WWW.BLOGLOBAL.NET NUMERO 28/2013, 29 SETTEMBRE - 12 OTTOBRE 2013
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RASSEGNA DI BLOGLOBAL OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
BloGlobal Weekly N°28/2013 - Panorama
MONDO - Focus EGITTO - A 100 giorni dal golpe dei militari, le piazze del Cairo, Giza, Alessandria, Assiut e delle altre importanti città dell’Egitto sono tornate a riempirsi di manifestanti pro-Mursi e Fratellanza Musulmana. Secondo le notizie diffuse dagli organi di stampa, la polizia avrebbe sparato gas lacrimogeni e armi leggere per frapporsi agli scontri tra oppositori e sostenitori di Mursi. Non sono state segnalate vittime. Solo una settimana prima, il 6 ottobre, in occasione delle manifestazioni di celebrazione del 40esimo anniversario della ‘vittoria’ dello Yom Kippur – nel mondo arabo la guerra dell’ottobre 1973 é vissuta come un successo perché le truppe dell'allora Presidente Anwar al-Sadat riuscirono a prendere di sorpresa le truppe israeliane che stanziavano nel Sinai occupato dopo il conflitto del 1967 – altri cortei di protesta tra polizia e manifestanti islamisti avevano provocato 57 morti e 268 feriti. Sebbene gli scontri e le manifestazioni siano diminuite rispetto a quelle giornaliere avvenute tra luglio e agosto, © BloGlobal.net 2013
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anche in virtù del pugno duro usato dalle autorità nei confronti dei leader islamisti, la situazione politica e di sicurezza interna rimane altamente instabile. Per cercare di ristabilire ordine e sicurezza, il Presidente ad interim Adly Mansour aveva prorogato di due mesi lo stato di emergenza in vigore dallo scorso 14 agosto in tutto il Paese, mentre in 11 province è stato istituito il coprifuoco. Inoltre, la Corte d'Appello del Cairo ha fissato per il 4 novembre la prima udienza del processo nei confronti del deposto Presidente Mursi e di 14 leader dei Fratelli Musulmani e del Partito Libertà e Giustizia accusati di “istigazione alla violenza, teppismo, tortura e uccisione di manifestanti dinanzi al palazzo presidenziale di al-Ittihadiyah” a Heliopolis lo scorso 5 dicembre 2012. Notizia, questa, che arriva dopo che un altro tribunale del Cairo, pochi giorni prima, aveva spiccato un mandato d’arresto nei confronti dell’ex Premier Hisham Qandil, reo di complicità e di non aver fatto abbastanza per impedire le scelte impopolari dell’allora Capo di Stato islamista Mursi. Le autorità giustificano queste misure come necessarie alla salvaguardia della sicurezza interna. Intanto, tra pochi giorni dovrebbe essere reso pubblico il primo testo della nuova Costituzione egiziana. Questo almeno secondo le previsioni di Amr’ Moussa, Presidente dell’Assemblea Costituente ed ex Segretario della Lega Araba. I 50 costituenti stanno lavorando dall’8 settembre sul testo ricevuto dalla Commissione dei dieci tecnici (sei giudici e quattro professori di diritto costituzionale), ai quali è stato concesso due mesi di tempo per terminare i lavori e presentare ai cittadini un testo da approvare attraverso referendum entro la fine di dicembre per poi andare ad elezioni parlamentari e presidenziali nel nuovo anno, come previsto dalla road map di luglio. Consultazioni che potrebbero vedere protagonista anche il dominus incontrastato della scena politica egiziana, il Generale Abdel-Fattah el-Sisi. In un'intervista concessa al quotidiano nazionale Al-Masry al-Youm (Egypt Independent in lingua inglese), el-Sisi non ha escluso una sua partecipazione alle prossime elezioni presidenziali. Diversi ex candidati presidenziali, che nella scorsa tornata elettorale hanno perso contro Mursi, hanno fatto sapere di essere pronti ad appoggiare il Capo di Stato Maggiore in caso di candidatura. Sebbene le autorità professino sicurezza nel portare a termine la transizione, il perdurare della crisi ha portato gli Stati Uniti a nutrire diversi dubbi sulle reali capacità egiziane. Si spiega in questi termini la scelta del 9 ottobre del Dipartimento di Stato USA di sospendere temporaneamente il supporto finanziario accordato alle forze militari egiziane istituito fin dalla firma del trattato di pace con Israele del 1979. Si tratta del congelamento di aiuti per 260 milioni di dollari più altri 300 milioni di prestiti garantiti già preventivati per quest'anno e che fanno parte di un aiuto finanziario annuale di 1,5 miliardi di dollari. Misure che interromperanno la consegna degli armamenti più moderni come i nuovi cacciabombardieri F-16, gli elicotteri d'attacco Apache, i missili antinave Harpoon e i carri armati M-1 Abrahams nelle versioni più aggiornate. Dalla decisione di Washington, tuttavia, sarebbero stati fatti salvi gli aiuti e le consulenze forniti al governo egiziano per la lotta ai terrorismo. Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato, ha poi aggiunto che gli aiuti non riprenderanno finché la nuova leadership egiziana non avrà dimostrato di aver fatto “progressi credibili verso la creazione di un governo inclusivo, che sia il risultato di elezioni eque e libere”. Anche John Kerry ha precisato che la decisione non è definitiva e che “non si tratta comunque di un ritiro dal Paese”, bensì di un’interruzione momentanea degli aiuti che andrà rivalutata “sulla base dei comportamenti” del governo. Il governo del Cairo ha subito manifestato tutte le sue perplessità in merito alla decisione USA. Con una nota di protesta, il Ministro degli Esteri Nabil Fahmy ha definito la “decisione sbagliata sia per i contenuti che per la tempistica e solleva dubbi sulla volontà degli Stati Uniti di fornire un sostegno strategico ai programmi di sicurezza egiziani”, nel momento in cui l’Egitto deve fronteggiare “pericolose sfide terroristiche”. La sospensione di una parte degli aiuti potrebbe però avvicinare ulteriormente l’Egitto ai Paesi del Golfo ed in particolare all’Arabia Saudita, la quale per voce del suo Ministro degli Esteri, Saud bin Faisal bin Abdulaziz al-Saud, si è detta “immediatamente disponibile ad aiutare il Paese”. Già lo scorso luglio le monarchie arabe del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait), nel confermare il loro sostegno politico al governo ad interim el-Beblawi, si erano dette pronte a subentrare anche economicamente agli aiuti finanziari e militari degli occidentali. Nel frattempo, il Sinai diventa sempre più fuori controllo. Da settimane, infatti, nella penisola si ripetono con regolarità attacchi contro i check-point militari e delle forze di polizia, in particolare nella zona tra il villaggio di Sheikh Zuweyyd, el-Arish e Rafah, vicino al confine israeliano e la Striscia di Gaza. In questa area del Sinai sono attivi gruppi jihadisti e terroristi come Jama'at Ansar Bayt al-Maqdis (JABM) – considerato questo vicino ad al-Qaeda –, Ansar Jerusalem e al-Salafiyya al-Jihadiyya (ASAJ) autori di attentati sanguinari a Ismailia, al Canale di Suez ed el-Tor. In particolare in quest’ultima città i miliziani dello JABM hanno attaccato il 7 ottobre il quartier generale della Direzione Sicurezza del Sud Sinai che ha causato la morte di almeno di tre 3 soldati e il ferimento di altri 62. Come riferito dall’agenzia di intelligence USA KGS NightWatch, Il Generale Abdel Nasser el-Azb, ha annun-
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ciato che l’11 ottobre le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato cinque militanti coinvolti nel bombardamento di el-Tor. ITALIA – Con il ritrovamento di nuovi corpi in mare, è salito a 363 il bilancio delle vittime del naufragio avvenuto nelle acque di fronte all’Isola dei Conigli di Lampedusa lo scorso 3 ottobre. Da quel giorno nuovi sbarchi di clandestini sono avvenuti sulle coste italiane e, anche questi, non senza vittime: almeno altre 50 persone hanno perso la vita in un naufragio avvenuto l’11 ottobre nel Canale di Sicilia, mentre le motovedette della Guardia Costiera e le navi della Marina Militare – con il pattugliatore Libra e la fregata Espero – sono riusciti a soccorrere e mettere in salvo almeno altri 500 migranti giunti con almeno altri quattro barconi innanzitutto da Tunisia, Siria e Nigeria. Le autorità maltesi hanno peraltro annunciato di aver fermato un cittadino tunisino sospettato di essere lo scafista del barcone dell'ultimo naufragio avvenuto giorno 11: l’uomo sarebbe stato identificato da molti dei 146 sopravvissuti trasferiti a La Valletta che hanno tra l’altro raccontato di essere stati bersaglio degli spari di miliziani libici subito dopo la partenza da Zuwara. Tutti avvenimenti, questi, che non solo hanno scatenato polemiche a livello di politica interna sollevando, tra le altre cose, l’opportunità secondo molti, ad iniziare dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, di abolire la l.189/2002 in materia di immigrazione e asilo (comunemente detta “Bossi-Fini”) con riferimento soprattutto al dibattuto reato di clandestinità, ma che hanno anche posto la necessità di rafforzare misure e politiche europee nella stessa materia di immigrazione e di sicurezza transfrontaliera. Se dal punto di vista interno, infatti, il Premier Letta ha annunciato l’avvio in tempi brevi di una missione militare umanitaria (navale ed aerea, eventualmente anche attraverso l’utilizzo di Predator) nelle acque del Mediterraneo (pur essendoci già, a parte Libra e Espero, la corvetta Chimera, gli Atlantic schierati a Sigonella e altri mezzi aerei della stessa Guardia Costiera e della Guardia di Finanza) per ridurre al minimo il tempo di azione in caso di soccorso e auspicando il rafforzamento dei partenariati strategici con i Paesi rivieraschi, a livello europeo – e anche dopo la visita del Presidente della Commissione Josè Manuel Barroso nell’isola e i solleciti da parte del Presidente maltese Joseph Muscat – l’Assemblea di Strasburgo ha approvato il 9 ottobre a larga maggioranza il regolamento per il funzionamento del sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (European Border Surveillance System, EUROSUR, già lanciato dalla Commissione nel 2008, confermato nel Programma di Stoccolma 2010-2014 e ribadito dal Consiglio europeo del giugno 2011 in seguito ai rivolgimenti politici nei paesi del Nord Africa). Inserito nell’ambito di Frontex – l’Agenzia con sede a Varsavia attiva dal 2005 con l’obiettivo di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne –, il dispositivo consentirà attraverso una rete di comunicazione protetta la condivisione in tempo reale di immagini e dati intelligence di varie autorità sugli sviluppi alle frontiere esterne (terrestri e marittime) dell’UE. Il tutto per migliorare la prevenzione e la lotta all’immigrazione clandestina e di salvare le vite dei migranti e di chi cerca asilo e rifugio in altri Paesi. Eurosur entrerà in vigore il prossimo 2 dicembre per Bulgaria, Estonia, Francia, Spagna, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia, mentre gli altri Paesi aderiranno dal 1 dicembre 2014. LIBIA – Le Forze Speciali degli Stati Uniti hanno condotto un raid a Tripoli, capitale della Libia, per catturare Nazih Abdul-Hamed al-Ruqai, comunemente conosciuto come Al-Libi, un leader del network terroristico transnazionale di al-Qaeda. Al-Libi era nella lista dei maggiori ricercati dall’FBI, con una ricompensa di 5 milioni di dollari per chi l’avesse catturato, a causa del suo ruolo negli attacchi terroristici alle ambasciate americane in Tanzania e in Kenya nell’agosto 1998. Nella stessa operazione i Navy Seals avevano arrestato in Somalia a Barawe, roccaforte degli Shabaab a sud di Mogadiscio, un capo della milizia islamica, forse Abu Diyad, legato al massacro nel centro commerciale Westgate di Nairobi del mese scorso. Fonti USA hanno riferito che il bersaglio non è stato catturato ma potrebbe essere stato ucciso nello scontro a fuoco protrattosi per un'ora, in cui sono morti numerosi miliziani. Al-Libi, invece, era tornato in Libia durante la guerra civile del 2011, che portò alla cattura e all’uccisione di Muammar Gheddafi. La sua cattura, secondo il Pentagono, rappresenterebbe un significativo colpo al cuore di ciò che rimane di al-Qaeda. George Little, il portavoce del Ministero della Difesa americano, ha dichiarato che al-Libi “è attualmente detenuto, secondo il rispetto della legge, dai militari statunitensi in un luogo al di fuori della Libia”. Little non ha aggiunto ulteriori dettagli. Il popolo libico si è risentito dell’azione americana. Dozzine di membri del gruppo integralista Ansar al-Sharia hanno manifestato nelle strade di Tripoli il proprio disappunto, accusando il Primo Ministro Ali Zeidan di essere un “codardo” e di essere
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“un agente americano”. Molti uomini appartenenti alle milizie irregolari che controllano de facto la Libia hanno accusato Zeidan di aver coltivato rapporti troppo stretti con gli Stati Uniti in materia di sicurezza; fatto che avrebbe portato Tripoli a collaborare con Washington per la cattura di al-Libi. Tale sentimento popolare non è rimasto privo di conseguenze politiche. Nonostante il governo libico avesse negato qualsiasi coinvolgimento, anzi avanzando proteste nei confronti della Casa Bianca, ciò non è bastato a placare gli animi. Zeidan è stato dunque rapito da alcuni appartenenti delle milizie, che l’hanno prelevato dal Corinthia Hotel, dove molti diplomatici ed alti esponenti governativi vi soggiornano, essendo ritenuto uno dei posti più sicuri in tutta Tripoli. L’agenzia di stampa di Stato aveva parlato inizialmente, citando il portavoce del Ministero degli Interni, di un arresto di Zeidan e che si trovava “in buona salute”; ciò è stato poi smentito dallo stesso Ministro degli Interni, che ha parlato di rapimento e di “crimine”. Zeidan è stato rilasciato poche ore dopo dalla sua cattura. Il Primo Ministro ha così dichiarato che il tentato sequestro "non è altro che un tentativo di golpe. Io e il mio governo ne abbiamo abbastanza di quelli che minacciano noi e la volontà del popolo libico". Inoltre, conclusasi la vicenda, il rapimento è stato rivendicato dal cosiddetto Nucleo Operativo dei Rivoluzionari Libici, che ha dichiarato di avere agito su ordine della procura. La breve detenzione di Zeidan è stata solo l’ultimo dei molti incidenti che dimostrano che la Libia post-Gheddafi è in preda al caos. Il governo centrale si dimostra regolarmente debole e le nascenti forze armate combattono quotidianamente per contenere il potere delle innumerevoli milizie e i gruppi islamisti tra loro rivali, che insieme controllano larga parte del Paese. STATI UNITI/ESTERI – Nonostante quanto previsto, il Presidente americano Barack Obama non ha preso parte ai summit asiatici dell’APEC, dell’ASEAN e della nascente Trans-Pacific Partnership a causa delle difficoltà riscontrate sul fronte interno. In sua vece è stato inviato il Segretario di Stato John Kerry, che si è prontamente scusato con i Capi di Stato e di Governo dei Paesi asiatici partecipanti, che invece attendevano con ansia Obama. È stata la Cina a coprire tale assenza, svolgendo un ruolo di primo piano nell’introdurre le tematiche da discutere, in particolare le questioni riguardanti le contese territoriale nel Mar Cinese meridionale. Il Primo Ministro Li Keqiang, pur ribadendo la necessità di non mettere in discussione la libertà di navigazione, ha dichiarato di volere discutere con i propri partner le singole questioni territoriali su base bilaterale, aggirando di fatto i forum multilaterali, a partire dall’ASEAN, cosa che sarebbe invece preferita dagli Stati Uniti e dal Giappone. Al termine dei summit asiatici, non è stato raggiunto alcun accordo; il comunicato finale del vertice ASEAN-Cina, ad esempio, si è limitato a sottolineare la volontà comune di “lavorare in direzione della conclusione di un Codice di Condotta nel Mar Cinese meridionale sulla base del consenso”. Kerry, affiancato dal Segretario alla Difesa Chuck Hagel, ha continuato il suo viaggio asiatico con una visita a Tokyo. Qui entrambi hanno voluto tranquillizzare la controparte giapponese del costante impegno degli Stati Uniti nel volere mantenere il ‘pivot to Asia’, nonostante il recente rinnovato engagement in Medio Oriente e le crescenti difficoltà sul fronte interno. Come ha dichiarato Kerry, “il Presidente Obama si è impegnato nel ribilanciare strategicamente i nostri interessi e gli investimenti verso l’Asia. Come potenza del Pacifico, noi capiamo la fondamentale importanza che il nostro partenariato [bilaterale] fornisce alla nostra sicurezza e prosperità. Siamo qui per modernizzare la nostra profonda cooperazione”. Sono state discusse così varie tematiche, come le capacità missilistiche e la minaccia nucleare della Corea del Nord, l’espansionismo della Cina nelle acque regionali, la collaborazione nella sicurezza cibernetica e il posizionamento delle truppe americane in Giappone. In un più ampio accordo che vede le sue origini nel 2011, gli Stati Uniti hanno promesso a Tokyo di rifornirlo di capacità di difesa tecnologicamente avanzate, da dispiegare nelle basi americane, mentre i 9000 Marines fin qui stazionati ad Okinawa si ritireranno e di cui una parte verrà ridispiegata a Guam. Nel frattempo, nell’Emisfero Occidentale Washington si trova a fare i conti con una rinnovata aggressività diplomatica da parte del Venezuela. Il successore di Hugo Chavez, Nicolas Maduro, ha accusato tre diplomatici americani, incluso l’incaricato d’affari, di condurre attività ‘imperialiste’ contro Caracas sul territorio venezuelano. Secondo Maduro, i tre, d’accordo con l’opposizione, sarebbero responsabili di atti di sabotaggio e dei tentativi di “shutdown di tutto il Venezuela”. Washington ha negato il suo coinvolgimento, affermando che i diplomatici hanno condotto semplici attività diplomatiche. Come ritorsione, sono stati espulsi dal territorio americano tre diplomatici venezuelani.
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MONDO - Brevi AUSTRIA, 29 settembre – Con il 26,86% dei voti, il Partito Socialdemocratico d’Austria (SPÖ) del Cancelliere Werner Faymann si è riconfermato alla guida dell’Austria assicurando la coalizione formatasi nel 2008 con il Partito Popolare Austriaco (ÖVP) del Vice Cancelliere Michael Spindelegger, attestatosi al 24%, nonostante il calo di consensi per entrambi (rispettivamente del 2,4% del 1,97%). In forte ascesa, di contro, l’estrema destra del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ) di Heinz-Christian Strache, erede politico di Jörg Haider, che ha ottenuto il 20,55% (+3,01% rispetto alle scorse elezioni) grazie ad una campagna elettorale tutta incentrata su temi nazionalisti e xenofobi. Entrano a far parte del Consiglio Nazionale (il Parlamento) anche due nuovi partiti: il Team Stronach, il movimento euroscettico fondato solo nel 2012 dell’81enne miliardario austro-canadese Frank Stronach che ha raccolto il 5,8%, e il partito centrista NEOS-La nuova Austria dell’ex-ÖVP Matthias Strolz, anch’esso fondato nel 2012 e che ha raggiunto il 4,93%. Si confermano anche i Verdi di Eva Glawischnig con il 12,34%. Non superano la soglia di sbarramento del 4% (fermandosi difatti al 3,6%), invece, i nazional-conservatori dell’Alleanza per il Futuro dell’Austria (BZÖ, guidata da Jozef Bucher), il partito carinziano fondato dallo stesso Haider nel 2005 dopo la scissione dal FPÖ, in caduta di 7 punti rispetto alle scorse consultazioni. La Grosse Koalition SPÖ-ÖVP, nonostante conti 99 seggi su 183, non può più dunque definirsi tale incalzata com’è da un gruppo di opposizioni su posizioni populiste che raccoglie circa il 30% dell’elettorato. Un dato non meno allarmante per i due partiti storici è quello relativo all’affluenza alle urne, in calo dal 78,81% del 2008 al 65,9%. Sembra dunque profilarsi necessario all’orizzonte un cambio di agenda, nonostante la sostanziale stabilità politica e la positività del trend economico, ponendo così fine alla stagione di scandali (ad iniziare dall’affaire Buwog che coinvolse l’ex Ministro delle Finanze Karl Heinz Grasser). AZERBAIJAN, 8 ottobre – Si sono svolte nella piccola ma strategica Repubblica del Caucaso meridionale le elezioni presidenziali che hanno visto, come da pronostici, la vittoria con l’84,72% delle preferenze di Ilham Aliyev, da 10 anni alla guida del Paese e rieletto per la terza volta consecutiva. Un'affermazione possibile grazie al controverso referendum con cui, nel 2009, ha fatto abolire il limite ai due mandati presidenziali. Secondo classificato, Jamil Hasanli, candidato dell’opposizione, che si è fermato al 7,4%. Consultazioni, tuttavia, macchiate da un piccolo giallo: la Commissione elettorale centrale dell’Azerbaijan ha diffuso i risultati delle elezioni presidenziali un giorno prima che queste avessero avuto inizio, facendo parlare le opposizioni di brogli sistematici. A conferma di ciò vi sono numerose accuse di brogli denunciate da parte di ONG e di gruppi di attivisti azeri. Anche l’OSCE, che insieme agli oltre 1.000 osservatori internazionali (tra cui il Parlamento europeo) distribuiti su tutto il territorio con il compito di presidiare la regolarità del voto, ha parlato di “elezioni gravemente falsate”. Sebbene sia uno dei regimi più stabili della regione caucasica, il governo di Aliyev è accusato da molti osservatori occidentali di numerose violazioni dei diritti umani perpetrate attraverso la repressione e l’intimidazione sistematica di giornalisti e oppositori contrari, o semplicemente critici, al regime. Ma l’Azerbaijan è un Paese ricco di petrolio e di gas naturale e proprio per questo motivo molto ambito da Russia – interessata ad espandere la sua influenza in tutto lo spazio ex sovietico –, Stati Uniti e, soprattutto, Unione Europea, con quest’ultima, infatti, disponibile a chiudere un occhio sul tema delle violazioni dei diritti umani in cambio di un approvvigionamento energetico sicuro che giungerà attraverso il cosiddetto “Corridoio sud”, ossia il gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP) che trasporterà dal 2019 gas naturale dalle rive del Caspio fino alle coste pugliesi, permettendo a Bruxelles di alleviare la sua scomoda dipendenza da Mosca e, allo stesso tempo, all’Italia di diventare un potenziale hub energetico per il vecchio Continente. BRASILE, 7 ottobre – Al grido di “Questo governo cadrà! Fuori Cabral e Paes!” – rispettivamente Sergio Cabral, governatore di Rio, ed Eduardo Paes, il sindaco della città –, più di 10 mila persone, in gran parte insegnanti e indios, hanno manifestato pacificamente a Rio de Janeiro per chiedere aumenti salariali e maggiore attenzione alle cause ambientali. Solo verso la conclusione, la manifestazione è degenerata con violenze e scontri con le forze di polizia provocate da circa 200 anarchici infiltrati nel corteo. La polizia ha dovuto far ricorso ai lacrimogeni per tenere la situazione sotto controllo. Oltre al municipio della città, è stato preso d’assalto anche il Consolato USA. Solo una settimana prima vi era stata a Rio un’altra manifestazione con incidenti tra manifestanti e forze di polizia. Sorte come proteste pacifiche contro l’aumento di 20 centesimi di real del biglietto del trasporto urbano e contro gli sprechi e gli aumenti dei costi delle organizzazioni di Mondiali di calcio FIFA (2014) e delle Olimpiadi estive di Rio de Janeiro (2016), le manifestazioni hanno assunto ben presto toni e gesti sempre più violenti. A fomentare le proteste hanno inciso
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anche le condizioni dell’economia brasiliana che vive oggi una fase di stagnazione della propria produzione, un netto aumento dell’inflazione e una ripresa della disoccupazione, condizioni queste che hanno creato forti disparità all’interno della società brasiliana. Le tensioni di questi mesi hanno generato perplessità e aperto interrogativi sia all'interno del governo sia tra le fila dell'opposizione, rischiando di diventare anche un tema determinante della prossima campagna elettorale per le presidenziali dell’ottobre 2014. GRECIA, 28 settembre – Con l’accusa di partecipazione ad attività criminali, il leader del partito di estrema destra greco Chrysi Avgì (Alba Dorata), Nikos Mihaloliakos, è stato arrestato insieme al portavoce Ilias Kassidiaris e ad altri tre deputati. Altri 36 mandati sono stati emessi nei confronti di deputati ed esponenti della stessa formazione a seguito della decisione del Procuratore della Corte Suprema Charalambos sulla base delle intercettazioni telefoniche effettuate dagli inquirenti sui cellulari di membri del partito e di suoi simpatizzanti nei giorni precedenti e successivi agli episodi di violenza avvenuti intorno alla metà di settembre. Da tali intercettazioni, infatti, sarebbero emerse le prove di un collegamento tra Alba Dorata e l’omicidio del rapper antifascista Pablos Fyssas, avvenuto il 17 settembre per mano del militante neonazi Georgos Roupakias. Nei giorni precedenti alcuni militanti del Partito Comunista sarebbero stati aggrediti da una cinquantina di militanti del partito di estrema destra a Perama, una città portuale del Pireo; negli ultimi mesi ulteriori attacchi sono stati rivolti nei confronti di comunità di immigrati. Eppure, nonostante questi episodi abbiano fatto perdere consensi al partito che nello scorso maggio era entrato in Parlamento conquistando 18 seggi, esso continuerebbe ad occupare il terzo posto nelle preferenze di voto dei greci: lo stesso Kassidiaris, candidato alle prossime elezioni comunali di Atene, sarebbe dato addirittura in vantaggio. A rendere il quadro estremamente preoccupante sono le voci di possibili connivenze da parte delle forze di sicurezza – che, secondo quanto dichiarato da alcuni pentiti, garantirebbero al gruppo parafascista una vera e propria struttura militare completa –, che secondo alcuni spiegherebbero le dimissioni di due alti funzionari di polizia, il coordinatore per il sud Grecia e quello della Grecia centrale, a seguito dell’apertura di ulteriori indagini da parte del Ministro dell’Ordine Pubblico e della Protezione del Cittadini Nikos Dendias. Lo stesso Dendias ha inoltrato al titolare degli Interni Yannis Michelakis anche la proposta legislativa di modifica dell’articolo 7 della legge sul finanziamento dei partiti che penalizzerebbe, almeno da un punto di vista organizzativo, la formazione di Mihaloliakos qualora dovesse essere definitivamente condannata. ETIOPIA, 7 ottobre – Con l’approvazione da parte di entrambe le Camere del Parlamento riunite in seduta comune, Mulatu Teshome è stato eletto Presidente del Paese africano sostituendo l’anziano Girme Wolde Giorgis, eletto nel 2001 e riconfermato nel 2007. Ambasciatore etiope in Turchia, ex Ministro dell’Agricoltura e già rappresentante diplomatico in Cina e in Giappone, Teshome appartiene, come il suo predecessore, agli Oromo, il più grande gruppo etnico del Paese. Per quanto secondo alcuni analisti locali la sua nomina possa considerarsi una sorpresa, è pur vero che era previsto che la comunità più numerosa avrebbe mantenuto il controllo della carica di Presidente, non modificando, dunque, i delicati equilibri tra i gruppi etnici. Il ruolo di Teshome resterà tuttavia puramente simbolico, poiché le decisioni, come da Costituzione, spettano al Primo Ministro Hailemariam Desalegn (appartenente alla piccola comunità wolyta), insediatosi dopo la morte di Meles Zenawi (rappresentante della comunità tigrina e che era stato al potere ininterrottamente dal 1991). La convivenza tra etnie resta infatti la principale sfida a livello interno per l’esecutivo a guida EPRDF (Fronte Democratico Rivoluzionario d’Etiopia) oltre al mantenimento degli attuali elevati tassi di crescita (tra il 7% e l’8% annuo, che fanno dell’Etiopia il Paese con il più alto livello di crescita tra quelli dell’Africa sub-sahariana non produttori di petrolio ed il terzo più alto se si considerano anche i Paesi produttori); sul piano esterno resta ancora non sostanzialmente risolta né la guerra con l’Eritrea (dove Addis Abeba continua a mantenere dispiegati propri contingenti) né la disputa territoriale con Egitto (e Sudan) circa lo sfruttamento delle acque del Nilo, oltre alla stabilizzazione dei confini meridionali (Somalia) a rischio terrorismo dopo il recente attentato terroristico di Nairobi. MAROCCO, 10 ottobre – Re Mohammed VI ha nominato un nuovo esecutivo di centro-destra composto dagli islamisti del Partì de Justice et Development (PJD) e dai conservatori del Partito del Movimento Popolare (MP) e dal Rassemblement National des Indépendents (RNI), quest’ultimo subentrato ai nazionalisti di Istiqlal che lo scorso 10 luglio avevano ufficialmente aperto una crisi di governo non ritenendo raggiunti i punti principali contenuti nel programma. Capo dell'esecutivo resta Abdelilah Benkirane, che guiderà un esecutivo aumentato sia nei dicasteri (passati da 30 a 39), sia nella presenza femminile (ora sei donne). Grande vinci-
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tore di questo rimpasto è l’RNI che ha soppiantato i 6 Ministeri di Istiqlal con gli attuali 8, tra cui spiccano i Dicasteri chiave degli Interni, degli Esteri e dell'Economia e Finanze passati rispettivamente nelle mani di Mohammad Hassad (Direttore dell’Authority del Porto di Tangeri), Salaheddine Mezouar (Presidente dell’RNI) ed, infine, Mohamed Boussaid (attuale prefetto di Casablanca). La composizione del nuovo gabinetto vede, inoltre, la partecipazione di Moulay Hafid Elalamy, ex presidente della Cgem, la Confindustria marocchina e Presidente fondatore della holding Saham group, nominato Ministro del Commercio, dell'Industria, delle Nuove Tecnologie e dell'Investimento. Obiettivo del Benkirane-bis sarà quello di guidare il Paese verso una stabilità politica capace di far sviluppare riforme istituzionali e strutturali necessarie al pieno sviluppo economico e sociale del Paese, da oltre due anni bloccato da proteste di piazza contro l’immobilismo del governo precedente. REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 11 ottobre – Con la Risoluzione 2021 proposta su iniziativa della Francia, le Nazioni Unite hanno approvato all'unanimità il dispiegamento di una nuova forza internazionale (Missione Internazionale di Sostegno al Centrafrica – MISCA) destinata alla Repubblica Centrafricana, Paese sconvolto dallo scorso 23 dicembre da una guerra civile tra i ribelli Seleka e gli uomini legati all’ex Presidente François Bozizé, che prese il potere con un colpo di Stato nel 2003 e che il 24 marzo del 2013 é stato costretto a fuggire dopo il fallimento della trattative di pace con lo stesso gruppo ribelle portando alla presidenza Michel Djotodia, uomo vicino ai rivoluzionari. La MISCA, che ad oggi può contare soltanto su 1.400 tra soldati e poliziotti messi a disposizione da Camerun, Ciad, Congo e Gabon, sotto il comando dell’Unione Africana (UA), dovrebbe dispiegare a pieno regime 3600 uomini, ma l’invio di nuove truppe è ostacolato dalla carenza di mezzi finanziari e militari. Tra i suoi compiti, oltre quelli di essere una forza di interposizione e di eseguire compiti di peacekeeping, dovrebbe aiutare il governo transitorio a ripristinare la sicurezza nel Paese e nell’organizzazione di elezioni libere, eque e trasparenti. Durante l’apertura della 68esima Assemblea Generale dell'ONU (24 settembre), Ban Ki-Moon aveva lanciato un serio monito sul rischi regionali derivanti dalla destabilizzazione della Repubblica Centrafricana, da mesi vittima di violenze e caos senza fine. STATI UNITI/INTERNI, 1 ottobre – Il governo USA ha iniziato il cosiddetto ‘shutdown’ (chiusura) dei servizi non-essenziali, come parchi nazionali e varie agenzie, interrompendone i finanziamenti. I servizi essenziali, invece, come quelli relativi alla sicurezza sociale, non sono stati fermati. Centinaia di migliaia di lavoratori operanti nel settore dei servizi non-essenziali (a partire da alcuni impiegati del Pentagono, che però sono stati richiamati subito in servizio) sono stati costretti ad andare in ferie ‘non pagate’. L’anno finanziario americano era finito il 30 settembre e il Congresso, diviso tra democratici e repubblicani, non aveva trovato un accordo per stanziare nuovi fondi per il budget dell’anno 2013-2014. La questione dello ‘shutdown’ si sovrappone a quella del tetto del debito. Le due sono separate, ma è inevitabile che i dubbi degli investitori riflettano quelli dei cittadini sull’attendibilità del governo nell’assolvere le proprie funzioni. Senza un accordo, tra Senato, a maggioranza democratica, e Camera dei Rappresentanti, a maggioranza repubblicana, gli Stati Uniti non potranno più finanziarsi prendendo a prestito il denaro, e saranno costretti a dichiarare il default. Un recente vertice tra John Boehner, Presidente della Camera dei Rappresentanti, e Barack Obama sembra aver prodotto un accordo preliminare, che, in attesa di uno definitivo, potrebbe prolungare fino al 15 dicembre il finanziamento dei servizi non-essenziali ed innalzare, almeno sino al 20 novembre, il tetto del debito. I democratici chiedono, in sostanza, ai repubblicani di non mostrarsi irresponsabili di fronte al Paese e di non tenere in ostaggio i servizi forniti dal governo; dal canto loro, i repubblicani chiedono ad Obama di rinegoziare la spesa sociale, in particolare la riforma sanitaria. Intanto il Presidente Obama ha scelto Janet Yellen, attuale numero due della Federal Reserve, come successore di Ben Beranke alla direzione del prestigioso istituto economico dal 1 gennaio 2014.
ANALISI E COMMENTI SIRIA: VERSO GINEVRA 2, MA CON INCOGNITE di Maria Serra – 1 ottobre 2013 Dopo lunghe settimane di incertezza, la diplomazia sembra per il momento aver trovato una soluzione – pur se decisamente parziale – alla crisi siriana: all’intesa del 14 settembre tra Stati Uniti e Russia – in seguito alla quale non sono mancati gli scontri circa
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la definizione delle misure sanzionatorie – è seguito infatti l’accordo in sede ONU sullo smantellamento dell’arsenale chimico del regime di Bashar al-Assad. Al termine di una lunga maratona negoziale, nella notte tra il 27 e il 28 settembre i 15 membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno adottato all’unanimità la Risoluzione 2118 – dal carattere vincolante e dunque la prima del genere dall’inizio della crisi nel 2011 – sul disarmo in questione: 22 paragrafi in cui tuttavia – e questo è il punto principale – sono stati elaborati al di fuori del Capitolo VII della Carta ONU che prevede, tra le altre cose, il ricorso all’uso della forza in caso di inadempienza a quanto disposto dalla risoluzione stessa. [continua a leggere sul sito] LE NUOVE SFIDE DELLA POLITICA ESTERA IRANIANA di Stefano Lupo – ottobre 2013 La Repubblica Islamica dell’Iran é tutto fuorché un attore irrazionale sulla scena internazionale: come attore geo-strategico e geopolitico, ha dimostrato più volte di essere in grado di adattare il proprio credo socioculturale alle contingenze del momento storico, senza venir meno all’obiettivo ultimo dello Stato, la sua sopravvivenza, certamente declinabile sia nel perpetuarsi del regime al governo, sia nella vera e propria continuazione fisica dello Stato inteso come tale (governo, territorio, cittadini). L’idea centrale nella politica estera iraniana, che spesso si nutre di vittimismo, senso di indipendenza, cultura della resistenza e pretesa di rispetto, pone l’imprescindibile rilevanza della protezione della sicurezza strategica nazionale, da raggiungere e mantenere sia sul piano economico e psicologico sia dal punto di vista politico e militare, una linea di condotta tuttavia adattabile a grandi mutamenti storici, come la congiuntura attuale internazionale sembra suggerire. [continua a leggere sul sito] REPUBBLICANI E SISTEMA ECONOMICO: NEGLI USA UN SECONDO ROUND CON BRIVIDO di Matteo Gullot – 7 ottobre 2013 Nei giorni in cui la politica italiana ha spiazzato l’opinione pubblica internazionale ed indispettito quella nazionale, in un altro Paese la classe politica sembra comportarsi contro gli interessi dei suoi stessi cittadini. Allo scoccare della mezzanotte tra lunedì 30 settembre e martedì 1 ottobre, il governo federale americano ha cessato le sua attività. “Shutdown”, per dirla con il termine anglosassone. Ma se utilizzare una simile espressione può suonare normale parlando delle normali attività commerciali, riferirsi in questi termini alle funzioni del governo della prima potenza mondiale fa sorgere più di qualche punto interrogativo. Primo tra tutti: cosa significa che il governo federale degli Stati Uniti ha “chiuso i battenti”? Quello che sta succedendo a Washington in queste ore è piuttosto inusuale per un (e)lettore europeo, e per spiegarlo è utile spostare brevemente l’attenzione dall’attualità a ciò che prevede l’ordinamento statunitense circa l’iter di approvazione del bilancio dello Stato. [continua a leggere sul sito] ALLA (RI)CONQUISTA DELL’ARTICO di Simone Vettore – 8 ottobre 2013 Nell’immaginario collettivo l’Artico viene raffigurato come una sterminata massa di ghiacci, poco o nulla antropizzata, uno degli ultimi luoghi incontaminati del globo e come tale da preservare dalle numerose minacce che rischiano di sconvolgere in modo irreparabile il suo delicato ecosistema, si tratti del ben noto fenomeno del riscaldamento globale [1] o dei numerosi progetti di sfruttamento del ricco sottosuolo. In verità questa immagine corrisponde solo in modo parziale alla realtà; difatti, seppur senza la rilevanza ricoperta da altre aree geografiche, all’Artico va riconosciuta perlomeno sin dall’epoca moderna una crescente importanza geoeconomica e geopolitica. Sono i progressi tecnologici connessi alla Rivoluzione Industriale a far fare lo scatto di qualità, in termini di rilevanza sullo scacchiere globale, all’intera regione: difatti anche l’Artico, al pari delle altre aree della Terra, diviene una superficie da esplorare, studiare, mappare e – se possibile – colonizzare e sfruttare economicamente. [continua a leggere sul sito]
Numero 28/2013, 29 settembre - 12 ottobre 2013
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LA NUOVA AMMINISTRAZIONE DI XI JINPING E I PRINCIPI GUIDI DELLA NUOVA POLITICA ESTERA CINESE di Daniel Angelucci – 10 ottobre 2013 La nuova Amministrazione guidata dal Presidente Xi Jinping ha apportato dei cambiamenti considerevoli alla complessiva politica estera della Cina. Nonostante l’obiettivo primario del “capitolo esteri” di Pechino rimanga lo stesso, e cioè, la promozione di un ordine internazionale equilibrato e pacifico, risulta oltremodo attuale chiedersi in quale direzione stanno cambiando le aspirazioni, la strategia e la posizione stessa della Cina nell’ordine globale nonché le delicate relazioni, da un lato, con gli Stati Uniti, dall’altro, con la Corea del Nord. Attraverso la sua politica estera, la Cina ha la pretesa di raggiungere la modernizzazione e lo sviluppo dell’economia nazionale nel quadro di relazioni pacifiche con gli altri Stati e aderendo a principi di correttezza e giustizia. Uno dei pilastri della politica estera in esame è quello di dare slancio allo sviluppo interno attraverso attività estere come, ad esempio, il reperimento di risorse naturali. [continua a leggere sul sito]
LE VIGNETTE DI BLOGLOBAL di Luigi Porceddu
Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia. BloGlobal Weekly N° 28/2013 è a cura di Maria Serra, Giuseppe Dentice e Davide Borsani