ISSN: 2284-1024 NUMERO 3/2014, 26 GENNAIO-1 FEBBRAIO 2014 WWW.BLOGLOBAL.NET
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RASSEGNA DI BLOGLOBAL OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
BloGlobal Weekly N°3/2014 - Panorama
MONDO - Focus ARGENTINA
– Dopo i crack finanziari degli anni Novanta e del 2001, il Paese torna a rischiare il default,
ancora una volta legato alla debole struttura della sua economia. I primi segnali sono giunti il 24 gennaio scorso quando il governo della “Presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner ha autorizzato una brusca svalutazione del Peso argentino, la valuta nazionale, calato di oltre il 15% del suo valore, dopo che nel 2013 aveva perso il 24% sul dollaro. Un’azione, questa, che ha costretto la Banca centrale nazionale ad intervenire sul mercato vendendo banconota statunitense con lo scopo di contenere il più possibile le pensanti perdite. Grazie a questo intervento ci vogliono 8 peso per comprare un singolo dollaro. Il governo, per voce del Capo di Gabinetto Jorge Capitanich ,ha annunciato l'allentamento delle discusse restrizioni in materia valutaria in vigore da oltre due anni, sottolineando come “il prezzo del dollaro abbia raggiunto un livello di convergenza accettabile con gli obiettivi di politica economica” del Paese. Nonostante le © BloGlobal.net 2014
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stante le azioni intraprese dal governo, gli investitori stranieri, che temono grosse perdite, hanno iniziato a trasferire i propri capitali verso economie più solide. Immediato l’intervento di Cristina Kirchne, che dall’Avana, dove si trovava per trascorrere alcuni giorni di riposo dalla malattia e per partecipare al summit del 4 febbraio della CELAC, ha tranquillizzato i risparmiatori privati argentini e stranieri lanciando un nuovo anatema contro le ”pressioni speculative” nei confronti delle monete dei Paesi emergenti. Infatti, a contribuire all’instabilità dell’economia argentina intervengono anche i segnali di debolezza delle politiche monetarie dei Paesi emergenti come Cina, Turchia, Brasile e Sudafrica, tutte legate a fenomeni di rallentamento della crescita economica e, per alcuni di loro, di forte esposizione al debito argentino. Una crisi che rischia di tramutarsi in tempesta se Buenos Aires non risolverà positivamente le tre controversie internazionali ancora aperte (una delle quali riguarda da vicino i risparmiatori italiani) in merito al rimborso dei cosiddetti tango-bond del 2005 e del 2010. Infatti, senza una nuova ristrutturazione del debito estero il governo si troverebbe nell’impossibilità di poter rimborsare i propri creditori e dovrà dichiarare di fatto la bancarotta finanziaria. Intanto, il Fondo Monetario Internazionale si è detto disponibile ad aiutare il Paese sudamericano nonostante non abbia relazioni ufficiali dal 2004 a causa delle tensioni legate alle statistiche sul tasso di inflazione e di disoccupazione che secondo l’organizzazione di Washington erano fortemente rivisti al ribasso dal governo argentino. EGITTO – Il 27 gennaio Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) ha dato il suo via libera alla candidatura del Feldmaresciallo Abdel Fattah al-Sisi per le elezioni presidenziali di primavera, dopo che il militare, in ottemperanza alla Costituzione, aveva presentato nei giorni scorsi le proprie dimissioni dalle cariche di Ministro della Difesa e di Capo di Stato Maggiore. In un comunicato stampa, lo SCAF ha spiegato il placet come un segno della “fiducia del popolo in al-Sisi” e come tale “è una richiesta che va accolta come libera scelta della popolazione”. Secondo il quotidiano filogovernativo al-Ahram, i vertici militari hanno pensato di sostituire al-Sisi con Sedki Sobhi nella doppia carica a capo dell'Esercito e del Ministero della Difesa. Se al -Sisi confermerà la propria candidatura dovrà vedersela contro il nasseriano Hamdeen Sabahi e contro Ziad Bahaa al-Din, vice Premier dimissionario che ha duramente criticato l’Esecutivo per la repressione messa in atto contro i Fratelli Musulmani e per aver speculato sul rischio terrorismo al fine di varare alcune leggi, a suo dire, “liberticide” come quella sul diritto di manifestazione. Nello stesso giorno in cui è stata annunciata l’investitura di al-Sisi sono arrivate le notizie di un attentato contro una chiesa copta al Cairo e quella dell’omicidio di Mohammed Saeed, generale in servizio al Ministero dell'Interno, ucciso da un commando armato sconosciuto, sempre nella capitale. Proprio sul campo della sicurezza il governo sta giocando tutta la sua credibilità, rivendicando un’azione di polizia dura contro le violenze e gli attacchi islamisti. I gruppi filo-qaedisti di Ansar Jerusalem e Ansar Beyt al-Maqdis si insinuano infatti con sempre maggior forza, allargando le loro violenze dal Sinai a tutto il Paese attraverso attacchi contro i militari e contro i simboli del potere. Gli ultimi attentati di una lunga serie sono quelli dei jihadisti contro la città israeliana di Eilat – dove il lancio di un razzo è stato intercettato e distrutto dal sistema anti-missile Iron Dome – e contro una base militare egiziana nel Sinai. Intanto l’Arabia Saudita torna in soccorso dell’Egitto, annunciando un finanziamento supplementare da quattro miliardi di dollari in prestiti bancari e in aiuti nel settore dell’energia, utili a dar fiato alle
disastrate casse del Cairo e ad esercitare evidentemente una sempre maggiore influenza non solo nel futuro del Paese nordafricano, ma anche nel complessivo quadro della regione mediorientale. SIRIA – Si è concluso con un nulla di fatto l’attesa Conferenza di Pace internazionale sulla Siria, nota come Ginevra 2 e svoltasi dal 22 al 31 gennaio tra Montreux e Ginevra. A pesare sul cattivo esito delle trattative sono state la profonda distanza tra il governo di Damasco e le forze ribelli del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) sulle principali questioni di dibattito: fine delle violenze, transizione democratica, ruolo del Presidente Bashar al-Assad, assistenza umanitaria e pericolo terrorismo. In nove giorni di confronto serrato, le parti non hanno raggiunto alcun compromesso se non uno sull’apertura di un corridoio umanitario a Yarmouk, nel nord della Siria, mentre nessuna concessione è stata fornita alla città martire di Homs sempre più terreno di scontro non solo tra lealisti e insorti, ma anche tra questi e i gruppi armati legati alla criminalità comune e alle forze islamiste radicali, alcune delle quali, come Jabhat al-Nusra e lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), connesse con il network qaedista. Il governo, per voce del proprio rappresentante a Ginevra, il Ministro degli Esteri Walid al-Muallem, ha criticato i ribelli per “essersi
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starditi a chiedere un cambio di governo che non ha alcuna ragione per avvenire”. Ahmed Jarba, leader del CNS, ha invece accusato il Presidente Assad di essere un “sanguinario” e poi i suoi rappresentanti di “continuare a difender[lo] nonostante i crimini commessi contro il suo popolo”. Lakhdar Brahimi, mediatore nella crisi per conto delle Nazioni Unite e della Lega Araba, a stento è riuscito a nascondere tutta la delusione per uno stallo totale, anche se ha ammesso che “per la prima volta in tre anni le due parti si sono incontrare nella stessa stanza, si sono parlate ed in qualche occasione hanno espresso anche comprensione per l’altro”. A margine della conferenza stampa finale, il diplomatico algerino ha spiegato che dopo questo primo round seguirà una pausa di dieci giorni prima di riprendere il 10 febbraio sempre nella località svizzera. Se l’opposizione ha dimostrato un interesse di massima a parteciparvi, il governo non ha ancora ufficializzato la propria presenza. Una decisione, questa, che ha portato al regime nuove critiche da parte dell’ONU e degli Stati Uniti, i quali hanno accusato Damasco di voler frenare il processo di pace. La consapevolezza dell’impossibilità di Brahimi e dell’amministrazione Obama di poter esercitare pressioni sul regime alawita ha spinto Ahmed Jarba ad accettare l’invito dalle autorità russe a recarsi a Mosca, dove il prossimo 4 febbraio incontrerà il Presidente Vladimir Putin nella speranza che egli possa esercitare una qualche mediazione per favorire la ripresa del dialogo. Intanto si acuiscono le polemiche tra Comunità internazionale e Damasco sul ritardo della consegna delle armi chimiche. Ahmet Uzumcu, Direttore dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW), ha fatto sapere che “meno del 5% degli agenti chimici utilizzati per la fabbricazione di armi letali siriane è già stato trasferito fuori dal Paese” e ha chiesto al regime di “rispettare le scadenze concordate”. Una percentuale decisamente inferiore alle circa 700 tonnellate di prodotti chimici che sarebbero dovuti esser trasferiti entro il 31 dicembre fuori dal territorio siriano per essere distrutte in acque internazionali. Il Segretario di Stato USA John Kerry ha ammonito nuovamente il regime chiedendo di soddisfare gli obblighi stabiliti dalla Risoluzione 2118 del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU sul disarmo degli arsenali chimici. STATI UNITI – Nel suo annuale discorso sullo stato dell’Unione, che ogni Presidente americano è tenuto a pronunciare per informare il Paese intero sull’andamento della politica nazionale, Barack Obama ha toccato tutti i grandi temi emersi nel corso del 2013. Innanzitutto, dopo un anno segnato dalla frustrazione di non riuscire a trovare compromessi con i Repubblicani alla Camera su questioni prioritarie nella sua agenda, il Presidente ha annunciato che ricorrerà, ovunque possibile, agli ordini esecutivi, con i quali cercherà di aggirare lo scoglio del Congresso. Durante il discorso Obama ha cercato di riportare l’ottimismo nelle case statunitensi ricalcando il tema del “Manifest Destiny”, dicendo che negli Stati uniti ci sono opportunità per tutti, che duro e lavoro e responsabilità ripagano sempre. Introducendo il tema economico, Obama ha ricordato gli sforzi compiuti dalla sua Amministrazione per aiutare le piccole e medie imprese che danno una spinta all’occupazione nel Paese e ha parlato dell’aumento del minimo salariale, argomento che viene dibattuto da mesi. Proprio tale questione potrebbe essere uno degli ordini esecutivi che Obama si prepara a firmare, non senza remore: l’aumento del salario minimo dei dipendenti federali da 7,25 a 10,10 dollari l’ora, senza il benestare del Congresso, rischia di rimanere limitato solo ai nuovi contratti o ai rinnovi, coinvolgendo di fatto solo alcune centinaia di migliaia di persone. Per estendere a tutti l’aumento servirà il voto del Congresso, ma lo speaker della
Camera, il Repubblicano John Boehner, ha già ribadito l’opinione contraria del suo partito. Il Presidente ha parlato di un nuovo piano pensionistico per i lavoratori del ceto medio, chiamando “Myra”. Non ha ancora rivelato i dettagli, ma dovrebbe trattarsi di un progetto che permette ai risparmiatori di crearsi un fondo pensionistico al riparo dalla oscillazioni del mercato. Obama ha quindi parlato del settore energetico e del fatto che l’America è sempre più vicina ad essere autosufficiente energeticamente e che bisogna puntare sul gas naturale, estraendolo in maniera sicura. Obama ha inoltre assicurato che la sua Amministrazione continuerà ad impegnarsi per proteggere l’ambiente, investendo anche nel settore dell’energia solare. Sono stati infine toccati i due grandi temi che hanno segnato il 2013: l’”Obamacare” e la riforma sul contratto delle armi. Se nel primo caso ha volu-
to parare di una vittoria, nel secondo caso ha dovuto ammettere una sconfitta, ma ha assicurato che continuerà a provare, con o senza il Congresso, per cercare di fermare altre tragedie. L’ultima parte del discorso è stata dedicata ai temi di politica estera: Afghanistan, Siria, Palestina ed Iran. Obama ha ribadito che entro il 2014 le forze americane lasceranno il suolo afghano e se il Presidente Karzai firmerà l’accordo sulla sicurezza verrà lasciata una piccola parte delle truppe che, in collaborazione con gli alleati della NATO, addestreranno le forze di Kabul. Il Presidente ha poi ribadito l’impegno degli Stati Uniti affinché il popolo siriano
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ti affinché il popolo siriano abbia il futuro che merita, libero dalla dittatura e dalla paura. Parlando del conflitto in Medio Oriente, ha poi detto di sostenere fortemente il dialogo tra Israeliani e Palestinesi e che l’obiettivo è quello di assicurare dignità e uno Stato indipendente per i secondi e di garantire pace e sicurezza duratura per i primi. Trattando la questione iraniana, Obama ha invece sottolineato il merito della diplomazia USA nell’accordo per la sospensione del programma nucleare di Teheran, minacciando il Congresso di mettere un veto ad eventuali future nuove sanzioni che potrebbero ostacolare il buon esito dei negoziati. E’ evidente che la politica estera americana è strettamente intrecciata con quella della NATO, e proprio mentre l’inquilino della Casa Bianca teneva il suo discorso, il 27 gennaio è stato pubblicato l’Annual Report dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha sottolineato come durante il 2013 la NATO sia stata impegnata in un ampio raggio di operazioni, sempre mirate ad assicurare la sicurezza degli Alleati, attraverso l’implementazione di tre task principali: difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. Per il futuro ha evidenziato come l’Alleanza debba investire nel miglioramento delle capacità di affrontare le minacce future: terrorismo, pirateria, instabilità regionali, attacchi missilistici e guerra cibernetica. Tutti gli eserciti Alleati, ha concluso, dovranno condurre programmi di addestramento, per raggiungere gli standard di preparazione necessaria per dar vita alla “Connected Forces Initiative”, che aiuterà e truppe NATO ad agire insieme con più efficacia e rapidità. UCRAINA – La decisione dei leader di opposizione ucraini – Arseniy Yatsenyuk, capo del partito “Patria”, quello di Yulia Timoshenko, e Vitali Klitschko, esponente dell'Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma (Udar) – di rifiutare la proposta del Presidente Yanukovich di entrare a far parte di un governo tecnico, ha aperto un nuovo fronte di spaccatura nella crisi politica ed istituzionale di Kiev e ha portato a segno i primi significativi punti per le manifestazioni di piazza: le dimissioni del Premier Azarov e di tutti i suoi Ministri e l'abolizione da parte del Parlamento del discusso pacchetto di leggi anti-proteste che era stato varato lo scorso 16 gennaio. Nonostante ciò, i capi dell'opposizione hanno tenuto a specificare che continueranno i sit-in a Kiev e in tutto il Paese finché Yanukovich non sarà disposto ad anticipare a quest'anno le elezioni presidenziali previste per il 2015 e ad avviare un serio e concreto processo di riforma costituzionale che, tra le altre cose, implichi una limitazione dei poteri presidenziali, il rilascio della Timoshenko e il rilancio dei colloqui con l'Unione Europea interrotti pochi giorni prima del Summit di Vilnius. A tentare di stemperare le tensioni è infine intervenuta anche l'approvazione di una legge che concede l'amnistia ai dimostranti antigovernativi (ma che non copre i reati più gravi) in cambio, tuttavia, dello sgombero entro 15 giorni degli edifici pubblici occupati. Proprio l'esistenza di questa condizione posta dal neo Premier ad interim Serguii Abrusov, ha peraltro finito con l'aprire una frattura all'interno dello stesso fronte delle opposizioni: alcuni militanti del partito nazionalista di “ Svoboda” hanno cercato di convincere gli attivisti del gruppo civico altrettanto nazionalista di “Spilna Sprava” a liberare il Ministero dell'Agricoltura che avevano occupato da circa una settimana. Nello scontro è rimasto ucciso un agente di polizia e almeno altri 6 sarebbero i feriti, mentre restano ancora presidiati altri cinque palazzi governativi. Mentre continuano le accuse tra maggioranza e opposizioni circa le violenze e le torture che ciascuna parte riserverebbe agli avversari, riprende con maggior vigore la polemica tra Unione Euro-
pea e Stati Uniti da un lato e Russia dall'altro: nel corso della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, il Presidente del Consiglio dell'UE Herman Van Rompuy e il Segretario di Stato USA John Kerry hanno ribadito il sostegno ai manifestanti pro-europeisti, specificando che “ in nessun luogo la lotta per un futuro democratico ed europeo è più importante che in Ucraina” e che i cittadini ucraini devono essere liberi di scegliere il proprio futuro. A margine di un incontro con i leader delle opposizioni, Kerry ha denunciato la tendenza nei Paesi dell'Europa Orientale a calpestare i diritti dei cittadini da parte di una classe politica oligarchica e corrotta che utilizza il denaro per restringere la libertà di espressione e per indebolire il sistema giudiziario. Non si è fatta attendere la risposta di Mosca che per mezzo del Ministro degli Esteri Lavrov ha accusato gli USA e l'UE di
ingerenza nella politica interna ucraina, ammonendo in particolare Bruxelles non solo sul giudizio poco obiettivo dato ai manifestanti ma anche sul futuro delle relazioni tra Russia e UE, le quali non dovrebbero essere dirette all'instaurazione di sfere di influenza ma alla creazione di condizioni di pace e cooperazione. Il gelo tra le due potenze era già emerso con evidenza in occasione del trentaduesimo summit bilaterale del 28 gennaio: dopo essere stato già rinviato di un mese, il vertice a Bruxelles è stato depurato degli incontri tecnici e non ha portato a nessun significativo passo in avanti sull'altro importante punto in agenda,
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gia. Dopo l'apertura nello scorso mese di ottobre da parte della Commissione europea di una procedura contro Gazprom per abuso di posizione dominante nel mercato del gas e per aver imposto prezzi più elevati ad alcuni Paesi dell'Europa Centro orientale, continuano le trattative con il governo russo, mentre l'ipotesi di una rinegoziazione degli accordi per la realizzazione del gasdotto South Stream sembra per ora essere stata abbandonata.
MONDO - Brevi COREA DEL NORD, 31 gennaio – Il Direttore dell’Intelligence nazionale americana, James Clapper, ha dichiarato, dinnanzi alla Commissione dell’Intelligence USA che la Corea del Nord ha riattivato un reattore al plutonio, chiuso nel 2007 e ha aumentato le capacità di un sito di arricchimento di uranio. Le dichiarazioni fatte da Clapper confermano quanto riportato da alcuni think tank
nei mesi scorsi, che attraverso lo studio di immagini satellitari avevano segnalato un’anomala attività nel sito di Yongbyon: le analisi di spettro avevano segnalato vapori provenienti dalle turbine, così come un ampliamento degli edifici che ospitano le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Benché dotata di una certa dotazione di bombe al plutonio, non è chiaro se Pyongyang sia stata capace, allo stesso tempo, di costruire una bomba ad uranio: certamente le notizie di una ripresa dell’attività a Yongbyon, unite al compimento di un terzo test nucleare nel febbraio dello scorso anno, complicano gli sforzi della diplomazia internazionale di bloccare i programmi di proliferazione nucleare in Corea del Nord. Stati Uniti e Corea del Sud hanno affermato congiuntamente che una ripresa dei colloqui multilaterali, circa la fine del programma nucleare nordcoreano, dovrà essere preceduta da significativi passi di Pyongyang in direzione di un cambio di strategia. Nella stessa testimonianza al Senato, James Clapper ha rivelato, inoltre, che la Corea del Nord ha iniziato lavori di ampliamento del sito di Sohae che consentiranno di lanciare missili balistici in grado di colpire gli USA e i Paesi dell’Asia Orientale. Il lancio nello spazio di missili Unha-3, nel dicembre 2012, dalla base di Sohae, aveva già messo in allerta il governo statunitense, preoccupato dallo sviluppo tecnologico della componente missilistica nordcoreana, proiettata verso il raggiungimento dell’obiettivo di produrre un missile a propulsione nucleare. Sul fronte interno Kim Jong-un sta procedendo a rafforzare il controllo del Paese attraverso una serie di esecuzioni mirate ai danni di esponenti della nomenclatura nordcoreana, accusati di aver complottato contro il governo. Dopo aver proceduto all’esecuzione di suo zio Jang Song-thaek, il leader nordcoreano avrebbe continuato con l’uccisione dei suoi familiari e dei suoi collaboratori. FILIPPINE, 29 gennaio - Il governo Manila e I ribelli musulmani appartenenti al gruppo MILF (Moro Islamic Liberation Front) hanno annunciato, al termine di una lunga serie di negoziazioni durate una settimana, di aver raggiunto un accordo di pace. Il governo e i rappresentanti del MILF hanno firmato l’ultimo di una serie di accordi-quadro a Kuala Lumpur, capitale della Malesia, il cui governo si è proposto come mediatore nella difficile trattativa. L’intesa pone fine ad oltre 40 anni di lotte nel sud del Paese che hanno causato la morte di migliaia di persone, ed è parte di una road map che stabilisce le modalità dello scioglimento del movimento, la consegna delle armi da parte dei ribelli, la delimitazione delle acque territoriali a sud di Mindanao, nonché il ruolo di una forza di polizia che dovrà dispiegarsi nella regione del Bangsamoro, che otterrà maggiore autonomia dal governo centrale. L'accordo, insieme con altri tre, farà parte di un patto di pace globale che dovrà poi essere firmato a breve a Manila. Trasformare il Fronte Moro in un alleato del governo è considerato un passaggio chiave per mettere fine all'insorgenza islamica nel Paese, nonostante altri gruppi armati continuino a resistere. Proprio due giorni dopo la firma degli accordi con il MILF, in un villaggio remoto dell’isola di Mindanao, l’esercito filippino ha lanciato una grande offensiva contro il BIFF (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters), un altro gruppo ribelle nato nel 2008 da una scissione interna al MILF. L’accordo siglato con il Moro e la tolleranza zero verso gli altri gruppi ribelli testimoniano la volontà del presidente Benigno Aquino di pacificare il Paese prima di lasciare la sua carica a metà del 2016. NIGERIA, 26 gennaio - Più di 50 uomini armati, alla guida di pickup e motociclette, hanno attaccato il villaggio di Kawuri, situato nello Stato di Borno nel nord-est della Nigeria, uccidendo 45 persone tra commercianti e passanti. I ribelli hanno prima circondato il mercato del villaggio, un importante centro per il commercio di grano e bestiame, poi hanno iniziato a sparare all’impazzata; mentre fuggivano hanno dato fuoco a decine di abitazioni. Gli abitanti di Kawuri avevano subito un attacco di Boko Haram già nel
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mese di ottobre, ma erano riusciti a respingerlo, costringendo i militanti alla ritirata. Nella stessa giornata di domenica, nello Stato di Adamawa, i militanti di Boko Haram hanno attaccato una chiesa cristiana nel villaggio di Wada Chakawa durante la cerimonia della messa domenicale: testimoni parlano di 45 morti, inclusi due rappresentanti delle forze dell’ordine. Gli attacchi negli Stati di Borno ed Adamawa sono i più sanguinosi tra quelli compiuti da Boko Haram nell’area, grazie anche all’uso combinato di esplosivi e mitragliatori, che testimoniano l’aumento del livello di capacità del gruppo militante. Il 14 gennaio un’autobomba è esplosa nella città di Maiduguri, causando la morte di 70 persone; durante il mese di gennaio quasi 200 persone sono state uccise dal gruppo islamista in questa stessa area, considerata la loro roccaforte. Negli Stati di Borno e Adamawa, e in quello di Yobe i ribelli stanno sfidando l’autorità di Goodluck Jonathan che, proprio qui, otto mesi fa, aveva proclamato lo stato di emergenza: attraverso la coordinazione tra le truppe di terra e quelle aeree, il governo nigeriano ha imposto gravi perdite ai ribelli. REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 28 gennaio – Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato il dispiegamento di truppe dell’Unione
Europea in Repubblica Centrafricana, al fine di fornire assistenza alle truppe francesi e dell’Unione Africana già schierate per fermare le violenze settarie in corso da mesi. La deliberazione dell’ONU fa seguito alla decisione presa la settimana scorsa dall’UE di disporre l’invio di un contingente di almeno 600 soldati per supportare le truppe francesi: la risoluzione autorizza le truppe europee a prendere tutte le misure necessarie, incluso l’uso della forza, per proteggere i civili. Il CdS ha, inoltre, minacciato di intraprendere ulteriori sanzioni contro coloro che continueranno a fomentare la violenza nella tormentata regione africana, dove gli scontri tra musulmani e cristiani hanno portato alla fuga di un milione di persone dal 2012. Il mandato ONU è stato fortemente richiesto dalla Francia che necessita di rinforzi per implementare le capacità delle proprie truppe, ormai da mesi in territorio africano. Parlando all’assemblea ONU a New York, l’ambasciatore francese alle Nazioni Unite, Gerard Araud, ha affermato che il dispiegamento di truppe europee permetterà ai 1600 soldati francesi, impiegati a protezione dell’aeroporto di Bangui, di poter estendere il controllo ad altre aree della capitale ed oltre. Fonti diplomatiche, citate dall’agenzia AFP, affermano che sarà il Tenente Generale francese Philppe Ponties a comandare la missione semestrale dell’UE: dovrebbe prendere il nome di EUFOR RCA e comprendere truppe di Belgio, Estonia, Polonia e Spagna. La Risoluzione ONU ordina agli Stati membri di congelare tutti i fondi, gli asset finanziari e le risorse economiche possedute o controllate da individui che violino l’embargo di armi, commettano abusi, minino il processo di pace o impediscano l’invio di aiuti umanitari. Thomas Mayr-Harting, il capo della delegazione UE all’ONU, ha detto che le truppe saranno sul terreno nel giro di qualche settimana, ma non è previsto un tempo minimo di impiego nonostante l’ONU abbia approvato un mandato di sei mesi. SOMALIA, 26 gennaio – Un attacco sferrato da un drone USA in una remota zona della Somalia, vicino la città di Barawe, ha causato la morte di un militante di al-Shabaab. La vittima è Sahal Iskudhuq, in precedenza impiegato come responsabile del rapimento di stranieri, ora nell’unità di intelligence del gruppo dove si occupava di scegliere gli obiettivi degli attacchi e pianificava gli attentati. Una fonte militare somala ha affermato che l’obiettivo reale del raid era il capo di al-Shabaab, Ahmed Abdi Godane, segnalato nelle vicinanze dell’attacco del drone. Ma Godane, secondo questa fonte, è ancora vivo, anche se non è chiaro se sia rimasto ferito: probabilmente Godane e Iskudhuq si erano incontrati poco prima dell’attacco e per questo si pensava fosse a bordo dell’auto in questione. In ottobre un altro drone statunitense aveva colpito un veicolo su cui viaggiavano diversi membri islamisti, uccidendo il loro esperto di esplosivi. All’inizio dell’anno un team di Navy Seals aveva tentato di prelevare un senior leader di al-Shabaab, Abdulkadir Mohamed Abdulkadir, attraccando sulle coste somale, ma non riuscendo a catturarlo. Tali operazioni non hanno scalfito la forza dell’organizzazione: dopo essere state cacciate da Mogadiscio, le milizie di al-Shabaab sono ora molto attive nelle regioni rurali della Somalia, da dove sferrano attacchi sia verso la capitale, sia verso i territori di confine con il Kenya dove le truppe di Nairobi sono schierate come forze di interposizione. TUNISIA, 26 gennaio – Con 200 voti a favore, 12 contrari e 4 astensioni, l'Assemblea Nazionale Costituente tunisina ha varato definitivamente la nuova Carta fondamentale del Paese. L'approvazione, preceduta dall'accordo del 14 gennaio tra islamici e laici dopo un lungo processo negoziale non scevro di tensioni su diversi punti del testo, giunge a tre anni dalla caduta del regime benalista e sembra porre fine alla crisi politico-istituzionale che Tunisi ha attraversato nell'ultimo biennio e che è stata per lo più determinata dalle divisioni tra i partiti di governo e le opposizioni e, ancora di più, dalle spaccature all'interno della stessa coalizione dell'Esecutivo e del suo stesso partito di maggioranza. Il nuovo testo costituzionale, considerato ora come una delle espressioni
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più progressiste del mondo arabo-islamico, prevede una forma di governo semi-presidenziale (con il potere diviso tra il Primo Ministro e il Presidente della Repubblica, a cui spetteranno maggiori poteri in politica estera e di difesa), la garanzia dei diritti civili, l'indipendenza del sistema giudiziario e la separazione tra Stato e Chiese. Contemporaneamente all'approvazione della Costituzione, l'ANC ha votato la fiducia per il governo, formalmente di transizione, del neo Primo Ministro Mehdi Jomaa, succeduto al dimissionario Ali Laraayedh. In attesa delle prossime elezioni legislative, che dovrebbero tenersi nel corso del 2014, resta confermato agli Interni Lofti Ben Jeddou, figura contestata a causa delle accuse mossegli dalle opposizioni per non aver preso adeguate misure per evitare l’omicidio di Mohammed Brahmi. Il braccio di ferro è stato poi risolto con l'ottenimento da parte del Presidente dell'ANC, il leader di Ettakatol Mustapha Ben Jafaar, della gestione finanziaria e amministrativa dell'Assemblea. Al Ministero dell'Economia e delle Finanze è andato Hakim Ben Hammouda, economista e consulente per la Banca di Sviluppo Africana, che avrà il compito di risollevare le esanimi casse dello Stato. Un aiuto potrebbe provenire dal Fondo Monetario Internazionale che ha sbloccato la prima tranche di finanziamenti da 506 milioni di dollari su 1,7 miliardi totali previsti. TURCHIA-IRAN, 28-29 gennaio – A distanza di due anni dall'ultima visita a Teheran, il Primo Ministro turco Erdoğan è tornato in Iran per incontrare Hassan Rouhani, la Guida Suprema Alì Khamenei e un nutrito gruppo di esponenti dell'economia iraniana per rilanciare la partnership bilaterale evidentemente alla luce del recente alleggerimento delle sanzioni per la Repubblica Islamica. Le due delegazioni hanno firmato una serie di accordi che istituiscono un Comitato congiunto sul Commercio che dovrà favorire il rafforzamento dell'interscambio commerciale, calato dai circa 22 miliardi di dollari del 2012 ai 14 del 2013. L'intesa dovrebbe essere ora in grado di generare un volume commerciale di 30 miliardi di dollari entro 12 mesi, riguardante in particolare i prodotti agricoli iraniani e quelli industriali turchi (il capitolo energia, invece, sembra essere posticipato ad un altro round di incontri). In aggiunta a questo, Erdoğan e Rouhani hanno firmato un protocollo per la creazione di un Consiglio di cooperazione di alto livello che, riunendosi a cadenza periodica, ha il compito di potenziare la proiezione di entrambi i Paesi verso i mercati strategici (in particolare Brasile, Russia e Iraq) e di intavolare nel breve-medio periodo le condizioni per la realizzazione di un'area di libero scambio. Benché non siano state citate durante la conferenza stampa finale, sul tavolo delle discussioni pare ci sia stato spazio anche per la questione siriana e quella irachena, relativamente alle quali i due Paesi continuano a mantenere posizioni diametralmente opposte. Tuttavia, Erdoğan e Khamenei sembrano interessati ad assicurare che le divergenze geopolitiche non avranno ricadute sul piano dei rapporti economici. L'iniziativa del leader di AKP, volta anche a tentare di ricucire gli innumerevoli strappi con i propri
vicini, non è stata apprezzata dagli Stati Uniti, che per mezzo del vicesegretario al Tesoro David Cohen, hanno ricordato ad Ankara che le sanzioni sono ancora attive: un monito che varrebbe anche per quanti sembrano intenzionati a riversarsi sul mercato iraniano.
ANALISI E COMMENTI VLADISLAV SURKOV, IL “PUTINISMO” E IL FUTURO DELL’OPPOSIZIONE IN RUSSIA di Oleksiy Bondarenko – 28 gennaio 2014 [leggi sul sito] LA BANCA DI SVILUPPO DEI BRICS E I NUOVI ORIZZONTI ECONOMICO-FINANZIARI di Martina Vacca – 29 gennaio 2014 [leggi sul sito] LA CINA E LE SUE MINORANZE ETNICHE: VERSO UN PROCESSO DI RIFORME? di Maria Roberta Canestrino – 31 gennaio 2014 [leggi sul sito]
Questa opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione — Non commerciale — Non opere derivate 3.0 Italia. BloGlobal Weekly N° 3/2014 è a cura di Maria Serra, Giuseppe Dentice e Danilo Giordano