WWW.BLOGLOBAL.NET NUMERO 26/2013, 8 - 14 SETTEMBRE 2013
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RASSEGNA DI BLOGLOBAL OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
BloGlobal Weekly N°26/2013 - Panorama
MONDO - Focus SIRIA - Se il G-20 di San Pietroburgo sembrava aver seppellito qualsiasi possibilità di una soluzione comune e diplomatica alla crisi siriana, e sembrava, anzi, aver dato un’accelerata ai piani di attacco militare anche a seguito del documento congiunto di condanna nei confronti del regime di Assad, la svolta è arrivata inaspettata il 10 settembre quando la Russia ha proposto un piano per trasferire le armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale. Un’opzione praticamente immediatamente accettata da Damasco – che attraverso il Ministro degli Esteri Walid Muallem ha fatto sapere di essere disponibile ad “annunciare dove si trovano le armi chimiche, a cessarne la produzione e a mostrarne le strutture ai rappresentanti della Russia, di altri Paesi e delle Nazioni Unite” così come ad aderire alla Convenzione internazionale per l’interdizione dei gas letali (CWC, del 1993) – e, nonostante le iniziali perplessità, anche dagli Stati Uniti. Dopo tre giorni di intense attività diplomatiche a Ginevra, e non sen© BloGlobal.net 2013
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za che i rispettivi Presidenti si siano dati battaglia anche attraverso le colonne delle maggiori testate internazionali – l’accordo tra le due potenze internazionali è stato così perfezionato nella giornata del 14 settembre tra il Segretario USA John Kerry e il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: entro una settimana Assad dovrà consegnare una lista delle armi chimiche di cui è in possesso indicandone i siti in cui sono custodite e, con decorrenza dall’approvazione dell’intesa russo-americana da parte dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW), l’intero arsenale dovrà essere completamente distrutto entro la metà del 2014. Il testo prevede anche che se la Siria non rispetterà gli accordi si renderanno misure necessarie da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, anche se su questo punto – ossia sulla natura dei provvedimenti, e dunque sul possibile ricorso al Capitolo VII della Carta ONU (legittimazione dell’uso della forza) – il braccio di ferro tra Washington e Mosca continua. Lavrov ha tenuto infatti a sottolineare che, benché il suddetto Capitolo venga citato nel documento finale, l’uso della forza deve comunque ritenersi escluso. Obama dal canto suo continua a lanciare avvertimenti e, dopo aver chiesto al Congresso di rinviare il voto sull’azione militare per non lasciare nulla di intentato, ha comunque dichiarato che nulla può essere ancora totalmente escluso e che l'America "manterrà le sue posizioni militari nella regione e continuerà a far pressione sul regime di Assad". “Deve essere chiaro – continua – che i colloqui in corso non possono essere una tattica che porti di nuovo allo stallo”. Mentre gli alleati degli Americani, ad iniziare da Gran Bretagna e Francia (quest’ultima peraltro promotrice di un codice di condotta secondo il quale i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza rinuncino ad utilizzare il diritto di veto in caso di stragi di massa), si sono sostanzialmente dichiarati soddisfatti dei termini dell’accordo, per il gruppo d’opposizione della Coalizione Nazionale Siriana – nel frattempo nuovamente alle prese con un cambio di vertice (Ghassam Hitto ha lasciato il posto al filo-qatarino moderato Ahmad Tumeh, gradito anche a Ryadh) – l’intesa è perfettamente inutile: il Generale Salim Idris ha difatti avvertito sugli spostamenti dei materiali chimici verso l’Iraq e il Libano. E mentre anche la Cina – alleato più “invisibile” della Siria e braccio destro della Russia in seno al Consiglio Sicurezza – auspica il prosieguo della soluzione diplomatica (quantunque sembrerebbe aver inviato verso le coste siriane una landing ship dock “Jing Gang Shan”, un tipo di nave militare per operazioni anfibie con parco elicotteri), una voce fuori dal coro – e implicitamente rivolta anche all’Iran – è rappresentata da Israele secondo cui “Il mondo deve essere certo che chi usa le armi di distruzione di massa pagherà un prezzo”. Adesso la palla è dunque nelle mani delle Nazioni Unite, le quali lunedì 16 settembre dovrebbero rendere noto l’esito sulle indagini avviate nei sobborghi di Damasco all’indomani dell’annuncio dell’uso di sarin. Finora è stato pubblicato il Rapporto della Commissione d’inchiesta guidata da Paulo Pinheiro che ha esaminato il periodo che va dal 15 maggio al 15 luglio e in cui si sottolinea che le denunce pervenute sull'uso di armi chimiche riguardano “prevalentemente” le forze governative, ma che non è stato possibile raggiungere una conclusione su chi realmente le abbia usate. Allo stesso tempo il rapporto accusa i lealisti di aver massacrato, torturato e fatto sparire civili, bombardato ospedali e commesso altri crimini di guerra nelle offensive lanciate per recuperare i territori conquistati dai ribelli. Qualora dovesse venire accertata la responsabilità di Assad nell’attacco chimico del 21 agosto, infine, non può poi del tutto escludersi il suo deferimento alla Corte Penale Internazionale – soluzione peraltro perorata dal Ministro degli Esteri italiano Emma Bonino – come d’altra parte ha lasciato intendere Ban Ki-Moon, definitosi “sicuro che ci sarà un processo per accertare le responsabilità di Assad quando tutto sarà finito”. Quanto, infine, proprio al ruolo dell’Italia: nonostante Bonino e Mauro abbiano continuato a sostenere la contrarietà all’intervento senza base ONU, non solo il Presidente del Consiglio Letta ha firmato il documento a 12 di San Pietroburgo, quanto sembrerebbe che dopo l'invio del cacciatorpediniere "Andrea Doria" nel Mediterraneo orientale – ufficialmente a tutela dei soldati italiani dell'UNIFIL che opera in Libano del sud - il governo italiano dovrebbe approvare una nuova missione a difesa della capitale giordana Amman attraverso il posizionamento di due batterie del sistema antiaereo e antimissile balistico mobile Samp/t del 4° reggimento artiglieria contraerea 'Peschiera' di Mantova. Un impegno che potrebbe constare di 200 militari italiani tra artiglieri, unità logistiche e forze di sicurezza. UNIONE EUROPEA – Il 12 settembre il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza il nuovo pacchetto legislativo UE (SSM – “Supervisory Mechanism”) sulla supervisione bancaria da parte della Banca Centrale Europea: 559 sì, 62 no, 18 astenuti per il testo preparato dalla cristianodemocratica belga Marianne Thyssen sul regolamento che attribuisce alla BCE i compiti di supervisione unica; 556 sì, 54 no e 28 astenuti per la relazione dell'ambientalista tedesco Sven Giegold sul rego-
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lamento che adatta le competenze dell'Autorità Bancaria Europea (EBA, preposta al coordinamento della vigilanza su tutti i 28 Stati membri). Da settembre 2014 l’Eurotower eserciterà direttamente la sua sorveglianza sugli istituti di credito sistemici, vale a dire quelli che hanno attivi superiori a 30 miliardi di euro oppure costituiscano più del 20% del PIL ed il loro valore sia superiore ai 5 miliardi di euro (numericamente si tratta di almeno 150 fra le più grandi banche europee). Per tutte le altre banche la supervisione sarà esercitata dalla BCE attraverso le autorità nazionali. Il sistema sarà obbligatorio per tutti i Paesi della zona euro, ma sarà anche aperto a tutti gli altri Paesi dell'Unione Europea, come Gran Bretagna e Polonia che potranno decidere se aderirvi successivamente. Raggiunto al termine di un processo avviato in occasione del Consiglio europeo di giugno 2012, questo voto segna un passo decisivo – come ha dichiarato anche il Governatore Mario Draghi – “nel creare l'Unione bancaria, elemento chiave di una vera unione economica e monetaria”. Rivendicando il ruolo della BCE, che ha mantenuto la stabilità dei prezzi in linea con il suo mandato nonostante la peggiore crisi dagli anni '30, Draghi ha asserito che “l'euro funziona” e che “per prosperare nell'unione monetaria, i Paesi devono assicurare una convergenza sostenibile”, anche se questa al momento richiede aggiustamenti economici dolorosi. Non di meno questo voto è stato possibile grazie all’intesa decisiva tra Parlamento e BCE sui metodi di trasparenza e di raccordo tra le due Istituzioni, che sostanzialmente amplia i poteri del primo e bilancia gli ampi margini di manovra concessi al secondo: il Parlamento – e in particolare la sua commissione economica – avrà infatti ampio accesso a tutta una serie d'informazioni, in particolare attraverso la ricezione di un rapporto completo delle riunioni del Comitato di Supervisione, incluso un elenco commentato delle decisioni assunte; il Presidente del Comitato di Supervisione sarà inoltre tenuto a comparire regolarmente davanti all’Assemblea. Questa avrà anche il potere, insieme al Consiglio, di approvare il Presidente e il Vicepresidente del Comitato di Supervisione e di richiederne la rimozione. I deputati europei potranno inoltre investigare su possibili errori da parte del supervisore e porre domande dirette all''autorità di vigilanza per iscritto e ricevere rapidamente una risposta. Il compromesso spiana così la strada alla realizzazione degli altri due pilastri, le cui trattative sono tuttavia ancora più delicate: la creazione del meccanismo unico di gestione delle crisi bancarie (ossia risanamento e chiusura degli Istituti) – in grossa parte impiantato a giugno, pur con le resistenze della Germania nei confronti del ruolo della Commissione e della natura del fondo di intervento (vale a dire il “fondo comune”) – e la costituzione dell’assicurazione comune dei depositi.
MONDO - Brevi ABKHAZIA (GEORGIA-RUSSIA), 9 settembre – Il primo segretario dell'Ambasciata russa in Abkhazia, Dmitri Visherev, è stato ucciso a Sukhumi, capitale della regione. Come affermato dal Ministro degli Esteri abkhazo, Maxim Gvinjia, è sconosciuto sia l’attentatore sia il movente dell’omicidio, ma gli inquirenti non sembrerebbero escludere nessuna pista. Tra quelle maggiormente battute si seguono quella indipendentista e quella del terrorismo caucasico. L’Ambasciatore russo in Abkhazia, Semyon Grigoryev, ha definito l’omicidio “un atto di terrorismo volto a destabilizzare il rapporto di amicizia tra Mosca e Sukhumi”, visto che il delitto di Visherev è avvenuto nel giorno dell’anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra Russia e Abkhazia. Quest’ultima si è autoproclamata indipendente dalla Georgia già nel 1992, dopo che Tbilisi si era a sua volta staccata dall’URSS solo un anno prima. Ne seguì una guerra civile tra le forze georgiane e gli indipendentisti abkhazi, quest’ultimi appoggiati dalla Russia, che portò dapprima alla firma di un trattato di pace sotto egida ONU nel 1993 – ma mai effettivamente implementato – e, in secondo luogo, a una seconda dichiarazione di indipendenza di Sukhumi nel 1994. La questione abkhaza ritornò all’attenzione internazionale solo nel 2008, in concomitanza della guerra russo-georgiana, quando la repubblica caucasica si dichiarò nuovamente indipendente e venne riconosciuta immediatamente da Mosca, la quale riconobbe l’indipendenza anche dell’Ossezia del Sud, mantenendo su entrambi i territori una forte presenza militare. In particolare il Cremlino esercita nei confronti di Sukhumi un vero e proprio controllo territoriale sia dal punto vista economico-militare – qui si trovano 1.600 militari russi a difesa dei confini e il 64% dei finanziamenti che riceve la piccola repubblica caucasica giungono da Mosca –, sia grazie alla non trascurabile presenza di cittadini di origine russofona (secondo un censimento del 2011 sarebbero la quarta etnia del Paese con il 9,1% della popolazione totale). Tuttavia l’ingombrante presenza russa sta diventando un problema non solo per la Georgia, la quale recentemente grazie all’elezione lo scorso ottobre a Primo Ministro del candidato filo-russo Bidzina Ivanishvili sta provando a normalizzare i
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propri rapporti diplomatici con Mosca, ma anche per gli stessi abkhazi che vedono nella politica del Cremlino un pericolo di russificazione del Paese e temono che l’omicidio Visherev possa deteriore ulteriormente i già pessimi rapporti con la Georgia. ALGERIA, 11 settembre – Dopo settimane di tensioni sociali e politiche, è giunto inaspettato un importante rimpasto di governo nel Paese nordafricano, da diversi mesi attraversato da una profonda instabilità provocata sia dalle incerte condizioni di salute del Presidente Abdelaziz Bouteflika, sia dalle non esaltanti performance della sua economia legata a doppio filo con le variabili che colpiscono il settore energetico (vedi scandalo Sonatrach). Bouteflika ha epurato diversi membri noti dell’attuale esecutivo tra cui spicca Mourad Medelci, ex Ministro degli Esteri e ora sostituito con il diplomatico di lungo corso Ramtane Lamamra. Proprio Medelci nelle passate settimane si era reso protagonista di alcune importanti iniziative nella lotta al terrorismo nel Maghreb e nel Sahel, che di fatto hanno impegnato l'Algeria (da sempre recalcitrante a collaborazioni che abbiano implicazioni militari) ad una alleanza operativa con i Paesi vicini dell’area. Altri cambi – che hanno in tutto coinvolto 11 dicasteri – hanno colpito i Ministeri chiave degli Interni e della Giustizia guidati da Daho Ould Kablia e Mohamed Chorfi – figure molto forti all’interno del regime algerino e in passato considerati possibili successori a Bouteflika – ora sostituiti con personalità più vicine alla Presidenza come Tayeb Belaiz, ex Presidente della Corte Costituzionale, incaricato anche delle Collettività locali, e Tayeb Louh, già Ministro del Lavoro. Infine, oltre alla prevedibile sostituzione di Chakib Khelil (invischiato in prima persona nello scandalo Sonatrach) con Youcef Yousfi al dicastero dell’Energia e delle Miniere, un cambio non meno importante ha toccato anche la Difesa nazionale. Infatti, il Capo di Stato Maggiore dell’esercito algerino Ahmed Gaid Salah è diventato Vice Ministro della Difesa nazionale. Ricordiamo che il Presidente della Repubblica detiene anche la carica di Ministro della Difesa, proprio a sottolineare il collegamento indissolubile tra esercito e apparati politici. Un rimpasto che tuttavia non ha toccato la guida dell’esecutivo, rimasta saldamente nelle mani di Abdelmalek Sellal, oggi più che mai possibile successore di “Boutef”. Questa operazione portata avanti a sorpresa dal Presidente, nonostante la sua malattia, sembra segnare il ritorno sulla scena del vecchio leone della politica nordafricana in vista delle presidenziali della primavera del 2014 e allo stesso tempo sembra lanciare un messaggio a tutti coloro che in questi mesi avrebbero tramato alle sue spalle per gestire la sua eredità politica. Dal ritorno in patria in luglio dopo sette mesi di degenza e cure in Francia, Bouteflika non avrebbe escluso una sua candidatura alla presidenza per quello che sarebbe il suo quarto mandato. Eventualità, questa, che verrà probabilmente ufficializzata nei prossimi mesi solo dopo la modifica della Costituzione. COREA DEL NORD, 12 settembre – Secondo immagini catturate da un satellite USA, il governo nordcoreano avrebbe ripreso i lavori di arricchimento del plutonio per produrre armi nel reattore nucleare di Yongbyon. Le fotografie, scattate il 31 agosto e pubblicate dalla John Hopkins University di Washington e da un istituto di ricerca USA, mostrano del vapore bianco che si leva da un edificio vicino alla sala del reattore che contiene le turbine. Dopo la denuncia di Washington, anche Mosca ha confermato la notizia tenendo però a precisare che “non é chiaro se il reattore sia stato già riattivato o meno”. Subito allertato il governo sudcoreano che, dopo aver portato a termine con successo il negoziato per la riapertura del distretto industriale di Kaesong lo scorso 14 agosto, sta ora analizzando le immagini e le notizie a sua disposizione. Come ha spiegato una fonte del Ministero degli Esteri di Seul, al momento l’intelligence non può confermare il riavvio del reattore. Ad aprile Pyongyang aveva annunciato l'intenzione di riattivare il reattore che secondo gli esperti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) ha una capacità di 5 megawatt ed é in grado di produrre circa 6 chilogrammi di plutonio bellico all'anno. Già nel 2007 grazie ai colloqui sul disarmo nucleare portati avanti dal Six Party Talks (Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone, Cina, Stati Uniti e Russia) il reattore era stato spento in cambio di aiuti alimentari ed economici poi congelati nel 2009 a causa della non interruzione del programma nucleare nordcoreano. EGITTO, 11-12 settembre – Il Presidente ad interim Adly Mansour ha prorogato di due mesi lo stato di emergenza in vigore dallo scorso 14 agosto in tutto il Paese – mentre in 11 province è stato istituito il coprifuoco – a causa delle violente proteste scoppiate nelle piazze di Rabaa al-Adawiya e al-Nahda al Cairo a seguito del tentativo di esercito e polizia di svuotare i due presidi quasi permanenti dei filo-islamisti. Le autorità giustificano la misura parlando di una situazione critica della sicurezza interna. Infatti, dopo il colpo di Stato del 3 luglio scorso che ha deposto il Presidente Mohamed Mursi, si sono avuti, da un lato, ripetuti incidenti e violenze tra autorità e Fratelli Musulmani e, dall’altro, si è assistito ad un’escalation di tensioni nel Sinai, sempre più fuori control-
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Da settimane, infatti, nella penisola sinaitica si ripetono con regolarità attacchi contro i check-point militari e delle forze di polizia, in particolare nella zona tra il villaggio di Sheikh Zuweyyd e Rafah, vicino al confine israeliano e la Striscia di Gaza. In questa area del Nord Sinai sono attivi gruppi jihadisti e terroristi come Jama'at Ansar Bayt al-Maqdis (JABM) – considerato questo vicino ad alQaeda –, Ansar Jerusalem e al-Salafiyya al-Jihadiyya (ASAJ) autori di attentati sanguinari come quello avvenuto l’11 settembre a Rafah presso il quartier generale dell’intelligence egiziana nella regione che ha causato la morte di almeno 30 persone. Come riferito dall’agenzia di stampa egiziana Mena, a seguito dei due attacchi le autorità cairote hanno ordinato nuovamente la chiusura del valico di Rafah. L’attentato al comando locale dell’intelligence e quello fallito la scorsa settimana al Cairo contro il Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim sono stati entrambi rivendicati dallo JABM. L’azione dei gruppi estremisti attivi nella regione è una riposta alla dura controffensiva portata avanti dall’esercito egiziano dallo scorso agosto. KOSOVO-MACEDONIA, 11 settembre – Da settimane procede una sorta di guerra commerciale tra Macedonia e Kosovo che ha creato una situazione di blocco totale alla frontiera tra i due Paesi balcanici. Pristina, che non ha digerito la scelta di Skopje di introdurre una tassa d'ingresso nel Paese per i cittadini e mezzi provenienti dal Kosovo, ha deciso di vietare l'import di tutti i prodotti e delle merci macedoni all’interno dei propri confini. La complessa questione ha avuto inizio tre anni fa, quando la Macedonia, nel quadro di misure protezionistiche, ha imposto limitazioni all'importazione di grano e farina dal Kosovo il quale, a sua volta, ha risposto col blocco ai prodotti caseari provenienti dalla Macedonia. Situazione, questa, che ha portato ad un forte deterioramento delle relazioni bilaterali e che non promette una risoluzione in tempi brevi. Infatti, tutti i tentativi di risolvere la controversia non hanno avuto esito e sono falliti anche i contatti condotti finora a livello governativo dai due Premier, il macedone Nikola Gruevski e il kosovaro Hashim Thaci, col risultato che si assiste ad una costante e pericolosa escalation di tensioni. La Macedonia esporta in Kosovo beni per 392 milioni di euro, a fronte dei 29 milioni di merci importate dal Kosovo. NORVEGIA, 8 settembre – Dopo otto anni di governo progressista dell’ex Premier Jens Stoltenberg, il Paese scandinavo ha voltato pagina votando la coalizione di destra guidata da Erna Solberg. Il blocco di centro-destra formato da conservatori, Partito del Progresso, liberali e cristiano-democratici ha conquistato una maggioranza di 96 seggi su 169 totali (53,9%), contro i 72 (40,5%) della coalizione di sinistra. Il Partito laburista è stato comunque il più votato, con il 30,9% di consensi e 55 seggi, ma ha subito un calo di 4,5 punti rispetto al risultato delle precedenti elezioni del 2009. Il partito conservatore della Solberg è cresciuto infatti di quasi 10 punti dal 2009 ma si ferma a 48 seggi, mentre i cristiano-democratici, con 10 seggi, rimangono stabili rispetto alle elezioni 2009. Il nuovo Primo Ministro, soprannominata da alcuni la “Merkel del Nord”, ha aperto alla possibilità di formare un governo che preveda la partecipazione del Partito del Progresso di Siv Jensen, grande protagonista di questa elezione con l’ottenimento di 29 seggi, ma pur sempre in calo di consensi (-6,6%, ossia 12 seggi in meno rispetto al 2009). Il partito populista anti-immigrati e antiIslam che potrebbe entrare per la prima volta in una compagine governativa ha avuto tra i suoi iscritti anche Anders Behring Breivik, autore degli attentati di Oslo e Utoya del 22 luglio 2011 in cui rimasero uccise 77 persone. Proprio da quel massacro si sono candidati 33 giovani laburisti sopravvissuti all’agguato, ma solo quattro di loro sono stati eletti in Parlamento. L'affluenza popolare è stata del 71,4% (5 punti in meno rispetto al 2009), la più bassa nel Paese scandinavo dal 1927. Nonostante la prosperità economica e sociale nazionale garantita dalle entrate petrolifere – tanto da possedere il primo fondo sovrano al mondo legato al settore energetico con oltre 750 miliardi di euro in azioni estere, immobiliare e bond –, l’assenza di debito pubblico, tassi di crescita alti (2,5% nel 2013), tassi di disoccupazione (meno del 3,3%) e di inflazione (all'1%) impensabili per l'area euro, il Paese ha provato ad imprimere una svolta mostrando una così certa voglia di cambiamento. REPUBBLICA CENTROAFRICANA, 9 settembre – Dopo il golpe dello scorso dicembre portato avanti dal gruppo dei ribelli Seleka che ha infine portato alla destituzione del Presidente François Bozizé lo scorso marzo, continuano le tensioni e gli scontri tra sostenitori dell’attuale regime di Michel Djotodia, e quelli del suo predecessore. Ultimo di una lunga serie di attacchi è quello avvenuto a Bossangoa, un villaggio a 250 chilometri a nord-ovest della capitale Bangui, nel quale sono state uccise circa un centinaio di persone da forze fedeli a Bozizé i quali hanno distrutto ponti e altre infrastrutture “per rappresaglia contro la popolazione musulmana”, almeno questa è la ricostruzione diffusa alla stampa dal portavoce del Presidente Djotodia, Guy-Simplice Kodegue. Conferme parziali provengono dalla ricostruzione fornita da Amy Martin, alta funzionaria delle Nazioni Unite nel Paese, secondo cui gli scontri sarebbero stati fra gruppi locali di autodifesa al fianco di combattenti di pro-Bozizé e i ribelli Seleka. Martin ha però preci-
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sato che i combattenti che si contrapponevano ai Seleka non sono stati identificati. Le violenze sono costate l’incarico al Capo di Stato maggiore delle forze di difesa centrafricane, il generale Jean-Pierre Dolle-Waya sostituito con il pari grado Ferdinand Bombayake, già comandante della guardia dell’ex Presidente Ange-Félix Patassé. Bozizé prese il potere con un colpo di Stato nel 2003 e il 24 marzo del 2013 é stato costretto a fuggire dal Paese dopo il fallimento della trattative di pace con i Seleka e che hanno portato alla presidenza Michel Djotodia, uomo vicino ai ribelli rivoluzionari. RUSSIA, 8 settembre – A dieci anni dalle ultime elezioni municipali, si sono tenute nella capitale russa le consultazioni per eleggere il nuovo primo cittadino. A sfidarsi sono stati il sindaco uscente e candidato appoggiato da Putin, Sergey Sobyanin, e il blogger e avvocato Alexei Navalny, del partito Rpr-Parnas (Partito Repubblicano Russo). A spuntarla è stato Sobyanin con il 51,33% dei voti contro il 27,7% del candidato di opposizione, il quale non ha tuttavia riconosciuto la sconfitta e ha annunciato manifestazioni di protesta. Sobyanin era stato nominato sindaco nel 2010 dall'allora Presidente Dmitri Medvedev e su indicazione del Primo Ministro Putin. La decisione di abolire l’elezione alla carica di sindaco per le città di San Pietroburgo e Mosca venne assunta nel 2002 dall’attuale Presidente ed era stata giustificata in un più ampio pacchetto di misure contro il terrorismo. Da allora i sindaci delle due principali città russe sono stati nominati dal Capo di Stato e approvati dai rispettivi parlamenti cittadini – entrambe le città godono di uno status speciale di città federate. La misura è stata poi rimossa a seguito della dimissioni di Sobyanin lo scorso giugno. L’affluenza alle urne è stata bassissima (circa il 33%) anche a causa di scandali e accuse di brogli da parte soprattutto di Navalny, il quale ha accusato la commissione elettorale moscovita di aver falsificato i dati della partecipazione popolare. Nonostante la sconfitta, il risultato ottenuto dall’anti-Putin – noto soprattutto ai media occidentali per le sue campagne anti-sistemiche contro la corruzione e per essere stato condannato in primo grado a cinque anni per frode e malversazione lo scorso 18 luglio dal tribunale di Kirov, in quello che egli ha sempre definito un processo politico – secondo molti opinionisti è un risultato inatteso e ha contribuito a “vivacizzare” il dibattito politico russo. YEMEN, 13 settembre – Un attacco di un drone statunitense ha ucciso a Manasseh, piccolo villaggio nella provincia di Bayda, nel Sud del Paese, Qaeed al-Dhahab, un membro di alto livello di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). La conferma dell’uccisione è giunta dallo stesso gruppo terrorista attraverso un comunicato su internet, in cui ha parlato di “guerra degli Stati Uniti contro la sharia islamica”. Qaeed al-Dhahab – che il 30 agosto era scampato ad un altro attacco drone sempre nella stessa località – aveva combattuto in passato in Iraq ed era fratello di Tarek, un altro leader del gruppo che nel gennaio 2012 aveva preso d’assalto la cittadina yemenita di Radah, sempre nella provincia di Bayda. La morte di al-Dhahab rappresenta dunque un altro duro colpo alla stessa organizzazione fondamentalista anche in virtù dell’intensificarsi di attacchi con droni da parte degli Stati Uniti che il 17 luglio scorso hanno ucciso Sheikh Said al-Shihri, alias Abu Sufyan al-Azdi, altro leader di punta di AQAP. Da luglio Washington ha effettuato diverse decine di raid nelle zone orientali, meridionali e sud-orientali del Paese, in particolare nella zona dell’Abyan, uccidendo una quarantina di presunti militanti islamisti. Secondo la rivista The Long War Journal da inizio anno sono stati 22 gli attacchi di droni americani in Yemen.
ANALISI E COMMENTI ELEZIONI IN AUSTRALIA: IL RITORNO DEI LIBERALI di Vincenza Lofino – 10 settembre 2013 Il 7 settembre 2013 la coalizione dei liberali ha vinto le elezioni generali australiane con il 53,1% delle preferenze contro il 46,8% del Partito laburista e potrà ora godere di una maggioranza confortevole dei seggi in Parlamento (150 in tutto): 88 contro i 57 dei laburisti, questi ultimi al potere negli ultimi sei anni. Insieme ai due principali schieramenti, ben altri cinquanta partiti hanno partecipato alle consultazioni, tra i quali i Verdi, il Palmer United Party – guidato dal miliardario Clive Palmer – e il Wikileaks Party di Julian Assange che non è riuscito ad andare oltre l’1,19% e ad entrare in Parlamento mettendo così fine all’esilio nell’Ambasciata ecuadoriana a Londra del suo fondatore. Tutte queste formazioni si sono avvantaggiate dalla frammentazione
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della base elettorale laburista. Tony Abbott, leader della “Coalizione” (intesa formata da Liberal Party, National Party, Country Liberal Party e Liberal National Party), ha conquistato la vittoria dichiarando: “L’Australia è sotto una nuova gestione e l’Australia è di nuovo aperto al business” promettendo un governo più “competente e affidabile“. Abbott, 55 anni, cattolico conservatore, soprannominato dai suoi nemici Mad Monk (monaco pazzo), accusato di misoginia e protagonista di una lunga serie di gaffe, potrebbe essere considerato un vincitore “miracolato” più dai recenti disastri dei laburisti che da una vera opposizione da lui rappresentata. [continua a leggere sul sito]
ISRAELE-PALESTINA: NEGOZIATI COL FRENO A MANO TIRATO di Giuseppe Dentice – 13 settembre 2013 A distanza di vent’anni esatti dai celebri Accordi di Oslo – firmati il 13 settembre 1993 – il più antico contenzioso della storia contemporanea rischia nuovamente di naufragare e di rimanere ancora a lungo una grande speranza incompiuta. I negoziati di pace tra Israele e Palestina sono ripresi ufficialmente lo scorso 30 luglio: le trattative di pace furono interrotte nel 2010 a causa della scelta unilaterale del governo Netanyahu di non congelare il piano di insediamenti a Gerusalemme Est. I primi incontri, interlocutori e preparatori al vero e proprio negoziato, sono avvenuti alla fine di luglio tra Stati Uniti, Israele e Territori Occupati. Il primo incontro è avvenuto a Washington, al Dipartimento di Stato USA alla presenza del Segretario John Kerry e del neo rappresentate per il Medio Oriente Martin Indyk, ex Ambasciatore in Israele durante l’era Clinton, mentre gli altri sono avvenuti tra Gerusalemme e Gerico. A rappresentare le parti sono, per i Palestinesi, il capo negoziatore Saeb Erekat e l’economista Mohamed Shtayyeh, mentre, per gli Israeliani, l’inviato speciale di Netanyahu, Isaac Molho e il Ministro della Giustizia Tzipi Livni – quest’ultima recentemente accusata dal Premier di non aver difeso abbastanza e a dovere gli interessi israeliani avendo concesso troppo ai Palestinesi. [continua a leggere sul sito]
LE VIGNETTE DI BLOGLOBAL di Luigi Porceddu
Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia. BloGlobal Weekly N° 26/2013 è a cura di Maria Serra e Giuseppe Dentice