di Suez, annunciato il 5 agosto in diretta tv a Ismailia da Ihab Mamish, il Presidente dell’Authority che gestisce il canale. Il progetto del valore di 12 miliardi di dollari, che si rifà a quelli di Mubarak e Mursi, sarà realizzato dalle forze armate egiziane e prevederà la costruzione di un canale parallelo a quello attuale, lungo 72 km. L’infrastruttura sarà realizzata nel prossimo anno e mezzo, con la possibilità di creare oltre un milione di nuovi posti di lavoro. Inoltre il progetto del nuovo canale comprenderà la costruzione di un altro tunnel, cantieri navali, stazioni di servizio per i cargo ma anche resort per passeggeri. In questa grande opera confluiranno anche capitali russi – anche se non è chiara la quota di partecipazione di Mosca – come confermato anche dall’altro accordo firmato tra i due leader, che prevede la creazione di una zona di libero scambio russa nell’area di Suez sul modello di quello proposto dalla cinese Teda (Tianjin Economic and Technological Development Area) nell’area nel 2012 con il precedente esecutivo guidato da Mohammed Mursi. La visita di al-Sisi in Russia ha confermato lo shift politico egiziano verso Mosca e il rafforzamento di un trend commerciale iniziato alcuni mesi fa (novembre 2013) con la firma di un accordo da 3 miliardi di dollari per armamenti militari.
FRANCIA, 25 AGOSTO ↴ A 5 mesi dal rimpasto di governo che aveva portato Manuel Valls a sostituire Jean-Marc Ayrault alla guida dell'esecutivo, una nuova crisi ha scosso le istituzioni francesi. A seguito delle dichiarazioni del Ministro dell'Economia Arnaud Montebourg circa la necessità di cambiare decisamente il corso di politica economica che fosse meno allineato ai dettami provenienti dalla Germania e alle logiche delle istituzioni finanziare europee, Valls ha rassegnato le proprie dimissioni per poi essere nuovamente reincaricato per perseguire «gli orientamenti economici stabiliti dall’Eliseo». Montebourg è stato inoltre sostenuto 9
soprattutto dal titolare dell'Educazione nazionale, Insegnamento e Ricerca, Benoît Hamon e dal Ministro della Cultura Aurelie Filippetti. All'Economia è stato dunque nominato il giovane Emmanuel Macron, dal 2012 fino a giugno Consigliere del Presidente per la politica economica, mentre all'Educazione e alla Cultura rispettivamente Najat Vallaud-Belkacem (sostituita da Patrick Kanner alla guida del Ministero dei Giovani e dello Sport) e l'ex sottosegretario al Commercio estero francese Fleur Pellerin. Confermati i Ministri delle Finanze e dei Conti pubblici, Michel Sapin, e del Lavoro, Francois Rebsamen, nonché la titolare dell'Agricoltura, Stephane Le Foll. A metà del proprio mandato, la popolarità di Hollande, già intaccata dagli scandali personali oltre che dal crollo del Partito Socialista alle elezioni locali di marzo e alle europee di maggio e dalla sempre più profonda spaccatura all'interno del partito di governo, sarebbe ora scesa al 17%, la più bassa mai registrata per un Presidente francese. Di fronte ai nuovi dati economici negativi, il Front National di Marine Le Pen ha chiesto lo scioglimento del Parlamento.
INDIA-GIAPPONE, 1° SETTEMBRE ↴ Il Primo Ministro indiano, Narendra Modi, ha effettuato un’importante visita in Giappone nella quale ha incontrato l’omologo di Tokyo, Shinzo Abe, entrambi con uno spiccato senso per il nazionalismo. Modi ha aperto le danze affermando che «il Ventunesimo Secolo appartiene all’Asia: il mondo lo riconosce. Come sarà questo secolo, dipenderà dalla forza dei legami tra India e Giappone». La visita ha avuto un forte imprinting anti-Cina, Paese con cui sia New Delhi che Tokyo hanno conti aperti. Sempre nelle parole di Modi, «dobbiamo decidere se vogliamo avere sviluppo o espansionismo, che porta alla disintegrazione. Quelli che seguono la via del Buddha e hanno fede nello sviluppo crescono. Ma vediamo anche altri che hanno idee da diciottesimo secolo, che portano avanti invasioni ed entrano nei mari altrui». L’allusione, molto evidente, è alle contese territoriali, in particolare quella oggi particolarmente accesa sino-giapponese sulle Senkaku che si somma a quella storica indo-cinese dei territori dell’Himalaya, che coinvolgono il triangolo Pechino, New Delhi e Tokyo. Nel comunicato emesso a margine della riunione tra Modi e Abe, infatti, particolare enfasi è stata posta sul comune impegno di India e Giappone «verso la sicurezza marittima, la libertà di navigazione e sorvolo, la sicurezza dell’aviazione civile, il commercio legittimo senza restrizioni, e la risoluzione pacifica delle dispute secondo il diritto internazionale». Si è raggiunto quindi un accordo per avviare esercitazioni militari congiunte e per l’incremento degli scambi commerciali bilaterali, che avranno come fine ultimo quello di iniziare “una nuova era” nelle relazioni indo-giapponesi, che, per Abe, è il rapporto con “il maggior potenziale al mondo”.
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ISRAELE-GAZA, 26 AGOSTO ↴ Dopo settimane di trattative fallite tra Il Cairo e Doha, il governo israeliano e quello di Hamas a Gaza hanno trovato un accordo permanente che ha messo fine ai 50 giorni di operazioni militari nella Striscia che hanno provocato circa 2.100 morti tra i Palestinesi e 64 tra gli Israeliani. L’accordo ponte ricalca molto da vicino quello raggiunto dalle stesse parti nel novembre 2012 – oggi come allora mediato dall’Egitto – e che prevede la cessazione immediata degli attacchi da Gaza verso lo Stato ebraico, un impegno di Israele per allentare il blocco sulla Striscia e permettere il passaggio di soccorsi e dei materiali necessari per la ricostruzione di Gaza e la riapertura temporanea dei valichi (Rafah a sud e Erez a nord) per scopi umanitari. Colloqui su questioni più profonde, che saranno discusse entro il 27 settembre al Cairo, affronteranno i maggiori nodi sul tavolo negoziale: la richiesta di Hamas di riaprire l'aeroporto e di avere un porto a Gaza, l'apertura permanente di tre dei sei valichi di frontiera con Gaza (Erez, Rafah e Kerem Shalom), l'allargamento della zona di pesca per gli abitanti nella Striscia e la riduzione della zona di interdizione per la pastorizia e l’agricoltura, nonché lo scongelamento dei tributi israeliani per il pagamento delle amministrazioni palestinesi nei territori. In tutto ciò non è stata discussa la questione delle colonie e dei piani edilizi israeliani già approvati e che potrebbero riaprire a breve le tensioni per ora placate. Tutte questioni sulle quali Israele si è dimostrata poco disponibile al colloquio se non verranno risolti prima altri problemi come la sicurezza, la gestione politica della ricostruzione, lo sviluppo economico del territorio, oltreche una vera e propria trattativa tra le componenti palestinesi e israeliane per giungere ad un accordo durevole. Nonostante le critiche giuntegli nelle settimane antecedenti l’accordo circa la sua incapacità di mostrarsi come un mediatore affidabile e super-partes, l’Egitto ancora una volta ha colto un significativo successo diplomatico dimostrandosi l’unico attore ancora capace di influire sulle dinamiche israelo-palestinesi marginalizzando la rilevanza dei movimenti islamisti (Hamas e i suoi sodali più radicali), i loro alleati (Qatar e Turchia) e gli attori esterni alla regione (Stati Uniti, Nazioni Unite e Unione Europea). Una prova importante che ne ha rafforzato l’immagine di Paese leader e autorevole nella regione.
SOMALIA, 1° SETTEMBRE ↴ La lotta contro al-Shabaab, il gruppo islamista radicale che da anni imperversa in Somalia e che è legato al network terroristico di al-Qaeda, potrebbe essere arrivata ad una svolta importante. Il capo del gruppo jihadista, Ahmed Abdi Godane, è stato ucciso lunedì scorso in un raid aereo, condotto dalle forze statunitensi nella località di Barawe, a circa 240 km a sud di Mogadiscio. Come sta accadendo spesso nei raid
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americani, non sono state impiegate truppe di terra: il capo supremo delle operazioni di al-Qaeda nell’Africa Orientale è stato ucciso da un un missile AGM-114 Hellfire, teleguidato,
lanciato
probabilmente
da
una
nave.
L’operazione è stata effettuate dopo che numerosi report dell’intelligence segnalavano la presenza di Godane nei pressi di Barawe, dove si sarebbe dovuto tenere un incontro con i suoi leader sul campo. La conferma della morte di Godane è stata fornita dal portavoce del Pentagono, John Kirby, proprio mentre in Galles si stava svolgendo l’importante vertice della NATO, che ha delineato importanti spunti nella lotta al terrorismo islamico. Nome di battaglia Mukhtar Abu Zubair, il leader degli al-Shabaab Ahmed Abdi Godane ha preso il posto di Moalim Aden Hashi Ayro, ucciso anche lui in un raid aereo Usa nel 2008: nel 2009 ha siglato un'alleanza con al-Qaeda, giurando fedeltà a Osama Bin Laden, e, dopo la sua morte, ad Ayman al Zawahiri. Ahmed Godane era ritenuto il principale responsabile dell’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, in Kenya, dove avevano perso la vita 67 persone. La sensazione che adesso, morto Godane, gli al-Shabaab possano essere in difficoltà, a causa delle numerose faide interne, è stata spazzata via repentinamente: il gruppo somalo ha nominato lo sceicco Ahmad Umar, conosciuto come Abu Ubaidah, quale successore di Ahmed Godane, rinnovando la propria fedeltà ad al-Qaeda e al suo attuale leader Ayman al Zawahiri. Secondo molti analisti, la necessità di mostrare la propria forza potrebbe spingere gli al-Shabaab a compiere un gesto dimostrativo di grandi dimensioni.
TURCHIA, 10 AGOSTO ↴ Con il 51,79% dei voti, il Premier uscente e leader di AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) Recep Tayyp Erdoğan è stato eletto nuovo Capo di Stato in quelle che sono state le prime consultazioni presidenziali dirette. Il principale sfidante ed esponente del partito di
opposizione
MHP
(Partito
del
Movimento
Nazionalista), Ekmeleddin İhsanoğlu si è attestato al 38,44% delle preferenze, mentre il candidato curdo dell'HDP (Partito Democratico del Popolo), Selahattin Demirtaş, ha raccolto il 9,76% dei consensi. Nonostante la crisi politica iniziata con i fatti di Gezi Park, proseguita con lo scandalo delle intercettazioni e approfonditasi con la spaccatura interna al partito di governo e con le accuse di autoritarismo, Erdoğan è dunque succeduto al primo turno ad Abdullah Gül, lasciando l'incarico di formare il nuovo governo al Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu e segnando così una continuità nel programma di governo di AKP. Oltre a combattere sul piano strettamente interno il movimento di Gülen, il nuovo esecutivo, che il 6 settembre ha ricevuto la fiducia della Grande Assemblea di Ankara con 306 voti a
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favore e 133 contrari, si è posto il raggiungimento entro il 2023 (centenario della fondazione della repubblica moderna da parte di Mustafa Kemal Ataturk) di una serie di obiettivi tra cui la riforma della Costituzione in senso presidenziale, fare del Paese la decima potenza economica mondiale, l'ingresso nell'Unione Europea (su cui potrebbe incidere la scelta di nominare agli Esteri il Ministro per gli Affari Europei Mevlüt Çavuşoğlu), la definitiva soluzione della questione cipriota e, insieme con una generale revisione della posizione turca all'interno dell'Alleanza Atlantica viste le numerose sfide che questa si pone, anche il completamento del processo di pace con i curdi.
FONTE: MILLIYET
UNIONE EUROPEA, 29-30 AGOSTO ↴ Tempo di nomine per l’Unione Europea. Dopo un negoziato durato alcune settimane, Federica Mogherini, attuale Ministro degli Esteri italiano, è stata nominata Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’UE, carica che include la vice-Presidenza della Commissione europea. La nomina della Mogherini, che succede a Catherine Ashton, è stata resa possibile ad una sorta di ticket tra questa e il Primo Ministro polacco, Donald Tusk, che dopo Herman Von Rompuy andrà a ricoprire la posizione di Presidente del Consiglio UE. Ciò è stato necessario per via della riluttanza dei Paesi dell’Est Europa poco disposti a vedere ricoperta la posizione di Mr./Mrs. PESC da un esponente politico che, ai loro occhi, appariva fin troppo vicino alle posizioni della Russia. Tusk, Mogherini e Jean-Claude Juncker completano il trio di vertice che guiderà l’Unione Europea per i prossimi cinque anni. Restano ora da nominare i ventisei Commissari che affiancheranno Juncker nel corso del suo mandato. Secondo le ultime 13
notizie, le donne presenti in Commissione saranno nove, quota minima indispensabile indicata dal Parlamento Europeo. Alcuni nomi trapelati sono quelli della polacca Elzbieta Bienkowska per il bilancio, l’estone Andrus Ansip per l’unione monetaria; il lettone Valdis Dombrovkis per quella energetica; la slovena Alenka Bratusek per l’agenda digitale; l’olandese Frans Timmermans per la semplificazione della regolamentazione. Il francese Pierre Moscovici, favorito ad assumere la carica di Commissario agli Affari economici, potrebbe rinunciarvi in favore di quella alla Concorrenza.
YEMEN, 20 AGOSTO – 6 SETTEMBRE ↴ Da diverse settimane sono in corso per le strade della capitale Sana’a numerose marce di protesta contro il governo, accusato di non aver adempiuto alle promesse di cambiamento dopo le dimissioni nel 2012 del vecchio Presidente Ali Abdullah Saleh. Oltre alla mancata transizione politica, i dimostranti protestano anche contro la decisione del governo di aumentare le tasse sui prodotti petroliferi che ha raddoppiato il costo della benzina. Alla guida di questo forte movimento di protesta ci sono gli Houthi, gruppo ribelle di fede sciita, radicato nel nord dello Yemen, alla cui guida c’è Abdulmalik al-Houthi. Gli Houthi combattono il governo centrale da sempre, lamentando la marginalizzazione operate nei loro confronti, prima da Saleh durante i suoi 33 anni di governo, e adesso da parte della nuova presidenza di Abd Rabbo Mansur Hadi. Gli Houthi controllano la provincia di Saada, nel nord dello Yemen, e si oppongono vivamente anche al progetto di costituzione in senso federale dello stato yemenita, che porterebbe alla creazione di sei nuovi Stati, esacerbando, secondo Abdulmalik al-Houthi, la divisione tra ricchi e poveri. Al fine di stemperare le proteste popolari che vanno avanti da luglio, il Presidente Hadi ha licenziato il 5 settembre il governo e proposto un taglio del 15% del prezzo del petrolio, insieme ad altre riforme di carattere economico. Ma gli Houthi, attraverso il proprio portavoce, hanno rigettato la proposta e annunciato che ci sarà un ulteriore incremento delle proteste, finché il governo non ascolterà le loro richieste, coinvolgendoli maggiormente nelle iniziative che interesseranno il futuro del Paese. Intanto nella giornata del 6 settembre, si sono registrati feroci scontri tra ribelli Houthi e milizie pro-governative nella provincia di Jawf, a nord di Sana’a, che hanno provocato la morte di oltre 40 persone.
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ALTRE DAL MONDO BRASILE, 29 AGOSTO ↴ Dopo 10 anni di crescita vigorosa, il Paese è ufficialmente in recessione a causa di una crescita al di sotto delle attese. A certificare il dato atteso da settimane è stato l'Istituto Nazionale di Statistica (IBGE). Secondo l’IBGE il PIL è sceso per due trimestri consecutivi: nel secondo trimestre il calo è stato più significativo (0,6%), mentre nel primo questo si è contratto dello 0,2%. Un dato poco positivo in vista delle presidenziali del prossimo 5 ottobre.
GERMANIA, 31 AGOSTO ↴ I cristiano-democratici (CDU) della Cancelliera Angela Merkel intascano un’importante vittoria nelle elezioni locali in Sassonia. La CDU raccoglie il 39,5%, la sinistra di Linke il 18,7%, mentre i socialisti dell’SPD solo il 12,3%. Grande risultato per gli euroscettici di Alternativa per la Germania (AfD) che ha superato la soglia di sbarramento (4%) con il doppio dei voti necessari, il 9,6%. Nonostante la vittoria i voti non consentirebbero alla CDU di governare da sola. E’ probabile la formazione di un governo di coalizione con i socialdemocratici.
GIAPPONE, 3 SETTEMBRE ↴ Dopo gli annunci delle passate settimane, il Premier Shinzo Abe ha provveduto ad un rimpasto di governo volto a rafforzare l’azione dell’esecutivo dopo il riacutizzarsi della crisi economica nel Paese e le tensioni mai celate nel Pacifico. Nella nuova compagine nazionale ben cinque donne a capo di due dicasteri delicati come dell’Economia e dell'Industria (Yuko Obuchi) e degli Interni e delle Comunicazioni (Sanae Takaichi). Cambio anche ai vertici della Difesa con Akinori Eto al posto di Itsunori Onodera. Confermati, infine, gli alleati più stretti di governo nei posti chiave come Yoshihide Suga (Capo di Gabinetto), Taro Aso (Ministro delle Finanze e vice Premier), Fumio Kishida (Esteri) e Akira Amari (Politiche fiscali ed Economiche).
INDIA, 4 SETTEMBRE ↴ Ayman al-Zawahiri, leader di al-Qaeda, ha annunciato attraverso un video messaggio ad un forum jihadista la formazione di una nuova branca di al-Qaeda nel subcontinente indiano con il compito di organizzare la resistenza delle popolazioni di “Burma, Bangladesh, Assam, Gujarat, Ahmedabad e Kashmir”. Al momento non è chiaro né il peso dell’organizzazione neo-costituita, né di quanti uomini possa disporre. Le autorità di India e Pakistan si sono dette preoccupate ma pronte a combattere il fenomeno terrorista nei loro rispettivi Paesi.
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IRAN, 24 LUGLIO ↴ Mentre proseguono gli sforzi del Gruppo 5+1 per raggiungere un accordo sul programma nucleare iraniano, Il Dipartimento del Tesoro USA ha annunciato sanzioni a carico di una serie di aziende e singoli individui che hanno sostenuto «il programma nucleare e missilistico iraniano, hanno aiutato a evadere le sanzioni internazionali e hanno sostenuto il terrorismo». Il Segretario di Stato Kerry ha inoltre chiesto il rilascio di tre cittadini americani detenuti e di collaborare per trovarne un quarto accusato di spionaggio e scomparso da sette anni. Il Presidente iraniano Rouhani ha definito le sanzioni “un’invasione”.
ITALIA, 27 AGOSTO ↴ Dopo le diverse migliaia di immigrati clandestini giunti sulle coste italiane nell’ultimo mese, dal prossimo novembre partirà Frontex Plus, una nuova missione europea con l’obiettivo di rafforzare l’azione di pattugliamento delle frontiere meridionali europee nel Mediterraneo. La missione non sostituirà in toto e nell’immediato l’italiana Mare Nostrum e potrà funzionare solo attraverso il singolo apporto degli Stati membri dell’UE. Francia, Italia, Germania e Spagna hanno garantito il loro sostegno all’operazione marittima. La missione europea dovrebbe veder impiegate per pattugliare il Mediterraneo almeno 10 navi e 4 aerei.
LESOTHO, 30 AGOSTO ↴ L’esercito del piccolo Stato-enclave sudafricano ha occupato il quartier generale della polizia e diversi palazzi del governo in quello che molti osservatori hanno definito un colpo di Stato. Il Primo Ministro Thomas Thabane, eletto nel maggio del 2012, ha lasciato la capitale Maseru per trovare rifugio in Sudafrica. Alla base del golpe vi sarebbe il clima di contrapposizione interno all’esecutivo – dopo le numerose epurazioni nel governo il vice Premier Mothetjoa Metsing, vicino ai militari, aveva proposto l’allontanamento di Thabane – e la decisione del Primo Ministro di sospendere le attività del Parlamento e di cacciare un alto comandante dell’esercito.
MALI, 1° SETTEMBRE ↴ A seguito di una serie di colloqui preliminari a Ouagadougou (Burkina Faso) su un'intesa tra i vari gruppi armati, si è aperta ad Algeri la seconda fase delle trattative di pace fra il governo del Mali e i sei gruppi ribelli che operano nel nord del Paese. La prima tornata si era svolta a luglio e si era conclusa con l'individuazione di una road map sulle tappe negoziali.
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REGNO UNITO, 29 AGOSTO ↴ A seguito della partenza di almeno 500 persone britanniche verso il Medio Oriente e che sono andate ad ingrossare le fila dei gruppi jihadisti, la Segretaria all'Interno, Theresa May, ha annunciato che il governo ha innalzato il livello di allerta terrorismo da ‘considerevole’ a ‘grave’, spiegando tuttavia che non vi è alcuna certezza circa l'imminenza di un attentato. La decisione è stata presa dal Joint Terrorism Analysis Center sulla base di informazioni rilasciate dall'intelligence britannica.
THAILANDIA, 28 AGOSTO ↴ Con la firma del Re Bhumibol Adulyadej il Generale Prayuth Chan-ocha è divenuto il nuovo Primo Ministro del Paese, alle prese dallo scorso 22 maggio con un golpe militare che ha azzerato tutti i precedenti vertici civili di Bangkok. Prayuth, già comandante dell’esercito reale e autoproclamatosi presidente della Commissione nazionale per il Mantenimento della Pace e dell’Ordine, il 21 agosto era stato incaricato dal Parlamento di formare un nuovo esecutivo di transizione, il cui compito sarà quello di guidare il Paese fino alle elezioni generali che dovranno aver luogo entro la fine del prossimo anno.
VENEZUELA, 3 SETTEMBRE ↴ Nicolás Maduro ha annunciato un rimpasto di governo che prevede la nomina di Asdrubal Chávez, cugino del defunto Presidente Hugo Chávez, come nuovo Ministro del Petrolio e delle Miniere al posto di Rafael Ramirez, che passerà al dicastero degli Esteri, a sua volta al posto di Elias Jaua. Ramirez, che ricopriva tale incarico da 15 anni, lascia anche il posto di Presidente della PDVSA, l’azienda pubblica del petrolio, all’ingegnere Elogio del Pino. Promozione anche per il Ministro dell’Economia Rodolfo Marco.
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ANALISI E COMMENTI LA SFIDA DELL’IS E LA STRATEGIA DI OBAMA ALESSANDRO TINTI ↴ Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA A quasi tre anni dal ripiegamento dei contingenti statunitensi, l’incerto destino di Baghdad è nuovamente epicentro delle preoccupazioni dell’amministrazione Obama. La recrudescenza della guerra civile e la vasta offensiva scagliata dall’IS hanno travolto le residue illusioni di un disimpegno responsabile dallo scenario iracheno che l’esecutivo democratico ha tentato programmaticamente di assicurare sin dal proprio insediamento ed hanno anzi imposto un’indesiderata quanto critica proiezione di forza al fine di tamponare lo sgretolamento della contestata sovranità del governo centrale. Se nel biennio 2007-2008 il disegno strategico (“the new way forward”) depositato nelle mani di David Petraeus aveva arginato gli scontri tra le milizie sciite e sunnite, quasi riuscendo ad annichilire la struttura operativa dei jihadisti di al-Qaeda, la situazione odierna appare tuttavia quanto mai insidiosa sia sul piano delle opzioni militari, che su quello degli orientamenti diplomatici (…) SEGUE >>>
UNA NOMINA A MRS. PESC PUÒ CAMBIARE DAVVERO LA POLITICA ESTERA EUROPEA? DAVIDE VITTORI ↴ Nel corso del Consiglio Europeo straordinario 30 agosto dedicato alle maggiori crisi internazionali e alla nomina dei vertici dell’Unione Europea, il Ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini è stata scelta per ricoprire l’incarico di capo della Diplomazia europea. Succedendo ufficialmente dal 1° novembre a Catherine Ashton, la titolare della Farnesina è riuscita a vincere anche lo scetticismo di alcuni Paesi del Centro e dell’Est Europa che ne giudicavano la mancanza di esperienza e la presunta vicinanza alla Russia e che per questo erano maggiormente favorevoli ad una figura come il Ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, o ancora come l’attuale Commissario alla Cooperazione Internazionale, gli Aiuti Umanitari e la Risposta alle Crisi, la bulgara Kristalina Georgieva. Al di là della persona prescelta, la nomina di “Mrs. PESC” può davvero essere decisiva per il futuro della proiezione esterna dell’UE? (…) SEGUE >>>
LA LIBIA È UNO STATO FALLITO? FRANCESCA TABLONI ↴ A tre anni e mezzo dalla rivoluzione che depose il regime quarantennale di Mu’ammar Gheddafi, la Libia è sprofondata nuovamente in una crisi dalla quale non sembra trovare una via d’uscita. Ancora gravemente destabilizzata, incapace di fornire una via politica pacifica alla transizione e di dar vita a istituzioni forti e affidabili, il Paese è diviso in una miriade di entità diverse in lotta fra loro ma accomunate dall’obiettivo 18
di guadagnare una certa posizione di potere nel nuovo corso libico. Gli eventi recenti non rassicurano affatto le autorità nazionali e, soprattutto, la comunità internazionale incapace di intraprendere un percorso comune condiviso e in grado di riunire sotto un’unica bandiera le anime frammentate di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. La totale assenza di ordine pubblico, inoltre, ha alimentato e continua a favorire la crescita e la diffusione di fenomeni collaterali, alcuni dei quali criminali, come il banditismo e il terrorismo (…) SEGUE >>>
LA VALENZA STRATEGICA DEL SAHEL TRA INSTABILITÀ E PROSPETTIVE SIMONE VETTORE ↴ L’enciclopedia Treccani ci ricorda che il termine sahel è l’adattamento in italiano della parola araba sāhil, usata frequentemente in Africa per indicare le pianure costiere (quali quella algerina o tunisina) ma finita, per estensione, a designare tutte le zone di contatto tra deserto e steppa ed in particolare l’orlo meridionale del Sahara, ovvero quell’area di passaggio climatico dall’arido deserto alla più fertile savana. Si tratta, dunque, di un termine nato in ambito squisitamente geografico ma che negli ultimi tempi è entrato prepotentemente nel dibattito (geo)politico occidentale: com’è stato possibile tutto ciò? Di più: cosa ha fatto balzare agli onori della cronaca un’area della quale ci giungevano rade notizie o attraverso le riprese di qualche documentario dedicato a questa inospitale terra oppure, tragicamente, in occasione delle terribili carestie che ne affliggono periodicamente la popolazione? (…) SEGUE >>>
VENEZUELA LA RIVOLUZIONE CHAVISTA AL BIVIO FRANCESCO TRUPIA ↴ La conclusione dei Mondiali di calcio in Brasile sembra aver riaperto improvvisamente i drammatici scenari politici di molte potenze latinoamericane che la stampa internazionale sembrava aver dimenticato durante la manifestazione sportiva. Destano maggiore preoccupazione non solo Brasile e Argentina – quest’ultima per seconda volta in tredici anni in default tecnico –, ma soprattutto il Venezuela ed il futuro del governo di Nicolás Maduro. Dallo scorso 4 febbraio, le guarimbas e le manifestazioni popolari hanno rappresentato la risposta del fronte unico d’opposizione alle momentanee incapacità del governo di Caracas di arginare un collasso economico rischioso per il Paese. Le 42 vittime negli scontri di piazza, molte delle quali funzionari appartenenti alle Forze Armate, nonché gli 800 feriti e i 3 mila arresti, hanno spinto molte organizzazioni in difesa dei diritti umani e la comunità internazionale, Stati Uniti d’America in primis, a monitorare attentamente la situazione venezuelana (…) SEGUE >>>
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A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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