Bloglobal Weekly N°27/2013

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WWW.BLOGLOBAL.NET NUMERO 27/2013, 15 - 28 SETTEMBRE 2013

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We e k l y

RASSEGNA DI BLOGLOBAL OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

BloGlobal Weekly N°27/2013 - Panorama

MONDO - Focus KENYA - Lo scorso 21 settembre un commando di circa 15 uomini legati al gruppo terroristico somalo al-Shabaab - affiliato ad al-Qaeda - ha preso d'assalto lo shopping center Westgate, nella zona di Westlands, di Nairobi, luogo molto frequentato da turisti e classificato dalle agenzie di intelligence nazionali ed internazionali come un obiettivo sensibile. Il bilancio, tuttavia non ancora definitivo, è di 62 morti e 175 feriti. Dopo aver risparmiato e scortato fuori dall'edificio i musulmani presenti sul posto, i mujaheddin hanno preso in ostaggio circa 20 cittadini stranieri - prevalentemente occidentali - costringendoli ad indossare giubbetti esplosivi. Le forze di sicurezza keniote, supportate dai reparti speciali britannici e israeliani, hanno impiegato tre giorni per mettere in sicurezza l'edificio e arrestare gli 11 miliziani (altri 5 sarebbero morti durante l'agguato). Il commando sarebbe stato composto da miliziani di etnia somala ma residenti all'estero (Finlandia, Svezia e Stati Uniti) raccolti grazie alle due © BloGlobal.net 2013


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cellule terroristiche di al-Shabaab presenti nel Paese, il Muslim Youth Center e l'Hijrah. Un ruolo importante sarebbe stato rivestito da Samantha Lewthwaite, cittadina britannica sposata con Jermaine Lindsay (uno degli attentatori di Londra nel luglio 2005), meglio conosciuta con in nome di "vedova bianca": La Lewthwaite, per la quale è stato emesso un ordine di cattura internazionale, sarebbe riuscita ad entrare nel Paese africano utilizzando un passaporto sudafricano con il nome di Natalie Faye Webb. L'attacco - che per molti aspetti ricorda quello di Mumbai del 2008 ad opera di Lashkar-e-Taiba - va certamente ricondotto all'impegno keniota nell'ambito della missione di stabilizzazione African Union Mission in Somalia (Amisom) e dell'operazione militare "Linda Nchi" che si occupa di arginare anche le minacce terroristiche del gruppo in questione. Il Kenya, che gioca un ruolo centrale negli equilibri strategici dell'Africa centro-orientale, è stato già più volte oggetto di attacchi: solo nell'ultimo anno si sono verificati 60 attentati sia nella capitale sia nelle maggiori città (Mombasa e Garissa), con la morte di centinaia di persone. Ad esser presi di mira dalla milizie al-Shabaab non solo obiettivi militari ma anche civili. Nonostante il gruppo terroristico abbia subito negli ultimi anni un deciso ridimensionamento (sia nel numero di unità sia di territori controllati) e nonostante sia caratterizzato da sempre più evidenti divisioni interne (acuitesi dopo l'uccisione di Fazul Abdullah Mohammed, l'ideatore degli attentati di Kampala del 2010, da parte dei soldati del governo transitorio-TFG) che hanno provocato una certa frammentazione in tre grandi tronconi, esso è ben lontano dall'essere neutralizzato e ciò anche grazie sia alla strategia di reclutamento internazionale dei suoi membri sia ai continui contatti con le altre realtà terroristiche (AQAP, AQMI e Boko Haram). SIRIA - Dopo lunghe settimane di incertezza, la diplomazia sembra aver per il momento trovato una soluzione - pur se decisamente parziale - alla crisi siriana: all'intesa del 14 settembre tra Stati Uniti e Russia - in seguito alla quale non sono mancati gli scontri circa la definizione delle misure sanzionatorie - è seguito infatti l'accordo in sede ONU sullo smantellamento dell'arsenale chimico del regime di Bashar al-Assad. Al termine di una lunga maratona negoziale, nella notte tra il 27 e il 28 settembre i 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno adottato all'unanimità una risoluzione - dal carattere vincolante e dunque la prima del genere dall'inizio della crisi siriana nel 2011 - sul disarmo in questione: 22 paragrafi che - e questo è il punto principale - stati elaborati al di fuori del Capitolo VII della Carta ONU che prevede, tra le altre cose, il ricorso all'uso della forza in caso di inadempienza a quanto disposto dalla risoluzione stessa. L'unico riferimento all'intervento armato è contenuto nel paragrafo 21 in cui tuttavia si specifica che questo avviene senza automatismi ma solo attraverso il ricorso ad un'ulteriore risoluzione che faccia direttamente capo al Capitolo VII. Il documento condanna una volta per tutte qualsiasi uso di armi non convenzionali e impone a tutte le parti - comprese le opposizioni dunque - il divieto di produrre, acquistare o trasferire le stesse. Gli Stati membri dell'ONU si devono altresì astenere dal fornire qualsiasi supporto - tecnico o finanziario - a chi tenti di produrre o trasferire le armi chimiche. La prossima settimana potrà così partire la missione dell'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW) che potrà avere accesso a qualsiasi altro sito identificato da uno Stato e non soltanto - si legge nel comunicato dell'ente ai depositi di stoccaggio già dichiarati da Damasco. Su questo punto, tra l'altro, l'ONU è già attiva con ulteriori indagini che starebbero accertando l'utilizzo di armi chimiche in almeno altri tre attacchi dopo quello del 21 di agosto nel Gohuta Orientale (a Bahhariya, a Jobar e ad Ashrafieh Sahnaya). Il rispetto dei dettami dell'OPCW e del Consiglio di Sicurezza, con un smantellamento entro la prima metà del 2014, verrà verificato su base regolare dopo i primi 30 giorni dall'adozione della risoluzione e quindi una volta al mese. Quanto all'aspetto tecnico sulla dismissione dell'arsenale, i Paesi europei si sono dichiarati favorevoli a offrire il proprio supporto: il Ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle ha dichiarato nel corso della 68esima Assemblea Generale che la Germania è pronta a dare il proprio contributo logistico e finanziario; anche l'Italia si è detta disponibile a mettere a disposizione velivoli militari per il trasporto dall'Olanda in Siria di materiali ed esperti internazionali di armi chimiche. Un punto più delicato, su cui tuttavia l'ONU non riuscirà probabilmente ad avere la stessa incisività, resta quello della soluzione reale del conflitto sul campo. Ribelli e lealisti continuano a combattere e, solo nelle ultime ore, a Rankus, a 30 Km dalla capitale, un'autobomba fatta esplodere all'uscita dei fedeli da una moschea ha causato la morte di almeno 30 persone; raid delle forze di Assad avrebbero peraltro bombardato una scuola superiore a Raqqa, uccidendo 12 persone. Ai paragrafi 16 e 17 il documento fa così riferimento ad una transizione politica in accordo al comunicato della Conferenza di Ginevra del 30 giugno del 2012 che stabilisce una serie di passaggi chiave che iniziano con la costituzione di organi di governo transitori capaci di esercitare pieni


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poteri esecutivi e che potrebbero includere membri dell'attuale governo, delle opposizioni e di altri gruppi sulla base di un accordo comune. Su questo punto, d'altra parte, Damasco è stata chiara: il Ministro degli Esteri Walid al-Moallem ha dichiarato che il suo governo non accetterà alcun piano di transizione che escluda Assad, nemmeno se questa proposta nasce in seno alla Conferenza di Ginevra 2. Quest'ultima è stato esplicitamente richiesto dal Consiglio di Sicurezza che si tenga in tempi brevi (Ban Ki Moon ha dichiarato che punta ad organizzarla per la metà di novembre) e che sia effettivamente rappresentativa del popolo siriano ed impegnata al raggiungimento della stabilità e della riconciliazione. Far sedere le opposizioni (individuando innanzitutto quali) al tavolo delle trattative non sarà ora cosa facile. STATI UNITI/IRAN - L’avvio dei lavori della 68esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stato caratterizzato dal riavvicinamento nei rapporti tra gli Stati Uniti e l’Iran. Mentre era ancora sulla via di New York, il Presidente iraniano, Hassan Rouhani, aveva inviato una lettera al Washington Post in cui chiedeva alla Casa Bianca «di approfittare del mandato che mi ha dato il mio popolo per un prudente coinvolgimento e di rispondere sinceramente agli sforzi del mio governo di impegnarsi in un dialogo costruttivo» in relazione sia alle sanzioni economiche che gravano su Teheran sia alla questione del nucleare. Gli rispondeva Ben Rhodes, vice National Security Advisor, secondo cui «Siamo aperti all'impegno del governo iraniano a vari livelli». Tentando di cogliere il momento favorevole, Washington era arrivata a proporre alla controparte iraniana un incontro bilaterale tra Obama e Rouhani, che però è stato respinto dalla diplomazia di Teheran in quanto, pare, non incline a precorrere i tempi. Anche la Guida Suprema, Ali Khamenei, avrebbe sanzionato i negoziati parlando di «eroica flessibilità» da parte di Teheran. Nel rivolgersi ai delegati degli Stati membri dell’Assemblea Generale dell’ONU, Obama ha quindi affermato che nonostante «gli ostacoli potrebbero rivelarsi troppo grandi, sono fermamente convinto che si debba tentare la via diplomatica. Le parole concilianti dell'Iran devono essere seguite da azioni. Ci potrebbero essere basi per un accordo». Dopo aver incontrato il Presidente francese, François Hollande,(e in seguito anche il Primo Ministro italiano, Enrico Letta) è stato dunque il turno di Rouhani rivolgersi all’Assemblea Generale con toni ben più concilianti del suo predecessore, Mahmud Ahmadinejad; in un discorso che ha visto ripetersi concetti come ‘tolleranza, ‘diritti’ e ‘moderazione’, Rouhani ha affermato che «l'Iran non pone minacce al mondo o alla regione. Il nostro programma nucleare è esclusivamente pacifico, chiediamo rispetto e collaborazione. I risultati delle elezioni hanno mostrato la scelta del popolo iraniano per la razionalità e la moderazione sull'estremismo», dichiarandosi infine pronto ad un dialogo diplomatico. Ulteriore segno di distensione nei confronti degli Stati Uniti e dei suoi alleati è stato il riconoscimento dell’Olocausto in una intervista concessa alle emittenti televisive americane, definito «un crimine riprovevole», fatto fin lì negato proprio da Ahmadinejad. Rouhani si è inoltre augurato di raggiungere un accordo con Washington in tempi brevi, «tre mesi, ma anche sei mesi andrebbero bene», e ha invitato Israele ad unirsi al Trattato di Non Proliferazione Nucleare. A margine dell’inaugurazione del lavori dell’AG, e nonostante il vertice Obama-Ruohani fosse saltato, si è tenuto l’incontro tra il Segretario di Stato, John Kerry, e il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Zarif, in cui si è raggiunto un accordo per riprendere i negoziati diretti sul nucleare del 5+1 (Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina + Germania) il 15 ottobre a Ginevra; Kerry ha dichiarato di aver percepito un approccio «molto differente e costruttivo» da parte di Teheran, benché per il momento la revoca delle sanzioni economiche resti ancora lontana. Infine, da segnalare il primo colloquio diretto al massimo livello, benché telefonico, dal 1979 tra Iran e Stati Uniti, grazie ad Obama che si è messo in contatto con Rouhani chiedendogli ancora una volta «azioni significative, verificabili e trasparenti che potrebbero portare ad un alleggerimento delle sanzioni economiche».

MONDO - Brevi AFRICA OCCIDENTALE (NIGERIA/MALI), 17-27 settembre – E' di almeno 143 vittime il bilancio delle vittime dell'attentato terroristico avvenuto lo scorso 17 settembre a Benisheik, nello Stato di Borno, nella Nigeria nord-orientale. L 'attacco, ad opera del gruppo fondamentalista di Boko Haram e condotto anche nelle aree limitrofe alla città e nella strada che unisce Maiduguri (la capitale di Borno) con Damaturu (capitale dello Stato di Yobe, altra area sensibile all'azione dei Boko Haram) dove sono state incendiate case ed edifici, è probabilmente una risposta al raid compiuto dalle forze di sicurezza di Abuja lo scorso 12 settembre contro un


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campo fortificato del gruppo in cui avrebbero perso la vita 150 islamisti oltre a 16 soldati nigeriani. Salta così definitivamente il già precario accordo di pace tra ribelli e Governo raggiunto lo scorso 8 luglio. A rischio rottura è anche l'intesa trovata lo scorso 18 giugno tra i ribelli tuareg del nord del Mali e il governo di Bamako: i ribelli del Movimento Nazionale di Liberazione dell'Azawad (Mnla), dell'Alto Consiglio per l'Unità dell'Azawad (Hcua) e del Movimento Arabo dell'Azawad (Maa) hanno infatti deciso di sospendere l'accordo accusando il governo centrale di non aver rispettato le condizioni, specialmente con riferimento alla mancata scarcerazione dei detenuti ribelli nelle carceri di Bamako e, in particolare, allo status della regione settentrionale. Su questo punto il neo-Presidente Ibrahim Boubacar Keita è stato chiaro: il suo governo non negozierà mai l'integrità del Mali. Nel nord continuano intanto le scorrerie dei tuareg nelle zone di Gao e Kidal e l'emissario ONU per il Sahel, Romano Prodi, ha dichiarato che il livello di fragilità resta alto e che la possibilità di attività terroristiche resta elevata. CINA, 22 settembre – Bo Xilai, già membro di lungo corso del Politburo del Partito Comunista cinese, leader carismatico ed ambizioso nonché stella nascente nella politica cinese che aveva fatto rivivere il ricordo di Mao Zedong, è stato condannato al carcere a vita dopo essere stato trovato colpevole di corruzione; è stato inoltre condannato a quindici anni per appropriazione indebita e sette anni per abuso di potere. È stato un verdetto di colpevolezza ampiamente preventivabile, dato che il caso di Bo Xilai rientra in una lotta di potere in cui i vertici del Partito Comunista, attualmente a capo della nazione e contrari ad un ritorno al maoismo, controllano i tribunali e, più in generale, l’intero sistema giudiziario. Il caso di Bo Xilai era difatti da lungo tempo ad alta sensibilità politica. La sentenza, letta domenica scorsa da un giudice di un tribunale della provincia di Shandong nella Cina orientale, lo ha quindi privato con l’ergastolo dei suoi diritti politici e gli ha confiscato tutti i beni personali, tentando di sottrargli il seguito politico. Da segnalare però che né i sostenitori né gli oppositori di Bo Xilai sono sembrati sollevati del contenuto della sentenza, sottolineando anzi il delicato equilibrio che il Partito Comunista ha dovuto prima affrontare e poi intaccare nel condannare uno dei suoi leader più anziani e seguiti. Bo Xilai ha tempo dieci giorni dal pronunciamento del giudice per presentare ricorso, che comunque difficilmente potrà essere accolto. EGITTO, 23 settembre – Accettando il ricorso presentato dal partito di sinistra el-Tagammoe, il Tribunale del Cairo - con una sentenza di primo grado - ha stabilito la messa al bando della Fratellanza Musulmana e delle organizzazioni, anche politiche, ad essa collegate, oltre alla relativa confisca dei beni e al sequestro di tutti gli immobili. L'accusa nei confronti della confraternita - riconosciuta dallo scorso marzo come organizzazione non governativa per evitare altri ricorsi basati sul non rispetto dei criteri di affiliazione partitica - è di stoccaggio di armi all'interno dei propri uffici e di organizzazione di attività illegali. La decisione segue peraltro in qualche modo la recente proposta da parte del Premier el-Beblawi di scioglimento di tutti i partiti e movimenti di chiara ispirazione religiosa, piano che poi non ha più avuto un reale seguito. Ibrahim Monier, esponente della Fratellanza, ha dichiarato che si tratta di "una decisione totalitaria" e che questo giudizio non inciderà né sulle attività né sul coinvolgimento del movimento all'interno della vita politica egiziana. La reazione non si è fatta attendere nemmeno dai sostenitori dell'ex Presidente Mursi, nuovamente impegnati in scontri con le forze dell'ordine del Cairo. Fondata nel 1928, la Fratellanza Musulmana era già stata bandita nel 1954 dall'allora Presidente Gamal Abdel Nasser e costretta alla clandestinità fino all'apertura (seppur apparente) registratasi negli ultimi anni della Presidenza di Mubarak quando alcuni membri dell'organizzazione hanno potuto correre alle elezioni come soggetti indipendenti. Il resto è storia recente e la dirigenza del movimento - allorché decapitata di molti suoi leader ora agli arresti - ha dichiarato guerra ai Tribunali egiziani. GERMANIA 22 settembre – Come da aspettative, le elezioni federali tedesche per il rinnovo del 18° Bundestag hanno visto la vittoria del Centro Democratico Cristiano (CDU) di Angela Merkel (che ottiene così il suo terzo mandato) con l’appoggio dell’Unione Cristiano-Sociale in Baviera (CSU): con il 41,5% dei consensi (ben il 7,8% in più rispetto al 2009) la coalizione cristianodemocratica ha infatti battuto il Partito Socialdemocratico (SPD) di Peer Steinbrück che si è attestato al 25,7% (che ha comunque guadagnato il 2,7% rispetto alla scorsa tornata elettorale). All’aumento dei consensi nei confronti dei due maggiori partiti è corrisposto non tanto il calo della sinistra (Die Linke) di Gregor Gysi (in calo dall’ 11.9% all’8,6%) e dei Verdi (Grüne) di Jürgen Trittin (passati dal 10,7% all’8,4%), quanto soprattutto il tonfo del Partito Liberale (FDP) di Philipp Rosler – partner del governo uscente (lo stesso Rosler è il Ministro dell’Economia nonché vice della Merkel) –, attestatosi al 4,8% dei voti (-9,8% rispetto al 2009). Resta fuori dal Bundestag per non aver superato la soglia di sbarramento del 5% anche il giovanissimo partito anti-euro AfD


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(Alternative für Deutschland) di Bernd Lucke, che non è andato oltre il 4,7%. L’esito finale è quindi di 311 seggi per CDU/CSU, 192 per SPD, 64 a Die Linke e 63 ai Verdi. Mancata la maggioranza assoluta e con l’alleato liberale fuori dai giochi, lo schieramento di centro-destra sarà dunque costretto a riproporre probabilmente una coalizione con l’SPD, pur essendo quest’ultima – memore del risultato elettorale del 2009 (23%, il peggiore di sempre) – riluttante ad una coabitazione con un CDU reduce invece dal più grande successo dalla riunificazione del 1990. IRAQ/KURDISTAN, 21 settembre – Pur non trattandosi di cifre ufficiali, con il 37% delle preferenze (e dunque con 42 seggi dell'Assemblea di Ebril) il Partito Democratico del Kurdistan (PDK) di Massud Barzani si sarebbe riconfermato alla guida della regione irachena battendo il Movimento per il Cambiamento - MC di Nawshirwan Mustafa e, soprattutto, l'Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) del Presidente Jalal Talabani, che si deve accontentare di arrivare terzo e di ottenere probabilmente solo 18 seggi. A pesare su questo risultato anche le difficili condizioni di salute proprio del Capo dello Stato. Alle consultazioni del 2007 PDK e PUK avevano partecipato con una lista unica ottenendo 70 seggi. Flop dei tre partiti islamici in lista - primo fra tutti il Kurdistan Islamic Union (KIU), la frangia curda della Fratellanza Musulmana -, danneggiati dalle vicende egiziane e dalla guerra dichiarata dai qaedisti contro la minoranza curda in Siria. Al di là del risultato, che fa pendere l'ago dell'alleanza più verso l'ala di Barzani, queste consultazioni rappresentano un momento fondamentale nella vita politica della regione e dell'Iraq: la prima e la più grande sfida è infatti la prospettiva indipendentista del Kurdistan iracheno (che tra l'altro dal punto di vista economico-commerciale agisce già in maniera completamente distaccata dal governo centrale) in un momento in cui, tra l'altro, il Paese è attraversato da divisioni etnico-settarie che rischiano di far scivolare Baghdad in una guerra civile. La seconda questione, invece, sarà la gestione dei rapporti con le altre componenti curde in Turchia, Siria, e Iran, finora non scevri da tensioni. PAKISTAN, 22 settembre – E' di 81 vittime e centinaia di feriti il bilancio di un duplice attacco suicida contro una chiesa cristiana a Peshawar, nel distretto Kohati Gate, a nord-ovest del Paese. Da prime ricostruzioni si sarebbe trattato di due attentatori - morti nella deflagrazione - che avrebbero agito a pochi secondi l'uno dall'altro con circa 6 chili di esplosivo ciascuno al momento dell'uscita dei fedeli dalla messa. Si tratta del più grave attentato nei confronti della minoranza cristiana negli ultimi anni, cosa che ha immediatamente mobilitato migliaia di persone a Lahore, a Karachi, a Faisalabad e nella stessa Peshawar contro le autorità locali accusate di non garantire sufficientemente la sicurezza delle minoranze (quella cristiana rappresenta il 2% della popolazione). A rivendicare l'attentato è stato il gruppo fondamentalista islamico Jundallah, legato ai talebani del Tarek-e-Taliban Pakistan (TTP), e vicino ad al-Qaeda, in ritorsione ai raid droni statunitensi nelle aree tribali del Paese. Ahmed Marwat, portavoce dell'organizzazione, ha infatti dichiarato che "fino a quando i raid di droni non saranno fermati continueremo a colpire, ovunque ne avremo la possibilità, obiettivi non musulmani". Pur deplorando l'episodio, il neo-Premier pakistano Nawaz Sharif ha dichiarato che continuerà la politica di dialogo con i talebani. STATI UNITI, 20 settembre – La Federal Reserve continuerà i suoi sforzi di quantitative easing con miliardi di dollari di nuovi stimoli per sostenere la ripresa dell’economia statunitense, dato che, secondo le stime della stessa FED, l'economia americana è ancora troppo debole per stare in piedi da sola.Gli indici dei mercati azionari sono quindi risaliti a livelli record in quanto gli investitori hanno accolto con favore tale inaspettato annuncio, soprattutto dopo settimane di prospettato tapering, che sembrava dovesse sospendere la politica espansionistica ed intaccare la fiducia dei mercati. Il Presidente della FED, Ben Bernanke, ha evidenziato il «progresso significativo» dell’occupazione americana, benché abbia dovuto comunque riconoscere che gran parte del calo del tasso di disoccupazione è stato dovuto alla rinuncia di molte persone a cercare un posto di lavoro, piuttosto che una vera ripresa nelle assunzioni. La riluttanza della Banca centrale ad allentate le proprie redini sull'economia sottolinea dunque quanto sia fragile la ripresa. La politica espansionista della FED che, come detto, sembrava in fase di conclusione, non ha mancato di causare importanti ripercussioni globali e, in particolare, sulla valuta delle nuove potenze in ascesa, tra cui India, Turchia e Brasile, che hanno dovuto sostenere la propria moneta con un innalzamento dei tassi per fermare la crescente fuga di capitali in direzione dell’America. In parte per tale motivo ed in parte per le nuove accuse sul Datagate, il cui spionaggio pare essersi espanso anche in Sud America, la Presidentessa brasiliana Dilma Roussef ha annullato la sua già programmata visita di Stato alla Casa Bianca. SUDAN, 25 settembre – Sono in corso a Khartoum e nelle principali città del Paese (Omdurman, Wad Madani, Nyala, Port Sudan


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Gedarif, Kosti) violente manifestazioni antigovernative dovute alla profonda crisi economica che sta attraversando la nazione e che ha provocato una caduta della valuta, con un conseguente aumento dei prezzi di generi alimentari e, soprattutto, del carburante, le sovvenzioni dal quale sono state abolite anche a causa delle persistenti tensioni con il Sud Sudan. Sotto accusa la presidenza di Omar al-Bashir (che ha dovuto annullare il viaggio a New York per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) e il suo Esecutivo le cui dimissioni vengono richieste a gran voce. Le Forze Armate sudanesi (SAF) sarebbero intervenute per sedare le proteste sparando ad altezza d’uomo e provocando la morte di almeno 29 persone (secondo i dati rilasciati dal Ministero degli Interni), mentre gli attivisti parlano di più di 140 vittime. Fonti non confermate, inoltre, riferiscono che a Omdurman alcune decine di militari delle forze di sicurezza si sarebbero uniti ai manifestanti mentre altri si sarebbero rifiutati di eseguire gli ordini rassegnando così le dimissioni. E mentre gruppi di opposizione si starebbero formando anche grazie al rilancio di notizie attraverso Twitter - spingendo così il governo ad interrompere per un paio di giorni internet e altri canali informatvi - c'è già chi parla di una "Primavera sudanese". YEMEN, 20 settembre – E' di almeno 65 morti accertati il bilancio dei tre attacchi simultanei lanciati contro alcune basi militari del sud dello Yemen. Secondo le fonti governative l'attacco più grave è quello avvenuto nella caserma di Kamp, nella provincia di Shabwa: 38 morti, tutti addetti alla sicurezza degli impianti petroliferi dell'area. Le stesse fonti asseriscono che le forze di sicurezza yemenite hanno nello stesso giorno sventato un quarto attacco che avrebbe dovuto colpire la regione di Ain Ba'maabad e il terminale di gas di Balhaf. Tali attentati non sono stati ancora rivendicati, ma fonti militari hanno attribuito la responsabilità ad alQaeda nella Penisola Arabia (AQAP), rafforzatosi durante questi due anni di lenta - e pressoché inesistente - transizione politica dopo il regime di Saleh. I principali obiettivi del gruppo terroristico restano infatti militari (oltre alle infrastrutture energetiche, largamente presenti nei territori meridionali), come confermano gli attentati anche a singoli ufficiali della Difesa: sono decine i militari assassinati in sparatorie o fatti saltare in aria con bombe all'interno delle proprie auto. Solo nell'ultima settimana sono stati due gli ufficiali (Alì al-Dilmi, che lavorava all'interno del Dipartimento Finanziario del Ministero della Difesa, e Abdul Wahab Azzam, colonnello delle forze aeree) uccisi a Sana'a.

ANALISI E COMMENTI THE AMERICAN DEBITE: INTERVENIRE MILITARMENTE IN SIRIA? di Davide Borsani – 16 settembre 2013 Uno degli errori più diffusi nell’analizzare la politica estera degli Stati Uniti, soprattutto in chiave comparatistica, è certamente quello di semplificare e ricondurre il processo di decision-making alla contrapposizione tra Repubblicani e Democratici. Come ampiamente dimostrato dalla storiografia, il vero e sostanziale iato – sin dagli albori della Repubblica – si materializza però tra realisti e idealisti e, per diversi gradi a seconda dei momenti storici, tra internazionalisti ed isolazionisti. Il dibattito sul ruolo che gli Stati Uniti dovrebbero adottare nei confronti delle attuali vicende siriane rispecchia, ancora una volta, tale trasversale cesura (in particolare,tra realismo vs. idealismo) che appare in grado di unire, ma anche dividere all’interno, i due partiti. In effetti, come confermato da un recente conteggio del Washington Post dei membri del Congresso pro e contro l’intervento militare, tanto i senatori quanto i deputati di ambo le fazioni si dividono o si uniscono al di là della fedeltà alla leadership politica (od intellettuale) del partito. All’interno del Grand Old Party, la corrente ‘idealista’ neoconservatrice – nonostante l’esperienza non certo positiva dell’amministrazione di George W. Bush – è ancora in grado di produrre una sonora eco e di esercitare una notevole influenza. Il Senatore John McCain, rivale di Barack Obama nella corsa del 2008 alla Casa Bianca e frontman politico di tale corrente, durante gli ultimi due anni ha ricoperto un ruolo centrale nel sollecitare il proprio partito, ma anche il Paese, a sostenere la necessità dell’intervento militare in Siria al fine di favorire un regime change in chiave, ovviamente, democratica. [continua a leggere sul sito]


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DIO HA SALVATO I RE ARABI? di Arianna Barilaro – 19 settembre 2013 Dal dicembre 2010, partendo dalla Tunisia, il Nord Africa e a seguire gran parte del Medio Oriente, sono stati percorsi da un’ondata di rivoluzioni che ha profondamente scosso gli equilibri, sia regionali che internazionali. La comunità internazionale, scioccata dal susseguirsi di questi movimenti, dopo anni in cui le vicende mediorientali venivano analizzate e affrontate solo in chiave “antiterroristica” ed attraverso la lente miope che vedeva l’area vivere in una sorta di paralisi politica e democratica, si è mostrata impreparata e maldestra nel fronteggiare e gestire consapevolmente le crisi dell’area MENA: crisi, non solo politiche, ma sociali, economiche e generazionali. E’ interessante notare come la sopramenzionata “paralisi”, che veniva additata dagli orientalisti come mancanza di pulsione democratica, fosse frutto di una erronea rappresentazione e di superficiali analisi che venivano condotte sul mondo arabo: mondo guardato esclusivamente attraverso il “problema” dell’ Islam, estremo per definizione, che rappresentava il “legaccio” dei popoli arabi in termini di Democrazia o di domanda democratica. L’UN’s Arab Human Development Report del 2004, parlava già di crisi di legittimità nei Paesi arabi (..) ma è interessante capire le motivazioni sottostanti il contagio nelle Repubbliche Arabe e le implicazioni, nonché le ragioni, dell’integrità (apparente?) delle Monarchie Arabe. [continua a leggere sul sito] LE ELEZIONI IN GERMANIA TRA CONFERME, ASPETTATIVE E DILEMMI di Federica Castellana – 24 settembre 2013 Dopo una campagna elettorale non proprio esaltante e l’assaggio bavarese della domenica precedente, le elezioni federali tedesche del 22 settembre hanno visto il trionfo preannunciato di Angela Merkel. In carica dal 2005, la cancelliera cristianodemocratica ha guidato prima la Grosse Koalition tra il suo partito (CDU/CSU) e i socialdemocratici (SPD) e poi, riconfermata nel 2009, l’alleanza di centrodestra fra CDU /CSU e i liberali del FDP. L’appuntamento elettorale, che in Germania si tiene tradizionalmente nella seconda metà di settembre, ha rinnovato la composizione del Bundestag per il prossimo quadriennio (2013-2017) ed è stato il primo test politico a livello nazionale da quando nel 2011 alla crisi finanziaria e alla recessione economica si è aggiunta la crisi del debito sovrano in alcuni Paesi europei: circostanza che ha evidenziato da un lato la posizione tedesca negli squilibri macroeconomici del Vecchio Continente (in tema di bilanci pubblici, di bilance commerciali e di competitività) e dall’altro la necessità improrogabile di rivedere l’architettura istituzionale dell’UE e gli approcci degli Stati membri, ovvero di fare un nuovo e decisivo passo nel singolare processo di integrazione europea. [continua a leggere sul sito]

LE VIGNETTE DI BLOGLOBAL di Luigi Porceddu


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Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia. BloGlobal Weekly N° 27/2013 è a cura di Maria Serra, Giuseppe Dentice e Davide Borsani

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