N°12, 17 APRILE – 7 MAGGIO 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 8 maggio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Matteo Anastasi Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Marta Cioci Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Fabio Rondini Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°12/2016 (17 aprile – 7 maggio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net
Photo Credits: The Guardian; Islamic State/The Long War Journal; AP; Reuters; Stephanie Lecocq/European Pressphoto Agency; Alfredas Pliadis/Zuma Press; AFP Photo.
FOCUS LIBIA ↴
Insediatosi a Tripoli da circa un mese, e dopo aver ottenuto l’appoggio di numerose municipalità, della National Oil Company (NOC) e della Banca centrale libica, il governo di transizione guidato da Fayez al-Serraj deve ora affrontare l’opposizione proveniente dal generale Khalifa Haftar e dalle milizie a lui fedeli. Queste ultime, appoggiate da Egitto, Arabia Saudita e tacitamente dalla Francia del Presidente François Hollande, controllano a macchia di leopardo buona parte dei territori orientali del Paese, costituendo uno dei freni principali all’avanzata dello Stato Islamico (IS) in territorio libico. Proprio le milizie di Haftar, rompendo ogni indugio, il 4 maggio hanno ufficialmente dato il via alla loro offensiva contro Sirte, roccaforte libica dell’IS, prendendo il controllo di Zillah, una cittadina a 400 chilometri da Sirte. È rimasta dunque inascoltata la richiesta del 28 aprile avanzata dal Consiglio presidenziale libico e indirizzata alle forze del generale Haftar di interrompere l’attacco fino a quando non si fosse nominato un comando congiunto per l’azione militare. La fazione guidata da Haftar, inoltre, esercita una forte influenza sul Parlamento di Tobruk, del quale si attende ancora il voto di fiducia al nuovo governo al-Serraj dopo che il 18 aprile non è stato raggiunto, per la sesta volta consecutiva, il quorum per la votazione. Il rischio principale contro la stabilizzazione e la sicurezza del Paese sembra dunque provenire dall’opposizione di Haftar e dal suo rifiuto di riconoscere de facto quanto previsto de jure dall’articolo 8 dell’Accordo di Tunisi firmato lo scorso dicembre e che ha portato alla formazione di un esecutivo di unità nazionale, secondo il quale tutti i poteri delle alte gerarchie militari sarebbero dovuti essere trasferiti alla Presidenza del Consiglio. 1
Lo scontro tra il governo di al-Serraj insediatosi a Tripoli e quello di Tobruk riguarda anche il controllo del greggio. La gestione della vendita del petrolio risulta fondamentale in una strategia effettivamente incisiva mirante alla stabilizzazione della Libia in quanto la ripresa della produzione energetica si lega indissolubilmente alla possibilità per il nuovo governo di accumulare risorse finanziarie e, tramite questa, al suo consolidamento e alla sua legittimazione. Tobruk ha iniziato a vendere greggio al di fuori dei canali autorizzati dalla NOC, sollevando la forte opposizione del governo di Tripoli. Il 23 aprile la prima petroliera, la Ditya Ameyna, battente bandiera indiana è partita dal porto di Hariga carica di circa 650.000 barili di petrolio. Pochi giorni dopo, il 26 aprile, la guardia costiera maltese, su richiesta delle autorità di Tripoli, hanno bloccato la nave prima che potesse entrare in porto. La petroliera è ripartita dopo circa 72 ore per attraccare presso il porto di Zawiya, ad ovest di Tripoli, e tornare sotto il controllo del governo Serraj. La restituzione del carico alle autorità legittime libiche ha sollevato le proteste del governo di Tobruk il quale ha ribadito, tramite diversi canali, il proprio diritto di finanziarsi con la vendita del petrolio all’estero. Esattamente come per il governo di Serraj, tale commercio è 2
fondamentale anche per Haftar, in quanto fonte di finanziamento per le milizie a lui fedeli. Finanziamento che il Generale riceve anche tramite ulteriori canali: il 23 aprile, 1.050 veicoli militari sono sbarcati nel porto di Tobruk, sembrerebbe inviati dalla coalizione pro-Haftar, in particolare da Egitto e Arabia Saudita, in violazione dell’embargo internazionale così come sancito nella Risoluzione 1970 del Consiglio di Sicurezza. Intanto, il dossier libico continua ad essere uno dei temi caldi nei vertici internazionali. Il 25 aprile i Capi di Stato e di Governo del G5 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia), riuniti ad Hannover per discutere di sicurezza e immigrazione, hanno dato la loro piena disponibilità a sostenere l’azione di stabilizzazione del governo al-Serraj, escludendo tuttavia, ancora una volta, qualsiasi azione militare in territorio libico in assenza di un’esplicita richiesta da parte del governo legittimo del Paese nordafricano. Le parti hanno infatti ribadito che soltanto in un contesto di legalità internazionale e con l’appoggio del governo libico sarà possibile parlare di una missione internazionale, smentendo prontamente la voce circolata subito dopo l’incontro di Hannover secondo la quale l’Italia avrebbe deciso di inviare 900 militari in Libia. Il 28 aprile rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito il pieno sostegno dell’Italia alla linea emersa durante il G5. L’unica richiesta per ora giunta dal governo al-Serraj in sede di Nazioni Unite riguarda la protezione dei pozzi e dei terminal petroliferi situati nel Golfo della Sirte tra Sidra e Marsa al-Barga, ai confini tra la Cirenaica e la Tripolitania. La richiesta, giunta dopo alcuni preoccupanti rapporti della NOC circa la possibilità di attacchi contro le installazioni petrolifere, non contiene alcun esplicito riferimento ad un intervento militare internazionale ma fa riferimento esclusivamente alla protezione dei siti petroliferi e alla forte correlazione esistente tra la gestione del petrolio e la fattibilità del progetto di riconciliazione nazionale. Una esplicita richiesta di intervento militare da parte di al-Serraj non sembra, del resto, neanche scontata dato che potrebbe ulteriormente indebolire il governo sottoponendolo alle accuse di asservimento all’occidente. Sembrerebbe intanto profilarsi, in ambito NATO, l’avvio entro qualche mese dei primi pattugliamenti marittimi al largo della Libia; il via libera all’azione dovrebbe arrivare già con il vertice NATO di Varsavia del 7 luglio. Infine, per quanto concerne la questione legata al problema dell’immigrazione si discute in ambito europeo della possibilità di negoziare con la Libia un accordo sui migranti simile a quello negoziato con la Turchia utilizzando la medesima strategia di gestione dei flussi migratori. L’Italia e la Germania sembrano appoggiare questa idea ma altri Paesi, quali ad esempio l’Olanda, hanno sollevato notevoli dubbi sulla fattibilità di un simile progetto sottolineando le notevoli differenze esistenti tra la situazione statuale turca e quella libica: un simile accordo per poter concretamente funzionare richiede infatti l’esistenza di un governo stabile, effettivo e pienamente legittimato. La delicata situazione libica, dunque, non consentirebbe al momento di muoversi in tal senso.
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SIRIA-IRAQ ↴
Il bombardamento sull’ospedale pediatrico al-Quds (28 aprile) testimonia lo sfaldamento della tregua su cui si reggono i colloqui intra-siriani per il superamento della guerra civile. L’aviazione governativa ha raso al suolo la struttura ospedaliera nell’area orientale di Aleppo lasciando sotto le macerie almeno cinquantacinque persone, tra cui molti bambini in cura presso la clinica gestita da Medici senza Frontiere. La rappresaglia delle forze ribelli nei quartieri centrali e occidentali della città ha ulteriormente aggravato il bilancio delle vittime. L’attacco rappresenta l’apice eclatante della recente accelerazione dei combattimenti. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani tra il 22 e il 28 aprile oltre duecento civili sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti aerei del regime e i colpi di artiglieria degli antagonisti. Malgrado le smentite ufficiali di Damasco, a 24 ore dall’attacco sull’ospedale al-Quds i caccia siriani hanno bersagliato una seconda clinica nel quartiere di Bustan al-Qasr. L’agenzia governativa Sana ha riportato che nella stessa giornata (un venerdì di preghiera) le brigate ribelli hanno esploso colpi di mortaio contro una moschea nell’area di Bab al-Faraj, presidiata dalle forze lealiste, provocando la morte di almeno quindici persone. Il 3 maggio anche l’ospedale di al-Dabit nel quartiere di Muhafaza è stato raggiunto dai razzi lanciati da alcune formazioni islamiste. Il Segretario Generale ONU, Ban Ki-moon, ha duramente ricordato che gli attacchi intenzionali contro strutture ospedaliere costituiscono crimini di guerra e ha annotato che dall’inizio del conflitto in Siria sono morti 730 medici. Mentre è riportato lo schieramento dell’artiglieria pesante russa alla periferia di Aleppo per accompagnare l’offensiva dell’esercito di Damasco, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha denunciato il tracollo umanitario in cui è sprofondata la città contesa. L’organizzazione ha inoltre comunicato di aver allestito un convoglio umanitario di sessantacinque camion verso al-Rastan, nel governatorato di Homs. Il 4
21 aprile la Mezzaluna Rossa Siriana in collaborazione con le agenzie ONU già aveva evacuato cinquecento persone dalle aree assediate e ancora largamente interdette al transito dei soccorsi: 250 civili hanno così lasciato le cittadine di Madaya e Zabadani, accerchiate dalle truppe governative, in cambio dell’evacuazione di altrettanti civili dai centri di Fuaa e Kefraya, sotto scacco dei gruppi armati di opposizione. L’intensificarsi della battaglia su Aleppo sconfessa il processo negoziale di Ginevra e l’intesa sulla cessazione delle ostilità. L’inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha ammesso che la tregua è “appesa a un filo” e ha richiesto l’intervento di Stati Uniti e Russia per rivitalizzare i colloqui di pace. Tuttavia, già il 18 aprile l’Alto Comitato per i negoziati, ossia la principale delegazione delle opposizioni convocate a Ginevra, aveva abbandonato il tavolo delle trattative a fronte dei perduranti e indiscriminati bombardamenti governativi, come anche del mantenimento degli assedi. Il 29 aprile l’esercito regolare siriano ha annunciato una tregua provvisoria (“un regime del silenzio”) a Damasco, nel Ghouta orientale e nel nord del governatorato di Latakia – dove le fazioni islamiste e moderate della ribellione il 18 aprile erano passate al contrattacco minacciando gli avamposti del regime sulle montagne del Jabal al-Akrad. Significativamente, Aleppo è stata esclusa dalla disposizione, mentre l’aviazione siriana ha ripreso a rastrellare le periferie della capitale una volta scaduto il breve cessate il fuoco.
LA BATTAGLIA DI ALEPPO (UPDATE AL 28.04.2016) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
I dirigenti delle opposizioni accusano il diretto coinvolgimento russo nei bombardamenti “criminali” su Idlib, Aleppo e le campagne di Hama. La posizione del Cremlino palesa evidenti ambiguità: propiziatore e garante della tregua raggiunta lo scorso 27 febbraio, il governo russo tuttavia sostiene militarmente la stretta dell’alleato siriano sui baluardi ribelli. Seppur disposta a cooperare con gli Stati Uniti per il
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recupero del processo di transizione, Mosca ha dichiarato “illegale” l’espansione della presenza americana nel teatro bellico. L’amministrazione Obama ha infatti deciso di portare a trecento unità (dalle cinquanta iniziali) il contingente dei reparti speciali operativo nel nord della Siria per assistere le milizie arabo-curde contro lo Stato Islamico (IS). I portavoce del Presidente Bashar al-Assad hanno biasimato la mossa statunitense quale un atto di aggressione contro la sovranità di Damasco. Tuttavia, sia fonti russe che americane hanno diffuso il 4 maggio la notizia del raggiungimento di un accordo tra Russia e Stati Uniti per la cessazione dei combattimenti ad Aleppo. Da Ginevra il Segretario di Stato americano John Kerry ha confermato l’iniziativa, aggiungendo che la guerra civile è tuttavia “fuori controllo”. L’invito alla ripresa delle trattative sotto egida ONU per il prossimo 10 maggio dunque non regge la realtà dei fatti, tanto da indurre Regno Unito e Francia a chiedere la convocazione di una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. Se nei giorni precedenti la comunità internazionale aveva richiamato tutte le parti in conflitto a recedere dagli scontri, la diplomazia francese ha nettamente addossato al regime alawita “l’intera responsabilità” del fallimento della tregua. Intanto si continua a combattere a Homs, mentre nel nord-est le milizie curde dell’YPG hanno ingaggiato dal 20 aprile violenti scontri con le forze governative a Qamishli e Hasakah. L’IS ha invece tratto vantaggio dall’inasprimento dei combattimenti per scagliare un deciso assalto contro la cittadina di Mare’a, come pure interdire le linee di rifornimento governative a sud di Aleppo e rilanciare l’incursione nel campo profughi di Yarmouk a spese di Jabhat al-Nusra. Nello stesso fronte ribelle le rivalità nel Ghouta orientale sono conflagrate in aperte ostilità, laddove i miliziani dei gruppi salafiti Jabhat al-Nusra, Ahrar a-Sham e Fajr al-Ummah raccolti sotto l’ombrello del Failaq a-Rahman hanno attaccato i quartier generali del gruppo Jaish alIslam, aprendo un duello per la preminenza nella regione. In sinergia al dispiegamento di unità addizionali e artiglieria a media gittata nel nord della Siria, l’amministrazione Obama ha deliberato lo schieramento di personale militare (217 uomini), di elicotteri Apache e di lanciarazzi multipli HIMARS in Iraq al fine di incoraggiare la risalita delle forze di sicurezza irachene e dei Peshmerga curdi su Mosul. L’autorizzazione (a lungo procrastinata) di Baghdad all’impiego degli elicotteri Apache in operazioni di combattimento porta i soldati americani, ufficialmente impegnati in una missione di assistenza all’esercito iracheno, sulla linea del fronte. Il 3 maggio un Navy Seal è caduto sotto il fuoco jihadista a Tel Skuf, a nord di Mosul, dove i reparti speciali statunitensi sono impegnati al fianco dei Peshmerga curdi. Washington ha promesso alle autorità regionali curde un rinnovato sforzo finanziario per sostenere la campagna militare. La decisione giunge a seguito dell’incontro del Presidente Obama con i leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo (20 aprile) ed è stata sottoscritta dalla visita a sorpresa del vice Presidente Joe Biden a Baghdad.
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Stante la paralisi istituzionale innescata dal contestato rimpasto di governo e la spaccatura in seno al Parlamento, la diplomazia statunitense ha prestato i propri uffici per saldare l’incerta leadership del Primo Ministro Haider al-Abadi. Nonostante l’approvazione il 27 aprile di sei nomine tecniche per la ricomposizione del Consiglio dei Ministri, la tensione resta altissima. Il 26 aprile mentre l’imam sciita Moqtada al-Sadr richiamava nuovamente migliaia di persone a manifestare contro l’esecutivo, costringendo le forze di sicurezza a presidiare le sedi istituzionali, disordini all’interno dell’Assemblea Nazionale impedivano ad al-Abadi di prendere parola durante la sessione parlamentare. Sul Premier pende l’ultimatum di alSadr per completare l’attribuzione dei restanti incarichi ministeriali e disporre misure contro la corruzione. Il 30 aprile centinaia di sostenitori sadristi sono entrati nella Green Zone e forzato l’aula parlamentare. L’atto di forza dei manifestanti non ha avuto echi violenti ma l’arrivo di unità militari dalle provincie meridionali per trincerare il complesso istituzionale rende tangibile la gravità della disputa. Le schermaglie a Tuz Khurmatu tra le milizie sciite e i Peshmerga curdi contribuiscono ad alzare il tono delle contrapposizioni settarie ed evocare lo spettro della guerra civile. Sullo sfondo, continua a infuriare il confronto bellico con il Califfato. L’esercito iracheno ha riconquistato il distretto di Hit, ma i guerriglieri jihadisti hanno replicato con una serie di attentati dinamitardi a Baghdad nel quartiere nord-occidentale di Kadhimiyah, luogo di pellegrinaggio sciita. La deflagrazione di due autobombe nella città meridionale di Samawa il 2 maggio ha ucciso trentadue persone e sollecitato il rientro della protesta sadrista nel cuore istituzionale della capitale. Intanto, alcune milizie sunnite hanno strappato all’IS il 18 aprile i villaggi di Barima e al-Nawaran a nord di Mosul, ricevendo il sostegno dei Peshmerga curdi e anche quello delle forze turche operative nell’area.
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STATI UNITI-GOLFO ↴
Lo scorso 20 aprile il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si è recato in visita a Riyadh in Arabia Saudita per partecipare al summit USA-Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). L’incontro era focalizzato su tre punti: i conflitti regionali di Yemen, Siria e Iraq, la lotta al terrorismo e il rapporto con l’Iran che si colloca tra le questioni prioritarie per il Re saudita. Dopo un’accoglienza piuttosto tiepida riservata ad Obama al suo arrivo – ad aspettare i coniugi americani non vi era il sovrano Salman, bensì il governatore di Riyadh, Faisal al-Saud – e l’imbarazzo protocollare dovuto alla scelta della First Lady di non indossare il velo, la missione del Presidente si è incanalata subito sul tentativo di ripristinare il rapporto di alleanza settantennale tra i due Paesi, un tempo pilastro della politica statunitense in Medio Oriente e che oggi attraversa un momento particolarmente teso e difficile a causa dei sempre più preoccupanti contenziosi sorti tra i due Paesi. Il primo dei motivi di attrito è la diversa visione dell’Iran tra Obama e Salman. Mentre per gli Stati Uniti Riyadh dovrebbe imparare a condividere il «Medio Oriente con i rivali persiani» – dichiarazione rilasciata nell’intervista concessa dal Presidente al giornalista Jeffrey Goldberg e pubblicata lo scorso marzo su The Atlantic –, l’Arabia Saudita, a causa di una rivalità religiosa (sunniti vs sciiti), economica (concorrenti produttori di petrolio) e geopolitica, ritiene l’Iran il principale responsabile dell’instabilità nell’area del Golfo. Inoltre, l’abolizione parziale delle sanzioni economiche che gravavano sull’Iran, in grado di ridurne considerevolmente l’ultra-decennale isolamento internazionale a seguito dell’accordo sul programma nucleare fortemente voluto da Obama, e le dichiarazioni sopra riportate, sono state giudicate dagli al-Saud un tradimento, che ha portato ad incrinare ulteriormente i rapporti tra i due Stati. È possibile che l’Iran, a seguito della rimozione delle sanzioni, aumenti il suo raggio di
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influenza sui Paesi del Golfo, prospettiva questa che preoccupa seriamente la monarchia saudita, che nell’ultimo periodo ha dovuto affrontare anche un “fenomeno” nuovo ossia l’incertezza economica dettata dal calo di prezzo del greggio. Altro punto di disaccordo tra Washington e Riyadh riguarda la lotta allo Stato Islamico (IS), che nell’ottica del secondo, oltre a non essere la principale priorità, è ritenuto uno strumento per contenere l’influenza sciita e filo-iraniana nella regione. Per Obama, accompagnato nella visita anche dal Capo del Pentagono Ashton Carter e dal Direttore della CIA John Brennan, i Paesi sunniti dell’area del Golfo dovrebbero «fare di più, anche politicamente, per contenere la minaccia del califfato». Nell’ottica statunitense, infatti, il contributo dell’Arabia Saudita è fondamentale per tenere unito l’asse sunnita contro il movimento di al-Baghdadi e secondo Washington, che ha bisogno dell’alleato saudita per la guerra sul terreno all’IS, i governi arabi dovrebbero partecipare al fianco degli USA nel rilancio dell’offensiva contro i jihadisti e non agire in ordine sparso o con azioni più o meno unificate ma mancanti di un obiettivo strategico comune. Altro nodo scottante sull’agenda di Obama è la questione degli attacchi dell’11 settembre 2001. Il Congresso sta proponendo un progetto di legge che, qualora passasse, sarebbe in grado di rendere il governo di Riyadh responsabile degli attacchi terroristici alle Twin Towers, in quanto la maggior parte degli attentatori erano di nazionalità saudita e avevano ricevuto in maniera più o meno diretta un sostegno economico da conti finanziari riconducibili a Riyadh. Una misura, questa, che permetterebbe a qualsiasi Corte di Giustizia americana di risarcire le vittime degli attentati di New York. Tralasciando la necessaria conformità di tale richiesta alle norme di diritto internazionale relativo alla responsabilità di uno Stato per atti compiuti da privati (occorrerebbe, infatti, dimostrare che l’Arabia Saudita abbia esercitato un controllo effettivo e sostanziale sui terroristi per essere ritenuta responsabile dei fatti di New York), questo creerebbe un illustre precedente estremamente scomodo per molti Paesi. La Casa Bianca si sta opponendo fermamente alla questione, ma all’interno del Congresso i pareri favorevoli aumentano. La questione ancor più preoccupante che accentua l’allarme dei sauditi è rappresentata dalle recenti dichiarazioni di Obama sulla possibilità di pubblicare un dossier d’inchiesta di 28 pagine “top secret” relativo agli attacchi. Questo potrebbe finalmente rivelare il ruolo effettivo dei sauditi negli attentati; sauditi che hanno subito minacciato, qualora la legge dovesse essere approvata, di far mancare 700 miliardi d’investimenti all’economia americana. In realtà, come afferma Binyamin Appelbaum, giornalista dell’International New York Times, la vendita degli assets negli Stati Uniti sarebbe economicamente molto più dannosa per Riyadh che per Washington. In ogni caso, quest’ennesimo attrito tra i due governi denota una crescente incomprensione nelle relazioni bilaterali che ormai dura da diversi anni: dalla critica verso l’approccio troppo morbido della presidenza Obama verso il regime di Assad, contro il quale i regimi sunniti avrebbero spinto verso un’azione più ferma, al disappunto verso la fretta con la quale Washington ha
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spinto per rovesciare alcuni regimi del Medio Oriente durante le Primavere Arabe, fino, appunto, all’accordo sul nucleare iraniano raggiunto l’anno scorso. Alla fine degli incontri Obama ha confermato che i membri del GCC sono e resteranno alleati degli Stati Uniti, mentre gli al-Saud sembrano voler aspettare l’arrivo del nuovo inquilino della Casa Bianca per ridiscutere completamente le condizioni e la strategia nell’intera regione del Golfo.
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BREVI ARABIA SAUDITA, 25 APRILE ↴ Nella settimana in cui a Riyadh si teneva lo US-GCC summit, Mohammed bin Salman, Ministro della Difesa e secondo in linea di successione alla corona, ha annunciato la nuova strategia complessiva del Regno, nota come Vision 2030 (leggi lo statement ufficiale). Il
piano
dovrebbe
favorire
una
rivisitazione
complessiva della struttura economica e delle finanze statali, ancora troppo dipendenti dagli introiti derivanti dall’export di idrocarburi. Si tratta di un progetto di ampio respiro – che tocca anche altri piani di azione come le questioni sociali, la religione e la difesa e la sicurezza del Regno – impostato sullo sviluppo, o meglio sulla ridefizione, del Fondo pubblico per gli investimenti che si evolverà da fondo per lo sviluppo nazionale a fondo sovrano incaricato di gestire i principali asset dell’economia saudita, compresa la cassaforte di Stato, la Saudi Aramco, prossima alla quotazione del 5-10% delle proprie azioni in borsa. Parallelamente alla riqualificazione finanziaria, il piano di azione saudita dovrebbe favorire l’espansione di altre branche dell’industria nazionale, come il settore estrattivo dei minerali. Questo nuovo fondo dovrebbe garantire una disponibilità finanziaria pari a 2.000 miliardi di dollari, divenendo il grande portfolio di uno Stato-nazione al mondo, superiore anche al fondo sovrano della Norvegia (pari a 1.700 miliardi di dollari di budget).
SAUDI ARABIA ECONOMIC PLAN “VISION 2030” – FONTE: GEOPOLITICAL ATLAS
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Per sovvenzionare Vision 2030 saranno approntati sia una generale riduzione delle spese militari (il quarto bilancio più ampio al mondo dopo quello di USA, Cina e Russia secondo il Military Balance dell’IISS) sia profondi tagli sul sistema assistenziale e dei sussidi, utile inoltre a ribassare il deficit di bilancio pari a circa 87 miliardi di dollari entro la fine del 2016 dopo l’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale sul rischio di riduzione della liquidità finanziaria entro il prossimo quinquennio. Infine, il piano saudita prevederà un aumento delle tasse sul valore aggiunto e sui beni di lusso e un incremento delle tariffe sui pedaggi stradali e la benzina. Secondo le intenzioni di Mohammed bin Salman – attuale kingmaker della politica interna ed estera saudita, nonché capo del Consiglio per lo sviluppo economico nazionale –, Riyadh entro il 2030 potrebbe giungere a «costruire uno Stato senza la dipendenza del petrolio». Qualora fosse raggiunto tale obiettivo, si tratterebbe di un cambio di paradigma e di una rivoluzione totale per un Paese con le seconde riserve petrolifere più ampie al mondo (267 miliardi di barili) e che dipenden per quasi il 90% dagli introiti dell’oro nero. Nel frattempo, anche se non direttamente collegato con il progetto Vision 2030, un ampio rimpasto di governo ha visto la sostituzione dello storico Ministro dell’Energia saudita, Alì al-Naimi, con l’ex Ministro della Salute, Khaled al-Faleh. Al-Naimi, in carica per oltre un ventennio, tanto da risultare una delle figure chiave della politica energetica nazionale e internazionale attraverso il foro dell’OPEC, ha pagato da un lato la grave crisi economica che ha colpito il Paese alla luce del perdurante basso prezzo del petrolio a livello globale, dall’altro l’accresciuto potere e accentramento di deleghe e funzioni all’interno dell’esecutivo del principe Mohammed bin Salman.
SERBIA, 24 APRILE – 4 MAGGIO ↴ La ripetizione delle operazioni di voto in 15 seggi (a Belgrado, Niš, Vranje e Jagodina, Bačka Topola Sremski Karlovci, Užice e Kladovo) all’indomani del voto anticipato dello scorso 24 aprile a seguito delle presunte irregolarità, ha restituito la fotografia non solo del prossimo Parlamento serbo ma anche del futuro scenario governativo del Paese. Secondo quanto riportato dalla Commissione elettorale, il Partito Progressista Serbo (SNC) del Primo Ministro Aleksandar Vučić ha ottenuto il 48,25% dei consensi e 131 seggi, 27 in meno rispetto alle consultazioni del 2014. Il Partito Socialista Serbo (SPS) guidato dal Ministro degli Esteri ed ex Premier Ivica Dačić ha raggiunto il 10,9% dei voti, confermandosi la seconda forza sebbene in flessione rispetto alle elezioni del 2014 prima e del 2012 poi. A fronte del rientro in Parlamento dei radicali (SRS – 8,11%), che hanno evidentemente beneficiato
della
recente
sentenza
di
assoluzione
da
parte
del
Tribunale
Internazionale dell’Aja nei confronti del suo leader, Vojislav Šešelj, la vera sorpresa è rappresentata dall’ingresso per la prima volta nell’Assemblea nazionale del partito 12
Dosta je bilo – Restart (DJB - 6,02%) raccolto intorno all’ex Ministro dell’Economia Saša Radulović e in forte contrasto al SNC. Superano infine la soglia di sbarramento il Partito Democratico (DS) di Bojan Pajtić (6,02%), il Partito Democratico di Serbia (Dveri-DSS) di Sanda Rašković Ivić (5,03%) e la coalizione formata dal Partito Socialdemocratcio (SDS), il Partito Liberaldemocratico (LDP) e la Lega dei Socialisti Democratici della Vojvodina (LSV) guidata dall’ex Presidente serbo Boris Tadić. La presenza di tali formazioni non solo rende pertanto lo spettro parlamentare più variegato rispetto all’esito scaturito dal voto del 2014, ma pone anche una serie di sfide per l’esecutivo di Vučić. Nonostante la netta affermazione, la mancanza di una maggioranza assoluta costringerà innanzitutto il Premier conservatore, che aveva indetto tali consultazioni (di fianco alle già programmate elezioni amministrative) per rafforzare il proprio mandato e per consolidare il proprio programma sostanzialmente – ma non completamente – filo-europeista, a cercare un’alleanza di governo. Con ogni probabilità il partner sarà nuovamente il SPS. Resta tuttavia vero che la stessa frammentazione del Parlamento e le diversità tra i partiti di opposizione (eccezion fatta per l’alleanza annunciata tra Dveri-DSS e DJB) potrebbero alimentare lo scontro politico tra questi stessi e agevolare implicitamente l’azione dell’esecutivo.
SOMALIA, 25 APRILE ↴ In un comunicato diffuso su Twitter e Telegram, il sedicente Stato Islamico ha affermato che i suoi miliziani hanno fatto esplodere un’autobomba contro i militari Africana
della
missione
(AMISOM)
Mogadiscio,
internazionale
nella
rivendicando
periferia così
il
dell’Unione
della
capitale
primo
attacco
terroristico in Somalia da parte del gruppo jihadista. Secondo il bilancio ufficiale, 5 soldati sono morti e altri 12 sono rimasti feriti. A due giorni dall’attentato, è stato pubblicato sui social media un video in cui viene mostrato il “Commander Sheikh Abu Numan training camp”, presumibilmente sito nel Puntland, a nord ovest della Paese. Nel video si vede una dozzina di reclute addestrarsi e ribadire la loro fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, sedicente Califfo dell’autoproclamato Stato Islamico, insieme al loro presunto leader, Abdikadir Mumin, il quale afferma l’intenzione di voler realizzare l’agenda del Califfato in Somalia. Mumin è un ex comandante di al-Shabaab che ha abbandonato il gruppo somalo alla fine dello scorso anno. Da tempo l’IS cerca un’alleanza con l’organizzazione terroristica affiliata ad al-Qaeda, la quale si è sempre mostrata refrattaria a subire ingerenze esterne, non volendo perdere il proprio peso “politico” all’interno del Paese. Tuttavia, nei mesi scorsi i jihadisti del gruppo somalo hanno iniziato a dividersi tra quanti vorrebbero adottare l’agenda globale del Califfato e quanti vogliono invece limitare la propria azione alla regione. Tra i primi c’è Jahba East Africa, un gruppo jihadista nato poche settimane fa da una costola dello stesso al-Shabaab e che ha giurato fedeltà all’IS riconoscendo Abu Bakr al-Baghdadi come 13
il leader legittimo di tutti i musulmani. Secondo gli esperti, la formazione di questo nuovo gruppo è indice di quanto l’IS stia espandendo la propria area di influenza anche in Africa e di come stiano anche aumentando le probabilità di scontri tra fazioni estremiste rivali. Infatti, come controffensiva, al-Shabaab ha incrementato le operazioni militari in loco, assaltando e riconquistando Runirgood, cittadina nella regione del Medio Scebeli situata a 180 km a nord est dalla capitale. Nell’attacco sono morti 22 soldati somali. In questi stessi giorni, un raid delle forze governative nell’area di Janale, nella regione del Basso Scebeli a sud di Mogadisco, ha colpito un campo di addestramento dell’IS uccidendo una dozzina di jihadisti.
STATI UNITI, 26 APRILE – 3 MAGGIO ↴ I risultati delle elezioni primarie nello Stato dell’Indiana hanno fornito due verdetti importanti nella corsa alla nomination
presidenziale,
soprattutto
nel
fronte
repubblicano, dove si è assistito all’ennesima netta vittoria di Donald Trump con oltre il 53% dei consensi, mentre i suoi sfidanti Ted Cruz e John Kasich hanno raccolto,
rispettivamente,
il
37%
e
l’8%
delle
preferenze. La netta affermazione in Indiana si aggiunge al filotto di vittorie che il tycoon newyorkese aveva ottenuto il 26 aprile negli Stati del cosiddetto “Northeastern Super Tuesday”, ovvero Pennsylvania, Maryland, Connecticut, Delaware e Rhode Island. Si trattava di Stati della zona orientale degli Stati Uniti, con caratteristiche demografiche ed economiche diverse, dove The Donald ha ottenuto percentuali di voto attorno al 60%. L’alleanza siglata solo poche settimane prima dagli altri due candidati repubblicani Ted Cruz e John Kasich, che consisteva in una dichiarazione di non belligeranza in alcuni Stati per cercare di convogliare i voti su un unico candidato, sembra aver avuto l’effetto contrario e rafforzato il consenso della base nei confronti di Trump. Subito dopo i risultati imprevisti dell’Indiana, Ted Cruz e John Kasich hanno annunciato il loro ritiro dalla candidatura alla presidenza: Trump, ormai unico candidato rimasto, nonostante i numerosi commenti feroci all’indirizzo dei due sfidanti, ha concesso l’onore delle armi ad entrambi, facendo balenare la possibilità di nominare il Senatore dell’Ohio, Kasich, quale running mate nella sfida presidenziale. Nei prossimi appuntamenti elettorali Trump, che secondo i calcoli della CNN possiede 1.053 delegati, dovrà cercare di raggiungere il Magic Number, ossia la soglia limite di 1.237 delegati che gli consentirebbe la nomina automatica a candidato del Partito Repubblicano. In realtà, il miliardario newyorkese si sentiva il candidato designato del partito già dopo l’en plein del 26 aprile, quando dal Mayflower Hotel di Washington ha tenuto un discorso nel quale, dopo aver criticato l’operato dei suoi predecessori, Barack Obama e George W. Bush, poi ha esposto i principi della sua dottrina: riaffermare la presenza americana in Medio Oriente, permettendo quindi un certo ritorno alla stabilità dell’area, allentare le tensioni con Russia e Cina e, infine, 14
obbligare i Paesi alleati della NATO ad un maggior impegno economico-militare. In sostanza Trump ritiene necessario una ridefinizione primaria dell’interesse nazionale americano nel contesto globale. Nel frattempo, nel campo democratico Bernie Sanders ha vinto a sorpresa le primarie dell’Indiana, Stato nel quale almeno secondo i sondaggi Hillary Clinton era in vantaggio di almeno 7 punti percentuali sul Senatore del Vermont. La vittoria di Sanders è stata abbastanza risicata (il 52% dei voti contro il 47% dell’ex Segretario di stato) e i due candidati si sono divisi in parti quasi uguali gli 83 delegati disponibili. Nel Northeastern Super Tuesday del 26 aprile Hillary Clinton aveva ottenuto quattro vittorie su cinque, lasciando a Sanders soltanto il Rhode Island. Nonostante la recente vittoria in Indiana, Sanders resta molto indietro nel conteggio dei delegati rispetto a Clinton, dato che l’ex Segretario di Stato può contare su un totale di 2.223 delegati (mancano quindi 160 delegati per ottenere la nomina diretta quale candidata democratica alla presidenza). Nei suoi discorsi postrisultati, la Clinton ha assorbito tutti i temi dell’unico sfidante rimastogli, dimostrando la volontà di unificare il partito per affrontare l’importante sfida presidenziale di novembre. Le prossime primarie si svolgeranno in Stati di media importanza, che assegneranno un numero di delegati contenuto: tutto fa pensare che saranno le votazioni del 7 giugno in California, con centinaia di delegati in ballo, a consacrare i due candidati alla carica di Presidente degli Stati Uniti.
CORSA PER LA NOMINATION PRESIDENZIALE – FONTE: AFP-REAL CLEAR POLITICS
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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 19 APRILE ↴ Un attacco coordinato contro alcuni edifici dell’intelligence afghana, situati nei pressi del Ministero della Difesa e dell’Ambasciata USA, è avvenuto nella capitale Kabul. L’attacco, rivendicato dai talebani, ha causato la morte di almeno 30 persone ed il ferimento di oltre 300 civili, di cui molti in gravi condizioni. Secondo alcuni testimoni c’è stata prima una forte esplosione, provocata da un attentatore suicida a bordo di un’auto, a cui ha fatto seguito il tentativo dei talebani di forzare l’ingresso negli edifici delle forze di sicurezza afghane. Questo attacco si inscrive nella strategia del terrore del gruppo islamista che nei giorni scorsi avevano annunciato l’inizio della consueta offensiva di primavera.
ALGERIA-RUSSIA, 27 APRILE ↴ Il Primo Ministro algerino, Abdelmalek Sellal, si è recato in missione ufficiale a Mosca dove ha incontrato tutte le più alte cariche della Federazione Russa. La visita è stata l’occasione per firmare una serie di accordi bilaterali, ma anche per approfondire i futuri campi di indagine di cooperazione strategica. Mosca e Algeri si sono accordati, ad esempio, per estendere la loro cooperazione nei settori dei mass media e della comunicazione, dell’energia e dell’high-tech. Si è discusso anche di importanti iniziative in ambito culturale, ma a suscitare maggiore interesse è stata la firma del memorandum d’intesa tra la statale Rosatom, il gigante russo incentrato sulla produzione dell’energia nucleare, e il Commissariato per l’energia atomica algerino. Quest’intesa rappresenta, infatti, un importante passo avanti nella cooperazione in ambito nucleare, iniziata già nel 2014 con la firma del “Trattato di cooperazione sull’uso del nucleare per scopi pacifici”.
AUSTRIA, 24 APRILE ↴ Il primo turno delle elezioni presidenziali austriache ha visto l’affermazione del candidato del partito di estrema destra Partito per le Libertà dell’Austria (FPÖ) guidato da Norbert Hofer, che ha ottenuto il 36,4% dei voti espressi. Hofer dovrà affrontare al ballottaggio del 22 maggio il candidato arrivato secondo, ovvero Alexander Van der Bellen, del Partito dei Verdi, che ha ottenuto il 20,4% dei consensi. In elezioni caratterizzate da un’alta affluenza, circa il 70% degli aventi diritto, e inevitabilmente condizionate dal tema dell’immigrazione, i due partiti attualmente al governo, il socialdemocratico SPO ed il conservatore OVP, non sono riusciti a portare un loro candidato al ballottaggio, ottenendo percentuali di voto molto basse. L’eventuale vittoria di Hofer al ballottaggio potrebbe portare ad un anticipo delle elezioni parlamentari, che dovrebbero tenersi nel 2018.
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CINA, 25 APRILE ↴ La Cina ha annunciato la costruzione di un avamposto militare nelle isole Scarborough Shoal, situate nel Mar Cinese Meridionale a 230 chilometri dalle coste filippine. Il governo di Manila, che rivendica la sovranità sulle isole in quanto poste all’interno della propria Zona Economica Esclusiva, sostiene che la Cina ne abbia acquisito il controllo effettivo nel 2012 in maniera illegittima. L’azione di Pechino si inserisce nel piano di proiezione strategica cinese nell’intera area del Mar Cinese Meridionale, nella quale si concentrano rivendicazioni territoriali di Filippine, Vietnam, Malaysia, Brunei e Taiwan. Il Segretario alla Difesa statunitense Ashton Carter ha affermato che una simile escalation delle tensioni potrebbe condurre ad un conflitto regionale e ha dichiarato che la presenza militare cinese nelle Scarborough Shoal «è particolarmente preoccupante per noi, data la prossimità alle Filippine», dal momento che la distanza da Subic Bay, dove saranno schierate navi da guerra USA, è di sole 120 miglia.
COLOMBIA, 26 APRILE ↴ Il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha annunciato un ampio rimpasto di governo affinché tutte le forze politiche nazionali possano entrare a far parte del cosiddetto “gabinetto della pace”, un governo di unità nazionale da fondare in occasione della prossima firma degli accordi di pace con le FARC. La notizia dovrebbe rappresentare un passo importante per la stabilizzazione del Paese, dilaniato per anni dal conflitto interno tra il governo e le FARC. Infatti, il punto cardine del progetto politico di Santos è la pacificazione del Paese e la sua decisione è stata preceduta da un accordo di pace, ancora non ufficialmente firmato dalle parti, ma che sembra aver spianato il terreno per una soluzione politica del conflitto. Anche i membri dell’opposizione si sono dimostrati fiduciosi. Alvaro Uribe, ex Presidente della Colombia e oppositore di Santos, ha annunciato, infatti, che il nuovo governo sarà quello del postconflitto, formato da personalità capaci di rappresentare le diverse regioni del Paese e le sue varie tendenze politiche.
COREA DEL NORD, 6 MAGGIO ↴ Pyongyang ha dato avvio al summit politico più importante degli ultimi trent’anni, in cui il leader supremo riaffermerà le ambizioni nucleari del Paese: secondo alcune indiscrezioni sarebbe pronto a lanciare il quinto test nucleare. Si tratta del 7° Congresso del Partito dei Lavoratori, il primo dopo il 1980, il quale tuttavia si svolgerà in gran segreto. Nonostante i molti giornalisti stranieri invitati a partecipare all’evento (più di un centinaio), questi non avranno accesso alla sala del congresso, pertanto sia la durata che l’ordine del giorno dell’evento rimangono per ora sconosciuti. Con l’incontro verrà eletto un nuovo comitato centrale che nomina un Politburo, organo decisionale più importante del Partito Comunista. L’argomento principale riguarderà la politica “byongjin”, che implica la strategia dello sviluppo economico e del rafforzamento militare. Secondo gli osservatori stranieri si starebbe assistendo ad un “mini-boom” dell’economia, che ha visto l’apertura di mercati e piccoli negozi ad ogni 17
angolo della città. Infine, il congresso rafforzerà ulteriormente la figura e il potere del giovane Kim Jong-un così come fu determinante quello del 1980 per la definitiva ascesa al potere del padre, Kim Jong-il.
EGITTO, 25 APRILE ↴ Nel giorno della cosiddetta “liberazione del Sinai”, ossia quando l’Egitto per effetto del Trattato di Camp David del 1978-1979 riuscì a riprendere il controllo della Penisola persa in favore di Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in tutto il Paese si sono registrate importanti manifestazioni anti-governative organizzate da studenti, gente comune e rappresentanti delle opposizioni laiche. Oggetto della protesta è stato in particolare il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, duramente attaccato per la cessione della sovranità nazionale delle isole Sanafir e Tiran nel Mar Rosso in favore dell’Arabia Saudita. Un atto, questo, percepito come una sorta di compensazione territoriale per gli oltre 20 miliardi di dollari in aiuti economici e progetti infrastrutturali promessi da Riyadh al Cairo, ma giudicati dalla popolazione come “un’umiliazione per la dignità egiziana”. Le manifestazioni, segnate già nei giorni precedenti da una sequela impressionante di arresti, sono state anche l’occasione per fare pressioni sull’esecutivo in merito al caso Regeni, sempre al centro del dibattito bilaterale con l’Italia. Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha nuovamente attaccato le autorità del Cairo pretendendo maggiore collaborazione nelle indagini per far luce su un caso di omicidio ancora insoluto e del quale ad oggi sono sconosciute le motivazioni.
FRANCIA-AUSTRALIA, 22 MARZO ↴ Il Primo Ministro australiano Malcolm Turnbull ha ufficialmente annunciato la conclusione del più grande contratto mai sottoscritto dal proprio governo nel settore della Difesa. Nonostante le proposte presentate dal Giappone e dalla Germania, è stato il gruppo industriale francese DCNS ad acquisire la commessa, pari a 50 miliardi di dollari australiani (pari a 32,3 miliardi di euro), per la fornitura di 12 sottomarini oceanici modello Shortfin Barracuda alla Marina Militare, la cui consegna è prevista a partire dal 2027, in sostituzione degli attuali 6 sommergibili Collins. Sebbene alcuni dettagli tecnici siano ancora riservati, sembra certo che i sottomarini, del peso di circa 4.500 tonnellate, avranno una lunghezza di oltre 90 metri e saranno dotati di un sistema avanzato di propulsione pump-jet. Secondo le dichiarazioni rilasciate dal Premier Turnbull, la costruzione dei sommergibili avrà luogo nella città di Adelaide con l’impiego di acciaio australiano e comporterà la creazione di circa 2.800 posti di lavoro. Come spiegano fonti dell’Eliseo, l’intesa rappresenta il massimo risultato dell’export bellico francese e si inserisce nel quadro di un partenariato strategico di lungo periodo tra Francia e Australia, della durata prevista di 50 anni. Il potenziamento della forza sottomarina è un aspetto essenziale per lo sviluppo della difesa di uno Stato insulare quale l’Australia, sia per condurre operazioni di sorveglianza dei propri mari sia per rispondere all’espansione militare di altri Paesi, tra cui la Cina.
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IRAN, 29 APRILE ↴ Il Paese è tornato alle urne per i ballottaggi dei seggi ancora in bilico dopo le elezioni parlamentari di febbraio. Secondo i dati ufficiali, hanno prevalso i gruppi moderati e riformisti vicini al Presidente Hassan Rouhani, che hanno ottenuto il 42% dei 68 posti in gioco, divenendo il polo più numeroso del nuovo Majles, con 121 deputati. I conservatori hanno ottenuto, invece, solo un terzo dei seggi in palio. Simili risultati aprono la strada al programma di riforme economiche annunciato da Rouhani al momento della sua elezione, nell’agosto del 2013. Era dal 2005 che a Teheran non si componeva un Parlamento a maggioranza non conservatrice.
ISRAELE-GAZA, 5 MAGGIO ↴ L’aviazione israeliana ha bombardato obiettivi di Hamas nel nord della Striscia di Gaza come ritorsione per gli attacchi con razzi e colpi di mortaio condotti dall’organizzazione palestinese contro le forze israeliane che stazionano al confine settentrionale con Gaza. Il portavoce militare israeliano, Peter Lerner, ha affermato che dal 3 maggio «Hamas ha ripetutamente sparato e lanciato colpi di mortaio e razzi contro i soldati israeliani impegnati in attività operative di difesa nell'adiacenza della barriera di sicurezza con la Striscia», mentre il portavoce di Hamas, Abou Marzouk, ha ricordato che quanto accaduto ai confini settentrionali di Gaza «è un tentativo di Israele di mettere in atto fatti compiuti sul terreno per 150 metri oltre la barriera di confine. Questo è ciò che ha spinto i nostri uomini a ingaggiare questo scontro. Per impedire ai loro bulldozer di continuare nel loro operato».
ITALIA-INDIA, 3 MAGGIO ↴ Il Tribunale arbitrale dell’Aja incaricato di dirimere l’annosa questione relativa al foro competente nel caso dell’incidente dell’Enrica Lexie ha decretato, con ordinanza del 29 aprile resa pubblica il 3 maggio, il rientro e la permanenza in Italia del Sergente Salvatore Girone durante tutto il periodo dell’arbitrato. Il Tribunale ha precisato che il fuciliere resterà sotto la tutela della Corte Suprema indiana, benché innegabili questioni di umanità ne impongano il rimpatrio dopo quattro anni di lontananza dall’Italia e nella prospettiva di un arbitrato che non si concluderà prima di 2/3 anni. L’India ha tre mesi di tempo per coordinarsi con l’Italia e rendere effettiva tale decisione. Dal canto suo l’Italia ha l’obbligo di garantire che il fuciliere della Marina si presenti ad un’autorità su territorio italiano designata dalla Corte Suprema indiana a intervalli temporali stabiliti dalla stessa Corte Suprema e di informare le autorità indiane ogni tre mesi circa la situazione legata al Sergente. Quest’ultimo dovrà inoltre consegnare il passaporto alle autorità italiane e non potrà uscire dall’Italia salvo previa autorizzazione della Corte Suprema indiana.
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ITALIA-TERRORISMO, 28 APRILE ↴ Un’operazione anti-terrorismo condotta congiuntamente dai reparti di DIGOS e ROS, con il supporto dei servizi di sicurezza nazionali, ha portato all’arresto di sei persone con l’accusa di incitamento al terrorismo internazionale e pianificazione di attentati contro obiettivi sensibili in Italia. Il blitz, avvenuto a Bulciago, in provincia di Lecco, ha rivelato l’esistenza di un’organizzazione attiva tra Italia e Siria – anche se non sono ancora chiare fattivamente le dimensioni e le tipologie di connessioni esistenti –, che mirava non tanto al reclutamento di personale da portare a combattere nelle terre dello Stato Islamico, quanto ad individuare soggetti disponibili ad attentati terroristici in Italia, provocando un salto di qualità e paradigma nella strategia stessa dell’IS nel Paese ma anche nel Continente. Obiettivi dei presunti terroristi erano il Vaticano e l’Ambasciata di Israele a Roma.
MALI, 22 APRILE ↴ Le autorità maliane hanno arrestato a Bamako il mauritano Fawaz uld Ahmed, soprannominato dalle stesse “Ibrahim 10”, ritenuto l’autore di attacchi jihadisti contro obiettivi occidentali nella capitale Bamako. Secondo le forze di sicurezza locali, l’uomo si stava preparando a un nuovo attacco. Ahmed è considerato tra i più stretti collaboratori di Mokhtar Belmokhtar, il capo del gruppo jihadista al-Mourabitoun, ed è sospettato di essere la mente degli attacchi a Bamako al Caffè La Terrasse (marzo 2015), al Byblos Hotel (agosto 2015) e all’Hotel Radisson Blu (20 novembre 2015). L’uomo sarebbe inoltre coinvolto nell’attentato contro la Missione militare dell’Unione Europea in Mali nell’Azalai Nord-Sud Hotel avvenuto lo scorso 21 marzo. Tutti i suddetti attacchi sono stati rivendicati proprio dal gruppo terroristico al-Mourabitoun, affiliato ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).
MAROCCO, 20 APRILE ↴ Re Mohammed VI ha rappresentato il proprio Paese al summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), nella prima partecipazione ufficiale della monarchia nordafricana dopo l’avvio delle trattative per l’estensione della membership al GCC ai Regni di Marocco e Giordania nel 2011. In un quadro di rafforzamento dei rapporti economici e strategici con i Paesi del Golfo, Mohammed VI ha garantito l’appoggio militare alla coalizione a guida saudita operativa in Yemen dal 2015 e ha ribadito l’impegno del Paese contro il terrorismo dello Stato Islamico (IS). Al termine del summit le monarchie del GCC hanno riaffermato la sovranità territoriale del Marocco sul Sahara Occidentale, dando un importante segnale su una delicata questione geopolitica per il governo di Rabat.
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MOLDAVIA, 4 MAGGIO ↴ Dureranno fino al 20 maggio le esercitazioni militari “Dragon Pioneer 2016” che vedono coinvolti 198 militari statunitensi al fianco di 165 unità del contingente moldavo Genio, 3 brigate di fanteria, e un battaglione di peacekeeping. Le manovre, che si svolgono presso il quartier generale del battaglione Genio e il centro della brigata di fanteria Moldova nella città di Negrești, prevedono operazioni congiunte di soccorso medico, di addestramento base e attività di collaborazione con la NATO, e coinvolgeranno 58 mezzi blindati statunitensi e 40 veicoli da combattimento moldavi. Sebbene la Costituzione riconosca lo status di Paese neutrale, la Moldavia mette a disposizione delle operazioni NATO designate unità e basi di addestramento in linea con il Partenariato per la Pace al quale aderisce fin dal 1994. Ufficialmente con lo scopo di migliorare la cooperazione tra le forze armate statunitensi e moldave, le esercitazioni Dragon Pioneer si pongono in continuità con le operazioni “Joint Effort 2015” e rientrano nella più ampia strategia dell’Alleanza Atlantica volta a rafforzare la propria capacità militare nell’Est Europa. Tali esercitazioni si inscrivono peraltro nel contesto di tensioni circa il conflitto congelato in Transnistria: mentre l’opposizione socialista e filo-russa ha denunciato Dragon Pioneer come un tentativo di occupazione militare, il Ministro della Difesa Anatol Șalaru ha infatti ricordato la presenza dal 1992 della 14esima Armata russa all’interno del territorio separatista.
NATO, 3-4 MAGGIO ↴ Curtis Michael Scapparotti, Generale dell’esercito americano, è il nuovo Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa (SACEUR). È il 18° statunitense a ricoprire questa carica, sostituendo il suo connazionale Philip Breedlove. In passato Scapparotti ha guidato il comando congiunto delle Nazioni Unite e americano in Corea e ha preso parte a numerose missioni internazionali (Enduring Freedom in Afghanistan a Iraqi Freedom in Iraq, Support Hope in Congo e Rwanda e molte altre). Il 3 maggio, inoltre, Israele ha accettato l’invito dell’Alleanza ad aprire un proprio ufficio permanente a Bruxelles. Scongiurata l’ipotesi di un veto turco alla concessione di una delegazione israeliana in Belgio, questo annuncio ha segnato sia una distensione nei rapporti tra Ankara e Tel Aviv, dopo l’incidente della Mavi Marmara del 2010, sia un rafforzamento del legame tra Israele e i 28 membri della NATO. Soddisfatto il Premier israeliano Benjamin Netanyahu: «È un obiettivo per il quale lavoriamo da anni». A Bruxelles sono stati ammessi anche i rappresentanti di Bahrain, Qatar, Oman e Giordania.
NIGERIA-FRANCIA, 29 APRILE ↴ Durante la visita in Nigeria, il Ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, ha affermato che la Francia aiuterà il Paese africano nelle attività di contrasto al gruppo jihadista Boko Haram. Gli accordi di cooperazione militare riguardano in particolare l’invio di armi ed equipaggiamento a favore delle unità d’élite dell’esercito e della marina nigeriana e l’avvio di corsi di formazione per i militari di Abuja. In aggiunta, 21
Parigi fornirà assistenza alla Nigeria nell’analisi dei beni recuperati a Boko Haram nel corso dell’offensiva lanciata la scorsa estate. La collaborazione franco-nigeriana nella lotta al terrorismo dura ormai dal 2014. Parigi fornisce ad Abuja immagini satellitari del Lago Ciad sui movimenti degli jihadisti, ottenute grazie ai jet Rafale che sorvolano quotidianamente la regione. Pertanto, il ruolo dell’Eliseo è quanto mai prezioso anche da un punto di vista geopolitico, in quanto si pone come alternativa strategica alle operazioni di counter-terrorism guidate da AFRICOM nella regione.
QATAR-TURCHIA, 28-29 APRILE ↴ In occasione della visita ufficiale del dimissionario Premier turco Ahmet Davutoğlu in Qatar, è stato concluso un accordo di cooperazione militare fra Ankara e Doha. In virtù di tale intesa, la Turchia ha installato una nuova base militare sul territorio qatarina e vi dispiegherà dai 3.000 ai 5.000 uomini – tra cui forze di terra, aeree e navali –, fornirà addestramento militare all’esercito locale e predisporrà strutture di condivisione delle proprie informazioni d’intelligence riguardanti gli obiettivi comuni ai due Paesi. Davutoğlu ha dichiarato che si tratta di una scelta funzionale alla politica estera turca, mirata al mantenimento della stabilità in Medio Oriente. L’accordo rafforza le relazioni fra i due Paesi, già molto cordiali e convergenti sul piano locale in una posizione anti-Assad in Siria.
RUSSIA, 3 MAGGIO ↴ Il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha annunciato che entro la fine dell’anno la Russia istituirà tre nuove divisioni militari sul suo fianco occidentale, a Rostov sul Don e nelle regioni di Smolensk e Voronezh. Stando a quanto dichiarato dal Cremlino, la misura, che dovrebbe prevedere il dispiegamento di 10.000 soldati russi, sarebbe stata adottata allo scopo di dissuadere l’Alleanza Atlantica dal rafforzare la propria presenza militare lungo i confini russi: il 29 aprile il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg aveva ipotizzato lo schieramento di 4 battaglioni nei Paesi baltici e in Polonia in ragione dell’approccio aggressivo russo manifestatosi nei recenti voli radenti di cacciabombardieri russi su navi statunitensi nel Mar Baltico. La possibilità di un tale potenziamento segue d’altra parte il recente programma di rafforzamento del fianco orientale della NATO, oltre che il piano del Pentagono di inviare una brigata corazzata di 4.200 uomini nell’Est Europa, il prossimo febbraio 2017. Le decisioni russe e statunitensi riflettono un clima di militarizzazione del fronte russo-europeo e di generale sfiducia, come già emerso dai profondi disaccordi del Consiglio NATORussia dello scorso 20 aprile.
RUSSIA-NATO, 19 APRILE ↴ L’incontro bilaterale tra i rappresentanti della Federazione Russa e i loro colleghi della NATO, tenutosi nel framework del Consiglio NATO-Russia, ha constatato l’esistenza di profonde divisioni nella visione reciproca delle due parti. Questo tipo di incontro è 22
stato tenuto per la prima volta dal 2014, quando l’alleanza ha deciso di sospendere la cooperazione con il suo grande vicino a causa della politica russa in Ucraina. Infatti, il conflitto nel Donbass e lo status territoriale della Penisola di Crimea sono stati i punti centrali della recente discussione, evidenziando la grande distanza in materia tra l’Alleanza Atlantica e il Cremlino. Durante la discussione durata più di un’ora, non è stato fatto nessun chiaro passo avanti nell’implementazione di un accordo volto a ridurre il rischio di frizioni militari tra le due parti. Rimangono distanti anche le posizioni sulla crisi ucraina, con Mosca che continua a sostenere ufficialmente la sua estraneità al conflitto. L’unico vero risultato del meeting è stato sottolineato da Jens Stoltenberg, Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, che ha espresso le speranze che questo tipo di incontri possa rappresentare l’apertura di uno spiraglio per il dialogo dopo due anni di crescente tensione.
RUSSIA-UZBEKISTAN, 25-26 APRILE ↴ Il Presidente dell’Uzbekistan Islom Karimov ha effettuato una visita ufficiale a Mosca, nel corso della quale ha discusso con l’omologo russo Vladimir Putin delle prospettive di sviluppo della cooperazione bilaterale, di questioni regionali e di argomenti di interesse globale. Come riporta il sito ufficiale del Cremlino, il bilaterale ha condotto anzitutto alla firma di un accordo di cooperazione tra Russia e Uzbekistan sulla fornitura di materiale bellico a Paesi terzi. Inoltre sono state concluse delle intese volte a promuovere la collaborazione inter-istituzionale tra i rispettivi Ministeri degli Esteri e tra i Ministeri dello Sport dei due Paesi. Ulteriori accordi riguardano programmi di cooperazione nel settore culturale e della ricerca accademica. Tra i temi affrontati, particolare rilievo hanno assunto l’aggravamento della situazione di sicurezza in Afghanistan ed il rischio di potenziali ripercussioni sulla stabilità dei Paesi limitrofi. Sul punto, il Presidente Putin ha proposto una strategia di intervento che assegni un ruolo di maggiore rilievo all’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO); al contrario, il Presidente Karimov si è mostrato a sfavore di un diretto coinvolgimento dell’organismo nello scenario politico e militare del Paese. Ciò non solo per evitare che la SCO possa essere ritenuta interamente responsabile della risoluzione della crisi afghana, ma anche perché l’interesse dell’Uzbekistan – che detiene la Presidenza di turno della SCO – sembra attualmente focalizzarsi sugli aspetti di natura economica, piuttosto che politica dell’organizzazione.
STATI UNITI-REGNO UNITO-GERMANIA, 22-24 APRILE ↴ Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha compiuto un importante viaggio in Europa tra il 22 e il 24 aprile. La prima tappa è stata Londra, dove, oltre a omaggiare la Regina Elisabetta II per il suo novantesimo compleanno, si è schierato pubblicamente al fianco del Primo Ministro, David Cameron, in favore della permanenza della Regno Unito all’interno dell’Unione Europa in vista del prossimo referendum del 23 giugno sul Brexit. «L’Unione europea non attenua l’influenza britannica, la amplifica. Un’Europa forte non è una minaccia alla leadership britannica globale; la potenzia».
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La tappa successiva è stata quella a Hannover, dove Obama ha incontrato il Cancelliere, Angela Merkel. Il Presidente ha ribadito la centralità del progetto della Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) per le relazioni tra Europa e Stati Uniti; un progetto ancora in corso di negoziato che, però, proprio in Germania sta incontrando le maggiori resistenze da parte dell’opinione pubblica attraversata trasversalmente da sentimenti anti-americani. L’auspicio è che si possa arrivare a un accordo entro la fine del 2016.
TURCHIA, 5 MAGGIO ↴ Il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha annunciato le proprie dimissioni dall’incarico a partire dal prossimo 22 maggio, quando si svolgerà un congresso nazionale straordinario del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP). La decisione è stata presa al termine di un Vertice dell’AKP, in cui si è manifestata l’impossibilità di restare in carica dopo l’ennesimo scontro col Presidente Recep Tayyip Erdoğan. La crisi di governo era scoppiata a seguito della decisione dell’AKP di togliere a Davutoğlu la possibilità di eleggere i leader provinciali del partito, conferendo tale facoltà a Erdoğan.
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ANALISI E COMMENTI BETWEEN TRUMP AND CLINTON: WHAT FUTURE FOR NATO? FABIO RONDINI ↴ The recent result of Wisconsin Primaries has marked a surprising victory of Ted Cruz for the Republicans and Bernie Sanders for the Democrats and this unexpected result has complicated the race to the White House both for Donald Trump and Hillary Clinton. Of course, the situation so created will not be definitive and, in any case, it will be difficult for Cruz and Sanders to replace the tycoon and the former First Lady, who still remain the two most likely candidates for the presidency at the moment. In fact, the trend expressed by Democratic and Republican Party Primaries of 1st March 2016 has substantially marked a contraposition between Trump, for the Grand Old Party (GOP), and Clinton for the Democrats. Even though foreign policy has hardly played a decisive role in American electoral campaigns, after having briefly studied the results of Barak Obama administration, it would be useful to draft some possible scenarios that may outcome from elections, which will take place in November, both for the foreign policy domain and for the US future role in the Atlantic Alliance. This article will analyze the foreign policy approach towards the NATO for the two most likely candidates for the White House (…) SEGUE >>>
LE PROSPETTIVE POLITICHE DEL NUOVO VECCHIO IRAN ALBERTO GASPARETTO ↴ Le recenti consultazioni elettorali valide sia per il rinnovo del Majles (Parlamento) iraniano sia per l’Assemblea degli Esperti hanno visto l’affermazione dei candidati facenti parte del blocco politico legato al Presidente Hassan Rouhani. Emblema della vittoria è stata la constituency della capitale Teheran in cui la fazione riformistamoderata ha conquistato tutti e 30 i seggi disponibili per il Parlamento (che elegge 290 rappresentanti su tutto il territorio nazionale) e ben 15 membri su 16 all’Assemblea degli Esperti, fra cui i primi due della lista riformista, l’ex Presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, uno dei principali businessmen del Paese, e il medesimo Rouhani. Le consultazioni sono ufficialmente le prime in seguito alla parziale rimozione del regime di sanzioni internazionali seguite allo storico accordo sulla questione nucleare raggiunto la scorsa estate. en’intesa fortemente voluta da Rouhani da tutto il Paese, stremato da anni di chiusura e gravato da una crescita inesistente a fronte delle enormi potenzialità offerte dalla giovane società iraniana (…) SEGUE >>>
IL FUTURO INCERTO DELLE ESPORTAZIONI DI ARMI RUSSE GEORGIY BOGDANOV ↴ Lo studio del commercio delle armi è un processo complesso dal momento che in esso i fattori tecnici, legati alle caratteristiche e alle prestazioni degli armamenti, spesso giocano un ruolo secondario, rispetto agli elementi geopolitici e strategici. Tale situazione deriva dal fatto che i costi di manutenzione, riparazione e costruzione 25
dell’infrastruttura per ospitare le nuove piattaforme creano un legame duraturo tra il fornitore e l’acquirente, siano questi armamenti leggeri o pesanti. Nel caso specifico della Federazione Russa la situazione è ancora più particolare, a causa della posizione speciale che essa occupa nello scacchiere internazionale. Lo studio condotto dal Public Sector Research Centre (PSRC) definisce la Russia come una delle due (insieme agli Stati Uniti) potenze globali, il che è determinato dalla capacità di dispiegare le forze armate su scala mondiale. L’affermazione del PSRC è basata sul paradigma del realismo politico nella sua accezione classica, la quale sostiene che è la disposizione dei mezzi materiali, come forze armate e potere economico, a determinare lo status di uno stato nell’arena internazionale. Per questo motivo, Mosca deve prestare costantemente massima attenzione all’immagine che essa trasmette a potenziali acquirenti per evitare che si rivolgano altrove (…) SEGUE >>>
CONFLITTI IBRIDI E ZONE GRIGIE: IL DIBATTITO SULLE FORME DELLA GUERRA NELLA COMPETIZIONE TRA USA, RUSSIA E CINA ALESSANDRO PANDOLFI ↴ Tra i temi rilevanti in ambito politologico figura sicuramente il cambiamento delle forme della guerra. Tempi e contenuti di questo filone sono spesso definiti dalla riflessione statunitense, a causa del ruolo di Washington nella struttura politica internazionale, della sua preminenza militare e della vasta comunità di ricerca (pubblica e privata). Dopo i recenti “cicli” riguardanti la Revolution in Military Affairs (RMA) e i conflitti irregolari o asimmetrici (guerriglia, insorgenza, ecc), si è manifestata negli ultimi anni una forte riemersione dell’argomento tra gli analisti. Uno sviluppo legato ai cambiamenti nei vari fattori rilevanti (tecnologia in primis) ma anche alla crescente competizione politica e militare tra le principali potenze. Accanto al tema permanente della competizione tecnologica e negli armamenti convenzionali, un’attenzione non indifferente è stata recentemente posta sulla concreta conduzione delle ostilità da parte di alcuni Stati e sull’elaborazione di approcci irregolari e asimmetrici, spesso indicati come “ibridi” (…) SEGUE >>>
MULTIPARTITISMO E INGOVERNABILITÀ: LO SCENARIO INEDITO SPAGNOLO DAVIDE VITTORI ↴ A distanza di quattro mesi dalle elezioni legislative del 20 dicembre, in cui il Partido Popular (PP) di Mariano Rajoy aveva ottenuto la maggioranza relativa (123 seggi e il 28,72% dei voti) avviando così le prime trattative per la formazione di un governo di coalizione con i socialisti del PSOE (che avevano raggiunto 90 seggi e il 22,1%), i partiti politici spagnoli non sono riusciti a raggiungere un compromesso per la formazione di una maggioranza parlamentare (fissata a 176 deputati). I veti trasversali, la bocciatura anche nei confronti del leader socialista Pedro Sánchez e il raggiungimento del limite di due mesi dal primo voto di fiducia, hanno pertanto indotto il Re Felipe VI ad annunciare nuove elezioni per il prossimo 26 giugno. Un fallimento annunciato, questo, per due ragioni. La prima, e la più scontata, è che il PSOE, dopo un’aspra campagna contro le politiche del governo uscente di Rajoy, difficilmente avrebbe potuto far digerire al proprio elettorato un compromesso con la controparte popolare. 26
Un governo di grande coalizione sarebbe stato un unicum nella breve storia della democrazia spagnola, abituata a governi monocolore o con coalizioni totalmente sbilanciate a favore dei due partiti principali. Inoltre, tali elezioni hanno portato ad un Parliamento colgado tale da non consentire ad un partito di avvicinarsi perlomeno alla maggioranza relativa (…) SEGUE >>>
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LA DIPLOMAZIA OCCIDENTALE TRA RUSSIA E CINA: (POSSIBILI) ALTERAZIONI DELL’EQUILIBRIO STRATEGICO GLOBALE MIRENO BERRETTINI ↴
Il linguaggio odierno dei commentatori politici è indubbiamente caratterizzato da un alto tasso di innovazione; sono infatti numerosi i vocaboli mutuati da altri settori o altre discipline, come molti sono i neologismi. Non tutti hanno avuto fortuna, ma certamente alcuni sono diventati chiavi interpretative o veri e propri strumenti analitici. Molti di questi nuovi lemmi implicitamente riguardano una trasformazione dei rapporti tra sovranità e spazio, così come tra dimensione politica e dimensione economica. Il linguaggio attuale in poche parole è il prodotto di trasformazioni che sfuggono alle tassonomie nominali del vocabolario tradizionale, almeno nella stessa misura in cui le produce: e allora abbiamo imparato a conoscere “Chindia”, per descrivere l’unione geo-economica tra Cina e India che sta ridefinendo i rapporti nel sistema della divisione internazionale del lavoro, “Chiwan” che invece ‘salda’ Cina e Taiwan tanto dal punto di vista economico-finanziario tanto da quello culturale; infine “Chimerica”, il rapporto ‘simbiotico’ che lega reciprocamente Cina e Stati Uniti. Il mio elenco potrebbe allungarsi, mi limito invece a menzionare “Chussia”, un costrutto analogo ai precedenti, che va a delineare il ‘vincolo’ creatosi tra Repubblica Popolare Cinese (RPC) e Federazione Russa (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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