N°10, 20 MARZO – 2 APRILE 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 3 aprile 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo Credits: Asia Times; AFP; AFP/Getty Images; Abbas Atilay/AP; AP; Stephanie Lecocq/European Pressphoto Agency; Alfredas Pliadis/Zuma Press.
FOCUS BELGIO-TERRORISMO ↴
A una settimana di distanza dagli arresti di Salah Abdeslam e dei suoi complici facenti parte di una cellula belga appartenente al sedicente Stato Islamico, il gruppo terroristico guidato da Abu Bakr al-Baghdadi ha rivendicato la paternità politica e morale degli attentati del 22 marzo a Bruxelles presso lo scalo aeroportuale di Zaventem e la fermata della metro tra Arts-Lois e Maelbeek, sempre nella capitale, a poche centinaia di metri dal cosiddetto “quartiere europeo”, sede delle Istituzioni dell’Unione Europea. Il bilancio ancora parziale recita di 35 morti, mentre i feriti rimangono un centinaio, molti dei quali (almeno una sessantina) in condizioni gravissime. Gli attentati sono stati compiuti da due gruppi ristretti di attentatori che avevano il compito di colpire quasi in simultanea i target stabiliti. L’attacco all’aeroporto è stato condotto da tre uomini, di cui due soli identificati (i fratelli al-Bakraoui, morti suicidi), mentre un terzo avrebbe supervisionato il lavoro degli attentatori e sarebbe ancora latitante; quello alla fermata metro invece è stato compiuto da due uomini morti anch’essi suicidi. Sebbene non siano stati del tutto chiariti i dettagli e le dinamiche delle azioni, le ricostruzioni e gli accertamenti finora eseguiti dalle forze di sicurezza belghe dimostrerebbero che gli attentatori avrebbero operato nella più totale libertà nonostante il recente rafforzamento della presenza delle forze di sicurezza nel centro della capitale e nei comuni limitrofi come dimostrato dai numerosi blitz anti-terrorismo susseguitisi negli ultimi mesi. Altri ordigni inesplosi sarebbero stati inoltre ritrovati dalla polizia sia all’aeroporto sia in altre fermate metro.
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MAPPA DEGLI ATTACCHI DI BRUXELLES – FONTE: BBC
Secondo le ricostruzioni della polizia e della magistratura belga, gli attacchi avrebbero dovuto aver luogo il 29 marzo, ma dopo l’arresto di Abdeslam questi avrebbero subito una netta accelerazione. Tuttavia gli stessi inquirenti hanno spiegato che i due attentati non sarebbero una risposta alla cattura del superlatitante europeo accusato di far parte della rete terroristica che ha organizzato gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre. La serie impressionante di imprecisioni, errori e pecche nell’apparato di sicurezza belga hanno portato le stesse autorità ad essere duramente criticate dall’opinione pubblica nazionale soprattutto per la loro inadeguata gestione nelle fasi precedenti e successive agli attacchi. Tra gli errori emersi quelli reputati più gravi sono:
La polizia turca aveva trasmesso alcune informazioni riguardo ad Ibrahim alBakraoui: l’attentatore era stato già fermato nel giugno 2015 in Turchia ed estradato nei Paesi Bassi, per poi essere scarcerato ed estradato in Belgio, Paese di nazionalità del soggetto. L’altro fratello, Khaled al-Bakraoui, era stato segnalato dall’Interpol ed era nella black list dei ricercati per terrorismo negli USA. 2
Khaled al-Bakraoui avrebbe affittato un appartamento a Charleroi rubando l’identità di Ibrahim Maaroufi, un ex calciatore dell’Inter. Questi gioca ora in Belgio, proprio con la maglia dello Schaerbeek, la squadra del quartiere in cui vivevano i fratelli al-Bakraoui.
Uno dei terroristi, chiamato “l’uomo con il cappello” non è stato ancora identificato. Inizialmente indicato come Majim Laachroui, il cosiddetto artificiere della cellula parigina, è stato successivamente scoperto che sarebbe morto durante l’attacco all’aeroporto. In un secondo momento è stato diffuso il nome di Faysal Cheffou, un giornalista freelance di origine algerina arrestato con le accuse di terrorismo e rilasciato pochi giorni dopo per uno scambio di identità.
Il civico di residenza a Molenbeek di Salah Abdeslam era stato già segnalato alla polizia della municipalità di Malines, ma tali documenti, una volta inviati alle autorità di sicurezza brussellesi, non sarebbero stati esaminati dagli inquirenti della capitale.
Abaaoud Abdelhamid, considerato la mente degli attacchi di Parigi, è stato ucciso durante il blitz di Saint Denis. Sembra che la sua chiavetta USB, ritrovata nel suo appartamento ad Atene nel 2015, non sia stata visionata dalle autorità di sicurezza belghe.
Durante le fasi più drammatiche degli attacchi, il sistema interno di comunicazione delle autorità Belghe (ASRID) è andato in crash per una falla informatica. Ciò ha costretto le istituzioni a coordinarsi tramite la messaggistica di WhatsApp.
Secondo quanto dichiarato dal trasporto pubblico di Bruxelles, non è stato dato l’ordine di interrompere la circolazione dei mezzi urbani dopo gli attacchi all’aeroporto.
Dopo gli attacchi, le autorità e le forze di polizia hanno lanciato con una certa lentezza l’avvio dei protocolli di sicurezza, mentre Francia e Paesi Bassi chiudevano per precauzione i propri confini con il Belgio, rafforzando allo stesso tempo i controlli frontalieri. Conseguentemente anche l’allerta terrorismo è stata innalzata in tutto il Paese al livello più elevato (il quarto) e parallelamente sono state lanciate nuove perquisizioni e raid nei sobborghi di Bruxelles, a Charleroi, Liegi e lungo i confini, soprattutto quelli vicini al valico con la Germania, dove è stata particolarmente attiva la cellula di Verviers. Questo gruppo, già dagli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e al supermarket kosher di Parigi del gennaio 2015, era stato sospettato di essere il regista occulto degli attacchi in Francia e di altre azioni terroristiche sventate in Germania, Belgio e Paesi Bassi.
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Secondo gli investigatori belgi, i fatti di Bruxelles e i radicati contatti tra i due lati del confine comune, apparentemente tra soggetti slegati tra loro, rafforzerebbero invece l’ipotesi dell’esistenza di una forte connessione terroristica lungo l’asse franco-belga.
RETE DI CONNESSIONI TERRORISTICHE FRANCO-BELGA – FONTE: THE WASHINGTON POST
Infatti le operazioni anti-terrorismo eseguite dalle forze di sicurezza francesi e belghe hanno evidenziato l’esistenza di una rete di connivenze e connessioni tra cellule più o meno dormienti radicate tra i due Paesi e pronte ad attivarsi in tempi molto rapidi. Una riprova di ciò sono gli episodi di attentati falliti in Francia in tutto il 2015, che vedevano però nel Belgio l’anello di congiunzione tra i diversi attentatori: nell’aprile uno studente algerino, Sid Ahmed Ghlam, è stato arrestato perché sospettato di voler compiere un attentato in una chiesa di Villejuif; in giugno un cittadino francese, Yassin Salhi, ha dapprima ucciso il proprio datore di lavoro e poi ha tentato un attacco suicida in un impianto di gas a Saint Quentin Fallavier, nei pressi di Lione; il 25 agosto Ayoub al-Khazzani, ha cercato di lanciare un attacco a bordo di un treno tra Amsterdam e Parigi; infine, il 29 ottobre, un marocchino aveva tentato un attacco contro la base navale francese di Tolone. Tuttavia la connection franco-belga deve essere inquadrata all’interno di un network jihadista europeo di proporzioni molto ampie e ancora non ben definite che coinvolge – con specifiche mansioni (dalla logistica al reclutamento) – diversi Stati dell’Europa meridionale e centro-settentrionale.
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SIRIA-IRAQ ↴
Dopo dieci mesi di occupazione dei miliziani dello Stato Islamico (IS), il 27 marzo la città di Palmira è stata liberata dalle forze governative. Il congelamento delle ostilità con le opposizioni aveva incoraggiato la diversione delle truppe fedeli al Presidente Bashar al-Assad dai fronti di Aleppo e Qalamoun verso la provincia di Homs. In appoggio all’esercito siriano, anche i combattenti di Hezbollah, delle milizie sciite irachene e della brigata afghana Liwa al-Fatimiyoun, come pure i Pasdaran iraniani della Guardia Rivoluzionaria, hanno preso parte all’offensiva lanciata il 7 marzo. Fattore decisivo nella riconquista della “sposa del deserto” sono stati gli ingenti bombardamenti dei caccia Sukhoi russi che hanno aperto alle brigate di Damasco e alle forze alleate la strada verso l’antica città siriana, al cui controllo è legato quello dei vicini giacimenti di petrolio e gas naturale da cui in buona parte dipendono gli approvvigionamenti energetici della Siria occidentale in mano al regime alawita. Consapevoli dell’importanza strategica e simbolica del successo militare, le autorità di Mosca hanno rivendicato di aver colpito 146 obiettivi jihadisti tra il 20 e il 23 marzo. Il ritiro da Palmira restringe l’influenza del Califfato, che resta tuttavia incontrastata in larghi tratti della Valle dell’Eufrate e in particolare tra la “capitale” Raqqa e Deir ezZor. Oltre a documentare i danni inflitti al patrimonio archeologico, l’agenzia governativa SANA ha riferito il ritrovamento di una fossa comune a nord-est della città, con le salme di almeno quaranta persone trucidate dai guerriglieri islamisti. Bashar al-Assad ha commentato che i successi acquisiti sul campo di battaglia tendono ad accelerare e a non ostruire il processo politico di transizione. Intervistato dalla testata giornalistica Sputnik, vicina al Cremlino, il Presidente siriano ha aperto alla possibilità di un governo di unità nazionale composto anche da (non
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precisati) esponenti delle opposizioni e incaricato di redigere una nuova carta costituzionale. Il leader alawita ha poi condannato Turchia, Arabia Saudita, Francia e Regno Unito in quanto sostenitori diretti del terrorismo. Infine, al-Assad ha precisato che nella ricostruzione del Paese martoriato da una guerra civile ormai quinquennale saranno principalmente coinvolte le aziende delle potenze alleate, ossia Russia, Iran e Cina. Proprio il governo cinese ha nominato il diplomatico Xie Xiaoyan quale inviato speciale nei negoziati di pace in corso a Ginevra.
TERRITORI CONTROLLATI DALLO STATO ISLAMICO AL 31.03.2016 – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
Gli sforzi diplomatici per la risoluzione della crisi siriana si avvolgono attorno all’asse Mosca-Washington. Dopo un lungo confronto, il 25 marzo il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il Segretario di Stato John Kerry hanno concordato che i due obiettivi ricordati dallo stesso al-Assad, ossia la formazione di un nuovo esecutivo e la stesura della Costituzione, debbano essere ultimati entro agosto. La sinergia tra le due potenze è confortata dalla continuità della tregua raggiunta alla fine di febbraio. Tuttavia, l’Osservatorio siriano per i diritti umani riferisce che 326 civili (di cui 73 minorenni) hanno perso la vita nei combattimenti riaffiorati nelle aree coperte dal cessate il fuoco e nelle aree escluse per la presenza dei guerriglieri dell’IS e di Jabhat alNusra. Lo Stato Maggiore russo ha avvisato di essere ponto a ricorrere unilateralmente alla forza contro le violazioni della tregua. Tuttavia, sono principalmente i bombardamenti ordinati dal regime di Damasco protetto da Mosca a compromettere la tregua. Tra il 31 marzo e il 1° aprile l’aviazione siriana ha colpito le postazioni ribelli nella capitale, Aleppo, Homs, Hama, Idlib e Latakia riaccendendo
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improvvisamente il conflitto con le opposizioni. Francia e Stati Uniti hanno condannato gli attacchi sul quartiere di Deir al-Asafir a Damasco. La dirigenza siriana ha però rigettato le accuse facendo leva sulla legittimità del contrasto dei gruppi qaedisti e delle sigle alleate a DAESH, ma la prassi estensiva dei raid e l’alto numero dei morti civili disattendono la tesi di azioni mirate. Vacilla fortemente la posizione del Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi. Costretto ad annunciare un rimpasto di governo di fronte alle veementi manifestazioni di dissenso contro la corruzione delle istituzioni centrali esplose a Baghdad e nelle province meridionali, il Premier ha mancato il termine del 26 marzo che Moqtada al-Sadr, leader sciita del Movimento Sadrista e fomentatore delle proteste, aveva posto per la presentazione delle nomine al Parlamento. Come atto dimostrativo alSadr ha intrapreso un sit-in all’interno della Green Zone, il complesso fortificato che nella capitale ospita gli edifici governativi, tuttavia richiamando i propri sostenitori a restare ai margini dell’area. La competizione tra le varie fazioni politiche per aumentare l’influenza sul governo flette l’autonomia di al-Abadi nelle designazioni ministeriali, come appurato dalla creazione di una commissione interna alla coalizione parlamentare dei partiti sciiti per coadiuvare il Primo Ministro nel processo di selezione – circostanza che ha portato i gruppi curdi e sunniti a contestare l’iter e a rifiutare la proposta di propri nominativi. Intanto, al-Abadi ha dovuto prendere atto dello scandalo Unaoil portato alla luce dall’agenzia Fairfax e dall’Huffington Post chiedendo l’avvio di un’inchiesta contro i dirigenti iracheni coinvolti nel presunto giro di tangenti. Tra gli indagati figura Hussein al-Shahristani, attualmente Ministro dell’Alta Educazione e già Ministro dell’Energia tra il 2006 e il 2010. Non si arrestano gli attentati terroristici dell’IS. Il 25 marzo un kamikaze islamista si è fatto esplodere in uno stadio a al-Iskanderiya, a nord di Baghdad, al termine di un incontro di calcio. Nell’attacco sono morte almeno trenta persone, mentre i feriti sono novantacinque. Attentati dinamitardi hanno colpito anche i Peshmerga curdi schierati nel Sinjar, al confine siro-iracheno. Le forze di sicurezza irachene hanno invece annunciato l’avvio delle operazioni nella provincia di Mosul e ripreso l’offensiva su Hit, a ovest di Ramadi.
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BREVI ARMENIA-AZERBAIJAN, 31 MARZO ↴ Gravi violazioni della tregua sono state registrate lungo il confine tra Armenia ed Azerbaijan, lungo la linea di contatto – in corrispondenza della regione di Martuni – che separa dal resto dell’Azerbaijan la Repubblica del Nagorno-Karabakh, a maggioranza etnica armena e de facto indipendente dal 1991. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal Ministero della Difesa di Baku, le truppe armene avrebbero lanciato un’offensiva con un massiccio dispiegamento di artiglieria pesante, lanciagranate e mitragliatrici, che avrebbe causato l’abbattimento di un elicottero e 12 vittime tra i militari azerbaijani. Viceversa, secondo fonti congiunte di Yerevan e di Stepanakert – capitale della regione contesa del Nagorno Karabakh –, l’attacco sarebbe stato sferrato dall’esercito nemico che, impiegando mezzi di aeronautica militare, artiglieria e blindati avrebbe ucciso alcuni civili del Karabakh, 18 soldati armeni e ne avrebbe ferito 35. Gli scontri si inscrivono in un contesto di crescenti tensioni: già dal 27 marzo, infatti, l’Azerbaijan aveva lamentato lo sconfinamento di truppe armene nel distretto nord-occidentale del Kazakh e gli incidenti seguiti al presunto tentativo di infiltrazione avrebbero provocato la morte di due soldati azerbaijani. Secondo le autorità di Baku, inoltre, già nei giorni precedenti l’esercito armeno avrebbe ripetutamente aperto il fuoco contro diversi villaggi azerbaijani nello stesso distretto del Kazakh, che dista alcune centinaia di Km dal Nagorno Karabakh, suggerendo pertanto come gli scontri non siano esclusivamente legati all’annoso contenzioso territoriale, ma presumibilmente volti a sondare la capacità di reazione avversaria e ad estendere le posizioni di controllo. In ogni caso, per ciò che riguarda strettamente il NagornoKarabakh, da Washington il Presidente armeno Serzh Sargsyan ha ammesso che le ostilità in corso sono le più violente da quando, nel 1994, le parti belligeranti sottoscrivevano a Biškek l’accordo provvisorio di cessate-il-fuoco, in vista di un’intesa finale. In conseguenza di un conflitto che per sei anni (1988-94) ha assunto le proporzioni di una guerra civile, l’esercito armeno ha occupato quasi tutta la regione autonoma del Nagorno-Karabakh ed altri sette distretti adiacenti, pari al 20% della superficie dell’Azerbaijan. L’ostruzionismo bilaterale al processo di pace e la mancata implementazione delle quattro risoluzioni del 1993, con le quali l’ONU raccomandava il ritiro della potenza occupante, hanno finora ostacolato i negoziati condotti dal Gruppo di Minsk, organismo di mediazione creato ad hoc dall’OSCE nel 1992, che in questa occasione ha espresso grave preoccupazione per l’utilizzo della forza e la perdita di vite umane. Sebbene nella giornata del 3 aprile il Ministro della Difesa azerbaijano, Yavar Jamalov, abbia annunciato una tregua unilaterale, il portavoce del Presidente del Nagorno-Karabakh, David Babayan, ha dichiarato che le ostilità non sono ancora cessate.
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BALANCE OF POWER IN NAGORNO KARABAKH – FONTE: RADIO FREE EUROPE/RADIO LIBERTY (INFOGRAFICA COMPLETA AL SEGUENTE LINK)
BOSNIA ERZEGOVINA-SERBIA, 24-31 MARZO ↴ Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY) ha condannato Radovan Karadžić a 40 anni di reclusione per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità nell’ambito del processo per le atrocità commesse durante il conflitto in Bosnia tra il 1992 e il 1995. Giudicato responsabile di dieci su undici capi d’imputazione, Karadžić – ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia e Erzegovina e comandante supremo delle forze serbo-bosniache – si sarebbe reso colpevole dell’assedio di Sarajevo, del sequestro di 284 caschi blu dell’ONU utilizzati come scudi umani e, in particolare, di aver dato ordine dell’esecuzione di massa di migliaia di musulmani – almeno 8.000 – a margine delle operazioni di riconquista di Srebrenica. L’Assemblea dei giudici, presieduta da O-Gon Kwon, ha accertato l’intenzionalità del genocidio, dichiarando che Karadžić sarebbe stato l’unico che avrebbe potuto impedire l’eccidio. L’assoluzione per insufficienza di prove è giunta invece rispetto all’accusa di genocidio relativa ai massacri compiuti in sette comuni bosniaci (Bratunac, Prijedor, Foca, Ključ, Sanski Most, Vlasenica, Zvornik), teatro di violenze che vedono Karadžić comunque colpevole di crimini contro l’umanità. In termini differenti l’ICTY ha esaminato la vicenda processuale di Vojislav Šešelj, fondatore del Partito Radicale Serbo, sostenitore del mito ultranazionalista della “Grande Serbia” e già vice Primo Ministro della Serbia. Il 31 marzo i giudici hanno assolto l’imputato dai nove capi d’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati contro la popolazione non serba per motivi politici, religiosi e razziali, in quanto non è stato accertato che l’imputato fosse a conoscenza, o addirittura approvasse, i fatti contestati. Šešelj torna così in libertà per merito di un verdetto che non ha mancato di sollevare opinioni discordanti tra gli stessi giudici e dure 9
reazioni tra gli esponenti politici di Bosnia e Croazia. Il Tribunale Penale Internazionale deve esprimersi ancora nei confronti del Generale serbo-bosniaco Ratko Mladić e per i due principali responsabili dei servizi segreti serbi, Jovica Stanišić e Franko Simatović, per i quali la Procura dello stesso tribunale ha richiesto la riapertura del procedimento dopo una prima assoluzione.
COREA DEL NORD, 1° APRILE ↴ L’apparente
reazione
manovre militari
violenta
di
congiunte tra
Pyongyang Stati
Uniti
alle e la
Repubblica di Corea nei primi giorni di marzo sembra essere diventata nuovamente la principale strategia negoziale della Corea del Nord. Infatti, da metà marzo Pyongyang ha effettuato numerosi lanci di diverse tipologie di missili verso il Mar del Giappone annunciando nuovi successi del proprio programma missilistico, come il test di un motore a propellente solido. Non si è fatta attendere l’inevitabile condanna della comunità internazionale, riassunta in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, mentre Barack Obama ha firmato il nuovo pacchetto di sanzioni economiche nei confronti della Corea del Nord. La strategia della brinkmanship di Pyongyang non rappresenta una novità a livello regionale ed è basata sulla presunzione che un sufficiente grado d’innalzamento delle tensioni potrebbe costringere gli Stati Uniti ed i suoi alleati a tornare a discutere il piano negoziale e di aiuti economici al regime di Kim Jong-un.
GITTATA MASSIMA DEI MISSILI NORDCOREANI – FONTE: ANSA-CENTIMETRI
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La debolezza di questo approccio appare però evidente. Dati gli alti costi materiali dell’implementazione di questa strategia, la capacità di Pyongyang di seguirla per un arco di tempo prolungato è assai poco credibile. Inoltre le provocazioni militari appaiono come l’unico strumento a disposizione delle autorità nordcoreane nei negoziati con Washington e Seoul e non sono seguite da una strategia diplomatica coerente. L’azione di Pyongyang, inoltre, ha importanti ripercussioni sull’interazione tra i numerosi attori regionali e un forte ascendente sulla sicurezza globale. I progetti di schierare sistemi anti-missilistici THAAD nella Repubblica di Corea promossi da Washington, ad esempio, hanno riscontato una forte opposizione da parte di Mosca e Pechino, minando la loro disponibilità a collaborare in questo ambito. Mosca ha utilizzato la scusa dei THAAD per non partecipare al summit sulla sicurezza nucleare a Washington, mentre da Pechino giungono le notizie sulla decisione di modernizzare l’arsenale nucleare cinese per ridurre i suoi tempi di reazione nel caso di un conflitto regionale. La crescente militarizzazione della regione, fulcro di interessi di Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Corea del Sud, rappresenta di conseguenza una seria minaccia non solo alla sicurezza del quadrante asiatico, ma anche di quello globale.
NATO, 30 MARZO ↴ Secondo alcune fonti citate dal Wall Street Journal, il Pentagono
avrebbe
elaborato
un
piano
di
riposizionamento di truppe americane lungo i confini orientali della NATO allo scopo di dissuadere la Russia da possibili aggressioni sul fronte in questione e di rassicurare i partner NATO dell’impegno della stessa Alleanza Atlantica a preservare l’integrità territoriale dei Paesi dell’Europa Orientale. Il rafforzamento del fianco orientale – di per sé già annunciato nel corso degli ultimi vertici ministeriali della NATO, non ultimo quello del 10-11 febbraio e in continuità con il summit di Newport – dovrebbe prevedere il dispiegamento di 250 carri armati, veicoli da combattimento Bradley per la fanteria, obici semoventi Paladin, 1700 veicoli cingolati e camion, oltre a 4.200 soldati in Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Romania e Bulgaria. Questo contingente, parte di una presenza statunitense permanente in Europa che arriverebbe fino a 62mila uomini, dovrebbe inoltre avere la possibilità di spostarsi in base alle esigenze espresse dagli altri Paesi NATO per esercitazioni e altre operazioni di training. Mentre il comandante delle forze USA in Europa, il Generale Frederick Benjamin Hodges ha dichiarato che il programma è atto a valutare le capacità di reazione e deterrenza, il vice Segretario alla difesa USA, Robert Work, ha dichiarato che ciò, combinato con le attrezzature già esistenti in Europa, dovrebbe garantire una copertura rapida e moderna in caso di aggressioni. La Casa Bianca avrebbe dunque già approvato il piano che, operativo dal 2017 e nell’ambito del budget stimato per la European Reassurance Initiative, dovrebbe aggirarsi intorno ai 3,4 miliardi di dollari. La richiesta dovrà in ogni caso essere 11
firmata anche dal Congresso: sebbene l’incremento della spesa militare sembri incontrare un sostegno bipartisan, tale impegno quadruplicherebbe l’aiuto finanziario ai progetti di difesa europei.
PAKISTAN, 28 MARZO ↴ Un kamikaze si è fatto esplodere con 28 chili di tritolo nel grande parco pubblico Gulshan-e-Iqbal a Lahore, provocando la morte di almeno 73 persone. L’attacco è stato repentinamente rivendicato dal gruppo sunnita Jamaat-ul-Ahrar, in passato legato a Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), la fazione pachistana dei talebani. Jamaat-ul-Ahrar aderisce a una corrente estremista del movimento islamico Deobandi, rigidamente conservatore, che negli ultimi anni ha compiuto gravi incursioni in Pakistan, tra cui numerosi attacchi contro funzionari del governo o minoranze religiose, e che mira ad epurare il Paese da quest’ultime e ad applicare la legge islamica. Il portavoce di Jamaat-ul-Ahrar, Ehsanullah Ehsan, ha sottolineato che l’obiettivo principale era appunto la minoranza cristiana, che costituisce l’1,6% della popolazione pachistana. Tuttavia, Lahore è anche la più grande città della provincia del Punjab – nel nord-est del Pakistan al confine con l’India – e il luogo d’origine del Primo Ministro Nawaz Sharif, dove questi gode di grande appoggio politico. Pertanto si pensa che l’obiettivo reale fosse un altro: “la visione liberale e inclusiva della democrazia pachistana” sostenuta dallo stesso Sharif, il quale sta promuovendo iniziative per un miglioramento della condizione delle donne e delle minoranze religiose (come gli hindu, i cristiani e i musulmani sciiti). Al momento, oltre 600 persone sono state arrestate dalle forze di sicurezza pachistane nel corso di operazioni anti-terrorismo condotte a Gujranwala, Faisalabad, Sadiqabad, Khanpur e Liaquatpur. Una fonte militare ha affermato che nelle operazioni di controllo in tutta la provincia del Punjab sono stati coinvolti sia l’esercito sia i Rangers, ai quali sono stati conferiti poteri straordinari in merito a perquisizioni ed interrogazioni. Inoltre, negli stessi istanti in cui a Lahore si soccorrevano i feriti, nella capitale Islamabad la polizia locale era impegnata a sedare una manifestazione di opposizione al fine di richiedere al Primo Ministro l’applicazione della sharia organizzata dai sostenitori di Mumtaz Qadri – condannato all’impiccagione per aver assassinato nel 2011 l’ex governatore musulmano del Punjab, Salman Taseer, per la sua opposizione alla legge sulla blasfemia. La zona che comprende le aree tribali al confine con l’Afghanistan e le regione del Punjab è da tempo oggetto di attacchi terroristici. Dal 2001 in Pakistan più di 60.000 persone sono morte per atti di terrorismo, compiuti principalmente dai combattenti talebani che hanno la loro base nelle aree montagnose vicino all’Afghanistan e che hanno l’obiettivo di rovesciare il regime democratico e implementare la sharia. Secondo il Global Terrorism Index 2015, il Pakistan è la quarta nazione al mondo maggiormente esposta alla minaccia, preceduta da Iraq, Afghanistan e Nigeria e seguita dalla Siria. 12
STATI UNITI-POLITICA INTERNA, 22-26 MARZO ↴ Nell’ultimo round delle primarie statunitensi del 26 marzo,
che
ha
interessato
soltanto
gli
elettori
democratici, il senatore del Vermont Bernie Sanders ha ottenuto la vittoria in tutti e tre gli Stati dove si è votato, ovvero Alaska, Washington e Hawaii. Si tratta di Stati che non spostano molto gli equilibri della contesa poiché distribuiscono in maniera proporzionale un numero limitato di delegati, ma i successi di Sanders servono per rimanere in corsa e mettere un po’ di pressione alla macchina elettorale che sostiene la candidatura di Hillary Clinton. L’ex Segretario di Stato USA, dopo aver conquistato la popolosa Florida, aveva ottenuto nel Western Tuesday del 22 marzo una vittoria importante anche nell’Arkansas, uno degli Stati con più delegati (75), mentre Sanders aveva prevalso nettamente nello Utah e in Idaho. Nell’ultimo periodo Sanders ha recuperato terreno nei confronti della Clinton, sfruttando il format dei caucus nei quali si dimostra più a suo agio e conquistando la base liberale del partito, mentre la Clinton beneficia del sostegno degli elettori meno giovani e delle minoranze etniche. Il conto aggiornato della contesa democratica assegna alla Clinton la vittoria in 18 Stati mentre Sanders è fermo 14, ma i delegati conquistati dall’ex Segretario di Stato sono 1.712 dei 2.383 necessari ad assicurarsi la nomination, mentre il senatore del Vermont ha superato di poco quota 1.000: inoltre, quasi tutti i superdelegati, ovvero coloro che alla convention di Philadelphia di luglio dovranno scegliere quale candidato appoggiare, hanno dato il loro appoggio all’ex First Lady. Sul fronte repubblicano continua la contestata ma inesorabile avanzata politica di Donald Trump. Il ricco imprenditore newyorkese ha ottenuto, nel Western Tuesday, un’importante affermazione in Arizona, aggiudicandosi tutti e 58 delegati disponibili, dopo aver vinto, come la Clinton, anche in Florida. Il Senatore del Texas Ted Cruz, ormai unico sfidante rimasto dato che John Kasich è pressoché tagliato fuori dalla lotta per la nomination diretta, ha vinto nello Utah, dove ha conquistato i 45 delegati locali. Nonostante le numerose vittorie accumulate, Trump possiede “soltanto” 736 delegati dei 1.237 necessari per la nomination diretta, mentre Ted Cruz è fermo a quota 463. Se il voto
popolare
appare
repubblicano
favorevole
al
tycoon
newyorkese, l’establishment del partito non perde occasione per mostrare la propria diffidenza nei suoi confronti: dopo il sostegno ricevuto Bush,
dall’ex Cruz
sta
sfidante
Jeb
beneficiando
anche dell’impegno in suo favore di Mitt Romney, ex candidato alla Casa
Bianca,
molto
popolare 13
nella comunità mormone. Le prossime tornate elettorali potrebbero essere decisive perché si voterà in Stati importanti e “pesanti”, in termini di voti e delegati, tra i quali New York (19 aprile), Maryland e Pennsylvania (entrambi il 26 aprile): i numerosi delegati in palio nel mese di aprile potrebbero già definire chi saranno i due sfidanti per la presidenza.
STATI UNITI-POLITICA ESTERA, 20-21 MARZO – 31 MARZO-1 APRILE ↴ Per la prima volta dal 1928, un Presidente degli Stati Uniti è tornato in visita ufficiale a Cuba. Il 20 e 21 marzo, Barack Obama si è recato a L’Avana per incontrare Raul Castro dopo lo storico riavvicinamento diplomatico dello scorso anno. Obama ha affermato che «este es un nuevo dia» (è un nuovo giorno) non solo per i rapporti bilaterali tra due ex nemici della Guerra Fredda ma anche per quelli inter-americani. Al centro dell’agenda ci sono state due questioni: la rimozione dell’embargo a Cuba e la tutela dei diritti umani da parte del regime dei Castro. La vera normalizzazione dei rapporti, ha detto Obama, non può che passare dagli affari economici: «continuo a lanciare appelli al Congresso affinché elimini l’embargo» ma è necessario anche che L’Avana decida di «allentare le restrizioni interne sul business». Sui diritti umani, Obama ha riconosciuto che persistono grosse “divergenze”, tuttavia «gli USA riconoscono i progressi fatti da Cuba e soprattutto affermo che il destino di Cuba non viene deciso dall’esterno: Cuba è un Paese sovrano e orgoglioso, il futuro di Cuba sarà deciso dai cubani». Dal canto suo, Raul Castro ha risposto che, per migliorare i rapporti, «si potrà fare ancora molto se l’embargo verrà eliminato del tutto. Noi riconosciamo l’impegno di Obama contro l’embargo e i suoi appelli al Congresso affinché lo rimuova». E sui diritti umani ha invitato gli Stati Uniti a guardare in casa loro poiché, ha affermato, «trovo inconcepibile che un governo non assicuri il diritto alla salute, all’istruzione, al cibo, allo sviluppo, ai diritti dei bambini». Washington è stata poi al centro di un altro importante avvenimento internazionale: il Nuclear Security Summit, che si è tenuto il 31 marzo e 1 aprile e a cui hanno partecipato oltre 50 Paesi. In questa sede, Obama si è soffermato in particolare sulla pericolosità che lo Stato Islamico si doti di armi nucleari: «non c’è dubbio che se mai i folli dovessero mettere le loro mani su materiale nucleare, quasi sicuramente lo utilizzerebbero per uccidere il maggior numero possibile di persone innocenti. L’unica difesa efficace contro il terrorismo nucleare è di mettere in sicurezza tale materiale per garantire che non arrivi nelle mani sbagliate».
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ALTRE DAL MONDO BRASILE, 28 MARZO ↴ Il Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB), formazione di centro-sinistra e principale alleato di governo del Partito dei Lavoratori (PT), ha deciso, dopo una riunione lampo del direttivo nazionale riunito a Brasilia, di abbandonare l’esecutivo guidato dalla Presidente Dilma Rousseff, chiedendo, per mezzo del suo leader e vice Presidente brasiliano, Michel Temer, dimissioni immediate di tutti i suoi Ministri. Espressione del PMDB sono non solo i sette Ministri al governo, ma anche i 69 parlamentari eletti alla Camera bassa e i 14 membri al Senato. L’uscita di scena del PMDB dall’esecutivo è legata all’opportunità di distanziarsi dagli scandali corruttivi dell’affaire Petrobras, che hanno colpito il PT e Lula in particolar modo. La scelta politica del PMDB rappresenta un duro colpo per la tenuta del governo, che rischia ora di cadere nelle prossime settimane qualora passasse la procedura di impeachment proposta dalle opposizioni nei confronti di Dilma Rousseff, portando così il Paese ad elezioni anticipate.
CINA, 31 MARZO ↴ A margine del 4° Nuclear Security Summit di Washington si è svolto un bilaterale tra Barack Obama e Xi Jinping. Nell’incontro i due leader hanno affrontato diversi temi (tra cui il cambiamento climatico e il commercio internazionale), soffermando la loro attenzione soprattutto in materia di nucleare e sicurezza globale e di tensioni nel Mar Cinese Meridionale. Obama e Xi hanno concordato sulla necessità di rafforzare la cooperazione multilaterale in materia di sicurezza nucleare globale con l’obiettivo di promuovere il mantenimento della pace e contrastare la crescente minaccia del terrorismo internazionale. Sempre in materia di nucleare, Obama e Xi hanno discusso delle minacce che si celano dietro il dossier nordcoreano impegnandosi ufficialmente in un processo di denuclearizzazione della Penisola coreana. Una minore intesa o volontà di cooperazione è invece emersa per quel che riguarda le rivendicazioni territoriali e marittime nel Pacifico meridionale. Sebbene le posizioni in merito rimangano distanti, USA e Cina si sono dichiarate disponibili a lavorare più duramente nello stemperare le frizioni esistenti. Ciononostante, Xi Jinping ha ribadito che Pechino non accetterà interferenze internazionali che violino la sovranità del Paese o che possano ledere gli interessi cinesi nella regione marittima sud-orientale.
EGITTO, 24 MARZO ↴ Dopo settimane di annunci, il Premier Sharif Ismail ha dato avvio ad un profondo rimpasto di governo che ha interessato ben 10 Dicasteri, tra cui quelli della Giustizia e del Turismo. Il reshuffle non ha invece interessato il Ministro dell’Interno, Magdi Abdel Ghaffar, sotto pressione internamente e sul piano internazionale per le accuse
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a suo carico e nei confronti della polizia di torture e barbarie, nonché per le responsabilità del suo Ministero nella ricerca dei responsabili dell’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni. Il rimpasto di governo sarebbe dettato dall’insoddisfazione popolare e istituzionale nei confronti dell’esecutivo, reo di non aver saputo affrontare adeguatamente le sfide lanciate in questi anni dalla crisi economica nazionale: riforme, disoccupazione, lotta alla corruzione e attrazione di investimenti esteri diretti.
GIAPPONE, 28 MARZO ↴ È entrata in vigore la legge fortemente voluta dal Primo Ministro, Shinzo Abe, che riforma l’uso dello strumento militare nazionale. Il provvedimento era stato approvato nello scorso settembre tra polemiche dell’opposizione e manifestazioni in piazza dell’opinione pubblica. Con la nuova legge, le cosiddette Forze di autodifesa potranno intervenire anche all’estero proattivamente nel caso in cui la sicurezza del Paese si ritenga minacciata. Si tratta, inoltre, di un monito indiretto alle aspirazioni regionali della Cina e alle minacce nucleari della Corea del Nord.
KOSOVO, 31 MARZO ↴ L’accordo di demarcazione dei confini tra Kosovo e Montenegro, siglato lo scorso agosto, è stato giudicato valido dal punto di vista legale e tecnico dalla Commissione di esperti creata ad hoc e a cui era ricorsa il Presidente uscente kosovaro, Atifete Jahjaga, per tentare di ristabilire il dialogo politico tra governo e opposizioni: queste ultime, già fortemente critiche nei confronti dell’esecutivo guidato da Isa Mustafa per l’accordo sull’istituzione dell’Associazione delle Municipalità serbe del Kosovo del nord e che per questa stessa ragione – non senza episodi di tensione – hanno interrotto dall’autunno l’attività parlamentare, lamentano infatti che l’intesa con il Montenegro priverebbe il Kosovo di decine di ettari di territorio. L’accordo di demarcazione, necessario per la stabilizzazione dei confini (simili trattai sono stati già siglati con Albania e Macedonia), era un requisito per la prosecuzione del processo di avvicinamento alle strutture europee. Da questo punto di vista il 1° aprile è entrato in vigore l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione sottoscritto a Bruxelles lo scorso 27 ottobre.
LIBIA, 30 MARZO-1 APRILE ↴ É sbarcato via mare a Tripoli il governo di unità nazionale libico costituitosi a dicembre sotto l’egida della comunità internazionale e guidato dal Premier Fayez al-Serraj. Secondo alcuni media locali molti esponenti del governo filo-islamista in carica a Tripoli dal 2014, fra cui lo stesso Premier, Khalifa Ghwell, avrebbero ormai abbandonato la capitale. Molte incertezze tuttavia permangono su tale notizia così come sulla presunta fuga del Presidente del Parlamento di Tripoli, Abu Shamin. Intanto almeno 10 città costiere (tra le quali Zawiya e Sabratha), prendendo le distanze dal Congresso di Tripoli, hanno deciso di sostenere il governo di unità nazionale; a ciò si sono ac-
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compagnate manifestazioni pubbliche a favore del cambiamento e del nuovo governo. Nonostante ciò, la conquista di Tripoli da parte di al-Serraj non può ancora dirsi conclusa poiché ancora molte sono le voci contrarie all’esecutivo di transizione.
MALI, 22 MARZO ↴ A quattro mesi dall’attacco all’hotel Radisson Blu di Bamako, rivendicato dai jihadisti di al-Mourabiṭoun, gruppo islamista affiliato ad al-Qaeda, alcuni uomini armati non ancora identificati hanno assaltato l’hotel Azalai Nord-Sud, sede della missione di addestramento dell’Unione Europea (EUTM), sempre nella capitale maliana. Nell’attacco, velocemente respinto dalle forze di sicurezza, uno degli attentatori è rimasto ucciso mentre non si sono registrate vittime o feriti tra le file del contingente europeo. La stessa struttura alberghiera non ha subito danni. Al momento l’attentato non è stato ancora rivendicato. Tuttavia, non si esclude che possa essere stato organizzato da alcuni gruppi terroristici operanti nella regione del Sahel. In Mali infatti agiscono diverse formazioni jihadiste attive, alcune delle quali affiliate ad al-Qaeda. Tra queste figurano Ansar Eddine, attivo nel nord del Mali e composto da Tuareg islamisti e guerriglieri stranieri, al-Mourabitoun, appunto, operante nella regione del Sahel, e il Fronte di Liberazione Macina, composto in maggioranza da Fulani, la minoranza etnica musulmana predominante e attivo nel sud del Paese.
MAROCCO, 24 MARZO ↴ Le autorità marocchine hanno annunciato di aver smantellato una cellula terroristica presumibilmente legata alle attività dello Stato Islamico (IS) in Libia, affermando che i nove militanti arrestati stessero pianificando alcuni attacchi nel Regno nordafricano. Secondo una nota del Ministero degli Interni, il gruppo era attivo a Marrakech, nella città costiera di Sidi Bennour e a Smara, nel vicino territorio del Sahara Occidentale. Il Marocco ha dichiarato già in passato di aver sventato le attività di gruppi islamici radicali sul proprio territorio. Il Central Bureau of Judicial Investigation (BCIJ) ha monitorato le attività dei presunti militanti a partire dalla conquista di ampie porzioni di Siria e Iraq da parte dell’IS nel 2014-2015 e ha stimato che circa 1.500 cittadini marocchini abbiano preso parte ai combattimenti negli ultimi anni.
MYANMAR, 30 MARZO ↴ Nel corso della cerimonia di insediamento di Htin Kyaw quale primo Presidente civile della Repubblica birmana, la leader della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) Aung San Suu Kyi è stata nominata Ministro degli Esteri. La leader e Premio Nobel per la Pace sarà inoltre a capo dell’ufficio presidenziale, del Ministero dell’Istruzione e di quello dell’Energia e dell’Elettricità. Nelle prossime settimane dovrebbero essere introdotte delle modifiche legislative che permetteranno ad Aung San Suu Kyi di assurgere al ruolo di consigliere di Stato, una figura con poteri pari a quelli del Premier.
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RUSSIA-GIAPPONE, 25 MARZO ↴ La notizia del dispiegamento dei sistemi missilistici antinave “Bal” e “Bastione” sulle Isole Curili da parte di Mosca ha suscitato numerose preoccupazioni a Tokyo. Il Giappone vede nei recenti sviluppi lungo i confini orientali della Federazione Russa un chiaro passo indietro nel processo di normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi, che non hanno ancora firmato il trattato di pace in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. Il potenziamento militare russo in Estremo Oriente, già preannunciato nel 2015, rappresenta la risposta di Mosca all’aumento dell’instabilità nella regione. Nel frattempo, il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato l’inizio di una serie di manovre della Marina Militare che hanno come scopo quello di valutare anche il possibile dispiegamento degli assetti navali sulle Curili.
RUSSIA-CECENIA, 25 MARZO ↴ Vladimir Putin ha prorogato il decreto di nomina di Ramzan Kadyrov come Presidente della Repubblica cecena. La carica di Kadyrov, infatti, sarebbe terminata il 5 aprile, lasciando un vuoto istituzionale in una regione particolarmente importante per Mosca. La presente decisione non è stata una sorpresa per i politologi, considerando l’imminente appuntamento elettorale del prossimo settembre, quando verranno eletti direttamente i leader di sei soggetti della Federazione Russa, inclusa la Cecenia. La controversa figura di Kadyrov svolge un ruolo cruciale all’interno del palcoscenico politico nazionale sia nell’ottica del mantenimento del controllo di Mosca sulla Repubblica Cecena sia nel delicato equilibrio tra le diverse fazioni politiche legate al Cremlino. In particolare il leader ceceno è visto da molti come un alleato chiave di Vladimir Putin nella complessa gestione dell’apparato di sicurezza (i cosiddetti siloviki), molto influente dentro e fuori dal Cremlino e nella Repubblica caucasica. Kadyrov può contare inoltre sulla fedeltà di circa 40.000 combattenti ceceni che costituiscono un’importante fattore di influenza sulla politica di Mosca nei confronti della Cecenia.
YEMEN, 20 MARZO ↴ A distanza di un anno dall’inizio della guerra in Yemen, la coalizione a guida saudita e le milizie sciite Houthi hanno raggiunto un’intesa per un cessate il fuoco, necessaria premessa per la ripresa dei colloqui di pace per una soluzione politica al conflitto. In una conferenza stampa tenutasi a New York, il mediatore delle Nazioni Unite in Yemen, Ismail Ould Sheikh Ahmed, che è stato in contatto diretto con il Presidente Hadi e con rappresentanti degli Houthi, ha annunciato l’avvio del cessate il fuoco in tutto il Paese a partire dal 10 aprile e la ripresa dei negoziati di pace il 18 aprile in Kuwait.
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ANALISI E COMMENTI DOPO BRUXELLES: L’EUROPA E IL JIHADISMO AUTOCTONO STEFANO M. TORELLI ↴ Dopo gli attentati del 13 novembre scorso a Parigi, il terrore torna in Europa, in quello che è il suo simbolo istituzionale e politico: Bruxelles. Gli attentati contro l’aeroporto di Zaventem e la stazione della metropolitana di Maelbeek (non lontano dai luoghi fisici delle istituzioni europee) avvengono soltanto quattro giorni dopo l’arresto – sempre a Bruxelles – di Salah Abdeslam, il ricercato numero uno d’Europa per via del suo ruolo proprio negli attacchi di Parigi. Da un lato, come era del resto stato sottolineato da diverse voci, era impensabile illudersi che dopo quell’arresto la scia jihadista in Europa si sarebbe fermata. Dall’altro lato, gli attentati di Bruxelles, alla pari di quelli avvenuti a Parigi, ci impongono delle serie riflessioni sia sulla natura degli attori che stanno attaccando l’Europa, sia sui loro scopi. Ma, soprattutto, ci impongono una riflessione sul tipo di risposta che i governi europei devono dare di fronte alla minaccia jihadista. Già molte voci – analisti, commentatori, politici – si sono levate per invocare la “guerra” che l’Europa starebbe vivendo (…) SEGUE >>>
IL RITIRO DELLA RUSSIA DALLA SIRIA: LE SCELTE STRATEGICHE GABRIELE NATALIZIA ↴ Il ritiro di una parte consistente dei 5.000 militari russi schierati in Siria, annunciato da Vladimir Putin a poco più di due settimane dall’inizio della nuova tregua (27 febbraio), è stata oggetto di numerose interpretazioni e induce a riflettere su quelli che – al di là degli obiettivi proclamati ufficialmente – erano le reali intenzioni della missione iniziata lo scorso settembre. Nessun fattore preso singolarmente sembra spiegare questo repentino mutamento di rotta. Più probabilmente, infatti, una serie di ragioni diverse hanno indotto il Presidente della Federazione Russa a optare per una soluzione che, come spesso accade quando c’è di mezzo il “nuovo zar”, ha spiazzato la maggior parte degli osservatori. Proviamo a riportare schematicamente quelli che ci sembrano i fattori più rilevanti, integrandoli con altri elementi di spiegazione su cui non è stata puntata a sufficienza l’attenzione. Anzitutto la Russia si tira fuori dal pantano siriano nel corso di un cessate il fuoco frutto di una ritrovata collaborazione con gli Stati Uniti. Il Paese così ottiene un piccolo successo internazionale, dimostrando di saper ricorrere alla forza e sedere al tavolo dei negoziati (…) SEGUE >>>
COLOMBIA-FARC: PASSO FALSO VERSO LA PACE? FRANCESCO TRUPIA ↴ Non sembrano essere stati sufficienti gli oltre due anni di stabili negoziati tra il governo di Bogotá e gli alti rappresentanti delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC) per sancire la conclusione di una delle pagine storico-politiche più sanguinose dell’intera America Latina. Lo scorso 23 marzo, infatti, il Presidente co-
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lombiano Manuel Santos e il leader guerrigliero Rodrigo Londoño Echeverri, nonostante gli auspici e la supervisione di Venezuela e Cile in qualità di Paesi osservatori, insieme a Norvegia e Cuba, quest’ultima sede delle trattative, non hanno siglato alcun accordo. L’ennesimo rinvio appare un mezzo passo falso sia per l’incapacità delle parti di chiudere un accordo di alta rilevanza politica e sociale, che avrebbe consentito la conclusione di un conflitto che ha assegnato alla Colombia l’etichetta geopolitica di “Balcani delle Ande”, sia perché le Nazioni Unite erano già pronte a garantirne l’applicazione (…) SEGUE >>>
LA CENTRALITÀ DEL CORNO D’AFRICA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE TRA TERRORISMO E GEO-STRATEGIA MARITTIMA SIMONE VETTORE ↴ Il 7 agosto 1998 una potente esplosione sventrava l’Ambasciata statunitense di Nairobi, in Kenya, provocando la morte di 212 persone; ad organizzare l’attacco fu alQaeda, gruppo islamista radicale che all’epoca non era ancora assurto al ruolo di guida del jihad globale e che anzi solo a seguito di tali attentati venne inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche su scala mondiale. La risposta di Washington non si fece attendere: il 20 agosto seguente veniva bombardata una fabbrica farmaceutica in Sudan, all’interno della quale secondo l’intelligence statunitense si costruivano armi chimiche e tra i cui “soci occulti”, dando credito ad alcuni report, andava annoverato lo stesso Osama Bin Laden; lo stesso giorno altri strike colpivano obiettivi in Afghanistan. Per il Kenya, purtroppo, quello del 1998 sarebbe stato solo il primo di una lunga e tragica serie di attentati che arriva, seppur con brevi pause, fino ai giorni nostri. Solo per citare i più importanti, ricordiamo quello duplice del 28 novembre 2002, giorno in cui dapprima un veicolo imbottito di esplosivo esplodeva contro il Paradise Hotel di Mombasa, frequentato principalmente da turisti israeliani (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 20