N째8, 15-21 MARZO 2015 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 22 marzo 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Alessandro Tinti Maria Serra
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Photo credits: Reuters/Amir Cohen; AFP; AFP/Getty Images; RIA Novosti/Aleksey Nikolskyi; EPA; EPA/Julien Warnard; European Union.
FOCUS ASIA ORIENTALE ↴
I governi di Francia, Germania e Italia si sono aggiunti il 17 marzo al Regno Unito nel comunicare la propria adesione all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) in qualità di membri fondatori. Nella nota rilasciata dal Ministero del Tesoro italiano il 17 marzo viene riportato che la «nuova banca d’investimento che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, può svolgere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia. In questo modo, la AIIB promuoverà lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuirà alla crescita mondiale». Londra è stata la prima, il 13 marzo, a dichiarare la volontà di entrare a far parte dell’Istituto asiatico e a questi primi Paesi si sono aggiunti inoltre Lussemburgo e Svizzera, rispettivamente il 19 e 20 marzo. Il nuovo Istituto, fortemente voluto da Pechino, è volto a finanziare le nuove infrastrutture, soprattutto in materie di trasporti, energia e telecomunicazioni, nella regione dell’Asia-Pacifico, gode di un capitale di 50 miliardi di dollari (è stato proposto dai cinesi un raddoppio del capitale a 100 miliardi) e avrà sede in Cina. Fondato il 24 ottobre scorso a Pechino con la firma dei primi 21 membri (Cina, India, Thailandia, Malesia, Singapore, Filippine, Pakistan, Bangladesh, Brunei, Cambogia, Kazakhstan, Kuwait, Laos, Birmania, Mongolia, Nepal, Oman, Qatar, Sri Lanka, Uzbekistan e Vietnam), ha raggiunto nel corso dei giorni passati la quota di 33, compresi quelli europei. Il termine ultimo stabilito per poter godere dello status di membri fondatori sarà il 31 marzo, data oltre la quale ogni adesione darà luogo allo status di mero “componente”. Importanti attori regionali che non hanno ancora fornito la propria adesione all’AIIB sono Australia, Corea del Sud e Giappone. In merito 1
alla prima, da Canberra il premier Tony Abbott ha dichiarato che l’Australia «ha un grosso deficit infrastrutturale, così come l’intera regione, ed è importante fare ciò che possiamo fare per risolvere il problema. Stiamo considerando se entrare o no nell’AIIB». La scelta definitiva verrà comunicata infatti in seguito alla prossima riunione di gabinetto che si terrà nel corso della settimana. Relativamente al Giappone sembra difficile che Tokyo entri nella AIIB in quanto, oltre ad essere lo Stato con maggiore influenza nella concorrente Asian Development Bank, ha visto un aggravarsi delle relazioni con la Cina a causa della contesa in merito alle isole Senkaku/Diaoyu nel Mar Cinese Meridionale su cui Tokyo esercita la propria giurisdizione ma rivendicate da Pechino. Diverse trattative hanno avuto luogo dal 2012 in poi per la creazione di un meccanismo di comunicazione marittima che possa abbassare il livello di tensione esistente nel Mar Cinese Meridionale e scongiurare il rischio di incidenti legati all’incremento del numero di pattuglie di controllo di entrambi gli Stati e un ultimo rilevante bilaterale si è avuto giovedì 19 marzo. Nell’incontro che ha visto presenti il vice Ministro degli Esteri cinese Liu Jianchao e l’omologo giapponese Shinsuke Sugiyama con le rispettive delegazioni e rappresentanti dei Ministeri della Difesa, si è discusso pertanto di tale meccanismo di comunicazione marittima ma non è stata ancora adottata una timeline da seguire al fine dell’implementazione. La delegazione cinese inoltre, in merito al campo della difesa ha chiesto a Tokyo di tornare verso una “pura difesa strategica difensiva” piuttosto che ad un pacifismo proattivo, favorito dal Primo Ministro Shinzo Abe. Il Giappone da parte sua ha sottolineato come non sia d’accordo con la scarsa trasparenza nella gestione dell’apparato militare cinese e ha proposto l’aumento di scambi e dialoghi per favorire la fiducia reciproca e rassicurare l’altro delle proprie intenzioni. Come affermato da Sugiyama infatti «ci sono ancora questioni da risolvere relativamente alla sicurezza politica reciproca. La via migliore per risolvere tali problemi è di intrattenere dialoghi diretti». Dunque, mentre Seul sta valutando positivamente l’ingresso nella AIIB, il Giappone sembra non essere affatto intenzionato ad entrare a far parte del nuovo Istituto cinese. Ad opporsi fermamente alla creazione dell’AIIB e ancor più alla partecipazione a questa dei Paesi europei, sono inoltre gli Stati Uniti. Come affermato in un comunicato del Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense, l’Amministrazione Obama «esprime le proprie preoccupazioni in merito alla futura capacità dell’AIIB di rispettare gli standard ambientali e di good governance». Washington, in particolare, vede la creazione del nuovo Istituto come fumo negli occhi per l’attività delle altre istituzioni mondiali per lo sviluppo, quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Asian Development Bank. In realtà già da diverso tempo Pechino ha avanzato le proprie richieste di modifiche in seno a tali istituzioni con lo scopo di diminuirne l’influenza americana, europea e giapponese ed aumentarne invece la rappresentanza di Cina e India. Le intenzioni di Pechino di rendere le Istituzioni già esistenti più conformi al nuovo panorama economico globale, nonché più efficienti, sono tuttavia rimaste frustrate a 2
causa dell’opposizione occidentale e pertanto Pechino ha iniziato nel 2013 a proporre la creazione della nuova banca asiatica per le infrastrutture. Secondo alcuni analisti infine la presenza di Paesi europei nel board della AIIB dovrebbe rassicurare e non intimorire Washington in quanto sono coloro che porteranno nell’Istituto capacità di good governance e di rispetto degli standard ambientali.
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ISRAELE ↴
Le elezioni anticipate tenute il 17 marzo scorso per il rinnovo dei 120 membri della 20esima Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) si sono chiuse senza grandi colpi di scena. Infatti, nonostante i sondaggi pre-elettorali lo dessero sconfitto, il Premier uscente Benjamin Netanyahu e il suo Likud hanno invece nuovamente vinto migliorando globalmente il risultato rispetto alle consultazioni del 2013 (+12 seggi). Seconda piazza per la lista di centro-sinistra Zionist Union (24 seggi), del duo Herzog-Livni che ha ottenuto una buona performance, ma che forse non sarebbe stato in grado di formare una coalizione di governo stabile.
FONTE: ATLANTE GEOPOLITICO TRECCANI 2015
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Lo spoglio ha confermato un netto successo del Likud che con 30 seggi su 120 totali risulta essere ancora una volta il partito di maggioranza relativa. La vittoria dello storico partito conservatore, che fu di Jabotinsky, Begin, Shamir e Sharon, è stata soprattutto l’affermazione del suo Primo Ministro in pectore Netanyahu, che si è affermato quale unico leader capace di sopravvivere alla frammentarietà dello scenario politico israeliano. Qualora, come prevedibile, il Presidente della Repubblica Reuven Rivlin dovesse affidargli il mandato per formare un nuovo esecutivo, Netanyahu potrebbe avere per la quarta volta in carriera l’opportunità di formare una coalizione di governo, sempre più monocolore e spostata a destra, insieme ai partiti radical-nazionalisti di Jewish Home (8 seggi) di Naftali Bennett e di Yisrael Beiteinu (6 seggi) di Avigdor Liebermann.
CONFRONTO DATI ELETTORALI 2015-2013 - FONTE: HAARETZ – IL POST
Per raggiungere la soglia dei 61 seggi necessari a formare una maggioranza in Parlamento Netanyahu dovrà scegliere accuratamente i suoi alleati tra la destra religiosa di Shas (ultra-ortodossi sefarditi, 7 seggi) e United Torah Judaism (UTJ, gli ultra-ortodossi ashkenaziti, 6 seggi) o la destra sociale di Kulanu (quarta forza in Parlamento con 10 seggi), guidata dall'ex Ministro delle Telecomunicazioni Moshe Kahlon. Questi partiti sono ad oggi i veri kingmaker di queste elezioni e molto del futuro politico del prossimo governo dipenderà dalla capacità di quest’ultimo di contenere/accogliere i desiderata di queste forze politiche. Per entrare nella maggioranza parlamentare, Shas e UTJ chiederanno al Premier di preservare il finanziamento di un sistema parallelo di welfare e l’esenzione fiscale, militare e lavorativa per gli haredim. Di converso la destra moderata di Kulanu, nata da una costola del Likud, porrà l’accento su temi politici come la disoccupazione giovanile e lo stato sociale
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sempre più sacrificato in Israele in favore di stornamenti di budget al comparto Difesa. Queste peculiarità fanno di Kulanu un partito politicamente affine a Yesh Atid dell'ex vice Premier Yair Lapid, che ha conquistato 11 seggi (-8 rispetto al 2013) e dovrebbe rimanere all’opposizione. Nonostante le diversità politiche e i rapporti personali deteriorati negli ultimi mesi tra i due leader, Kahlon potrebbe accettare le avances ricevute da Netanyahu in campagna elettorale ed entrare a far parte in maniera decisiva della prossima compagine di governo come Ministro delle Finanze. Infine si segnalano la buona prestazione della Joint Arab List, la lista comune dei quattro storici partiti arabi (Hadash, Balad, United Arab List, and Ta'al) che diviene la terza forza della Knesset con 14 seggi, e l’arretramento della sinistra del Meretz, che ha conquistato soltanto 4 seggi (2 in meno rispetto al 2013). Queste elezioni si sono tuttavia contraddistinte rispetto alle precedenti per due aspetti: da un lato per l’alto tasso di partecipanti alle urne (72,3%, +4,6% rispetto al 2013), configurandosi come la consultazione con la partecipazione popolare più alta dal 1999 (78,7%); dall’altro per il maggior numero di parlamentari donne elette (29). Le elezioni anticipate si erano rese necessarie a seguito della decisione del Premier Netanyahu di estromettere dal proprio esecutivo i Ministri Livni e Lapid accusati di tramare contro il governo.
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TUNISIA ↴
Un commando armato di 5 persone ha attaccato il 18 marzo scorso il Museo del Bardo di Tunisi, a poche centinaia di metri dal Parlamento della capitale. Il bilancio ufficioso fornito dalle autorità locali, che comunque va aggiornandosi di ora in ora, stima 22 morti (20 ostaggi e due terroristi) e 44 feriti. Tra le vittime si annoverano anche quattro cittadini italiani, tutti originari del Piemonte, mentre tredici rimangono i feriti ricoverati in tre diversi ospedali di Tunisi. Quanto avvenuto in questi giorni è il peggior attentato sul suolo tunisino dall’attacco alla sinagoga elGhriba di Djerba, dell’aprile 2002, nel quale morirono 19 persone e rimasero ferite almeno una trentina. Rimangono ancora oscuri numerosi punti di questa vicenda dall’alto valore simbolico, a cominciare dalla rivendicazione dell’atto sino alla stessa ricostruzione dei fatti. Secondo una versione ufficiosa, l’attacco al Bardo sarebbe stato una risposta all’uccisione di due leader jihadisti tunisini attivi in Libia (Abu Zakaria al-Tunisi e Abu Anas al-Tunisi) e sarebbe stato rivendicato dal ramo tunisino dello Stato Islamico (IS), le Brigate Okba ibn Nafaa. Quest’ultima è un’ex formazione simpatizzante qaedista e recentemente affiliata all’IS, composta da miliziani tunisini, algerini e forse anche libici, con alle spalle importanti esperienze jihadiste in Afghanistan, Iraq, Siria e Libia. Okba ibn Nafaa sarebbe attiva fin dal 2013 nelle zone montagnose di confine dello Djebel ech-Chambi, tra il governatorato algerino di el-Oued e quello tunisino di Kasserine, territorio già numerose volte bersaglio di attentati terroristici che hanno provocato circa una sessantina di perdite all’interno delle forze di sicurezza e di polizia nazionali. Sempre a Kasserine vi trova rifugio Ansar al-Sharia Tunisia, altra sigla islamista ambigua e secondo alcuni esperti in odore di terrorismo essendo stata formalmente inserita nella black-list delle organizzazioni terroristiche nazionali
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a seguito degli omicidi politici – seppur in assenza di prove concrete di una loro plausibile colpevolezza – dei parlamentari Mohamed Brahmi e Chokri Belaid. Secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, gli assalitori avrebbero dapprima tentato di irrompere nella vicina sede dell’Assemblea Nazionale mentre in aula era presente per un'audizione sulla nuova legge anti-terrorismo il Ministro della Giustizia Mohammed Salah Ben Aissa, ma qui sarebbero stati respinti dalle forze di polizia appostate a difesa del palazzo. I terroristi avrebbero in second’ordine optato verso il museo prendendo in ostaggio decine di persone – al momento dell’attacco erano presenti all’incirca 200 unità –, liberate poi dalle forze speciali con uno spettacolare blitz. Nell’operazione sono stati uccisi due dei cinque assalitori e un agente di polizia. Le autorità tunisine hanno identificato negli attentatori Jabeur Khachnaoui e Yassine Laabidi, entrambi originari di Sbetla, governatorato di Kasserine, e noti alle autorità per attività illecite di secondo piano. Altre tre persone coinvolte nell’attacco potrebbero essere in fuga. Secondo una versione ufficiale, i due autori della strage sarebbero stati reclutati in una moschea di Tunisi per poi raggiungere in settembre un campo d’addestramento in Libia, presumibilmente a Derna. Questi sarebbero poi rientrati nel Paese ad Ettahir alla fine di dicembre e avrebbero avuto l’aiuto di un complice, forse legato alle Brigate Okba ibn Nafaa. Tuttavia proprio quest’ultimo aspetto pare non essere del tutto chiarito, così come la possibile connessione tra questo e i due malviventi tunisini, già noti alle autorità ma senza alcuna affiliazione a cellule terroristiche. Nel frattempo, la polizia ha lanciato un giro di vite, eseguendo 20 arresti, contro tutti i possibili sospettati di essere militanti dell'IS, di avere legami con il terrorismo islamista o, più semplicemente, di aver giocato un ruolo nell’attacco al Museo del Bardo. Sempre le autorità tunisine hanno infine spiccato un mandato di cattura internazionale nei confronti del presunto terrorista, Maher Ben Mouldi Gaydi.
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BREVI GRECIA, 20 MARZO ↴ È stato raggiunto a Bruxelles un primo accordo sugli aiuti che le Istituzioni europee più il Fondo Monetario Internazionale, la ex troika, forniranno al governo greco per evitare ad Atene il collasso finanziario. Alla vigilia dell’incontro straordinario cui hanno partecipato Alexis Tsipras, François Hollande, Mario Draghi, Jean Claude Juncker, il Presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e Angela Merkel nella notte tra il 19 e il 20 marzo, il Cancelliere tedesco aveva preavvisato la stampa di «non aspettarsi nessuna soluzione e nessuna svolta, non è questa la cornice» poiché «la soluzione deve essere presa all'interno dell'Eurogruppo e così deve rimanere. Se l’euro fallisce», ha affermato la Merkel, «fallisce l’Europa». A sua volta Tsipras si era detto d’accordo con quanto sostenuto dal Cancelliere, dichiarando in aggiunta però che «l’UE ha bisogno di una maggiore iniziativa politica che rispetti sia la democrazia sia i Trattati, in modo da lasciarsi indietro la crisi e andare verso la crescita». L’esito della riunione, che non ha visto tra i partecipanti l’Italia che pur è tra i principali creditori della Grecia, è stato un compromesso temporaneo che allunga la durata degli aiuti fino a quattro mesi, consentendo ad Atene di rifiatare. Il governo greco si è impegnato a presentare un piano sostenibile e credibile che contenga una lista di riforme dettagliate e che andrà a sostituire il ventaglio di provvedimenti generalisti già prospettato nel corso dei summit europei dell’ultimo mese dal Ministro delle Finanze ellenico, Yanis Varoufakis. A margine della riunione, la Merkel ha dichiarato che la Grecia dovrà rispettare "ogni singolo paragrafo" del testo dell’accordo, prospettando implicitamente dure reprimende in mancanza di progressi concreti.
IRAQ/SIRIA, 21 MARZO ↴ Entrata nella sua terza settimana, l’offensiva su Tikrit condotta
dall’esercito
iracheno
e
dalle
milizie
volontarie ha subito un inaspettato rallentamento. Nonostante
le
forze
di
Baghdad
prevalgano
nettamente sui guerriglieri dello Stato Islamico (IS) asserragliati nei palazzi presidenziali che Saddam Hussein fece erigere nella sua città natale, i vertici militari iracheni temporeggiano sull’assalto decisivo. Il Ministro degli Interni Muhammad Salim al-Ghaban ha motivato tale decisione in virtù delle necessità di proteggere la popolazione civile e di non esporre le oltre ventimila unità impegnate nell’operazione al fuoco dei cecchini 9
jihadisti e alle numerosissime trappole esplosive piazzate nel centro urbano. Tuttavia, gli equilibrismi politici sembrano pesare ben più delle ragioni militari nel determinare il prudente approccio adottato dalla dirigenza irachena. Il comandante dell’esercito regolare nella provincia di Salah ad-Din, Abdul-Wahab al-Saadi, ha ammesso che la richiesta di supporto aereo inoltrata a Baghdad non ha ricevuto ascolto per motivazioni politiche. Il governo presieduto da Haider al-Abadi non ha chiesto il coinvolgimento della coalizione internazionale (e delle vicine forze curde) nell’attacco su Tikrit, laddove i partner sunniti dell’alleato statunitense guardano con sfavore al ruolo iraniano nella direzione dell’offensiva. Hadi al-Amiri, comandante delle milizie sciite riunite nel Fronte di Mobilitazione Popolare e vertice dell’organizzazione Badr di cui è espressione il Ministro al-Ghaban, ha confermato che circa cento consiglieri militari iraniani stanno partecipando alle operazioni nelle aree a maggioranza sunnita di Salah ad-Din e Diyala. Il rilievo dei corpi paramilitari sciiti nella liberazione di Tikrit pone al governo iracheno interrogativi operativi e politici dalla cui risoluzione in gran parte dipende il criterio che scandirà tanto la prossima fase della campagna bellica contro il Califfato, quanto il processo di ricostituzione nazionale del frammentato ordine iracheno. Nello scenario siriano, l’IS è sottoposto alla pressione di molteplici fronti di combattimento: oltre agli scontri con i Peshmerga curdi nel nord e con l’esercito siriano regolare lungo la direttrice che congiunge Homs a Dair az-Zor, si registrano gli attacchi nella regione di Qalamoun concertati da Jabhat al-Nusra e da altre formazioni ribelli contro alcuni gruppi jihadisti legati al Califfato.
PAKISTAN, 15 MARZO ↴ Un attacco esplosivo è avvenuto a Lahore, città orientale del Pakistan, dove due differenti attentatori si sono fatti saltare in aria all’esterno di due Chiese, causando la morte di 15 persone ed il ferimento di altre 78. L’attacco è avvenuto a Youhanabad, quartiere a maggioranza cristiana della città di Lahore, all’esterno di una chiesa cattolica e di una protestante, mentre numerose persone si apprestavano ad assistere alla messa domenicale. Secondo fonti ufficiali gli attentatori hanno provato ad entrare all’interno degli edifici, ma quando sono stati respinti dalla polizia a presidio degli ingressi, hanno azionato le cinture esplosive che indossavano. Subito dopo l’attacco la folla inferocita ha linciato due persone che ritenevano in qualche modo implicate nell’attacco. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo Jamaat-ul-Ahrar, una costola degli estremisti islamici dei Taliban pachistani, che ha riaffermato la volontà di proseguire la loro battaglia fino a quando il Paese non verrà totalmente islamizzato. In realtà, negli ultimi mesi, i Taliban hanno dovuto ridimensionare le loro attività a seguito dell’incrementarsi dell’azione delle forze di sicurezza pachistane, e pertanto hanno cercato il riavvicinamento dei numerosi gruppi fuoriusciti. L’attentato di Lahore è stato il peggiore attacco degli ultimi anni ai 10
danni dei cristiani, dopo il doppio attentato di Peshawar del 2013 che causò la morte di 85 persone. L’area di Youhanabad possiede una delle comunità cristiane più numerose del Pakistan, Paese in cui i cristiani rappresentano il 2% su una popolazione di 180 milioni di persone. La comunità cristiana pachistana, da tempo nel mirino degli estremisti islamici, accusa il governo centrale di far poco per garantire loro la protezione necessaria e la libertà di culto. Nei giorni successivi all’attacco numerose sono state le manifestazioni di protesta dei cristiani presenti in tutto il Pakistan. Lo stesso Papa Francesco, all’angelus domenicale, nell’esprimere la propria vicinanza alle famiglie delle vittime dell’attentato di Lahore, ha sottolineato le persecuzioni a cui sono sottoposti i cristiani in molte aree del mondo.
RUSSIA, 7 MARZO ↴ Nel primo anniversario della proclamata annessione della Crimea alla Federazione Russa, Vladimir Putin e il Presidente della regione separatista georgiana dell'Ossezia del Sud, Leonid Tibilov, hanno firmato a Mosca, a margine di un Vertice sulla sicurezza nel Caucaso, un accordo (definito "Trattato") per il rafforzamento delle relazioni bilaterali. Nonostante non sia contemplata l'indizione di un referendum per aderire alla Russia, l'intesa prevede la progressiva integrazione delle forze militari ossete in quelle russe; una maggior cooperazione in materia di sicurezza e difesa, in ambito economico, sociale ed umanitario; la creazione di uno spazio comune di difesa e un'unione doganale (sarà infatti possibile il passaggio lungo il confine condiviso e verrà snellita la procedura per ottenere la cittadinanza russa), delineando dunque un passaggio di sovranità dell'Ossezia alla Russia. Tibilov ha difatti asserito che solo la Federazione Russa è in grado di garantire la sicurezza del popolo e della repubblica osseta. Un accordo simile era stato siglato già lo scorso novembre a Sochi. L'Unione Europea ha definito l'atto una chiara violazione della sovranità territoriale della Georgia nonché del diritto internazionale, che mette a rischio la stabilità caucasica. Continuano contemporaneamente nell'altra regione separatista georgiana, l'Abkhazia,
le
esercitazioni
militari
delle forze russe, così come in Crimea (e nella vicina
regione
Krasnodar,
di sullo
Stretto di Kerch), in Cecenia, nell'exclave di Kaliningrad (dove sono state
posizionate 11
batterie di missili Iskander-M) e nella regione artica russa per testare la prontezza operativa della Flotta Settentrionale della Marina Militare russa. Secondo alcune fonti, nel Mar di Barents sarebbe stato tra l'altro dispiegato anche un sottomarino a propulsione nucleare. Il Ministro della Difesa Sergej Shoigu ha dichiarato che le operazioni coinvolgono complessivamente 76mila soldati, 10mila veicoli armati, 65 navi da guerra, 16 navi da supporto, 15 sottomarini e 200 tra aerei ed elicotteri. In linea con il programma di esercitazioni delineato nello scorso mese di dicembre dallo stesso Shoigu (che prevede almeno 4mila operazioni di addestramento nel 2015) sono stati infine allertati anche tutti i corpi speciali (Spetsnaz) anche delle regioni del Volga, degli Urali, della Siberia occidentale e della regione dell'Estremo Oriente e del Pacifico.
STATI UNITI, 13 MARZO ↴ Il Dipartimento della Marina americana ha pubblicato un aggiornamento della strategia navale nazionale. Il documento ha rivisto e aggiornato quello del 2007. L’ammiraglio
William
McQuilkin,
direttore
della
Divisione per la strategia e le politiche della Marina, ha osservato che «il mondo è cambiato dal 2007. Organizzazioni estremiste violenti sono cresciute. Abbiamo continue minacce dalla Corea del Nord, dall’Iran e, come si è visto dalla recente aggressione, dalla Russia. Ci sono anche i dubbi relativi all’ascesa della Cina. In aggiunta, abbiamo di fronte sfide che minacciano il nostro accesso allo spazio virtuale cibernetico e ai beni comuni globali». La strategia afferma che, per assolvere ai propri compiti di leader mondiali, gli Stati Uniti «devono mantenere un flotta di più di trecento navi, incluse undici portaerei, quattordici sottomarini dotati di missili balistici e trentatré navi anfibie». Il documento contiene un’importante sezione dedicata
alla
cybersecurity,
un
aspetto
divenuto
ormai
imprescindibile
nell’electromagnetic maneuver warfare (EMV) del Ventunesimo secolo, che lega indissolubilmente le operazioni della Marina nello spazio geografico e in quello virtuale determinandone l’esito. Intanto, in vista del round finale sul dossier nucleare iraniano, il Presidente Barack Obama si è sbilanciato sulla possibilità di raggiungere un compromesso con Teheran. Sul nucleare, ha detto, «l'Iran non ha ancora fatto tutte le concessioni necessarie per raggiungere un accordo finale. Ma si sono mossi e c'è una possibilità». Di parere differente l’ex capo della CIA, David Petraeus, che ha manifestato pubblicamente tutti i suoi dubbi sull’opportunità di raggiungere un accordo con gli iraniani. A suo giudizio, «la principale minaccia che mette in pericolo la stabilità dell’Iraq e della regione non è lo Stato Islamico, bensì le milizie sciite, in gran numero sostenute e guidate dall’Iran». Teheran è quindi «parte del problema, non della soluzione».
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UCRAINA, 18 MARZO ↴ Il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha firmato la legge, approvata il 17 marzo dal Parlamento, sulle modifiche della normativa che regola l'autonomia per le regioni orientali del Paese e in particolar modo per quelle di Donetsk e Lugansk. In particolare gli emendamenti specificano che «l'ordine speciale del governo locale» entrerà in vigore solo dopo che le stesse regioni del Donbass avranno effettuato nuove elezioni locali, che queste si svolgano nel rispetto della legge ucraina e sotto il monitoraggio internazionale. In un'altra seduta la Rada aveva inoltre adottato una Risoluzione che definisce le regioni in questione come «territori temporaneamente occupati». Dal punto di vista russo questa decisione mette a rischio la tenuta degli accordi di Minsk-2, poiché non ne riconoscerebbe le controparti firmatarie, ossia i rappresentanti della DPR e della LPR. Mentre il cessate il fuoco continua sostanzialmente ad essere rispettato (scontri sono localizzati a nord-ovest di Donetsk e ad est di Mariupol, intorno al villaggio di Shyrokyne, in prossimità della costa), il Parlamento di Kiev ha inoltre approvato la mozione di Poroshenko circa la richiesta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e al Consiglio dell'Unione Europea dell'istituzione di una missione internazionale (di peacekeeping o di polizia) per il mantenimento della pace nell'est. il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha già fatto sapere che il Cremlino si asterrà dal voto all'ONU. Gli Stati Uniti hanno dal canto loro confermato (18 marzo), per mezzo del portavoce del Pentagono Eileen Lainez, che dalla fine di aprile 290 paracadutisti statunitensi della 173esima Brigata Aviotrasportata di stanza a Vicenza inizierà le operazioni di addestramento di 750 uomini della Guardia Nazionale ucraina a Yavoriv, al confine con la Polonia. 35 istruttori britannici sono già attivi a Mylolaiv, nel sud.
YEMEN, 20 MARZO ↴ È di almeno 142 morti e circa 350 feriti è il bilancio provvisorio di un triplice attentato avvenuto nelle strade di Sana’a. Ad essere colpite sono state tre moschee sciite frequentate anche dai ribelli Houthi, che dal gennaio 2015 controllano in maniera stabile la capitale yemenita. Nelle esplosioni hanno perso la vita la guida spirituale degli Houthi, l’Imam al-Murtada bin Zayd al-Muhatwari, mentre due alti dirigenti del gruppo sciita, Taha al-Mutawakkil e Khalid Madani, sono rimasti gravemente feriti. Gli attentati sono stati rivendicati dal gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico (IS), Provincia di Sana’a. Al contrario, al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ben radicata in Yemen e anch’essa opposta agli Houthi, ha rilasciato un comunicato che nega ogni coinvolgimento nell’accaduto e ribadisce l’adesione al 13
principio di non commettere attacchi contro la popolazione civile musulmana in mercati e luoghi di culto. Gli attentati testimoniano la precipitazione della guerra civile yemenita in una spirale di violenza in cui si ripercuotono direttamente le dinamiche regionali, sia sul piano della rivalità interna al campo jihadista, sia su quello della contesa
interconfessionale,
laddove
all’appoggio
iraniano
ai
ribelli
sciiti
si
contrappone il sostegno saudita all’estremismo sunnita. Gli attentati di Sana’a avvengono a poche ore di distanza dal raid aereo dei ribelli sciiti contro il palazzo presidenziale di Aden, dove il Capo di Stato yemenita Abd-Rabbu Mansour Hadi ha trovato riparo a seguito del golpe che ha sanzionato l’ascesa del movimento Houthi. Al contempo, combattimenti tra le milizie leali a Hadi e quelle antagoniste che si riconoscono nella leadership dell’ex Presidente Ali Abdullah Saleh, oggi alleato con i ribelli sciiti, infuriavano nei pressi dell’aeroporto di Aden. Mentre nel sud del Paese sono incessanti le scorrerie delle formazioni jihadiste, il 19 marzo i miliziani Houthi hanno scagliato un attacco nella provincia petrolifera di Marib, tuttavia non riuscendo a vincere la resistenza delle tribù sunnite. Il 18 marzo è stato assassinato Abdul Karim al-Khaiwani, giornalista, attivista dei diritti umani e dirigente del movimento Houthi.
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ALTRE DAL MONDO BRASILE, 15 MARZO ↴ Oltre due milioni di manifestanti hanno affollato le principali città brasiliane per protestare contro l’esecutivo di Dilma Rousseff e il Partito dei Lavoratori, travolti dallo scandalo Petrobras che sta portando alla luce un sistema di tangenti di cui avrebbero beneficiato le maggiori forze politiche del Paese. A nemmeno sei mesi dall’inizio del secondo mandato, la credibilità del governo Rousseff risulta fortemente compromessa.
EGITTO, 15-16 MARZO ↴ Il Tribunale Provinciale di Mansoura, nel delta del Nilo, ha condannato a morte 14 esponenti della confraternita dei Fratelli Musulmani, tra cui la guida spirituale Mohammed Badie, con l’accusa di aver creato una cellula jihadista pronta a colpire le istituzioni egiziane. Intanto all’indomani della Conferenza sullo Sviluppo Economico dell’Egitto, il Premier Ibrahim Mahlab ha annunciato il rinvio a maggio o a giugno 2015 delle elezioni parlamentari previste per il 21 marzo a causa dell’incapacità dell’esecutivo di riuscire a colmare i vizi procedurali e normativi – nel concreto la norma che definisce i confini delle circoscrizioni elettorali e l'articolo 3 che legifera a riguardo – evidenziati dalla Corte Costituzionale del Cairo lo scorso 2 marzo.
INDIA, 20 MARZO ↴ È di 6 morti - 3 agenti, un civile e due attentatori - e 10 feriti il bilancio di un attentato contro una stazione di polizia di Rajbagh, nel distretto di Kathua dello Stato indiano di Jammu e Kashmir, al confine con il Pakistan. Si tratta del primo attentato nello Stato federato dopo la formazione di un governo di coalizione tra il Partito del Popolo Indiano (BJP) e il Partito Democratico del Popolo (PDP) nel mese febbraio. L'attentato non è stato ancora rivendicato, ma le autorità indiane – che accusano il Pakistan di sostenere i gruppi indipendentisti – hanno dichiarato il proseguimento dello Special Powers Act che conferisce alle forze di sicurezza ampi poteri in materia di anti-terrorismo.
ITALIA, 16 MARZO ↴ L’Alto Rappresentante della Politica Estera e di Sicurezza dell'Unione Europea, Federica Mogherini, ha nominato come inviato speciale dell’UE per il Quartetto in Medio Oriente il diplomatico italiano Fernando Gentilini. La proposta segue le polemiche sui tabloid britannici in merito al presunto conflitto di interessi di Tony Blair, capo del Quartetto, che avrebbe siglati importanti contratti privati con i Paesi del Golfo mentre
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svolgeva il proprio incarico. Nel frattempo, il Ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, ha informato il Parlamento che Roma ritirerà le proprie navi dalla missione anti-pirateria nel Golfo di Aden sotto l’egida NATO, ma che resterà in quella parallela condotta dall’UE.
LIBIA, 21 MARZO ↴ Il Generale Khalifa Haftar, Comandante unico dell'esercito fedele al governo di Tobruk, ha avviato una vasta offensiva aerea contro le postazioni delle milizie islamiche di Fajr Libya nei villaggi intorno a Tripoli e sull'aeroporto della stessa città con lo scopo di aprire ad un'operazione di terra che conduca alla conquista della capitale libica. L'azione avviene nel momento in cui continua a Rabat, in Marocco, l'iniziativa di dialogo nazionale mediata dall'inviato speciale dell'ONU Bernardino Leon. Da Caen, in Normandia, in un Vertice "2+2" Esteri-Difesa, Italia e Francia si sono dette d'accordo ad intervenire nella crisi – con operazioni di monitoraggio del cessate il fuoco e di addestramento delle forze di polizia e di sicurezza libiche – nel quadro di una missione di stabilizzazione promossa dalle Nazioni Unite.
MALI, 17 MARZO ↴ Il Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (CMA) ha rifiutato di siglare l’accordo di pace predisposto dalla comunità internazionale nel corso dei vertici di Algeri dei mesi scorsi, già accettato da alcuni gruppi. I delegati del CMA ritengono che l’accordo sia insufficiente, poiché non tiene conto delle particolarità dei movimenti dell’Azawad e «non prende in considerazione le aspirazioni politiche profonde delle popolazioni».
NIGERIA, 20 MARZO ↴ I miliziani islamisti di Boko Haram hanno attaccato nuovamente la città di Gambaru, strategica cittadina situata al confine con il Camerun, causando la morte di 11 persone. Gambaru è stata la prima città liberata dalla truppe del Ciad nel gennaio scorso, dopo l’inizio delle attività congiunte degli eserciti dell’area del lago Ciad. Il 12 marzo, su richiesta del governo nigeriano, le truppe ciadiane avevano evacuato la zona, lasciando, di fatto, la città senza alcuna protezione.
SOMALIA, 15 MARZO ↴ Un alto comandante di al-Shabaab, Adan Garar, è stato ucciso da un drone americano nella regione di Gedo, in Somalia. Lo strike è avvenuto mentre Garar si trovava a bordo del suo veicolo tra le città di Dinsor e Bardere. Adan Garar è ritenuto da molti il responsabile dell’attacco al centro commerciale Westgate a Nairobi del settembre 2013, nel quale 60 persone furono uccise e più di 200 ferite.
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ANALISI E COMMENTI LA PROIEZIONE CINESE IN ASIA CENTRALE PAOLO BALMAS ↴ Un fattore che deve essere sempre tenuto in considerazione per l’analisi della politica internazionale cinese consiste nel fatto che la Cina è al contempo una potenza marittima quanto continentale. Sebbene sia comune porre l’attenzione sulle proiezioni marittime di Pechino, soprattutto in relazione alle rotte commerciali e alle dispute con i vicini Paesi orientali con cui condivide i mari, esiste un’altra dimensione altrettanto importante nella strategia geo-economica cinese: l’espansione a occidente, nella regione comunemente nota come Asia Centrale. L’area geografica in oggetto rappresenta prima di tutto il naturale crocevia che occupa il centro del continente euroasiatico. È un’area molto vasta con una bassa densità di popolazione, che divide la Cina dall’Europa e dal Medio Oriente, la Russia dal subcontinente indiano. Inoltre, è particolarmente ricca di risorse strategiche (…) SEGUE >>>
I NUOVI SCENARI DELLO SPAZIO IN EUROPA VIOLETTA ORBAN ↴ La continua evoluzione dei sistemi spaziali e delle relative tecnologie e applicazioni rende necessario monitorare i programmi già operativi e operare scelte di lungo periodo sui progetti futuri. Il 2 dicembre 2014 si è tenuta in Lussemburgo la Conferenza dei Ministri degli Stati membri dell’Agenzia Spaziale Europea, nota anche come Ministeriale ESA, tra i principali appuntamenti del settore in Europa. Il periodico svolgimento di questo Vertice assicura la valutazione dello stato attuale delle attività dei Paesi partecipanti, il rinnovo delle massime cariche dell’Agenzia e la decisione in merito alle strategie, ai programmi futuri e agli impegni finanziari a medio-lungo termine. I protagonisti principali del summit sono i Ministri responsabili delle politiche spaziali dei 20 Stati attualmente parte dell’ESA, i massimi esponenti delle agenzie spaziali nazionali (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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