N°19, 7 – 13 SETTEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 14 settembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: Reuters; AP Photo; AFP/HO/Egyptian Presidency; Miriam Alster/FLASH90; AFP/Mahmud Turkia; European Pressphoto Agency; Associated Press;
FOCUS IRAQ ↴
Lunedì 8 settembre il Parlamento iracheno ha approvato l’esecutivo presieduto da Haider al-Abadi. Il neo Primo Ministro ha ottenuto la convergenza delle forze politiche sopra un manifesto d’intenti articolato in 18 punti che nei prossimi sei mesi scandirà l’agenda governativa. Oltre alla prioritaria resistenza contro la pressione dell’IS, il documento prevede la risoluzione di questioni divisive che hanno alimentato gli scontri etnici e settari: il riesame della legge che vieta il conferimento di cariche pubbliche ad ex membri del regime baathista, l’applicazione di misure di amnistia, la considerazione delle pretese territoriali e commerciali (inclusi i diritti all’esportazione di petrolio) espresse dalle autorità curde, la revisione della legislazione anti-terrorismo, l’integrazione delle milizie sunnite e sciite e dei peshmerga curdi in una rinnovata struttura di sicurezza. A questo proposito è rilevante, nell’ambito delle disposizioni strategiche atte a minare il basamento del Califfato, l’accenno alla formazione di gruppi armati locali nelle province sunnite occupate dall’IS – aspetto necessario ad incoraggiare le tribù sunnite a dissociarsi dalle legioni di alBaghdadi. Il consenso parlamentare costituisce una prima apertura verso un nuovo accordo di pacificazione nazionale – cui gli Stati Uniti vincolano la concessione di maggiore assistenza militare. In una compagine ministeriale a sostanziale guida sciita, la rappresentanza delle altre comunità è equilibrata dalla nomina dei curdi Hoshyar Zebari e Rowsch Shaways rispettivamente a vice Primo Ministro e a Ministro delle Finanze, come anche dalla conferma del sunnita Saleh al-Mutlaq anch’egli nella veste di vicePrimo Ministro. Al fine di ridurre il potenziale di ricatto di eventuali opposizioni, al1
Abadi ha inoltre attribuito ai contendenti delle elezioni del 2010 – il Premier uscente Nuri al-Maliki ed il leader di Iraqiyya Ayad Allawi – il ruolo formale di vice Presidenti (assieme all’ex portavoce sunnita del Parlamento, Osama al-Nujaif). Tuttavia, a testimonianza della complessità delle trattative, le poltrone di Ministro della Difesa e degli Interni – ossia di dicasteri chiave per la repressione dei jihadisti e per il ripristino della legalità – sono ancora vacanti, con l’esercizio di tali funzioni provvisoriamente accentrato nelle mani di al-Abadi, che entro la prossima settimana dovrà provvedere alle nomine. Al contempo, il governo autonomo curdo ha ventilato ipotesi secessioniste qualora nei prossimi tre mesi non sia soddisfatta la lettera delle intese sottoscritte. Malgrado ciò, l’esecutivo di al-Abadi ha da subito ottenuto il sostegno di Washington e delle cancellerie europee, come pure delle potenze regionali Arabia Saudita e Iran. Nel frattempo, mentre nella capitale l’esplosione di due autobombe ha causato la morte di 20 persone (5 settembre), risultando il quarto attentato terroristico delle ultime due settimane, l’esercito regolare e le milizie sciite leali a Baghdad hanno recuperato (7-8 settembre) il controllo di Barwana e della diga di Haditha, con l’appoggio decisivo della U.S. Air Force. La situazione sul campo resta tuttavia critica e non conforta un arretramento del Califfato; l’intelligence americana ritiene anzi che i combattenti dell’IS abbiano raggiunto le 30mila unità.
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STATI UNITI ↴
Alla vigilia del tredicesimo anniversario degli attentati dell’11 settembre, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha delineato agli americani il piano per «degradare e distruggere» lo Stato Islamico (IS), dopo che solo pochi giorni prima aveva ammesso di «non avere ancora alcuna strategia». Il piano si struttura in quattro punti. Primo, «condurremo una campagna sistematica di raid aerei contro questi terroristi» al fianco del governo iracheno ed espandendo la missione umanitaria, se necessario anche sul territorio siriano. «Questo è l’obiettivo chiave della mia presidenza: se minacci l’America, non avrai alcun luogo sicuro». Secondo, «aumenteremo il nostro sostegno a quelle forze che stanno già combattendo i terroristi sul terreno». A tale scopo, Obama ha annunciato che invierà circa 500 soldati americani in Iraq, in aggiunta ad alcune centinaia già lì dislocate, senza compiti di war fighting, ma con funzioni di tranining ed intelligence. Tra le forze già impegnate contro l’IS risultano anche i ribelli moderati in Siria, che verranno aiutati e rafforzati, benché ciò rischi di minare il supporto (seppur occasionale) del regime di Bashar al-Assad all’azione statunitense. Terzo, «continueremo a ricorrere alle nostre importanti capacità di controterrorismo per prevenire gli attacchi di IS. Lavorando con i nostri partner, raddoppieremo i nostri sforzi per tagliare i fondi [all’IS], migliorare la nostra intelligence, rafforzare le nostre difese, rispondere alla sua perversa ideologia, fermare il flusso di combattenti stranieri provenienti dall’interno e dal di fuori del Medio Oriente». Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha annunciato Obama, verrà mobilitato per applicare e legittimare tali misure.
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Quarto ed ultimo punto della nuova strategia Obama si baserà sul «fornire assistenza umanitaria ai civili innocenti» senza distinzione tra sciiti, sunniti e cristiani «che hanno abbandonato le loro abitazioni a causa di questa organizzazione terroristica». Il Presidente, sottolineando che «questo sforzo sarà differente rispetto alle guerre in Iraq e in Afghanistan», ha concluso quindi che «in ciascuna di queste quattro parti della nostra strategia, l’America sarà affiancata da un’ampia coalizione di partner. Già ora aerei alleati stanno sorvolando l’Iraq al fianco dei nostri velivoli, stanno mandando armi ed assistenza alle forze di sicurezza irachene e all’opposizione siriana, stanno condividendo informazioni e fornendo aiuti umanitari per un valore di miliardi di dollari». Contestualmente allo speech di Obama, il Segretario di Stato, John Kerry, ha effettuato un tour in Iraq, Arabia Saudita, Egitto e Turchia per raccogliere il maggior sostegno possibile alla strategia statunitense anti-IS. A Baghdad, Kerry ha incontrato il neo-Primo Ministro Haidar al-Abadi, dicendosi “impressionato” da quest’ultimo e dal suo piano per la ricostruzione delle forze armate irachene e per l'impegno su quello delle riforme politiche. Azioni, queste, che sono «necessarie all'Iraq per portare attorno a un tavolo tutti i segmenti della società irachena». In merito ad una possibile cooperazione con l’Iran sul terreno, Kerry ha affermato che «non c'è alcun coordinamento o cooperazione sul fronte militare con l'Iran nella lotta contro l'IS. E gli USA non hanno intenzione di farlo in futuro». Ad Ankara, Kerry ha incontrato il Presidente Recep Tayyip Erdoğan, il Premier Ahmed Davutoğlu e il Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu. I due Paesi si sono impegnati a sostenere l’opposizione moderata siriana, a condividere l’intelligence e a cooperare per contrastare l’IS, ma in ciò l’azione turca sarà volta alla «sola assistenza umanitaria» nella regione. Infine, al Cairo, Kerry ha incontrato il Presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, che si è dimostrato «in prima linea nella lotta al terrorismo», un «male che non conosce frontiere». Per combatterlo, gli USA hanno quindi «fornito all'Egitto otto elicotteri per contribuire alla lotta contro l'IS in tutta la regione». Alla coalizione dei volenterosi messa in piedi dagli USA hanno per ora aderito Egitto, Iraq, Giordania, Libano, Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
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UCRAINA ↴
Come anticipato già nei giorni precedenti e successivi alla visita del Presidente ucraino Poroshenko a Bruxelles, il 12 settembre sono entrate in vigore le nuove sanzioni dell'Unione Europea contro la Russia. Il nuovo pacchetto di misure prevede: 1) l'espansione dei criteri per l'inclusione di persone ed enti nella lista relativa alle restrizioni sulle concessioni dei visti e al congelamento degli asset finanziari, emendando dunque al documento emesso dal Consiglio dell'Unione Europea lo scorso 17 marzo e rinnovando la validità di tali misure fino al 15 marzo 2015; 2) l'ampliamento della lista di persone (24) sottoposte a tali restrizioni, tra le quali figurano anche Alexander Zakharchenko, leader dell'autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, e Vladimir Zhirinovsky, leader del Partito liberal-democratico russo, oltre che Sergej Chemetov, capo della Rostec (società di prodotti tecnologici nel settore civile e della Difesa); 3) il divieto di scambio di obbligazioni, azioni e altri strumenti la cui durata supera i 30 giorni emessi dalle banche controllate per più del 50% dallo Stato (Sberbank, Vnesheconombank, Rosselkhozbank, Vtb bank e Gazprombank) o da enti che operano nel settore della Difesa e dell'energia (tra questi i giganti del petrolio Rosneft, Gazprom Neft e Transneft, dell'aerospazio come Opk Oboronprom e della produzione di armi, come la Khalashnikov); 4) il divieto di vendita, acquisto o trasferimento di beni ad uso duale a determinate persone ed enti in Russia; 5
5) il divieto di fornitura dei servizi necessari all'esplorazione petrolifera in alto mare e nell'Artico oltre che per i progetti di shale oil. Il Presidente del Consiglio europeo uscente Herman Van Rompuy ha comunque dichiarato che il pacchetto potrebbe essere sospeso o modificato entro la fine di settembre a seconda dell'evolversi della situazione sul terreno. A tali sanzioni si è aggiunto il 13 settembre anche un nuovo blocco di misure da parte del Dipartimento del Tesoro USA, che allunga la lista delle società che ne sono soggette (operanti nel campo della Difesa e dell'energia), allargando le restrizioni nel campo finanziario e della perforazione offshore nell'Artico. Oltre a paventare adeguate ritorsioni che implicherebbero, insieme con la possibile chiusura dello spazio aereo russo, anche nuove restrizioni sull'import/export nel settore dell'abbigliamento e automobilistico dopo quello sui prodotti agricoli, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha ribadito l'illogicità di tale atteggiamento visti gli sforzi profusi dalla Russia nella mediazione della crisi e nel raggiungimento dell'accordo di cessate il fuoco lo scorso 5 settembre. Ai rischi nei suddetti comparti si aggiungerebbe quello riguardante il gas: Polonia e Slovacchia hanno lamentato un calo di almeno il 45% di fornitura di gas dalla Russia. A fronte di questo muro contro muro e al termine di un trilaterale a Bruxelles, la Commissione europea ha comunque deciso di far slittare l'entrata in vigore dell'Accordo di Associazione e Stabilizzazione con Kiev, la cui ratifica da parte della Rada era prevista per il prossimo 16 settembre, al 31 dicembre 2015 in modo da aprire uno «spazio politico di dialogo tra Ucraina e Russia», come ha spiegato il Commissario europeo al Commercio Karel De Gucht. Ad acuire le polemiche è concorsa anche la dichiarazione del Premier ucraino Yatsenyuk, a margine del meeting annuale di Yalta sulla sicurezza europea, secondo cui il vero obiettivo di Putin è di «impadronirsi dell'intera Ucraina» e di voler «ricreare l'URSS», iniziando dalla realizzazione di un corridoio che colleghi la Russia alla Crimea e alla Transnistria, facendo delle aree sud-orientali ucraine una zona cuscinetto come la regione separatista moldava. Ipotesi che il Ministro degli Esteri Lavrov ha definito «assurdità». La situazione sul campo, infine, resta delicata: oltre all'arrivo di un nuovo convoglio umanitario russo (il cui passaggio tuttavia non è stato controllato dalla Croce Rossa Internazionale poiché «non ha ricevuto una notifica ufficiale dell’accordo tra Russia e Ucraina»), il cessate il fuoco – solo ufficialmente ancora in vigore – è stato violato a causa della ripresa degli scontri nella città di Mariupol e dei combattimenti – ufficializzati dalle forze armate di Kiev – all'aeroporto di Donetsk.
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BREVI CINA, 9 SETTEMBRE ↴ Il Presidente cinese Xi Jinping ha incontrato a Pechino il National Security Advisor statunitense Susan Rice. La visita di
quest’ultima era anzitutto finalizzata a
preparare il terreno per il viaggio che il Presidente USA, Barack Obama, compirà in Cina il prossimo novembre. La Rice ha avuto un lungo colloquio anche con il Consigliere di Stato, Yang Jiechi. Xi Jinping ha evidenziato che, nel contesto della difficile situazione internazionale, è fondamentale per i due Paesi rafforzare la cooperazione bilaterale. In questo senso, ha aggiunto, la Cina intende portare avanti uno sviluppo pacifico nelle relazioni bilaterali fondato sul reciproco rispetto e sul mutuo vantaggio. Perciò è necessario approfondire la collaborazione nei settori economico, delle infrastrutture, della sicurezza e in quello umanitario, ampliando le consultazioni su temi regionali e globali come il clima e la lotta al terrorismo. La Rice ha colto la palla al balzo invitando la Cina a contribuire alla coalizione che gli Stati Uniti stanno organizzando per combattere l’IS in Iraq. Pechino non ha fatto promesse ma secondo fonti americane «ha mostrato interesse» a farlo. Nel delicato contesto regionale, che coinvolge anche la posizione degli USA, è da segnalare che in una conferenza stampa del 10 settembre il Portavoce dell'Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese, Ma Xiaoguang, ha annunciato che Pechino aprirà per Taipei una via preferenziale verso il mercato della Cina. Dopo la firma di più accordi economici bilaterali nel corso degli ultimi anni, ciò segna un ulteriore passo verso il rapprochement tra i due Paesi.
EGITTO, 9 SETTEMBRE ↴ Hanno
sollevato
parecchio
scalpore
alcune
indiscrezioni apparse sui media israeliani ed egiziani di una possibile cessione di 1.600 km2 del territorio sinaitico
all’Autorità
Nazionale
Palestinese
per
permettere il ritorno dei rifugiati palestinesi nella regione al fine di creare un’unione territoriale tra il Sinai settentrionale e la Striscia di Gaza. La notizia sarebbe giunta direttamente alla stampa da una dichiarazione di Abu Mazen, leader dell’ANP, all’agenza palestinese Ma’an in cui spiegava i contenuti riversati di una conversazione avvenuta al Cairo con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. «L’Egitto ci ha proposto una parte del Sinai per realizzare lo Stato di Palestina ma ho rifiutato perché è illogico che siano loro a risolvere il problema che abbiamo con Israele». La proposta farebbe parte di un più articolato piano di pace egiziano che riguarderebbe non solo i Territori Palestinesi 7
della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ma anche la sicurezza dello stesso Sinai. In pratica l’Egitto sarebbe disponibile ad accettare la creazione di un’entità statuale cinque volte grande l’attuale conformazione della Striscia di Gaza in cambio della rinuncia palestinese al ritorno dei profughi (che potrebbero confluire tuttavia nel nuovo territorio) e alla questione dei confini precedenti al 1967 dopo la guerra dei Sei Giorni. Secondo le intenzioni di al-Sisi, il suo progetto dovrebbe permettere una sostanziale stabilità dei territori in questione attraverso una smilitarizzazione delle aree sotto il controllo palestinese dell’ANP. Immediate le polemiche e il rifiuto da parte egiziana e palestinese per le ricostruzioni di stampa definite come «falsità infondate» e una «fantasiosa fabbricazione israeliana». Se da parte araba, almeno ufficialmente l’ipotesi viene respinta con forza, sul versante israeliano l’ex capo dello Shin Bet – il controspionaggio interno – Yaakov Peri, ora Ministro della Scienza e Tecnologia, ritiene questa opzione come «meritevole di un approfondimento perché utile a combattere il terrorismo nel Sinai». Al di là del solito balletto di dichiarazioni e di accuse reciproche, non è la prima volta che viene avanzata un’ipotesi di ampliamento dei territori della Striscia di Gaza. Già nel 2004 Sharon e Mubarak discussero di una tale ipotesi, poi naufragata dietro resistenze del Cairo, basandosi sul cosiddetto “Piano Eiland”, dal nome dell’addetto della sicurezza nazionale israeliana che avanzò il progetto di collegamento territoriale tra Sinai egiziano e Striscia di Gaza. Anche nel 2012-13, sotto la presidenza Mursi, era circolata nuovamente l’ipotesi di una cessione di parte del Sinai del Nord all’alleato islamista di Hamas ma questa notizia venne immediatamente smentita dalle Forze Armate egiziane.
ISRAELE, 9 SETTEMBRE ↴ Terminata la guerra a Gaza con considerevoli costi umani ed economici da ambo le parti – più di 2000 morti e circa 3 miliardi di dollari in spese militari –, il governo israeliano sta provando a trovare un accordo per la nuova legge di bilancio 2015 da presentare entro la fine del mese. Come sempre al centro delle polemiche politiche il nodo principale riguarda il budget della difesa che il Premier Benjamin Netanyahu vorrebbe aumentare di circa il 6% per poter far fronte «alle minacce alla sicurezza nazionale». Attualmente il budget della difesa israeliana si attesta intorno ai 14 miliardi di dollari, di cui almeno 3 provengono dagli aiuti annuali versati dagli Stati Uniti. Il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, il Generale Benny Gantz, avrebbe infatti richiesto 2,5 miliardi di dollari aggiuntivi per il 2014 che servirebbero a ripianare la spesa suppletiva dovuta alla crisi di Gaza e 3,5 mld $ per 2015 per far fronte all’ammodernamento dei sistemi di difesa e alle minacce esterne. Così a scontrarsi vi sarebbe da un lato l’insolito asse tra laici e ultra-ortodossi capeggiati dal vice Premier Yair Lapid e dal partito religioso della Torah che
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vorrebbero incrementi di spesa in favore dell’economia interna e del welfare sociale, mentre sul versante opposto esponenti nazionalisti come Ya’alon, l’ala più radicale del Likud e HaBayit HaYehudi preferirebbero che tali risorse venissero destinate al comparto Difesa e Sicurezza. Come nel settembre 2012, il rischio più concreto è che si possa arrivare ad una rottura dell’accordo di governo e andare così ad elezioni anticipate. Nel frattempo, Israele e Stati Uniti hanno condotto un nuovo test dalle parti dell’entroterra di Ashdod per il sistema difensivo anti-missilistico Arrow 2. Il sistema balistico di razzi intercettori è già in funzione in parte dello Stato ebraico insieme al più noto Iron Dome in modo da garantire la sicurezza esterna israeliana dai missili a lunga gittata che potrebbero giungere da Libano e Siria, finanche dallo stesso Iran.
LIBIA, 11 SETTEMBRE ↴ Non sembra conoscere sosta la vorticosa escalation di violenze che sta caratterizzando da diverse settimane la Libia. Dopo Bengasi e la Cirenaica anche la capitale Tripoli è caduta sotto i colpi di Fajr Libya (Alba libica), l’ombrello islamista che raccoglie tutte le principali milizie anti-governative vicine ad Ansar al-Sharia e alle bande di
Misurata. Nonostante siano riuscite a
sfondare dentro Tripoli occupando gran parte dei Ministeri e delle sedi della Banca Centrale e della compagnia petrolifera nazionale, le milizie islamiste starebbero conducendo alcune operazioni contro le tribù ribelli fedeli al precedente regime gheddafiano e al governo legittimo di al-Thani. È il caso del lungo e tragico assedio di Warshefana, nella periferia sud-orientale di Tripoli, che ha provocato fino ad ora oltre 50 morti. Intanto il Parlamento legittimo insediatosi a Tobruk, nell’est del Paese e a pochi Km dal confine egiziano, contiunua a riunirsi per gli ovvi problemi di sicurezza a Tripoli. Proprio la Camera dei Rappresentanti, mentre rinconfermava la fiducia al Premier ad interim uscente Abdullah al-Thani, il quale dovrebbe comporre nelle prossime settimane una squadra di governo di circa 18 Ministri, ha approvato nei giorni scorsi una nuova e molto restrittiva legge anti-terrorismo mirata a fermare le violenze ormai croniche e a colpire duramente i fomentatori e i fiancheggiatori dei terroristi. La nuova legge potrebbe essere dunque un importante strumento normativo capace di bloccare soprattutto i rifornimenti di armi e munizioni che giungono da oltre confine, in particolare dal Sudan accusato ufficialmente da Tripoli di finanziare militarmente le milizie islamiste libiche. Le accuse giugono a seguito del ritrovamento di un misterioso cargo intercettato all’aeroporto di Kufra, nel sud est del Paese, che trasportava armi e munizioni probabilmente dirette agli islamisti della Cirenaica. Khartoum ha immediatamente rigettato le accuse spiegando invece che le armi erano dirette ad un contingente congiunto libico-sudanese schierato lungo la frontiera comune per combattere il contrabbando e la tratta di esseri umani.
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PAKISTAN, 10 SETTEMBRE ↴ Continua
la
vasta
offensiva
anti-terrorismo
denominata “Zarb-e-Azb” volta a degradare le capacità operative dei guerriglieri islamisti asserragliati nelle gole rocciose del Waziristan settentrionale – regione autonoma a maggioranza pashtun e baluardo dei Talebani e dei gruppi paramilitari alleati. Le Forze Armate pakistane hanno riportato l’uccisione di 65 miliziani nei bombardamenti messi a segno nel distretto di Datta Khel e nell’area di Shawal, già terreno di caccia dei droni americani. Il giro di vite deliberato dalle autorità di Islamabad a seguito dell’attentato all’aeroporto di Karachi dello scorso 10 giugno è stato particolarmente duro: dal 15 giugno le operazioni di aria e di terra, in cui sono impegnate tra le 25mila e le 30mila unità, hanno provocato la morte di almeno 975 terroristi e l’eliminazione di numerose roccaforti nei centri urbani di Miranshah, Mir Ali, Boya e Degan. Malgrado il drastico calo di attentati nel Paese, l’impatto complessivo della campagna è tuttavia da ritenersi modesto ed altamente transitorio poiché le forze pakistane non sono riuscite a tagliare le vie di fuga lungo la frontiera afghana, né a colpire la leadership talebana. La pioggia di attacchi ha inoltre esacerbato la radicata disaffezione delle tribù locali nei riguardi delle istituzioni centrali: sebbene le stime ufficiali non includano civili e non siano confermate da organi indipendenti in virtù della rigida interdizione dell’area, circa 800mila persone sono state costrette a cercare riparo nei campi profughi nella vicina provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Mentre nella capitale infuriano le proteste contro il governo di Nawaz Sharif, le recenti alluvioni hanno aggravato enormemente il bilancio dell’emergenza umanitaria.
SIRIA, 11 SETTEMBRE ↴ Sono stati rilasciati i 45 caschi blu dell’ONU di nazionalità figiana, rapiti dai ribelli siriani del fronte alNusra il 28 agosto scorso. I peacekeepers delle Nazioni Unite erano stati catturati sulle Alture del Golan, l’area strategica situata al confine tra Siria e Israele, al valico di frontiera di Quneitra, conquistato dai ribelli siriani che combattono il regime di Assad. Lungo questo confine è presente dal 1974 la missione UNDOF (United Nations Disengagement Observer Force) delle Nazioni Unite che monitora la situazione di quest’area che “tecnicamente” sarebbe ancora in guerra e che ha acquistato rinnovata importanza dall’inizio della guerra civile siriana. Nella liberazione dei peacekeepers ONU avrebbe giocato un ruolo importante il Qatar, il principale sostenitore finanziario dei ribelli che combattono Assad, che avrebbe risposto ad una richiesta di sostegno da parte del governo delle isole Fiji, anche se non è chiaro se sia stato pagato un riscatto. Il Segretario Generale delle Nazioni
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Unite, Ban Ki-moon, ha ringraziato tutti coloro che hanno lavorato per ottenere il rilascio dei caschi blu. Nel frattempo, sul fronte interno, rappresenta un mistero, sia per la dinamica sia per le responsabilità, l’attentato esplosivo compiuto nei pressi della città di Ram Hamdan, che ha causato la morte di più di 30 persone, tutti i vertici appartenenti al gruppo islamico di Ahrar al-Sham, tra i quali anche il loro leader Hassan Abboud. In un video postato su YouTube, il gruppo ha annunciato la nomina di un nuovo leader, Hashem al-Sheikh, conosciuto come Abu Jaber, e di un nuovo capo militare, Abu Saleh Tahan, esortando i propri seguaci a riprendere i combattimenti.
TURCHIA, 8 SETTEMBRE ↴ Il Presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha annunciato che sono attualmente in corso trattative con la Francia per l’acquisto di un sistema di difesa missilistico a lunga gittata dopo alcuni disaccordi con la Cina. Nel settembre 2013, infatti, la China Precision Machinery Import-Export Corporation (CPMIEC) si era aggiudicata una gara dal valore di 4 miliardi di dollari per la fornitura del sistema missilistico FD-2000 nell’ambito del progetto T-Loramids (Turkish Long Range Air and Missile Defence System), scavalcando le offerte della statunitense Raytheon (produttrice dei Patriot) della russa Rosoboronexport, oltre che del consorzio franco-italiano Eurosam – quest’ultimo arrivato secondo. La scelta della CPMIEC – sulla quale peraltro dal 1993 gravano sanzioni poste dagli Stati Uniti a causa della fornitura di armi ai governi di Pakistan, Corea del Nord, Siria e Iran –, insieme con l'adesione di Ankara come “partner di dialogo” alla Shanghai Cooperation Organization, aveva sollevato timori circa un possibile allontanamento della Turchia dalla NATO e dai partner occidentali, specialmente dopo il dispiegamento dei Patriot lungo il confine siriano. Erdoğan ha ora spiegato che sono sorti disaccordi con Pechino sui temi della produzione congiunta e di condivisione del know-how, specificando tuttavia che i colloqui con i cinesi stanno continuando. Lo scorso mese la Turchia aveva già invitato Eurosam, oltre che Raytheon, ad estendere la validità delle loro offerte, allontanando dunque l’ipotesi che la decisione di cambiare interlocutore possa essere in qualche modo legata agli sviluppi e alle strategie delineate a margine dell’ultimo Vertice dell’Alleanza Atlantica di Newport.
UNIONE EUROPEA, 10 SETTEMBRE ↴ Il Presidente in pectore Jean-Claude Juncker ha nominato i 28 membri della prossima Commissione europea: 15 appartenenti al Partito Popolare Europeo, 7 ai Socialisti e Democratici, 5 ai liberaldemocratici dell’ALDE e uno al Gruppo dei Conservatori e dei
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Riformisti Europei. Sono sette i vice Presidenti, di cui due i primi vice Presidenti: l’olandese Frans Timmermans, incaricato per la regolamentazione, le relazioni inter-istituzionali, lo Stato di diritto e la carta dei diritti fondamentali, e l’italiana Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune. Ad essi si affiancheranno la bulgara Kristalina Georgieva (Bilancio e risorse umane), l’estone Andrus Ansip (Mercato digitale), la slovena Alenka Bratušek (Energia), l’estone Valdis Dombrovskis (Dialogo sociale), il finlandese Jyrki Katainen (Lavoro, crescita investimenti, competitività). Juncker ha spiegato che i vice Presidenti si occuperanno di coordinare le attività di un gruppo di Commissari, fungendo da filtro tra questi ultimi e Presidente e potendo bloccare con potere di veto l’iniziativa legislativa. Nel tentativo di equilibrare il fronte pro-austerity e quello a favore della crescita, i ruoli chiave di Commissario agli Affari Economici e Finanziari e alla Stabilità finanziaria, Servizi e Mercati saranno ricoperti rispettivamente dal francese Pierre Moscovici e dal britannico Jonathan Hill. Altri incarichi: - Cecilia Malmström (Svezia): Commercio; - Margrethe Vestager (Danimarca): Concorrenza; - Gunter Oettinger (Germania): Economia digitale; - Elzbieta Bienkowska (Polonia): Mercato unico e Industria; - Miguel Arias Cañete (Spagna): Clima e Politiche energetiche - Věra Jourová (Repubblica Ceca): Giustizia; - Dimitris Avramopoulos (Grecia): Immigrazione e Affari Interni; - Karmenu Vella (Malta): Affari marittimi; - Phil Hogan (Irlanda): Agricoltura; - Corina Cretu (Romania): Politiche regionali; - Neven Mimica (Croazia): Cooperazione interna e sviluppo; - Marianne Thyssen (Belgio): Lavoro, Affari Sociali e Mobilità; - Johannes Hahn (Austria): Allargamento; - Tibor Navracsics (Ungheria): Scuola, Cultura e Giovani; - Vytenis Andriukaitis (Lituania): Salute; - Carlos Moedas (Portogallo): Ricerca e Innovazione; - Maroš Šefčovič (Slovacchia): Trasporti; - Christos Stylianides (Cipro): Aiuti umanitari. La nuova formazione entrerà in carica il prossimo 1° novembre, dopo il voto di fiducia da parte del Parlamento europeo previsto nella seduta plenaria di ottobre.
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YEMEN, 12 SETTEMBRE ↴ Dopo settimane di forti scontri, conclusisi con la tentata presa da parte degli Houthi del palazzo presidenziale di Sana’a, sembrava si fosse giunti finalmente ad un’intesa tra il governo yemenita e i ribelli sciiti. Gli Houthi, in particolare, avevano dichiarato di essere molto vicini alla conclusione di un accordo col governo, per uscire pacificamente da una crisi che da settimane tormenta lo Yemen: il patto prevedeva la nomina, entro 48 ore, di un nuovo Primo Ministro, una diminuzione del prezzo dei carburanti, oltre allo smantellamento degli accampamenti che i ribelli hanno installato da metà agosto dentro e attorno alla capitale. In realtà, gli avvenimenti delle ultime ore sembrano raccontare una storia diversa. Le truppe governative si sono scontrate più volte con i ribelli Houthi e hanno lanciato una serie di attacchi aerei contro le loro posizioni a est di Sana’a. Gli scontri sarebbero iniziati nei pressi dell’edificio della TV nazionale, dove le truppe governative hanno bloccato un camion dei ribelli pieno di armi e munizioni. Il giornalista Hashem Ahelbarra di al-Jazeera ha affermato che l’intesa è stata effettivamente raggiunta, limitatamente alla nomina di un nuovo Primo Ministro e al taglio del prezzo del carburante, ma ci sono ulteriori impedimenti da risolvere: inoltre, gli Houthi vorrebbero che l’accordo venisse firmato a Saada, mentre il Presidente Abd Rabbu Mansour Hadi vorrebbe firmarlo nella capitale. Nel frattempo si fanno sempre più forti le accuse dell’Arabia Saudita, sostenitore del governo Hadi, all’Iran di utilizzare la ribellione Houthi per estendere il proprio soft power nella Penisola Arabica attraverso la concessione di un porto sul Mar Rosso da utilizzare quale punto di appoggio strategico.
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ALTRE DAL MONDO FILIPPINE, 10 SETTEMBRE ↴ Il Presidente delle Filippine Benigno Aquino ha sottoposto al Congresso un progetto di legge per la creazione di una regione speciale, con elevata autonomia, nell’area a predominanza musulmana di Bangsamoro. L’attuazione del progetto di legge porrebbe così fine ad un decennale conflitto che ha provocato la morte di oltre 120.000 persone. Con questo progetto, la regione di Bangsamoro acquisirà una forte autonomia di governo su di un’area molto estesa, con ampi poteri di imporre tributi e stabilire tasse su permessi e licenze. Mentre il Moro Islamic Liberation Front (MILF) si appresta a costituirsi in partito politico per governare la nuova regione, gli altri gruppi ribelli come Abu Sayyaf e I Combattenti Islamici per la Libertà del Bangsamoro hanno espresso la loro contrarietà all’accordo.
KENYA, 11 SETTEMBRE ↴ Il Presidente Uhuru Kenyatta ha ratificato la nomina del Generale Philip Kameru quale nuovo capo del servizio di intelligence nazionale. La nomina di Kameru coincide con un rafforzamento dei controlli di sicurezza alle frontiere e arriva un anno dopo l’attacco degli al-Shabaab allo shopping mall Westgate di Nairobi ma, soprattutto, rappresenta una risposta “preventiva” alle probabili rappresaglie del gruppo islamico legato ad al-Qaeda, in seguito alla morte del loro leader Ahmed Godane. Il Kenya è da alcuni anni uno degli obiettivi degli attacchi dei militanti islamici di al-Shabaab che disapprovano il contributo del governo di Kenyatta all’AMISOM, la missione delle Nazioni Unite in Somalia.
ITALIA-INDIA, 8 SETTEMBRE ↴ A seguito del via libera da parte della Corte Suprema indiana per il ritorno in Italia per quattro mesi di Massimiliano Latorre, colpito da un'ischemia, il Ministro degli Esteri Federica Mogherini ha affermato che la fase dell'internazionalizzazione del caso marò – e dunque il ricorso all'arbitrato – è tecnicamente pronta, anche se il dialogo con le autorità di New Delhi resterà aperto visto che le due strade "non si escludono".
SUD SUDAN, 9 SETTEMBRE ↴ Il governo cinese ha dato il via libera al dispiegamento di un contingente di 700 soldati in Sud Sudan, che dovranno provvedere alla vigilanza dei pozzi petroliferi, nonché alla tutela dei propri lavoratori e delle proprie aziende, impegnate da tempo nel più giovane Paese africano. Il contingente cinese, che sarà inquadrato all’interno della forza ONU già presente, sarà dispiegato negli Stati di Unity e Upper Nile, gli unici con pozzi petroliferi attivi e controllati dal governo del Presidente Salva Kiir. 14
L’invio del contingente cinese rappresenta un'altra dimostrazione del forte interesse che la Cina ha per il continente africano, dove è il maggior investitore estero.
UGANDA, 13 SETTEMBRE ↴ L'Ambasciata statunitense a Kampala ha dichiarato di aver individuato una cellula terroristica legata ad al-Shabaab e di averne sventato un imminente attentato nella capitale ugandese. La stessa legazione USA l'8 settembre aveva diramato l’allarme circa possibili attacchi del gruppo somalo in seguito all'uccisione del loro leader Ahmed Godane.
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ANALISI E COMMENTI TRA IDENTITÀ E POLITICA ESTERA. LA NUOVA RUSSIA DI PUTIN OLEKSIY BONDARENKO ↴ Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA La postura internazionale della Federazione Russa è diventata, negli ultimi mesi, argomento più che discusso e analizzato, ma la sua proiezione esterna e il delicato equilibrio – in continuo mutamento – tra Mosca, Bruxelles e Washington spiegano solo in parte alcuni cambiamenti nella condotta politica del Cremlino degli ultimi anni, culminati con un coinvolgimento più o meno diretto nella crisi ucraina. Come evidenzia Gideon Rose nel suo famoso lavoro “Neoclassical Realism and Theories of Foreign Policy” il potere relativo che uno Stato possiede (variabile indipendente), dove per potere s’intende la capacità o le risorse con le quali un soggetto può influenzare il comportamento di un altro, ha l’effetto di modellare le ambizioni della sua politica estera, ambizioni che però sono tradotte in azione da quelle che il politologo americano definisce come “variabile di unità” (…) SEGUE >>>
LA GUERRA DEL GAS: LA BULGARIA AL CENTRO DEL BRACCIO DI FERRO TRA RUSSIA E UE GIUSEPPE CONSIGLIO ↴ La coreografica danza delle reciproche sanzioni tra Russia e UE, corollario della conclamata guerra che da mesi seguita a funestare l’Ucraina, non poteva che coinvolgere la realizzazione del South Stream. Il gasdotto che dovrebbe raggiungere l’Europa Centrale consentendo al gas russo di bypassare l’Ucraina è un progetto di rilevanza strategica cruciale per entrambe le parti, paradigma dell’inestricabile selva di interessi che lega indissolubilmente – almeno per ora – Mosca a Bruxelles. E nella guerra (economica) delle sanzioni incrociate – non ultimo il pacchetto approvato la sera dell’8 settembre, che coinvolge le maggiori aziende petrolifere russe, ma messo in stand-by – la partita del South Stream assume contorni sempre meno definiti che sfumano nella nebulosa dei contrapposti imperativi di sicurezza energetica e delle norme del diritto europeo ed internazionale (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 16