N째9, 22-28 MARZO 2015 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 29 marzo 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Alessandro Tinti Maria Serra
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Photo credits: Abd Raouf/Associated Press; Younis al-Bayati/AFP-Getty Images; AFP, Getty Images; Reuters/Khaled Abdullah; ANSA/Network ISIS.
FOCUS IRAQ/SIRIA ↴
Mercoledì 25 marzo i caccia statunitensi hanno sorvolato Tikrit colpendo alcune postazioni dello Stato Islamico (IS). Dall’avvio dell’offensiva sulla città, le autorità irachene non avevano ancora richiesto la copertura aerea della coalizione internazionale. Tuttavia, lo stallo dell’avanzata ha incoraggiato il governo iracheno ad aprire per l’intervento della potenza americana. Il Generale Lloyd Austin, vertice del Comando Centrale, ha precisato che i bombardamenti sono stati condizionati all’assunzione dell’impegno di non coinvolgere le milizie sciite nella stabilizzazione di Tikrit una volta piegata la resistenza dei combattenti jihadisti. A motivare la decisione dell’amministrazione Obama è stata la crescente influenza esercitata da Teheran attraverso gli ufficiali della Guardia Rivoluzionaria, che hanno assistito sul campo i gruppi armati sciiti impegnati nell’accerchiamento della città. La preponderanza delle milizie sciite in un’area a decisa maggioranza sunnita e la minore presenza dell’esercito regolare hanno inoltre sollevato il timore che la sconfitta del Califfato possa innescare episodi di violenza e intolleranza settaria. Tanto più che la presa di Tikrit guarda al prossimo attacco su Mosul. Pertanto, è nell’interesse statunitense impedire che Teheran diventi l’ago della bilancia della campagna bellica contro l’IS. Forte della ritrovata convergenza con gli Stati Uniti, il Primo Ministro Haider al-Abadi ha così annunciato l’inizio dell’ultima fase della battaglia su Tikrit, rassicurando gli alleati arabi che le chiavi del capoluogo della provincia di Salah ad-Din torneranno presto nelle mani della polizia locale, di estrazione sunnita. In risposta alla determinazione del governo di Baghdad, le milizie Kataib Hizbollah e Asaib Ahl al-Haq 1
hanno sospeso la partecipazione alle operazioni. Naim al-Uboudi, portavoce di Asaib Ahl al-Haq, ha accusato gli Stati Uniti di usurpare i successi conseguiti dalle milizie. Anche Hadi al-Amiri, leader dell’organizzazione Badr e figura di riferimento del campo sciita, ha risolutamente criticato la scelta di al-Abadi, rimproverando l’assenza di una consultazione preventiva con i soggetti volontari racchiusi nel Fronte di Mobilitazione Popolare. Malgrado ciò, la potente milizia comandata da alAmiri continuerà a presidiare il fronte di combattimento. Del resto le forze di sicurezza irachene schierate attorno a Tikrit non raggiungono le quattromila unità secondo le stime del Pentagono, mentre l’integrazione dei guerriglieri tribali sunniti resta insufficiente. Per queste ragioni e nonostante l’ingresso dei caccia statunitensi nella regione di Salah ad-Din, i gruppi paramilitari sciiti continuano a essere lo strumento più efficace a disposizione di Baghdad per contrastare la pressione jihadista. Intanto, il Generale Qassem Suleimani, depositario degli interessi iraniani nel teatro siro-iracheno, ha abbandonato lo scenario di Tikrit. L’offensiva contro Tikrit restituisce un’immagine di debolezza delle istituzioni centrali, ancora prive di un esercito strutturato e delegittimate sia dall’indipendenza delle milizie sciite sia dalla persistente marginalizzazione delle comunità sunnite. A conferma della gravità delle tensioni interconfessionali e della fragilità del controllo di Baghdad, il Ministro della Difesa Khalid al-Obeidi ha comunicato il 21 marzo il proposito di disarmare le fazioni tribali nella provincia meridionale di Basra, relativamente distante dal conflitto combattuto contro lo Stato Islamico eppure destabilizzata dalle rivalità tribali e dalle rivendicazioni autonomiste delle élite locali. Quest’ultime, espressione dei partiti sciiti, hanno rigettato la proposta del disarmo generalizzato dell’intera provincia. Tuttavia, il governo iracheno non sembra disporre né della forza politica né delle risorse necessarie a implementare il provvedimento, laddove le autorità militari di Basra sono state costrette ad attingere a compagnie di sicurezza private per formare un nuovo battaglione. Nell’ultima settimana gli scontri con i miliziani jihadisti dello Stato Islamico hanno interessato, oltre a Tikrit, anche i villaggi di al-Mazraa e Malha a sud di Baiji, l’area compresa tra Ramadi e Falluja, come pure la periferia di Mosul. In Siria, il Califfato ha invece promosso una serie di attacchi contro le forze leali a Damasco al fine di rinsaldare il controllo sulla fascia centrale del Paese. Tra il 21 e il 22 marzo, i guerriglieri islamisti hanno tentato di aprire una breccia nella base militare di Palmyra e hanno ucciso almeno sessantatré soldati siriani a est di Hama. Inoltre, un doppio attentato dinamitardo durante i festeggiamenti per l’inizio del nuovo anno curdo ha provocato la morte di almeno quarantacinque civili nella città di Hasaka. Mentre il Presidente siriano Bashar al-Assad ha aperto in una recente intervista rilasciata alla CBS all’eventualità di un dialogo con gli Stati Uniti, purché basato sul rispetto reciproco delle parti, Washington ha infine ottenuto da Ankara l’autorizzazione all’impiego dei droni Predator nella base NATO di Incirlik, da cui la potenza occidentale aveva potuto sinora lanciare solo voli di ricognizione. L’intesa con
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il governo turco permetterà agli Stati Uniti di aumentare sensibilmente l’operatività nei cieli siriani. Jabhat al-Nusra e altri gruppi ribelli hanno annunciato il 24 marzo l’avvio di un’offensiva su Idlib, a sud di Aleppo, dove l’esercito regolare siriano aveva recentemente intensificato lo schieramento di nuove unità. Primi violenti scontri sono già esplosi nella periferia della città, dove diversi posti di blocco sarebbero stati rovesciati dal fronte ribelle. Fonti locali confermerebbero il ricorso a gas cloro da parte delle forze governative.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN SIRIA (22-28 MARZO) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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YEMEN ↴
Il 25 marzo scorso l’aviazione saudita ha lanciato diversi bombardamenti a Sana’a, Sa’ada e al-Hudaydah contro le postazioni militari dei ribelli sciiti Houthi, aprendo di fatto un nuovo capitolo della crisi yemenita, che si avvia non solo a tramutarsi da guerra civile a un conflitto sempre più internazionalizzato, ma che rischia inoltre di aprire un altro fronte delle proxy war (guerre per procura) tra Arabia Saudita e Iran. Il 23 marzo il Presidente legittimo Abd Rabbuh Mansour Haddi e il Ministro degli Esteri Riad Yassin hanno lanciato un’accorata richiesta di aiuto alle forze del Gulf Cooperation Council (GCC) e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per intervenire nel Paese mettendo fine all’espansione militare degli Houthi, che, dopo aver conquistato Sana’a e la parte occidentale del Paese, sono ora diretti verso Aden, seconda città dello Yemen, strategico porto nel sud e crocevia di traffici commerciali internazionali, data la sua posizione a cavallo tra le acque del Mar Rosso e quelle dell’Oceano Indiano. Accogliendo la richiesta yemenita, il Ministro degli Esteri saudita Saudi al-Faisal aveva dato seguito all’ultimatum lanciato alle milizie Houthi, spiegando che «il golpe dei ribelli rappresenta una grave minaccia alla sicurezza e alla stabilità dello Yemen, della regione (del Golfo) e del mondo […] Se l’intervento militare non dovesse arrestarsi pacificamente, verranno prese tutte le misure necessarie per mettere fine alla crisi e proteggere la regione». L’aut aut saudita si era reso stringente a causa di due episodi accaduti poche ore prima. Da un lato l’attracco di una nave iraniana presso il porto di al-Saleef e carica di oltre 180 tonnellate tra armi ed equipaggiamenti militari presumibilmente diretti a rifornire i ribelli, dall’altro alcuni attacchi
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contro le postazioni militari e i villaggi del sud dell’Arabia Saudita da parte delle stesse milizie sciite.
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A favorire l’avanzata dei ribelli verso il sud del Paese avrebbe giocato un ruolo non di poco conto l’ex Presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, anch’egli appartenente a una tribù di fede sciita zaydita Houthi, ma in passato loro acerrimo nemico tanto da averli repressi tra il 2004 e il 2010. Saleh grazie alle milizie, alle tribù e alle forze a lui ancora fedeli – soprattutto negli apparati di sicurezza – sarebbe riuscito nell’intento di delegittimare l’ex alleato Hadi e allo stesso tempo di proporsi come possibile garante di una transizione politica mirata semplicemente al recupero del potere perduto con le cosiddette Primavere Arabe del 2011. Queste situazioni, congiuntamente alle conquiste territoriali da parte degli Houthi ai danni del governo – Ta’izz (terza città del Paese) e il suo aeroporto, buona parte del governatorato di Ma’rib (ricco di risorse petrolifere) e altri centri nei pressi di Bayda – , nonché al timore di una possibile rapida capitolazione di Aden e all’espansione di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) fin nei confini sauditi, avevano convinto Riyadh ad intervenire militarmente lanciando i primi raid contro le postazioni dei ribelli e a costituire una coalizione anti-Houthi. La notizia è stata ufficialmente annunciata il 25 marzo dall’Ambasciatore saudita alle Nazioni Unite, Adel bin Ahmed alJubeir, che in una conferenza stampa ha fornito maggiori dettagli sulle forze in campo. L’operazione
denominata
Decisive Storm, sarà composta da una forza regionale di almeno 10 Paesi: i membri del GCC – eccetto l’Oman –, l’Egitto, la Giordania, il Marocco, il Sudan e il Pakistan – sebbene ancora non sia del tutto chiaro la tipologia e la qualità dell’impegno che verrà assunto da Islamabad. L’Arabia Saudita assumerà l’onere maggiore con 150mila uomini e 100 aerei. Al momento non è previsto alcun dispiegamento di forze terrestri ma Arabia Saudita ed Egitto hanno assicurato la propria disponibilità ad inviare a combattere i propri soldati in Yemen. Secondo indiscrezioni di stampa saudita, la coalizione anti-Houthi sarebbe riuscita ad imporre la chiusura dello spazio aereo yemenita, adottando una no-fly zone localizzata ai confini aerei e spaziali del Paese. A queste forze potrebbe aggiungersi presto anche la Turchia che, nel condannare l’instabilità provocata dagli Houthi, avrebbe fornito la sua disponibilità ad entrare a far parte della coalizione militare. Gli Stati Uniti, invece, hanno spiegato che prenderanno parte all’operazione militare solo con compiti di logistica e di intelligence di supporto agli attori realmente impegnati sul campo, escludendo inoltre qualsiasi coinvolgimento militare attivo, sia esso aereo o terrestre.
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Secondo le intenzioni dell’Arabia Saudita, Decisive Storm, congiuntamente con GCC e Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Jamal Benomar, sarà mirata a favorire un dialogo nazionale che porti entro breve tempo alla definizione di una vera transizione politica e, quindi, al ritorno alla legalità e alla legittimità del governo eletto. Nel frattempo Hadi è fuggito il 24 marzo dal Paese ed è riparato a Riyadh su invito del Re saudita Salman. Prima, però, l’ex Presidente è atterrato in Egitto, a Sharm elSheikh, per partecipare ai lavori del summit della Lega Araba. Infatti, proprio a Sharm el-Sheikh, già luogo due settimane fa della Conferenza internazionale per lo Sviluppo Economico dell’Egitto, si è tenuto un atteso Vertice che poneva al centro dell’agenda dell’organizzazione pan-araba la questione yemenita e le altre crisi, più o meno congelate, del Grande Medio Oriente. L’occasione ha fornito tuttavia la possibilità di discutere nuovamente della proposta egiziana di creazione di un comando interforze regionale di intervento rapido, mirato a inserirsi nelle zone ad alto potenziale di conflitto con compiti di stabilizzazione e pacificazione. Questa forza dovrebbe essere composta da 40mila soldati, unità aeree e navali, con un comando unificato in Egitto o in Arabia Saudita. Un progetto che tuttavia non è immediato e dovrebbe richiedere molti mesi per stabilirne struttura e meccanismi. Seppur approvata nella sua interezza da parte dei 22 membri della Lega Araba, la proposta egiziana pone tuttavia fin da subito molti interrogativi: non è chiaro se questa forza possa essere in qualche forma già funzionante in Yemen (come vorrebbero i membri della coalizione di Decisive Storm) o in altri teatri operativi e, soprattutto, con quali compiti definiti.
COALIZIONE DECISIVE STORM – FONTE: AL-ARABYIA ENGLISH
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BREVI AFGHANISTAN, 25 MARZO ↴ Il Presidente afghano Ashraf Ghani e il Primo Ministro Abdullah Abdullah si sono recati per la prima
volta
dall’inizio
del
loro
mandato
a
Washington per una visita ufficiale. All’arrivo, lunedì 23 marzo, i due hanno incontrato il Segretario di Stato, della Difesa e del Tesoro statunitensi, mentre martedì 24 hanno tenuto un pranzo di lavoro e un meeting con Obama per discutere in merito alle truppe americane presenti in territorio afghano. Lo scopo della visita è stato infatti quello di chiedere al Presidente statunitense di ritardare la ritirata dei propri soldati dal Paese. Nella conferenza stampa seguita all’incontro dei due Capi di Stato, Obama ha affermato che manterrà le 9.800 truppe presenti in Afghanistan fino alla fine del 2015, con lo scopo di continuare a sostenere le forze dell’ordine afghane nel rafforzamento della sicurezza interna. Il Presidente ha inoltre dichiarato che «l’Afghanistan resta un posto molto pericoloso» e che la visita di Ghani è stata «un’opportunità per iniziare un nuovo capitolo nelle relazioni delle nostre nazioni». Il giorno successivo, mercoledì 25 marzo, Ghani ha pronunciato un discorso al Congresso riunito in seduta comune ricordando che «più di un milione di coraggiosi americani ha combattuto in Afghanistan, il popolo afghano riconosce il coraggio di questi soldati e il terribile sacrificio che gli americani hanno fatto per liberare l’Afghanistan. Abbiamo un profondo debito nei confronti dei soldati che hanno perso i propri arti a causa delle bombe interrate, ai coraggiosi veterani, e alle famiglie che hanno tragicamente perso i propri cari a causa dei codardi atti di terrore dei loro nemici». Infine, alcune ore prima del discorso a Washington di Ghani un’autobomba è stata fatta esplodere in un’affollata strada di Kabul causando circa sette morti e oltre 30 feriti.
CUBA-UE, 23-24 MARZO ↴ L’Alto
Rappresentante
Sicurezza
Comune
della
Politica
dell’Unione
Estera
Europea,
e
di
Federica
Mogherini, si è recata a Cuba per una storica visita ufficiale che assume un importante rilievo istituzionale in
quanto
è
la
prima
volta
che
il
massimo
rappresentante della PESC incontra le autorità cubane. Il passo in avanti dell’Unione Europea (UE) segue l’altrettanto storica ripresa dei colloqui tra USA e Cuba, avviati segretamente nel giugno 2013 dall’amministrazione Obama per normalizzare le relazioni con il vicino 8
di casa e giungere alla fine dell’embargo ultracinquantennale. L’UE e Cuba hanno cominciato ad aprile, tramite i loro capi delegazione, a discutere di un “Accordo di dialogo politico e di cooperazione”, un nuovo patto che cerca di aggiornare i principi alla base della politica estera condivisa, finora condizionati dal rispetto dei diritti umani sul territorio cubano. Mogherini ha incontrato prima il Ministro degli Esteri Bruno Rodriguez, poi il Presidente cubano Raùl Castro, cha dal 2008 ha preso le redini del Paese dal fratello Fidel. Sul tavolo di questi storici colloqui con L’Avana c’è innanzitutto la volontà di normalizzare i rapporti politico-economici tra UE e Cuba. L’UE è il secondo partner commerciale di Cuba, dopo il Venezuela, ed è il maggiore investitore straniero sull’isola. Gli investimenti esteri rappresentano per Raùl Castro una necessità importante dal momento che il suo progetto di actualización del socialismo, ovvero la progressiva apertura dell’economia cubana allo sviluppo dell’attività privata, necessita di capitali non disponibili attualmente sull’isola. Mogherini ha poi incontrato anche il primate della Chiesa cattolica, il cardinale Jaime Ortega, con l’esplicito intento di voler rimarcare l’importanza che ha rivestito la Chiesa cattolica locale e più in generale la Santa Sede nell’avvio del processo riformatore.
FRANCIA, 22 MARZO ↴ Sebbene
le
previsioni
delle
settimane
scorse
confermassero il Fronte Nazionale (FN) di Marine Le Pen in testa in tutti i sondaggi, il primo turno delle elezioni amministrative hanno conosciuto invece una vittoria del partito di centro-destra dell’ex-Presidente Nicholas Sarkozy, l’Unione per un Movimento Popolare (UMP), il quale ha ottenuto il 28,75% dei voti, riportando l’ex Presidente al centro della scena politica nazionale, a due anni dalle prossime elezioni presidenziali. Piazza d’onore invece per il FN che ottiene il 25,19% delle preferenze dei francesi. Alle spalle dei due partiti di destra si è piazzato il Partito Socialista (PS) del Capo di Stato François Hollande e del Primo Ministro Manuel Valls, che, con le formazioni alleate (Unone di Sinistra e Partito Radicale di Sinistra), ha raggiunto il 21,85%. Il risultato del FN è stato considerato una vittoria da Le Pen, la quale ha affermato che il FN sarebbe «il primo partito nazionale» e «questo voto mostra che i francesi vogliono ritrovare la loro libertà e hanno compreso che un’altra politica è possibile». Si tratta infatti della prima volta nella sua storia che il FN raggiunge un esito così positivo. In molte parti il FN ha raggiunto oltre il 30% dei voti e al nord sarà presente, al secondo turno, in 37 dei 41 cantoni. I numeri dimostrano tuttavia come la virata popolare sia più verso il centro-destra di Sarkozy che non ad estrema destra. L’ex-Presidente in merito al secondo turno ha affermato che non cercherà «alcuna coalizione nè a livello nazionale nè locale» per poter raggiungere la maggioranza. Sarkozy, che nel 2012 subì la sconfitta alle presidenziali per manio 9
dell’avversario Hollande, ha di fatti affermato in merito al risultato del FN che «questo partito, che ha lo stesso programma dell’estrema sinistra, e che si è congratulato della vittoria dell’estrema sinistra in Grecia, non porterà alcuna soluzione per i francesi». Il Primo Ministro Valls, in merito alla sconfitta del PS si è espresso dicendosi comunque soddisfatto del risultato «onorabile», aggiungendo che il PS ha «resistito meglio del previsto». Valls ha ammesso infine che il supporto per il FN è ancora «troppo forte e l’astensione troppo elevata». Non si sono difatti recati alle urne il 49,83% dei francesi. Si attende pertanto la decisione definitiva al secondo turno di domenica 29 marzo.
ITALIA-TERRORISMO, 7 MARZO ↴ È di tre arresti – due cittadini albanesi e un marocchino naturalizzato italiano – e almeno otto perquisizioni tra Piemonte, Lombardia e Toscana, il risultato di Balkan Connection, un’operazione antiterrorismo condotta congiuntamente dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione (DCPP), dalla Divisione
Investigazioni
Generali
e
Operazioni
Speciali (DIGOS) di Brescia con le questure di Torino, Como e Massa Carrara, che ha condotto allo smantellamento di una cellula terroristica operativa tra il Piemonte e l'Albania. Per i due albanesi, Alban Haki Elezi e Elvis Elezi, zio e nipote, l'accusa è di reclutamento con finalità di terrorismo, mentre per l'italo-marocchino di apologia di delitti di terrorismo, aggravata dall'uso di internet: il giovane sarebbe infatti autore del primo documento di propaganda in italiano dell'IS, diffuso sul web, dal titolo “Stato Islamico, una realtà che ti vuole comunicare”. La cellula sarebbe stata infatti in contatto con Anas al-Abboubi, marocchino residente a Brescia e inserito nella lista dei 65 foreign fighters italiani che ingrossano le fila del Califfato Islamico in Siria. I tre uomini avrebbero infatti individuato un aspirante combattente da inviare in Siria, un giovane italo-tunisino residente in provincia di Como, che verrà ora sottoposto a sorveglianza speciale e i cui documenti validi per l’espatrio verranno sospesi. L’operazione – condotta senza il supporto diretto dei servizi segreti – ha dunque messo nuovamente in evidenza, come nel caso delle retate seguite agli attentati di Parigi, la connessione con i fenomeni di proliferazione terroristica (sia in termini di traffico di armi che di circolazione di persone) che provengono dai Balcani. Nel corso del 2014, infatti, le autorità albanesi e kosovare avevano sgominato reti che organizzavano la partenza di combattenti per la Siria e per l’Iraq, mentre restano ancora attive cellule dedite al reclutamento e all'addestramento non solo in Albania e in Kosovo, ma anche in Macedonia, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Serbia, con quest’ultima ritenuta partner essenziale di Unione Europea (ma anche Russia) nelle strategie di counter-terrorism.
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SUDAN-EGITTO-ETIOPIA, 24 MARZO ↴ Sudan, Egitto ed Etiopia hanno firmato a Khartoum un accordo preliminare sulla gestione delle acque del Nilo che il monumentale progetto infrastrutturale etiope minacciava di rendere oggetto di aspra contesa. La Diga del Rinascimento, annunciata nel 2010 dal governo di Addis Abeba e oggi in stato di avanzamento grazie ai finanziamenti cinesi che consentiranno di coprire una spesa vicina ai 5 miliardi di dollari, aveva incontrato la dura opposizione degli Stati a valle, che temevano una riduzione della portata del Nilo Azzurro e la conseguente revisione unilaterale delle quote fissate dai trattati di epoca coloniale. La dichiarazione di principio raggiunta dai tre Paesi rivieraschi tende esplicitamente a salvaguardare i diritti di utilizzo delle acque fluviali. Il Primo Ministro etiope Hailemariam Desalegn ha assicurato che la realizzazione dell’opera non danneggerà gli interessi sudanesi ed egiziani. L’accordo quadro, derubricato come “storico” dal Presidente sudanese Omar al-Bashir, prevede anche l’istituzione di un meccanismo per la risoluzione delle controversie.
Come
ricordato
dal
Presidente
egiziano
Abdel Fattah al-Sisi, questa prima apertura dovrà essere seguita dall’effettiva elaborazione sistema
di
un
multilaterale
per
l’equa
distribuzione
delle
acque
Nilo.
del
Tuttavia,
la
forte
pressione demografica
e
il
crescente sfruttamento risorse
delle
idriche
del
bacino non rimuovono il rischio concreto di una
progressiva
diminuzione dei flussi disponibili,
dunque
aumentando la gravità del negoziato aperto a Khartoum.
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UCRAINA, 24 MARZO ↴ Con 348 voti favorevoli e 48 contrari, la Camera dei Rappresentanti USA ha approvato una risoluzione che chiede – e autorizza in questo senso – alla Casa Bianca l'invio di sistemi di difesa letali all’Ucraina affinché questa possa difendere la propria integrità territoriale. Pur se non vincolante, il documento ha un importante valore
politico
che
mette
il
Presidente
Obama,
accusato in particolare di tenere una linea troppo attendista, nella difficile condizione di gestire le richieste interne con il delicato contesto internazionale. Sul piano interno il 25 marzo Poroshenko ha formalizzato le dimissioni del governatore della regione di Dnipropetrovsk, Igor Kolomoisky, la più importante regione industriale del Paese. Kolomoisky, oligarca con un patrimonio stimato in 1,8 miliardi di dollari, cofondatore della PrivatBank (il più grande istituto d’investimenti privato ucraino) e proprietario dell'emittente televisiva “1+1”, era stato nominato governatore dopo la destituzione di Yanukovich e ha supportato le autorità centrali – attraverso il finanziamento dei Battaglioni Dnepr-1 e Dnepr-2 – nell'offensiva contro i separatisti filo-russi del Donbass. La rimozione dell'incarico è ufficialmente motivata dalle tensioni generate dall'approvazione da parte della Rada (19 marzo) di alcuni emendamenti alla legge sulle società per azioni, che aveva comportato la sospensione dal Consiglio di Amministrazione di UkrTransNafta (sussidiaria di UkrNafta, il più grande produttore di petrolio e gas nel Paese) di Alexander Lazorko, uomo di fiducia di Kolomoisky che controlla il 42% dell'ente energetico attraverso la stessa PrivatBank. Al posto di Lazorko è stato nominato Yuri Miroshnik, vicino a Poroshenko. Il siluramento dell'ex governatore dell’oblast di Dnipropetrovsk è dunque avvenuto dopo che un gruppo di uomini armati, sospettati di essere stati inviati dallo stesso Kolomoisky e appartenenti alla squadra Dnepr-1, ha occupato il quartier generale della UkrTransNafta. Oltre ad una possibile spaccatura tra classe oligarca e classe dirigente, l'episodio potrebbe creare un nuovo pericoloso cuneo di instabilità vista anche la prossimità geografica alle regioni separatiste. Il rischio è che le forze ribelli possano prendere nuovo vigore, così come che i battaglioni finanziati dall'ex governatore possano allentare la propria lealtà a Kiev. Il leader dell’auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk, Alexander Zakharchenko, ha provocatoriamente invitato Kolomoisky, sostituito ora da Valentyn Reznichenko, ad istituire la Repubblica autonoma di Dnipropetrovsk.
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ALTRE DAL MONDO CAUCASO, 25 MARZO ↴ Il Dipartimento di Stato USA ha inserito Aliaskhab Kebekov (meglio conosciuto come Ali Abu Muhammad al-Dagestani) nella propria black list del terrorismo internazionale. Al-Dagestani ha scalato i vertici dell’Emirato Islamico del Caucaso nel febbraio 2014 a seguito della morte improvvisa dell’ex leader Doku Umarov, ucciso in un’operazione congiunta di anti-terrorismo dalle forze russe e cecene.
CINA-INDIA, 23 MARZO ↴ È iniziato a New Delhi il 18° round di negoziati sulle dispute territoriali tra Cina e India, il primo da quando Narendra Modi ha assunto la carica di Primo Ministro. L’incontro è volto ad intensificare i legami tra i due Paesi in vista della visita ufficiale di Modi a Pechino in maggio. In un comunicato i rappresentanti dei due governi, il cinese Yang Jiechi e l’indiano Ajit Doval, hanno affermato la volontà di rafforzare «il processo tripartito per giungere presto ad una soluzione adeguata, ragionevole e reciprocamente accettabile» in merito ai contesi 4.057 Km di confine condiviso.
GIAPPONE, 20 MARZO ↴ Il governatore dell’isola di Okinawa, Takeshi Onaga, ha ordinato la sospensione dei lavori per lo spostamento della base navale USA di Futenma, riaccendendo tensioni latenti. Dal canto suo Tokyo, che tiene particolarmente all’alleanza con Washington, ha affermato che il progetto andrà avanti nonostante l’opposizione di Onaga. Nella stessa giornata il Primo Ministro Shinzo Abe ha incontrato il Presidente indonesiano Joko Widodo al fine di rafforzare i legami bilaterali economici e di difesa tra i due Stati. In particolare i vertici hanno raggiunto accordi in merito alla sicurezza costiera, alla regolarità nei dialoghi tra i rispettivi Ministeri di Difesa e degli Esteri ed hanno stabilito infine la necessità di maggiori investimenti giapponesi in Indonesia.
GIORDANIA, 24 MARZO ↴ Mosca e Amman hanno raggiunto l’accordo per la costruzione del primo impianto nucleare in territorio giordano. La crescente instabilità regionale ha seriamente compromesso gli approvvigionamenti energetici della Giordania, che dipende dall’importazione d’idrocarburi (principalmente da Iraq e Egitto). La centrale di Amra sarà conclusa nel 2022 e nelle parole di Sergej Kiriyenko, direttore dell’agenzia nucleare russa Rosatom, rappresenta il varo di una partnership strategica.
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ISRAELE, 25 MARZO ↴ Il Presidente della Repubblica Reuven Rivlin ha ufficialmente affidato al Premier uscente Benjamin Netanyahu l’incarico di formare un nuovo esecutivo «il più largo possibile e in breve tempo». Netanyahu avrà 14 giorni di tempo per comporre un nuovo governo, con una possibile proroga di altri 14 giorni a discrezione del Presidente. Nel frattempo le trattative tra Likud e Kulanu (quarta forza alle elezioni con 10 seggi e in predicato da tempo di entrare nella coalizione di maggioranza) sono giunte ad uno stallo a causa di alcune frizioni tra le parti sulle risorse da destinare a welfare e coesione sociale.
NIGERIA, 27-28 MARZO ↴ Dopo aver riconquistato la città di Damasak, attraverso un’offensiva congiunta con le truppe nigerine, le truppe ciadiane si sono riposizionate a Mora, città camerunense situata a sud di Fotokol. Nel frattempo sono iniziate in Nigeria le operazioni di voto per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. I miliziani di Boko Haram hanno lanciato i propri attacchi al alcuni seggi: venerdì almeno 30 persone sono state decapitate nel villaggio di Buratai, mentre il giorno dopo almeno 25 persone sono state uccise in cinque diversi attacchi.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 26 MARZO ↴ Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha rinnovato per ulteriori 12 mesi il mandato della MONUSCO, la missione delle Nazioni Unite nel Paese africano. La risoluzione prevede una riduzione del dispositivo multinazionale di circa 2.000 unità. Tale decisione è il frutto della revisione strategica della MONUSCO che prevede di costituire una forza più efficiente, ma rappresenta anche un accoglimento parziale delle richieste del governo di Kinshasa che vuole una rapida dipartita delle truppe onusiane.
REGNO UNITO-ARGENTINA, 24 MARZO ↴ Il Ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, ha annunciato un rafforzamento del contingente militare presente sull’arcipelago delle Falkland – la cui sovranità è reclamata ancora oggi dall’Argentina – con l’obiettivo dichiarato di difendere il diritto degli isolani di rimanere britannici. A questo scopo Londra ha annunciato una spesa di 280 milioni di sterline nei prossimi 10 anni per il rafforzamento dei 1.200 soldati già presenti, una miglior ricollocazione degli stessi, l'invio di due elicotteri RAF-Chinook per il presidio territoriale, nonché l’installazione di un sistema di comunicazione avanzato presso la base di Mont Pleasant e la prossima sostituzione del sistema missilistico Rapier con un altro più avanzato entro la fine del decennio. La decisione sarebbe dovuta alle presunte trattative in corso tra Buenos Aires e Mosca sulla fornitura russa di 12 bombardieri a lungo raggio.
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SPAGNA, 22 MARZO ↴ Con 47 seggi su 109, il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) ha vinto le elezioni anticipate per il rinnovo del Parlamento andaluso. 33 seggi invece per il Partido Popular (PP), in calo di 7 seggi rispetto alle consultazioni del 2012, e appena 5 (contro i 12 del 2012) per Izquierda Unida (IU). Ottima la performance per il partito populista Podemos di Pablo Iglesias (15 seggi), per la prima volta ad un voto nazionale, e per il partito centrista Ciudadanos di Albert Rivera (9 seggi). L'appuntamento può essere considerato un importante test politico in vista delle elezioni legislative spagnole del prossimo autunno.
SUD SUDAN, 24 MARZO ↴ Il Parlamento di Juba ha approvato una misura che estende di ulteriori tre anni il mandato del Presidente Salva Kiir, passando dal 2015 al 2018. La legge approvata dai due terzi dell’Assemblea sudsudanese rappresenta di fatto una violazione degli accordi di pace siglati lo scorso 2 febbraio ad Addis Abeba, che prevedevano la creazione di un governo di transizione che avrebbe dovuto condurre il Paese alle elezioni. L’opposizione, guidata dall’ex vice Presidente Riek Machar, ha condannato la decisione, ritenendola un escamotage per mantenere al potere il Presidente Kiir.
TURCHIA, 24 MARZO ↴ L'esercito turco ha lanciato una vasta operazione militare contro i rifugi e i depositi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nella zona di Mazidağı della provincia di Mardin, nel sud-est della Turchia. L’iniziativa, motivata ufficialmente dai media turchi come una risposta a colpi di mortaio esplosi dallo stesso PKK, ma che potrebbe avere anche lo scopo di compattare il fronte nazionalista in vista delle elezioni politiche del prossimo 7 maggio, è scattata tre giorni dopo la dichiarazione del leader curdo Abdullah Öcalan circa il rilancio del processo di pace con Ankara.
TUNISIA, 26 MARZO ↴ Il Ministero degli Interni tunisino ha annunciato di aver arrestato a Tunisi il capo della presunta cellula terroristica accusata dell’attentato al Museo del Bardo lo scorso 18 marzo. L’uomo, un tunisino che risiederebbe abitualmente in Belgio, sarebbe stato a capo di un commando di 16 persone (alcune delle quali arrestate) organizzato in quattro divisioni al loro interno (ciascuna preposta per una funzione dedicata) e che risponderebbe alla brigata jihadista tunisina Okba ibn Nafaa, diretta dall’algerino Luqman Abu Sakhr, presunto affiliato allo Stato Islamico.
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ANALISI E COMMENTI SPAGNA, IL VOTO IN ANDALUSIA E LA CRISI DEL BIPARTITISMO DAVIDE VITTORI ↴ Tiene il Partido Socialista Obrero Español (PSOE), crolla il Partido Popular (PP) e il bipartitismo continua a traballare. Volendo riassumere in una riga l’esito delle elezioni in Andalusia, sono questi i tre verdetti principali che riguardano non solo lo scenario politico locale, ma anche quello nazionale. Il PSOE con 47 seggi ottiene la maggioranza relativa nel Parlamento andaluso, mentre il PP (33 seggi) esce sconfitto dalle urne; ottimo il risultato ottenuto dai neonati movimenti Ciudadanos e Podemos a scapito dell’ex sinistra comunista di Izquierda Unida (IU). La tornata elettorale ha rappresentato un banco di prova per tutte le forze politiche in vista di quelle municipali di maggio e soprattutto di quelle previste a settembre in Catalogna, a cui seguiranno entro la fine dell’anno anche quelle politiche (la cui data esatta non è stata ancora definita) (…) SEGUE >>>
COUNTRY PROFILES: YEMEN BEATRICE NICOLINI ↴ La Repubblica Unita dello Yemen, che comprende l’isola di Socotra nell’Oceano Indiano e gli arcipelaghi di Perim e Kamaran sul Mar Rosso, è uno dei Paesi più poveri del Medio Oriente e del mondo, mentre la percentuale di PIL destinata alle spese militari lo pone al settimo posto. Sia il territorio sia le isole possiedono importanti risorse: una flora ricchissima con proprietà medicamentose e antiossidanti (incluso il qat/kat, una droga leggera esportata in tutto il mondo), spezie preziose (l’incenso e la mirra delle terre della Regina di Saba), e una cultura e un’architettura che attraggono studiosi e turisti. Oltre a ciò, quattro milioni di barili di petrolio vengono trasportati ogni giorno nello stretto di Bab al-Mandeb (30 Km), tra lo Yemen e la Somalia La sua posizione strategica nell’angolo meridionale della penisola arabica, ai confini con il Sultanato dell’Oman e con il Regno dell’Arabia Saudita, con i quali condivide 1770 Km di frontiera, ne costituisce la sua importanza da millenni (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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