N째11, 3-16 APRILE 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 17 aprile 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Fabio Rondini Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°11/2016 (3-16 aprile 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: Narciso Contreras/AP; AP; BBC; ANSA; Reuters/President.ir/Handout; LaPresse/Xinhua; CNN.
FOCUS EGITTO ↴
Dopo settimane di reciproche accuse di mancata collaborazione e di critiche – soprattutto italiane – nei confronti dell’operato degli inquirenti egiziani sulle modalità di conduzione delle indagini per l’omicidio di Giulio Regeni, l’Italia ha concordato un congelamento delle relazioni bilaterali con Il Cairo, richiamando il proprio Ambasciatore, Maurizio Massari, ufficialmente per consultazioni. Sebbene la misura non implichi un’interruzione o, addirittura, una rottura totale dei rapporti bilaterali sui diversi piani di cooperazione attualmente vigenti tra Italia ed Egitto (politica, economica, commerciale, culturale e di sicurezza), questa rappresenta comunque una dura presa di posizione da parte del governo assunta a seguito dell’ennesimo nulla di fatto emerso dall’incontro di Roma (7-8 aprile) con gli investigatori e i magistrati egiziani sul caso del ricercatore friulano, ucciso al Cairo in circostanze ancora poco chiare. L’incontro, più volte a rischio cancellazione, doveva essere l’occasione per entrambe le parti per scambiare informazioni e per ipotizzare nuovi passi ufficiali da attuare nella conduzione delle indagini. Tuttavia, di fronte all’ennesima richiesta italiana di ottenere i tabulati telefonici di alcuni soggetti ritenuti cardine nell’inchiesta, i colleghi egiziani avrebbero risposto con un netto rifiuto motivato da questioni di privacy, regolamentate e previste dalla Costituzione egiziana. Poche ore dopo il resoconto del procuratore capo Giuseppe Pignatone e del suo sostituto Sergio Colaiocco, del capo del Servizio Centrale Operativo della Polizia, Renato Cortese, e quello dei ROS dei Carabinieri, Giuseppe Governale – la squadra italiana di magistrati e di forze di polizia 1
incaricata di seguire e coordinare le indagini con i colleghi egiziani –, il governo Renzi ha deciso ufficialmente il ritiro del proprio Ambasciatore, paventando tuttavia nuove misure, ove e quando si rendessero necessarie, soprattutto nella misura in cui dal governo e dalle autorità egiziane vi fosse un atteggiamento fermo di non collaborazione. Allo studio dell’esecutivo italiano vi sarebbe difatti la possibilità di sconsigliare ufficialmente l’Egitto come meta turistica estera in quanto pericoloso per la sicurezza dei cittadini italiani. Il turismo nostrano rappresenta infatti il sesto bacino di attrazione più importante al mondo (più di 330.000 unità, secondo i dati 2015, soprattutto lungo le mete del Sinai e dell’Egitto continentale del Mar Rosso) per la disastrata economia del Paese nordafricano, che dal turismo pre-2011 riceveva guadagni pari all’11-13% del PIL. Data la sua importanza e i riflessi innegabilmente politici di un tale atto, un blocco delle visite verso l’Egitto avrebbe sicuramente contraccolpi importanti all’interno delle relazioni bilaterali Il Cairo-Roma. Le altre misure al vaglio del governo sarebbero il blocco delle relazioni culturali o dello scambio di studenti universitari e, infine, la rivisitazione degli accordi commerciali bilaterali e una sospensione dei rapporti politici, soprattutto qualora lo scontro tra Egitto e Italia dovesse sfociare in un contrasto profondo. Da parte sua, l’equipe di esperti egiziani mandata a Roma si è difesa spiegando che la Procura di Giza – titolare delle investigazioni in loco – «non ha ancora concluso le indagini e che quando le avrà terminate informerà immediatamente le autorità italiane» sugli sviluppi. Benché più volte annunciati e spesso in contraddizione tra loro, gli elementi di novità nell’indagine tardano ad arrivare e le autorità egiziane si sono dunque trovate a formulare ipotesi e ricostruzioni dell’accaduto poco plausibili soprattutto in relazione alle continue smentite fatte dalla stessa stampa egiziana, anche quella più vicina storicamente ai vertici politici. Ciononostante il Ministro degli Esteri Sameh Shoukri – che ha parlato del caso Regeni come di un caso isolato – e, soprattutto, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi hanno provato a serrare i ranghi – anche per smentire la fuga di voci su lotte interne fra apparati di sicurezza e politici dello Stato –, auspicando una maggiore collaborazione con l’Italia. Intanto durante un incontro a porte chiuse a Strasburgo con alcuni rappresentati del Partito Popolare Europeo, una delegazione di deputati egiziani ha garantito che il Parlamento del Cairo discuterà pubblicamente del caso Regeni. Anche sul piano internazionale, l’eco dell’affaire Regeni ha trovato una nuova sponda nella campagna mediatica portata avanti da alcune settimane dal quotidiano statunitense New York Times, che nei suoi due ultimi editoriali ha attaccato duramente i vertici dello “Stato profondo” egiziano e ha accusato la Francia di spregiudicatezza, per la sua politica affaristica con tutti i più discussi regimi mediorientali1, e di vergogna per il suo silenzio sul caso Regeni. Allo stesso tempo il quotidiano newyorkese mette in guardia l’amministrazione Obama sulla necessità di rivedere i 1
Il Presidente francese Hollande sara impegnato il 17 e 18 aprile in una visita ufficiale in Egitto dove incontrera al-Sisi e durante la quale si presume che stringera un nuovo accordo di fornitura militare da 1,1 miliardi di euro oltre ad intese commerciali e finanziarie da oltre 10 miliardi di euro. 2
rapporti bilaterali con l’Egitto, anche correndo il rischio di incrinare ulteriormente le già complesse relazioni con Il Cairo. Se il caso Regeni rischia pertanto di pregiudicare i rapporti italo-egiziani, nelle stesse ore in cui si teneva il vertice di Roma, il Re saudita Salman intraprendeva una storica visita ufficiale di cinque giorni (7-12 aprile) in Egitto – la prima di un Capo di Stato di Riyadh al Cairo dal 1946 –, conclusasi con la firma di numerosi accordi di cooperazione economica e commerciale, nonché con il rafforzamento – almeno apparente – dell’asse politico egiziano-saudita. Nel ricevere Salman, al-Sisi ha ringraziato il monarca per la vicinanza del suo Paese all’Egitto in un momento di particolare difficoltà economica. La visita di Stato è stata l’occasione infatti per la firma di 17 accordi (soprattutto sulla fornitura di greggio), prestiti e investimenti per oltre 20 miliardi di dollari. Tra questi quello più rilevante è relativo alla costruzione di un ponte sul Mar Rosso, intitolato a Re Salman, che collegherà Asia e Africa per un costo complessivo di 1,1 miliardi di dollari. Un ponte che collegherà Sharm al-Sheikh, nel Sinai egiziano, alla Penisola saudita e che nelle intenzioni di entrambi i Paesi dovrebbe stimolare i commerci e ridurre i tempi di trasporto logistico. Proprio l’annuncio del ponte ha creato un piccolo caso diplomatico poiché, affinché questo possa veder finalmente la luce – dopo esser stato annunciato più volte anche nel corso degli ultimi anni –, l’Egitto ha dovuto cedere la sovranità delle due isole contese di Tiran e Sanafir. Queste due isole nel Mar Rosso, disabitate ma altamente strategiche in virtù della loro posizione di accesso e uscita da e verso il Canale di Suez, sono controllate a seguito della Guerra dei Sei Giorni da Israele dal 1967 al 1982, quando poi sono ritornate all’Egitto per effetto del Trattato di Pace di Camp David. Tuttavia, seppur rivendicate da Riyadh come parte integrante del proprio territorio, geograficamente e giuridicamente le due isole sono sempre appartenute all’Egitto. La decisione egiziana è stata giustificata come una misura attuativa a quanto stabilito nel 1993 dal Paese nordafricano, che si era assunto in sede di Nazioni Unite l’onere di attuare un definitivo passaggio di legittimità territoriale di Sanafir e Tiran all’Arabia Saudita. Se nell’arco costituzionale e parlamentare la scelta egiziana non ha trovato alcuna opposizione, il 16 aprile diverse manifestazioni avvenute nelle principali città del Paese e organizzate da studenti, gente comune e rappresentanti delle opposizioni laiche, hanno attaccato violentemente il governo per quella che è stata definita la “svendita della dignità egiziana”. Le manifestazioni, 3
a seguito delle quali sono scattate diverse centinaia di arresti, sono state anche l’occasione per fare pressioni sul governo in merito al caso Regeni. Nuove proteste sono state annunciate per il prossimo 25 aprile. Dal punto di vista geo-strategico, la decisione saudita di rivendicare la supremazia territoriale sulle isole egiziane nello Stretto di Tiran ha dimostrato un rinato interesse di Riyadh per il Mar Rosso. Una risposta geopolitica, questa, anche in funzione anti-iraniana in modo da mitigare la minaccia che Teheran esercita sullo Stretto di Hormuz – attraverso cui transita circa il 17% del traffico energetico mondiali –, e differenziando allo stesso tempo le esportazioni e le rotte marittime commerciali nell’area, rafforzando quindi il proprio leverage in tutta la regione del Mar Rosso da Suez, al Golfo di Aden e al Corno d’Africa.
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SIRIA-IRAQ ↴
Mentre si apriva il terzo round dei negoziati di pace a Ginevra, Damasco ha ripreso la via delle armi contro le opposizioni nel nord della Siria, danneggiando il congelamento delle ostilità in essere dalla fine di febbraio. Se l’aviazione siriana non ha mai interrotto i bombardamenti sulle aree ribelli con l’espediente di colpire i gruppi terroristi (Stato Islamico e Jabhat al-Nusra) esclusi dalla tregua, il 10 aprile le forze governative hanno lanciato una vasta offensiva di terra su Aleppo. Lo Stato Maggiore russo aveva preparato il terreno all’operazione, avvisando la preoccupante concentrazione di almeno 10.000 miliziani di Jabhat al-Nusra (JaN) nei pressi della città in vista di un imminente attacco. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani i caccia militari russi sono direttamente coinvolti nell’azione, che punta a intaccare le linee di rifornimento ribelli nelle campagne di Handarat a nord di Aleppo. L’esercito regolare siriano e le forze a questo alleate (i guerriglieri di Hezbollah, della Guardia Rivoluzionaria iraniana e delle milizie irachene) hanno attaccato anche le postazioni di JaN nei villaggi di al-Eis e Kafar Naha alla periferia meridionale della città. Mohammed Alloush, vertice della delegazione delle opposizioni filo-saudite, ha commentato da Ginevra che la ri-acutizzazione del conflitto esprime l’indisponibilità del Presidente Bashar al-Assad a raggiungere una soluzione politica. Il nuovo impulso ai combattimenti peraltro si sovrappone agli assalti dello Stato Islamico (IS), che negli ultimi giorni ha sottratto ai ribelli dell’Esercito Libero Siriano numerosi centri abitati lungo la frontiera settentrionale, controllata dai guerriglieri jihadisti tra Jarablus e al-Rai per un tratto di circa 55 chilometri che preme contro i cantoni orientali del Rojava curdo e a ovest sulla lingua di terra presidiata dalle opposizioni ad Azaz. Le incursioni jihadiste sono state parzialmente ribattute anche dall’artiglieria turca e dai raid statunitensi, ma l’IS è riuscito a dare continuità alle aggressioni, esplodendo diversi colpi di mortaio sulla città turca di Kilis e 5
costringendo alla fuga oltre 30.000 persone. A questo riguardo, Human Rights Watch denuncia il respingimento violento da parte di Ankara degli sfollati siriani accorsi al confine militarizzato siro-turco, che in parte hanno trovato un riparo insicuro in campi improvvisati nei pressi di Azaz, ossia in una zona interessata dai combattimenti e dagli stessi colpi di artiglieria sparati da oltre confine dall’esercito turco. Amnesty International aveva già documentato le espulsioni forzate di migliaia di rifugiati siriani verso il Paese d’origine martoriato dalla guerra. Intanto, le milizie arabe e curde riunite nelle Forze Democratiche Siriane muovono oltre la diga di Tishrin sull’Eufrate per portare l’offensiva contro il sedicente Califfato islamico a Manbij e al-Bab. Il successo dell’operazione, che isolerebbe Raqqa dalle avanguardie jihadiste nel nord della Siria, potrebbe togliere ossigeno al gruppo islamista e tendere inoltre verso l’unificazione dei cantoni curdi, un esito quest’ultimo nettamente opposto dalla Turchia. Alla luce del rapido deterioramento del cessate il fuoco, l’Inviato Speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, ha richiamato le parti a stabilire passi concreti sulla base della Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza approvata in dicembre. Il 12 aprile de Mistura si era recato a Teheran alla vigilia del nuovo round per favorire la ripresa dei colloqui sull’accidentata transizione politica. Tuttavia, gli sviluppi nel teatro di Aleppo non preludono ad un allentamento del conflitto civile, laddove i rappresentati del governo di Damasco e delle opposizioni convocate a Ginevra ancora non sono sedute allo stesso tavolo negoziale e intrattengono invece incontri separati mediati dai diplomatici dell’ONU. Del resto, il Ministro degli Esteri Walid al-Muallem ha chiaramente ribadito la posizione ufficiale del regime circa una trattativa “senza precondizioni”, ossia non vincolata alla destituzione di Bashar al-Assad. Da Washington Barack Obama ha però ricordato che l’allontanamento di Assad resta il discrimine per la risoluzione della crisi siriana. In caso di rottura definitiva della tregua e del processo politico a questo collegato, il Wall Street Journal riporta che gli Stati Uniti aumenterebbero le forniture di sistemi antiaerei ed equipaggiamenti alle formazioni ribelli. Secondo le indiscrezioni raccolte, i consiglieri militari della Casa Bianca stanno lavorando al piano alternativo già dal 27 febbraio, ossia dal primo giorno della tregua avvallata anche da Mosca. Intanto, il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, ha dichiarato illegittime e non credibili le elezioni per il rinnovo del Parlamento siriano, tenutesi lo stesso 13 aprile nelle sole dodici provincie controllate dalle forze governative. Provocatoriamente, il governo siriano ha posticipato la partecipazione ai colloqui di pace alla conclusione della consultazione. La tornata elettorale è stata fortemente criticata dalla comunità internazionale, con l’eccezione della Russia – primo alleato del regime e ancora militarmente ben radicato e operativo nel Paese – che ha inviato una propria delegazione per monitorare l’andamento del voto.
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Precipita invece verso la paralisi istituzionale la crisi politica irachena, acuita dalle contrattazioni parlamentari per la ricomposizione del Consiglio dei Ministri. Incalzato dalle manifestazioni popolari di dissenso e dalla sfiducia trasversale espressa dalle forze politiche, il 31 marzo il Premier Haider al-Abadi aveva presentato una lista di nomine – prevalentemente tecniche, a esclusione di Khalid al-Obeidi e Muhammad al-Ghabban, entrambi confermati nei rispettivi ruoli di Ministro della Difesa e Ministro degli Interni – da rimettere al vaglio del Parlamento per la ri-attribuzione degli incarichi ministeriali. Tuttavia, la proposta ha alimentato il gioco al rialzo dei blocchi parlamentari, determinati a ottenere quote di rappresentanza nella compagine governativa e a contendere la stessa leadership di al-Abadi – tanto che lo stesso Nouri al-Maliki, discusso predecessore di al-Abadi che oggi ricopre la carica cerimoniale di vice Presidente, avrebbe tentato di riprendere la guida del governo costringendo Teheran e Washington, entrambe interessate alla stabilità dell’esecutivo in carica seppur secondo letture divergenti, a intervenire direttamente per scongiurare l’ipotesi. Il comandante della Guardia Rivoluzionaria Qassem Suleimani avrebbe personalmente bloccato sul nascere l’iniziativa di al-Maliki. A conferma del momento critico il Segretario di Stato americano John Kerry si è recato a Baghdad l’8 aprile per ribadire il sostegno ad al-Abadi, che il 12 aprile ha infine proposto una seconda lista al fine di bilanciare le designazioni originarie con le richieste dei partiti. Nonostante la soluzione di compromesso, la ripetuta cancellazione del voto sulle nomine a causa del mancato raggiungimento del quorum e delle accese proteste nell’aula hanno ulteriormente esacerbato la competizione parlamentare e indebolito le posizioni di alAbadi e del Presidente del Parlamento Salim al-Jubouri, come pure portato a emersione laceranti divisioni e defezioni all’interno delle stesse fazioni politiche. Inevitabilmente, la vulnerabilità delle istituzioni centrali e la paralisi decisionale esercitano ripercussioni negative sulla campagna bellica contro l’IS. Nella provincia occidentale dell’Anbar, l’esercito regolare è entrato a Hit e continua a fronteggiare i miliziani jihadisti a Ramadi, Falluja e Garma, mentre l’annunciata risalita verso Mosul (battuta dai bombardamenti della coalizione internazionale a guida statunitense) è ritardata dagli attentati dinamitardi delle uniformi nere.
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BREVI BELGIO-TERRORISMO, 31 MARZO ↴ Continuano da parte degli inquirenti belgi le indagini sui membri della cellula terroristica brussellese autrice degli attentati il 22 marzo all’aeroporto di Zaventem e alla fermata metro di Maelbeek, nel pieno centro della capitale. Nel vagliare una sequela impressionante di documenti e di registrazioni delle telecamere di sicurezza sparse per la città sarebbero riusciti a rintracciare Mohammed Abrini, il cosiddetto “uomo con il cappello” filmato negli attacchi all’aeroporto cittadino. L’uomo è stato catturato a Anderlecht, nella periferia di Bruxelles, mentre in un’altra operazione di polizia ad Etterbeek sono stati arrestati tre uomini anch’essi accusati di far parte della cellula terroristica che ha colpito la capitale belga. Fin dai primi interrogatori Abrini si è auto-accusato di essere l’“uomo con il cappello”. Nel valutare però attentamente ogni dichiarazione, le autorità non starebbero scartando l’ipotesi che Abrini, nell’addossarsi la responsabilità
dell’attentato
dell’aeroporto,
in
realtà
voglia nascondere l’indentità del sospettato reale, facendo così scemare l’interesse della polizia sul “soggetto X”, il quale sarebbe pronto infine a colpire
nuovamente
in
un
altro contesto. Abrini sarebbe comunque un personaggio di alto
livello
della
cellula
terroristica di
Bruxelles in
quanto
direttamente
collegato
come
Salah
Abdeslam agli attacchi del novembre scorso a Parigi. Altrettanto secondo
gli
interessante, inquirenti,
il
profilo di uno dei tre arrestati, tale Osama K, nickname di Osama Krayem, un cittadino svedese illegalmente
rientrato dalla
Siria
in
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Europa sull’isola greca di Leros, nascondendosi tra i migranti siriani e utilizzando un falso passaporto anch’esso siriano. Krayem avrebbe infatti funto da accompagnatore di Abrini alla fermata della metropolitana di Maelbeek. Intanto il livello di allarme a Bruxelles e in tutto il Belgio resta confermato al livello “3” su una scala globale di “4”. La decisione è stata presa dal Consiglio Nazionale di Sicurezza in una riunione straordinaria indetta l’8 aprile subito dopo gli arresti. Sul piano politico belga, infine, le critiche sollevate circa la lentezza di attuazione dei meccanismi di sicurezza nazionale ha provocato le dimissioni del Ministro dei Trasporti Jacqueline Galant, accusata di negligenza per aver ignorato le segnalazioni dell’Unione Europea sul rischio di falle nella sicurezza di Zaventem, per l’inefficienza nella gestione degli scioperi dei controllori di volo e, in particolar modo, per aver sottovalutato gli allarmi segnalati da istituzioni europee e servizi di sicurezza sulle contromisure da adottare in caso di possibili attentati a Bruxelles. A differenza, però, dei colleghi Koen Geens (Ministro della Giustizia) e Jan Jambon (Ministro dell’Interno), le dimissioni della Galant non sono state respinte dal Premier Charles Michel, alimentando così polemiche interne sulla reale tenuta del governo e sul fatto che fosse necessario individuare un capro espiatorio. Michel aveva recentemente rigettato le richieste di dimissioni di Geens e Jambon in nome di una unità nazionale necessaria per far fronte al difficile momento successivo agli attentati.
ITALIA-IRAN, 12-13 APRILE ↴ Si è svolta a Teheran la visita di Stato in Iran del Presidente del Consiglio Matteo Renzi – la prima di un capo di governo occidentale nel Paese dopo l’avvio della
rimozione
accompagnato
dal
delle vice
sanzioni Ministro
economiche dello
–
Sviluppo
Economico Ivan Scalfarotto, dal Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e dai delegati delle oltre 50 aziende italiane coinvolte nella missione imprenditoriale. In apertura del business forum presso la Camera di Commercio di Teheran, Renzi ha annunciato la conclusione di 18 accordi tra l’Italia e la Repubblica Islamica, che andrebbero ad aggiungersi ai 30 contratti stipulati a margine della visita del Presidente Hassan Rouhani a Roma lo scorso gennaio. I principali protocolli di intesa sottoscritti con le rispettive controparti iraniane spaziano dal settore industriale e delle infrastrutture agli idrocarburi e all’energia. In particolare, un accordo di 3,5 miliardi di euro sull’alta velocità è stato siglato da Ferrovie dello Stato, un altro coinvolge la SEA nell’adeguamento dell'aeroporto Mehrabad di Teheran, mentre ANAS è incaricata della realizzazione di una linea di collegamento dal Golfo Persico alla Turchia e della manutenzione delle autostrade iraniane. Inoltre, un’intesa da 250 milioni è stata conclusa dal Gruppo Danieli per la produzione di tubi in acciaio ed un’altra da Saipem per lo sviluppo del giacimento di Tus di circa 60 miliardi di metri cubi di gas. Seguono gli accordi con 9
Isotta Fraschini per la realizzazione di 70 locomotive e 60 motori a scoppio e con il Gruppo Fata, operativo nella progettazione di impianti industriali. Enel Trade ha invece concluso un’intesa commerciale per l’acquisto di gas naturale liquefatto ed infine Sistema Moda Italiana ha siglato un memorandum per il settore tessile. Tuttavia, l’espansione della cooperazione bilaterale è subordinata al superamento delle difficoltà nelle transazioni bancarie e finanziarie, residuo del blocco dei sistemi di pagamento imposto all’Iran dalle sanzioni internazionali. A tale proposito, Teheran ha recentemente corrisposto la prima delle tre rate previste dall’accordo di recupero del credito sovrano (pari a 564 milioni di euro) vantato dall’italiana SACE, società della Cassa depositi e prestiti (CDP), nei confronti della Banca Centrale dell’Iran. Inoltre, in un comunicato diffuso il 12 aprile, CDP ha annunciato lo stanziamento, congiuntamente alle controllate SACE e SIMEST, di circa 4,8 miliardi di euro a favore delle controparti sovrane iraniane, nell’ambito del sistema «Export Banca». Le linee di credito erogate sarebbero finalizzate al sostegno delle commesse italiane nei settori di infrastrutture, oil&gas e trasporti in un Paese che l’Italia considera prioritario per l’interscambio dei prossimi anni.
LIBIA, 5-12 APRILE ↴ Il Parlamento di Tripoli, con l’obiettivo di favorire l’assunzione delle funzioni governative da parte del nuovo governo di transizione nazionale guidato da Premier in pectore Fayez al Serraj, ha votato il proprio scioglimento
accogliendo
la
trasformazione
dell’organismo parlamentare in Consiglio di Stato, così come previsto nell’accordo di dicembre mediato dall’ONU. Circa 70 deputati hanno dichiarato il proprio sostegno al governo di unità nazionale, il quale in pochi giorni, è riuscito ad ottenere, oltre all’appoggio di numerose municipalità, anche quello della Banca Centrale di Libia, della compagnia petrolifera di Stato e della Libyan Investment Authority. Tuttavia, i precedenti vertici politici di Tripoli non sembrano voler cedere facilmente il posto al nuovo esecutivo: l’ex Presidente del Parlamento locale, Nuri Abud Sahimin, ha tacciato di illegittimità la decisione presa dal Congresso e ha espresso la volontà di rivolgersi alla Corte Suprema Libica; mentre l’ex Capo del governo, Khalifa Ghwell, ha invitato i suoi Ministri a non dimettersi minacciando azioni contro chi collaborerà con al-Serraj. L’incognita più rilevante resta in ogni caso il voto di fiducia al nuovo esecutivo da parte del Parlamento di Tobruk, quello riconosciuto ufficialmente, che dovrebbe riunirsi entro il 18 aprile. In questo contesto si è svolta il 12 aprile la visita del Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, il primo rappresentante di un governo occidentale ad incontrare in Libia il Premier al-Serraj. Come confermato da ambo le parti, l’incontro è stato utile per porre le basi per una futura collaborazione bilaterale legata in particolare alle questioni della sicurezza e dell’immigrazione clandestina. Nella conferenza stampa congiunta che si è tenuta al termine dell’incontro, Gentiloni ha confermato il pacchetto di aiuti umanitari da 1 10
milione di euro in favore del nuovo esecutivo libico e ha annunciato la volontà italiana di riaprire al più presto la propria missione diplomatica in Libia (medesima volontà è stata espressa anche dalla Tunisia e dalla Turchia). Intanto una cellula dello Stato Islamico in Libia ha effettuato un attentato contro un checkpoint militare a Sabbada, vicino Misurata, uccidendo 1 soldato e ferendone 4. L’attacco – non casuale – potrebbe nascondere in realtà un messaggio duplice, rivolto tanto alle istituzioni politiche libiche – lanciando appunto un avvertimento sui pericoli che potrebbero correre portando avanti tale processo di legittimazione politico-istituzionale – tanto alle milizie locali, tra tutte la capofila Misurata, sui rischi di rappresaglia alle quali potrebbero andare incontro.
PANAMA PAPERS, 6 APRILE ↴ Il terremoto politico provocato dalle rivelazioni dei cosiddetti “Panama Papers” (PP) ha colpito numerosi personaggi di pubblico dominio: celebrità, Capi di Stato, di governo, finanzieri e industriali. Dal padre del Primo Ministro britannico David Cameron al Primo Ministro islandese Sigmundur Gunnlaugsson – che si è dimesso a seguito dello scandalo –, passando per gli uomini dell’entourage del Presidente russo Vladimir Putin, il Presidente argentino Mauricio Macri, il Premier ucraino Petro Poroshenko e la moglie e molti altri ancora. Quanto emerso dai circa 11,5 milioni di documenti dell’inchiesta curata dai 378 giornalisti dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) e trasmessa alla testata giornalistica tedesca Süddeutsche Zeitung ha portato all’evidenza un trasferimento, più o meno lecito, di grandi patrimoni finanziari in società offshore con sede nei Caraibi e in altri “paradisi fiscali”, grazie all’appoggio dello studio legale panamense Mossack Fonseca, per evadere la tassazione o nascondere attività illecite. Il Premier britannico Cameron, tra i più colpiti dall’inchiesta e aspramente criticato in Regno Unito dalle opposizioni, si è difeso alla Camera dei Comuni l’11 aprile, promettendo una stretta sugli evasori fiscali e affermando di aver venduto le proprie quote del fondo “Blairmore”, che era comunque stato sottoposto a tassazione, nel 2010 prima di diventare Primo Ministro. Nell’inchiesta dell’ICIJ è emerso anche il coinvolgimento di Sergej Roldugin, violoncellista e amico del Presidente Putin; questi, prendendo le difese del Presidente russo, ha dichiarato che la fuga di notizie è, in realtà, un “complotto americano” per indebolire la legittimità del leader russo e che i 2 miliardi di dollari transitati sui fondi caraibici sarebbero stati spesi per strumenti musicali. Perfino i reali di Marocco e Arabia Saudita risultano coinvolti per l’acquisto di alcuni yatch di lusso. Intanto, il 15 aprile il Ministro dell’Industria spagnolo, José Manuel Soria, si è dimesso, pur avendo negato di possedere conti nei Caraibi, a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta dell’ICIJ. Fra i clienti dello studio Mossack Fonseca ci sarebbero anche parenti del Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, grande sostenitore di una politica di anti-corruzione in patria. Non sono stati rivelati 11
ancora nomi illustri statunitensi, ma la loro pubblicazione potrebbe essere solo questione di tempo.
UCRAINA, 10 APRILE ↴ Arseniy Yatsenyuk ha annunciato le proprie dimissioni dall’incarico di Primo Ministro, denunciando la natura artificiale della crisi politica, provocata, secondo il Premier uscente, dalle pressioni di alcuni gruppi politici e dalla loro lotta per il potere. Già il 16 febbraio membri del Blocco Petro Poroshenko (BPP) hanno mosso la mozione di sfiducia contro il governo di Yatsenyuk, ma la manovra non aveva raggiunto il numero di voti necessario per deporre il Primo Ministro. Questo evento è stato l’inizio della fase critica della latente contrapposizione tra il Presidente e il Premier, che ha visto di fatto la dissoluzione della coalizione di maggioranza, mettendo in discussione la governabilità del Paese. La difficile decisione è stata presa dall’ex Primo Ministro anche in seguito all’annuncio dei risultati negativi del referendum tenuto in Olanda sugli accordi di associazione tra l’Unione Europea e l’Ucraina. La vittoria del “no” è stato un colpo piuttosto duro per Yatsenyuk che traeva una parte della propria legittimità dai progressi ottenuti nelle riforme interne, che garantivano l’avvicinamento al sogno europeo. Nonostante la perdita dell’incarico Yatsenyuk e il suo Fronte Popolare (FP) continueranno a giocare un ruolo di primo piano nella vita politica ucraina e nel nuovo governo a causa di una forte presenza del partito nella Verchovna Rada (il Parlamento ucraino). Infatti, dopo alcuni giorni di trattative, proprio il partito di Yatseniuk insieme al BPP del Presidente hanno sostenuto la formazione di un nuovo esecutivo, guidato dallo speaker della Rada, Volodymyr Groysman. Il rimpasto di governo sembra essere mirato principalmente ad evitare elezioni anticipate piuttosto che a garantire una stabilizzazione del sistema politico ucraino. La maggioranza ha perso definitivamente il sostegno dei tre partiti minori, Patria di Yulia Tymoshenko, il Partito Radicale e Samopomish e dovrà contare sulla compattezza e l’unità d’intenti tra FP e BPP, al fine di evitare un nuovo stallo istituzionale. Appare ancora presto per capire se il referendum olandese avrà serie ripercussioni sulla politica di Bruxelles nei confronti dell’Ucraina, ma le pressioni per una netta accelerazione nel difficile percorso di Kiev sulla strada delle riforme si fanno sempre più insistenti.
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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 12 APRILE ↴ I Taliban hanno annunciato l’inizio dell’“offensiva di primavera”, la stagione calda del combattimento che quest’anno è stata denominata «Operazione Omar», in omaggio al Mullah Mohammed Omar, leader spirituale e fondatore dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan, deceduto nel 2013. La diffusione del comunicato, in cui si minaccia il ricorso ad «attacchi su vasta scala conto postazioni avversarie in tutto il Paese», segue di pochi giorni la visita del Segretario di Stato americano John Kerry a Kabul, a conferma del supporto garantito dagli USA al governo di unità nazionale guidato dal Presidente Ashraf Ghani. Solo l’11 aprile, nella città orientale di Jalalabad, un kamikaze talebano a bordo di una motocicletta avrebbe provocato la morte di 12 soldati che viaggiavano su un autobus dell’esercito, mentre a Kabul alcune ore prima la detonazione di un ordigno colpiva un minibus che trasportava impiegati del Ministero dell’Istruzione, uccidendo almeno due persone. L’offensiva di primavera potrebbe rappresentare un serio ostacolo ai negoziati di pace avviati a gennaio dal Quadrilateral Coordination Group (QCG), formato dai rappresentanti di Afghanistan, Pakistan, USA e Cina. Peraltro, secondo le stime fornite dal sito statunitense The Long War Journal, i Taliban controllerebbero ad oggi circa 80 dei 400 distretti nei quali è suddiviso il Paese.
BRASILE, 11 APRILE ↴ Dopo settimane di accuse e dibattiti politici, la Commissione Speciale del Parlamento ha approvato l’avvio della procedura di impeachment nei confronti della Presidente Dilma Rousseff. Il provvedimento sarà votato prima alla Camera dei Deputati (17aprile) e nelle prossime settimane anche al Senato. Anche in caso di voto favorevole in entrambe le Camere del Parlamento – è necessario raggiungere i due terzi dei voti –, l'iter conoscerà un percorso molto lungo. Un passaggio della mozione di impeachment provocherebbe infatti una sospensione di 6 mesi dei poteri e delle funzioni presidenziali in attesa del verdetto definitivo della Corte Suprema, che soltanto in quel caso potrebbe permettere la formazione di un nuovo esecutivo e di nuova maggioranza parlamentare.
COREA DEL SUD, 13 APRILE ↴ Il partito conservatore Saenuri, del Presidente Park Geun-hye, ha perso dopo 16 anni la maggioranza assoluta in Parlamento a seguito dell’inatteso risultato raggiunto nelle attese elezioni legislative. Con più dell’80% dei votanti, il partito di centro-destra ha ottenuto 122 seggi su 300, mentre il principale partito di opposizione Minjoo, di centrosinistra, ne ha guadagnati 123. Il risultato sta ad indicare il crescente malcontento popolare nei confronti dell’establishment principalmente riguardo a due questioni: in primis l’indebolimento della protezione giuridica dei lavoratori contro i licenziamenti; 13
in secondo luogo, l’insoddisfazione dell’opposizione per il comportamento adottato dal governo nei confronti dei dissidenti e dei manifestanti. Un ruolo fondamentale è stato ricoperto dall’alta disoccupazione giovanile che è andata sommandosi all’alto e crescente debito delle famiglie. Nel corso del 2015 l’economia del Paese è cresciuta del 2,2%, mentre a febbraio di quest’anno la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 12,5%, picco massimo dal 1999.
IMMIGRAZIONE, 11 APRILE ↴ Come annunciato lo scorso mese di febbraio, l'Austria ha avviato lungo il passo del Brennero, al confine con l'Italia, i lavori per la realizzazione di una barriera per contenere il flusso migratorio previsto in aumento per i mesi estivi. La struttura, lunga 250 metri, comprenderà l’autostrada e la strada statale, oltre all’allestimento di un centro di registrazione che si affiancherà ad un piccolo centro di prima accoglienza già esistente. La dura risposta del governo italiano è stata accompagnata dall’invio ufficioso ai Presidenti di Commissione e Consiglio europeo di una proposta relativa ad un piano di regolamentazione del fenomeno migratorio: il “Migration Compact” (qui il testo completo) prevedrebbe in particolare un accordo tra i Paesi di origine e di transito basato sul supporto finanziario e operativo di quest'ultimi ai primi in cambio di una più stretta cooperazione sui controlli alle frontiere, sui procedimenti di rimpatrio/riammissione e sul contrasto al traffico di esseri umani.
MACEDONIA, 12 APRILE ↴ L’ufficializzazione da parte del Presidente macedone Gjorge Ivanov di interrompere tutti i processi politici e di concedere la grazia a 56 esponenti di maggioranza e opposizione con carichi pendenti, ha scatenato una serie di manifestazioni popolari a Skopje, sfociate tra l’altro in scontri con le forze di sicurezza. Il provvedimento di grazia è stato infatti concesso anche nei confronti di coloro che risulterebbero essere coinvolti nello scandalo intercettazioni che lo scorso anno aveva aperto una profonda crisi istituzionale e che si era conclusa, nonostante numerose difficoltà nella successiva implementazione, con un accordo mediato dall’UE, con la nomina di un procuratore speciale incaricato di far luce sulle intercettazioni, con le dimissioni del Premier Nikola Gruevski e con l’organizzazione di elezioni anticipate programmate per il prossimo 5 giugno. Il leader dell’opposizione socialdemocratica, Zoran Zaev, ha accusato Ivanov di colpo di Stato e di comportamento incostituzionale, annunciando un boicottaggio dell’appuntamento elettorale che rischia pertanto di ritardare ulteriormente la stabilizzazione politica del Paese.
NIGERIA-CINA, 11-14 APRILE ↴ Nella sua prima visita di Stato in Cina, il Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha incontrato a Pechino Xi Jinping per discutere delle relazioni politiche e soprattutto commerciali tra i due Paesi. Il 2016 segna infatti il 45º anniversario dell’instaurazione 14
delle relazioni diplomatiche tra Nigeria e Cina: dal 1971 sono stati raggiunti obiettivi strategici in ambito tecnologico, scientifico, agricolo, energetico e commerciale. La Nigeria, infatti, è il primo Paese africano ad utilizzare gli standard tecnici cinesi per la costruzione delle ferrovie; il primo ad importare satelliti cinesi per la comunicazione e a cooperare in un programma congiunto di ricerca marina. Durante il summit sono stati firmati sei documenti sulla cooperazione nel settore economico, scientifico, finanziario, tecnologico, industriale e dell’aviazione. Nonostante la Nigeria sia la maggior economia del continente africano, necessita di un sostegno alle infrastrutture che al momento viene fornito in gran parte dalla Cina al fine di favorire la crescita e lo sviluppo del Paese dell’Africa occidentale.
RUSSIA, 5 APRILE ↴ Vladimir Putin ha annunciato la creazione di un nuovo servizio di sicurezza, la Guardia nazionale, che, di fatto, sarà indipendente dal Ministero degli Interni e che risponderà direttamente al Presidente russo. Il Direttore della Guardia nazionale sarà il Generale Victor Zolotov, che in precedenza è stato il timoniere del Servizio di Sicurezza del Presidente della Federazione Russa e che negli ultimi anni ha comandato le truppe interne. La struttura del nuovo servizio sarà basata su quella delle truppe interne, ma comprenderà anche diversi reparti di polizia come OMON e SOBR, arrivando a un totale di circa 470.000 unità. La necessità di creare la Guardia nazionale sembra essere dettata sia dalle logiche di politica interna – dove la competizione tra i vari servizi di sicurezza appare sempre più aspra e la paura del regime di un possibile colpo di Stato sempre più alta –, sia dai temi strettamente legati alla sicurezza nazionale, come la lotta al terrorismo e al crimine organizzato.
SOMALIA, 8 APRILE ↴ Il Jahba East Africa, gruppo jihadista nato da una costola di al-Shabaab, ha giurato fedeltà allo Stato Islamico, riconoscendo Abu Bakr al-Baghdadi come l’unico leader legittimo di tutti i musulmani. In un comunicato in inglese pubblicato nei giorni scorsi su Twitter, il nuovo gruppo – ex spin-off kenyano di al-Shabaab –, ha denigrato pubblicamente il movimento somalo e i suoi leader, accusati di tradire l’Islam. Matt Bryden, direttore della Sahan Research, organizzazione non governativa che dal 2002 opera in Somalia, ha affermato che non è chiaro quanti militanti islamisti abbiano finora aderito a Jahba East Africa, che avrebbe connessioni con Kenya, Uganda, Tanzania e Somalia, mentre risulta evidente che sta aumentando sempre più la probabilità di scontri tra fazioni estremiste rivali in Somalia.
STATI UNITI, 9 APRILE ↴ Il risultato del caucus del Wyoming tra i Democratici ha consolidato con il 56,1% delle preferenze la lunga striscia di vittorie di Bernie Sanders, Senatore del Vermont, dopo i risultati positivi ottenuti in Idaho, Utah, Alaska, Washington, Hawaii e Wisconsin. La 15
corsa per la Casa Bianca sembra essere dunque ancora aperta: Sanders e Ted Cruz (quest’ultimo tra i Repubblicani), infatti, erodono il vantaggio accumulato dai frontrunners Hillary Clinton e Donald Trump. In attesa dell’atteso turno di primarie nello Stato di New York del 19 aprile – forse decisivo su entrambi i fronti dato che assegneranno 291 delegati per i Democratici e 95 per i Repubblicani –, Sanders e Clinton si sono scontrati in un infuocato dibattito televisivo il 14 aprile, trovando un punto di incontro soltanto su una maggiore contribuzione da parte degli alleati europei per avere la protezione della NATO. Intanto, in vista delle primarie di New York, i sondaggi del Wall Street Journal sembrano premiare ancora l’ex First Lady (55%) e il tycoon newyorkese (54%). La situazione attuale vede la Clinton in testa per i Democratici con 1.776 delegati (607 mancanti alla nomination) e Sanders con 1.118; per il Grand Old Party, guida Trump con 743 (494 mancanti) e Cruz con 545.
NUMERO DI DELEGATI CONQUISTATI TRA I DEMOCRATICI E I REPUBBLICANI – FONTE: AP
STATI UNITI-PACIFICO, 10 APRILE ↴ In occasione del Vertice dei Ministri degli Esteri del G7 in Giappone, il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha effettuato una storica visita al memoriale di Hiroshima, eretto dal governo di Tokyo per ricordare il bombardamento atomico dell’agosto 1945 da parte degli Stati Uniti. Kerry non ha però voluto fornire scuse formali, ricordando quanto fosse necessario a quel tempo il lancio dell’atomica. Nel frattempo, Washington continua a muoversi nel teatro asiatico in funzione strategica anti-cinese. È di prossima firma l’accordo tra Stati Uniti e India del Memorandum d’intesa per lo scambio logistico in materia di condivisione di rifornimenti, munizioni e carburante tra le forze dei due Paesi. Inoltre, il 14 aprile si è tenuta un’esercitazione navale congiunta tra le marine di Stati Uniti e Filippine nelle acque asiatiche. All’esercitazione Bataklan, come è stata denominata, hanno partecipato circa 5.500 soldati e sono
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stati utilizzati lanciarazzi per missili a medio-lungo raggio, jet militari ed elicotteri da attacco.
YEMEN, 3-10 APRILE ↴ Il 3 aprile il Presidente yemenita, Abdu-Rabbu Mansour Hadi, ha rimosso con decreto presidenziale Khalid Bahah dalla carica di Premier, nominando quest’ultimo suo consigliere politico e il generale Ali Mohsen al-Ahmar vice Presidente, mentre l’incarico di nuovo Primo Ministro è stato affidato ad Ahmed Obeid bin Dagher. Nella stessa giornata, il vice Principe ereditario dell’Arabia Saudita e Ministro della Difesa, Mohammed bin Salman, ha confermato l’avvio dei negoziati ufficiosi a Riyadh tra una delegazione Houthi e i rappresentanti del governo legittimo yemenita. Domenica 10 aprile è iniziata invece la tregua sponsorizzata dalle Nazioni Unite per cercare di arginare la guerra civile che segna il Paese da oltre un anno. La guerra ha causato oltre 6.000 vittime e costretto milioni di yemeniti ad abbandonare le proprie case. La tregua servirà a preparare il terreno ai colloqui di pace che cominceranno il 18 aprile in Kuwait.
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ANALISI E COMMENTI GEORGIA: L’OMBRA DEL TERRORISMO E I PROBABILI SCENARI GEOPOLITICI LUTTINE ILENIA BUIONI ↴ Lo scorso 26 gennaio, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che il governo di Mosca è in possesso di informazioni che testimoniano il funzionamento di un campo di addestramento dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (IS) nella gola del Pankisi, in Georgia. Nella medesima circostanza, lo stesso Lavrov annunciava l’intenzione di Mosca di voler restaurare le relazioni diplomatiche con la Repubblica ex sovietica, deterioratesi a seguito della Guerra dei Cinque Giorni, che nel 2008 aveva coinvolto Georgia, Federazione Russa e le due repubbliche de facto indipendenti di Abkhazia e Ossezia del Sud. Benchè il Primo Ministro georgiano Giorgi Kvirikashvili abbia smentito le affermazioni del Cremlino, ribadendo il pieno controllo sulla regione da parte del governo centrale di Tbilisi, la valle del Pankisi è tradizionalmente considerata un focolaio di instabilità, divenendo nei tempi recenti anche un centro di reclutamento per il sedicente Stato Islamico (…) SEGUE >>>
STATI UNITI, RUSSIA, ARABIA SAUDITA. IL RUOLO DELLE COALIZIONI MILITARI NEL “SIRAQ” LORENZO MARINONE ↴ La sessione di negoziati di Ginevra III, attualmente interrotta e rinviata a data da definirsi, sembra aver ottenuto risultati persino peggiori dei due tentativi precedenti. Non solo non si è arrivati ad alcun accordo per porre fine alle ostilità in Siria, ma la tensione tra gli Stati impegnati in diversa misura nel conflitto continua a salire. La presenza dello Stato Islamico (IS), che dall’area siro-irachena ha dimostrato di potersi irradiare in Medio Oriente e nel cuore dell’Europa per compiere sanguinosi attentati ed espandere il suo network transnazionale, non ha finora subìto alcun serio ridimensionamento strutturale, nonostante le perdite territoriali subite nell’ultimo anno. Non è però l’impegno militare ciò che manca per fronteggiare la minaccia terroristica. Al momento attuale, sono ben tre le coalizioni internazionali attive o potenzialmente attivabili nell’area: quella guidata dagli Stati Uniti, quella nata con l’intervento della Russia, quella annunciata dall’Arabia Saudita (…) SEGUE >>>
RIFORME, SICUREZZA, ENERGIA: LE NUOVE FRECCE ALL’ARCO DEL GOVERNO ABE PAOLO BALMAS ↴ Il prossimo luglio si affronteranno in Giappone le elezioni per rinnovare una parte dei membri della Camera alta della Dieta, il Parlamento nipponico. Su un totale di 242 senatori, se ne eleggeranno la precisa metà. Il mandato di questi scade il 25 luglio 2016 e, secondo la legislazione giapponese, le elezioni dovranno avvenire entro i trenta giorni che precedono la data. Per il Premier Shinzo Abe si tratta di una nuova sfida, visto che la politica del governo, nota con l’appellativo di “Abenomics”, non sta riscuotendo il successo che ci si aspettava a Tokyo. In particolare, i risultati delle 18
elezioni sveleranno il giudizio della popolazione giapponese nei confronti dell’operato di Abe, in particolare a partire dallo scorso settembre 2015. Allora, il Primo Ministro fu eletto per altri tre anni alla guida del proprio Partito Liberal Democratico (PLD). In quella occasione, inoltre, Abe lanciò una nuova visione della politica del proprio governo, che fu ribattezzata “Abenomics 2.0” (…) SEGUE >>>
LA DOTTRINA DI SICUREZZA NAZIONALE DELLA POLONIA: ANTICHE MINACCE E NUOVE SFIDE
SIMONE ZUCCARELLI ↴ Per comprendere appieno le scelte strategiche di uno Stato è fondamentale conoscere non soltanto la sua geografia, la sua struttura sociale ed economia e le sue capabilities ma anche lo psycho-milieu che, unito alle componenti “materiali”, porta l’establishment del Paese di riferimento a mantenere una determinata postura in politica estera. L’analisi della dottrina di sicurezza nazionale della Polonia non può prescindere da un simile approccio che definisce al tempo stesso, quindi, anche l’ultima National Security Strategy (NSS), approvata dal governo il 5 novembre 2014 in sostituzione della precedente del 2007. Al principio del documento, infatti, viene precisato che gli obiettivi strategici di Varsavia «result from historical experience, existing political and structural conditions, as well as the State’s capacities». È quantomeno interessante notare come l’esperienza storica sia posizionata, non a caso, al primo posto tra le determinanti fondamentali in grado di motivare le scelte polacche: è dalla storia degli ultimi secoli infatti, che provengono le principali indicazioni utili a comprendere le valutazioni di sicurezza qui esaminate (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 19