OPI Weekly Report N°17/2016

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N°17, 26 GIUGNO-2 LUGLIO 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 3 luglio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Matteo Anastasi Eleonora Bacchi Davide Borsani Marta Cioci Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Fabio Rondini Maria Serra

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°17/2016 (26 giugno-2 luglio 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net

Photo Credits: Maya Alleruzzo/AP; AP; Reuters/Osman Orsal; Agoramagazine.it; Getty Images.


FOCUS REGNO UNITO-UNIONE EUROPEA ↴

Mentre i mercati internazionali sembrano aver almeno momentaneamente assorbito i primi contraccolpi della Brexit, grazie anche alle rassicurazioni della Bank of England circa il varo di nuove misure a sostegno dell’economia nazionale e della sterlina (in particolare una prossima modifica dei tassi di interesse e l’immissione di nuova liquidità), il risultato del referendum britannico del 23 giugno ha innescato le prime significative conseguenze sia sul piano interno al Regno Unito sia su quello europeo. Dal primo punto di vista, il voto referendario ha innanzitutto prodotto un terremoto all’interno del fronte laburista: pur sfiduciato dalla maggioranza dei deputati laburisti (172 voti contro 40) con l’accusa di non aver adeguatamente sostenuto la campagna a favore del Remain, e nonostante le dimissioni in massa dei Ministri del cosiddetto “governo ombra”, Jeremy Corbyn ha dichiarato di non volersi dimettere finché avrà il consenso della base laburista. La sfida alla leadership Labour sembra poter essere ora lanciata da Anna Eagle, ex Ministro ombra per le attività produttive, o da Tom Watson, vice dello stesso Corbyn. Dal lato conservatore le dimissioni di David Cameron hanno scavato un solco profondo all’interno del partito: con il rifiuto dell’ex sindaco di Londra Boris Jonhson, che ha condotto una forte campagna a favore del Leave, di assumere la guida del partito e, dunque, di Primo Ministro per condurre le trattative con l’Unione Europea, la corsa per la leadership dei Tories si restringe al Ministro della Giustizia Michael Gove, alleato dello stesso Johnson durante la campagna elettorale, e al Ministro dell’Interno 1


Theresa May, sostenitrice del Remain. Non sembra infatti possibile che gli altri candidati – il Ministro del Lavoro Stephen Crabb, l’ex Ministro della Difesa Liam Fox, il Ministro dell’Energia Andrea Leadsom – possano avere il peso e il consenso necessario da parte degli iscritti al partito in questione che entro il 9 settembre saranno chiamati a scegliere il loro leader sulla base della lista di nominativi che i deputati dovranno stilare nei prossimi giorni. Le posizioni di Gove e May, che ambiscono a trarre vantaggio in primo luogo dall’esperienza e dal proprio background politico in termini di impegno sui temi europei, sembrano attualmente convergenti sia su ciò che riguarda l’attivazione delle procedure di recesso dall’UE (non prima del 2017 e non prima che siano state condotte adeguate negoziazioni) sia su ciò che attiene alla stabilità interna britannica (entrambi puntano – evidentemente per arginare una possibile perdita di voti dei Tories – a non ricorrere ad elezioni anticipate prima del 2020) sia, infine, sul tema dell’immigrazione – che dal punto di vista di entrambi dovrà essere sottoposta ad un maggior controllo. Non sembra ancora ad ogni modo esclusa la candidatura del Ministro dell’Economia, George Osborne, impegnato attualmente a rassicurare i mercati e proteso a dilatare i tempi di attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona relativo al recesso. Su questo punto le Istituzioni comunitarie – Commissione europea e Consiglio – hanno richiesto che il Regno Unito proceda il più velocemente possibile e hanno escluso qualsiasi tipo di negoziazione informale prima della trasmissione ufficiale della richiesta di fuoriuscita dall’Unione Europea. Dello stesso avviso anche il Parlamento, che in una Risoluzione votata a larga maggioranza (395 si, 200 no e 71 astenuti) ha chiesto un’implementazione rapida e coerente della procedura di revoca della membership. Nonostante la coesione in merito, il Consiglio europeo del 2829 giugno ha comunque evidenziato alcuni aspetti: innanzitutto nessuna Istituzione ha definito i tempi certi di tale processo, né in termini di richiesta di applicazione dell’articolo 50 né di durata dell’iter di recesso; secondariamente non è chiaro chi condurrà le trattative con il Regno Unito, ossia se tale compito sarà affidato alla Commissione o al Consiglio; in terzo luogo quest’ultimo, essendo un organo di Stati, sembra maggiormente propenso a garantire una maggior flessibilità ai britannici al contrario della Commissione, rigidamente posizionata su un recesso il più rapido possibile. Una sottile diversità di attitudine riscontrata nella diversa posizione assunta sulla visita a Bruxelles del Primo Ministro scozzese, Nicola Sturgeon – intenzionata a procedere verso uno sganciamento da Londra a favore della permanenza nell’UE –, che il Presidente del Consiglio Donald Tusk non ha inteso incontrare, ufficialmente per non interferire in questioni riguardanti la politica interna britannica. In attesa che quindi si meglio definisca il quadro politico britannico, il prossimo appuntamento europeo, sebbene informale, per discutere della Brexit è stato fissato dallo stesso Tusk per il 16 settembre a Bratislava, che dal 1° luglio detiene per la prima volta dal suo ingresso nell’UE (2004) il semestre di presidenza.

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BREVI BANGLADESH, 1-2 LUGLIO ↴

Un commando di uomini armati ha assaltato l’Holey Artisan

Bakery,

diplomatico

della

un

bar-ristorante

capitale

Dacca,

nel

quartiere

uccidendo

20

persone (9 italiani, 7 giapponesi, un americano e tre bengalesi). I terroristi sono entrati nella struttura aprendo il

fuoco sulla folla e, secondo quanto

dichiarato dai sopravvissuti, selezionando le vittime sulla base del credo religioso. I sette assalitori, tutti di nazionalità bengalese e appartenenti a ceti medio-alti della società nazionale, sono rimasti uccisi nel blitz delle forze locali di polizia che ha portato comunque alla liberazione di 13 ostaggi (di cui 4 stranieri). Come dichiarato nella nota stampa emessa dalla propria agenza online, Amaq, lo Stato Islamico (IS) si è attribuito la paternità dell’attentato, localmente condotto da un gruppo non organizzato dell’IS nel Paese asiatico. Come nel caso di precedenti attentati (Parigi, Bruxelles, Istanbul e, se venisse in qualche modo confermato, anche Orlando), la cellula in questione ha colpito un posto affollato e dall’alto valore simbolico, confermando così lo shift ideologico e metodologico da parte dello Stato Islamico, che sembra sempre più mirare a massimizzare nel più ampio modo possibile il numero delle vittime attraverso la distruzione di obiettivi internazionali. Essendo target vulnerabili e facili da colpire, in termini di accesso e di successo operativo, questi obiettivi hanno non di meno un valore mediatico molto rilevante, in quanto esempi concreti di quotidianità (luoghi di aggregazione e/o svago). Ciò che emerge con più rilevanza dall’attentato a Dacca è che in un certo senso l’IS e il suo network si stiano qaedizzando, ossia che stiano abbandonando o quantomeno mutando la dimensione proto-statuale che hanno perseguito in Siria e Iraq – anche in virtù delle perdite umane e territoriali gravose subite nell’arco dell’ultimo anno –, tornando invece a vestire i panni del movimento radicale ed emulando una strategia più internazionalista e affine ad al-Qaeda, basata cioè sull’attuazione di attacchi in tutto il mondo. È all’interno di tale nuova dimensione che può esser dunque letto l’attentato in Bangaldesh, Paese caratterizzato da profonde storture socio-economiche e perciò terreno fertile per il radicamento dell’estremismo islamista. Da oltre un decennio, infatti, la svolta più o meno annunciata in termini di laicità da parte del governo ha favorito l’attecchimento – tollerato anche per evitare l’acuirsi di nuove tensioni sociali – di gruppi di preghiera, di scuole coraniche, di madrase e di centri di cultura stranieri (per lo più del Golfo) che hanno indirettamente favorito un radicamento di una visione wahhabita e salafita dell’Islam. Un potenziale focolaio che si è confermato fecondo negli ultimi due anni, ossia dall’ascesa di IS, facendo dello stesso Bangladesh uno dei terreni di scontro principali anche della lotta intra-jiahdista tra al-Qaeda e il Califfato.

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ITALIA, 28 GIUGNO ↴ Con 179 voti l’Italia è stata eletta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza per il 2017. I 10 seggi spettanti ai membri non permanenti sono ripartiti su base geografica e per i due posti spettanti all’Europa occidentale erano in lizza tre Paesi: Italia, Olanda e Svezia – quest’ultima eletta al primo turno. Come concordato con l’Aja al termine di una lunga trattativa infine approvata dall’Assemblea e scaturita dall’impossibilità di raggiungere dopo 5 round di votazione i 128 voti necessari all’elezione, Roma condividerà il proprio mandato con l’Olanda. L’intesa prevede che l’Italia presiderà il seggio nel 2017, mentre l’Olanda nell’anno successivo. Il Ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni e il suo omologo olandese Bert Koeders hanno espresso soddisfazione per il risultato raggiunto, dichiarando che l’accordo rappresenta un segnale di unità in un momento difficile per l’Europa. Unità che non si registra, invece, nei rapporti tra Italia e Germania sui temi relativi al salvataggio delle banche. Le tensioni, emerse nel corso del Consiglio europeo, riguardano i tentativi dell’Italia di proteggere gli investitori privati da eventuali perdite dovute all’applicazione del piano di ricapitalizzazione degli istituti di credito. L’alternativa al “bail in”, il divieto di ricorrere a fondi pubblici in caso di dissesto da parte dell’istituto creditizio e alla distribuzione delle perdite bancarie sugli investitori, hanno scatenato il botta e risposta tra la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Premier Matteo Renzi. «Non possiamo cambiare le regole ogni due anni» il commento della Cancelliera al quale ha riposto il Presidente del Consiglio «Non vogliamo cambiarle (…) L’ultima che non ha rispettato le regole è stata la Germania nel 2003 e il governo di Berlusconi glielo consentì».

SIRIA-IRAQ, 30 GIUGNO – 2 LUGLIO ↴ Prosegue l’avanzata delle truppe governative e dei rispettivi alleati in Iraq e in Siria. Il 30 giugno un’azione congiunta

dell’aviazione

americana

e

dell’esercito

iracheno ha portato all’uccisione di 250 jihadisti che tentavano di

fuggire da Falluja riparando verso

l’entroterra dell’Anbar o verso il confine con la Siria. Le ultime sacche di resistenza dei miliziani dello Stato Islamico (IS) si concentrano nella zona a ovest del ponte di Tofaha. Non si arresta, dunque, l’avanzata lealista, con l’aiuto dei Pasdaran iraniani e di milizie sciite locali, nel nord dell’Iraq che ha come obiettivo finale la riconquista di Mosul. Una missione fino a pochi mesi fa ritenuta poco plausibile dalle stesse autorità locali e statunitensi, ma che dopo il continuo sgretolamento del fronte di resistenza degli insorti potrebbe 4


effettivamente avverarsi entro la fine dell’anno, così come promesso dallo stesso Premier Haider al-Abadi. In Siria, intanto, si continua a combattere nella provincia di Aleppo e nei territori nei dintorni di Damasco. L’ultimo imponente raid dell’esercito di Bashar al-Assad si è verificato il 2 luglio presso la cittadina, in mano ai ribelli islamisti, di Jayrud, a sessanta chilometri dalla capitale. Il bombardamento, che ha provocato la morte di venti persone, ha costituito la risposta dell’esercito all’uccisione di un pilota catturato e ucciso a Jayrud, dopo essersi lanciato dal suo veicolo in fiamme. Sebbene diventi sempre più consistente l’arretramento di IS, costretto nell’ultimo anno ad abbandonare il 45% dei territori iracheni e il 20% di quelli siriani precedentemente controllati, il gruppo guidato dal sedicente califfo al-Baghdadi continua nella propria strategia del terrore, conducendo piccole azioni di guerriglia e/o attachi terroristici nel territorio siro-iracheno. Ne sono un esempio concreto gli attentati avvenuti a Baghdad il 3 luglio, in cui sono morte 131 persone, mentre 200 sarebbero i feriti. Luoghi degli attentati sono stati ancora una volta i luoghi affollati, nella fattispecie un centro commerciale a Karada, un quartiere sciita della capitale. Questo atto di terrorismo rappresenta il più grave attentato dell’IS nel 2016.

SPAGNA, 26 GIUGNO ↴ A sei mesi dalle ultime elezioni parlamentari che, non garantendo una maggioranza assoluta ad alcun partito – e nonostante i tentativi di mediazione da parte anche del Re Filippo VI – avevano decretato una situazione di sostanziale

ingovernabilità,

la

Spagna

è

tornata

nuovamente alle urne. Anche lo spoglio del 26 giugno ha consegnato la vittoria al Partido Popular (PP) del Premier uscente Mariano Rajoy, che ha ottenuto il 33% dei voti (137 seggi), mentre al secondo posto si è posizionato il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) guidato da Pedro Sanchez con il 22,7% dei voti (85 seggi). Malgrado i sondaggi iniziali la dessero come seconda forza parlamentare, è andata poco oltre il 21% dei voti (72 seggi, solo 2 in più rispetto al voto del 20 dicembre) la lista Unidos-Podemos, la coalizione nata dall’unione del movimento politico creato da Pablo Iglesias con Izquierda Unita. Non ha ottenuto il successo sperato neanche l’altro movimento politico, il centrista Ciudadanos guidato da Albert Rivera, che si è fermato a quota 13% (32 seggi). I partiti nazionalisti e regionalisti baschi e catalani hanno avuto una leggera flessione con Esquerra Republica da Catalunya (ERC) che ha mantenuto i 9 seggi, mentre gli indipendentisti di Convergencia Democratica de Catalunya, il Partido Nacionalista Vasco e gli indipendentisti baschi di EH Bildu hanno tutti diminuito i loro consensi ottenendo, rispettivamente, 8, 5 e 2 seggi. Il risultato delle elezioni sembra dunque prospettare una situazione di stallo del tutto analoga a quella creatasi all’indomani del voto del 20 dicembre. Nell’annunciare la vittoria, Mariano Rajoy ha rivendicato il diritto del suo partito a governare, richiamando gli altri leader a mostrare quel senso di 5


responsabilità necessario a non rendere vano, nuovamente, il voto. Gli scenari più probabili sono: 1. un governo di minoranza del PP grazie all’astensione dei socialisti; 2. una grande coalizione con popolari e socialisti al governo con l’appoggio di Ciudadanos. Più difficile sembra essere un’alleanza di sinistra a guida PSOE-Podemos, che dovrebbe allargarsi ai nazionalisti baschi e catalani per ottenere il superamento della soglia di 176 seggi necessari a governare.

RISULTATI ELETTORALI A CONFRONTO (DICEMBRE 2015 - GIUGNO 2016) – FONTE: EL PAIS

TURCHIA-TERRORISMO, 28 GIUGNO ↴ Un commando di 7 persone (6 uomini e una donna, di cui però solo tre gli operativi nello scalo) è entrato in azione tra l’area parcheggio, i varchi dell’area arrivi e il piano delle partenze dell’aeroporto internazionale Atatürk di Istanbul, aprendo il fuoco sulla folla e facendosi,

infine,

esplodere.

Secondo

il

bilancio

ufficiale che si aggiorna di ora in ora a causa dei numerosi feriti (239, di cui circa una sessantina in gravi condizioni), sono 43 le vittime accertate. Nonostante l’attentato non sia stato ancora rivendicato, le autorità turche ritengono che la matrice sia riconducibile allo Stato Islamico (IS), attivo in Turchia attraverso piccole cellule di soggetti radicalizzati turchi e stranieri, ma soprattutto di foreign fighters di ritorno dal teatro di crisi siriano. A conferma del sempre più probabile coinvolgimento dell’IS negli attacchi di Istanbul vi sarebbero il modus operandi (piccoli gruppi di 3-4 persone operative e suicide) – che ricorda molto da vicino la strategia attuata dagli assalitori all’eroporto di Bruxelles-Zaventeem – e il valore simbolico del target da colpire (un obiettivo internazionale e altamente affollato, benchè non fosse un orario di punta per le partenze o gli arrivi). Le indagini e i successivi arresti – circa una ventina – condotti dagli inquirenti turchi su tutto il territorio nazionale (le principali operazioni sono state condotte tra Istanbul, Bursa, Ankara e Smirne) hanno svelato l’esistenza di una cellula ben radicata e composta pressochè da musulmani russofoni 6


(daghestani, uzbeki e kirghizi), al comando di Akhmed Chatayev, un mujahideen ceceno reduce dalla seconda guerra cecena della fine degli anni Novanta. Sospettato di essere la mente degli attacchi in questione, Chatayaev – detto “il monco” a causa della sua menomazione (perse un braccio in guerra) – è un importante leader jihadista che fin dai primi anni Duemila aveva tenuto importanti contatti con i vertici qaedisti in Afghanistan e in Iraq (tra cui si vocifera lo stesso Abu Musab al-Zarqawi), tanto da fornire armi e guerriglieri alla loro causa jihadista nei teatri di crisi mediorientali.

Con

l’ascesa

dell’IS,

Chatayev

sarebbe

passato

anche

per

opportunismo dalla parte di al-Baghdadi, comandando un gruppo di poco meno di duecento affiliati attivi nella gola di Pankisi, valle orientale della Georgia al confine con la Russia, già zona di radicalizzazione e sempre più importante snodo della lotta radicale islamista nel Caucaso. L’attacco di Istanbul rappresenta l’ultimo di una sequela di attentati che dalla seconda metà del 2015 hanno colpito con una certa frequenza e incidenza la Turchia (provocando oltre 250 vittime), oggetto anche del terrorismo di matrice curda.

PRINCIPALI ATTACCHI IN TURCHIA DAL GIUGNO 2015 - FONTE: AFP

TURCHIA-ISRAELE-RUSSIA, 27 GIUGNO ↴ Nel quadro di progressiva normalizzazione dei rapporti promossa negli ultimi anni dagli Stati Uniti, nonché di recente dalla Russia, lo scorso 27 giugno Turchia e Israele hanno firmato un accordo di riconciliazione, in base al quale Tel Aviv si impegna a fornire 20 milioni di dollari come compensazione per l’incidente della Mavi

Marmara-Freedom

Flotilla

(maggio

2010),

mentre Ankara a promuovere una legge che impedirà le rivendicazioni legali per le vittime dell’incidente navale in questione. Sebbene le due parti mantengano posizioni divergenti per quanto riguarda il blocco di Gaza e il ruolo di Hamas nella leadership 7


politica dell’area, Tel Aviv si è dichiarata favorevole a non ostacolare gli aiuti turchi diretti ai gazawi attraverso il porto di Ashdod, mentre Ankara a limitare l’appoggio politico all’organizzazione islamista nella Striscia. In un contesto di ricomposizione del sistema di alleanze regionali, la normalizzazione delle relazioni turco-israeliane è favorita anche dall’opportunità di approfondire relazioni economico-energetiche – Israele si prospetta infatti come un fornitore alternativo alla Russia – nonché dalla volontà della Turchia di ricucire gli strappi con il vicinato mediorientale e di riacquisire un ruolo centrale all’interno delle mutevoli dinamiche regionali. È anche in quest’ottica che può essere letto il riavvicinamento con la Russia all’indomani dell’invio di una lettera di scuse ufficiali da parte del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan all’omologo Vladimir Putin per l’abbattimento del velivolo da combattimento SU-24 avvenuto nel novembre 2015. In seguito alla concessione di permessi di lavoro ai dipendenti di imprese turche che operano in Russia e alla rimozione dell’obbligo di visti per i turisti russi in Turchia, Mosca potrebbe inoltre considerare di rimuovere le sanzioni imposte ad Ankara e di ripristinare il progetto del “Turkish Stream”. Nella prospettiva turca, il processo di distensione con il Cremlino trova oltretutto fondamento nella volontà di impedire una convergenza della posizione russa con le istanze curde, anche in sede di Nazioni Unite. Tutto ciò dovrebbe preludere ad un probabile incontro tra Erdoğan e Putin in vista del Vertice del G20 ad Hangzhou in Cina il prossimo settembre. Se il riavvicinamento con Israele e Russia non sembra poter essere collegato all’attentato all’aeroporto Atatürk di Istanbul del 28 giugno, presumibilmente riconducibile allo Stato Islamico, è pur vero che ciò può rappresentare un’importante svolta nella politica estera finora condotta dal governo turco.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 30 GIUGNO ↴ Un convoglio di due autobus di cadetti della polizia afghana è stato attaccato nella periferia di Kabul sulla strada del ritorno da Wardak, dove i giovani avevano trascorso un periodo di addestramento. Un attentatore suicida si sarebbe fatto esplodere al passaggio del primo mezzo, mentre la seconda esplosione sarebbe avvenuta per la detonazione di un’autobomba lanciatasi contro l’altro bus. Sono almeno 30 i morti e più di 50 i feriti. L’attacco è stato rivendicato dai talebani, i quali sembrano preferire quale target la polizia rispetto all’esercito, dati i veicoli non corazzati e la dotazione di armi più leggere rispetto alla prima. Nel corso dell’ultimo periodo, soprattutto in seguito all’uccisione del leader Mullah Akhtar Mansour, il 25 maggio scorso, sono aumentati gli attacchi da parte dei talebani contro le forze armate afghane.

ALGERIA, 30 GIUGNO ↴ Un terrorista ha aperto il fuoco contro un distaccamento dell’esercito algerino nella provincia di Jijel, nell’est del Paese, dove è in atto un’operazione militare nella località di Bouhalouane, situata nei pressi di Bordj Tahar. Secondo quanto ricostruito da una nota del Ministero della Difesa algerino, il terrorista, Mohamed Said, noto con il nome di battaglia di Saad, avrebbe sparato contro i militari per evitare la cattura. Nello scontro a fuoco è rimasta coinvolta anche la famiglia di Said: la moglie e il figlio sono stati feriti mentre le tre figlie femmine sono ancora in custodia presso le autorità al fine di convincere il terrorista alla resa. Le operazioni per l’arresto di Said sono tutt’ora in corso.

AUSTRIA, 1° LUGLIO ↴ La Corte Costituzionale ha stabilito che il ballottaggio delle elezioni presidenziali, tenutosi il 24 maggio e vinte da Alexander Van der Bellen (candidato indipendente ma imparentato con la lista dei Verdi) su Norbert Hofer (candidato del partito di estrema destra FPÖ) per poco più di trentamila voti, dovranno tenersi nuovamente. La Corte ha infatti riscontrato irregolarità nello spoglio dei voti. «La sentenza», hanno affermato i giudici, «deve rafforzare il nostro Stato di diritto e la nostra democrazia».

BOSNIA ERZEGOVINA, 30 GIUGNO ↴ A un giorno dalla scadenza ultima fissata per legge e a distanza di 3 anni dal suo svolgimento, sono stati pubblicati i risultati del censimento in Bosnia Erzegovina. Secondo l’operazione in questione, richiesta dall’Unione Europea come condizione per inoltrare la domanda di adesione (di fatto presentata lo scorso 15 febbraio 2016), la 9


popolazione sarebbe composta per il 50,11% da bosgnacchi-musulmani – in incremento rispetto al 43% registrato nell’ultimo censimento del 1991 –, per il 30,78% da serbi, e per il 15,43% da croati. Restringendo il campo alle due entità federali, risulta che la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH) è composta per il 74% da bosniaci, per il 22,4% da croati e per il 3,6% da serbi; nella Repubblica Srpska (RS), i serbi risultano essere l’81,5% contro il 13,9 dei bosniaci. Il cambiamento demografico del Paese, che tuttavia restituisce un quadro di progressiva omogeneizzazione etnica all’interno delle due Federazioni, trova rilievo all’interno della polemica tra l’Agenzia Statistica nazionale e l’istituto di statistica della RS, quest’ultimo già in disaccordo con la prima circa le metodologie utilizzate: le autorità della RS contestano infatti la decisione di considerare nel conteggio i residenti bosniaci non permanenti, ossia coloro che erano assenti nei 12 mesi precedenti o successivi al censo. Il mancato raggiungimento di un’intesa su questo punto complica secondo Milorad Dodik, Presidente della RS, la situazione politica bosniaca, di fatto già resa complessa dall’architettura costituzionale fuoriuscita dagli accordi di Dayton del 1995 che, legittimando le divisioni etniche, pregiudica ancora oggi il regolare svolgimento dei processi decisionali.

CAMERUN, 29 GIUGNO-1° LUGLIO ↴ Nella notte tra il 29 e il 30 giugno, alla rottura del digiuno durante il mese sacro del Ramadan, un kamikaze appartenente a Boko Haram si è fatto esplodere in una moschea a Djakana, località alla frontiera con la Nigeria. Secondo fonti di sicurezza locali hanno perso la vita 11 persone. La maggior delle vittime dell’esplosione erano membri del comitato di vigilanza incaricato di contrastare i terroristi e di proteggere le forze di sicurezza in caso di infiltrazioni jihadiste. Da quando è stata avviata la massiccia operazione militare condotta da vari Stati della regione contro il gruppo jihadista, quest’ultimo ha intensificato la sua campagna di guerriglia prendendo di mira la popolazione civile. Solo in Camerun, Boko Haram ha ucciso più di 480 civili da quando, nel luglio dell’anno scorso, il gruppo terroristico filo-islamico ha aumentato i propri attacchi.

LIBANO, 27 GIUGNO ↴ Il piccolo villaggio a maggioranza cristiana di al-Qaa, nella zona nord orientale del Libano, a pochi chilometri dal confine siriano, è stato scosso da un doppio attentato suicida. All’alba del 25 giugno, quattro attentatori si sono fatti esplodere causando 5 morti e 16 feriti; in serata, mentre il villaggio preparava i funerali delle vittime, altri quattro attentatori si sono fatti esplodere davanti alla chiesa greco-melkita. Non vi è ancora stata alcuna rivendicazione degli attentati. Ciononostante e per quanto le indagini non abbiano ancora dato alcuna certezza, gli attentatori sembrerebbero essere profughi siriani; non a caso, le forze di polizia libanesi hanno effettuato, nei giorni immediatamente successivi, una serie di perquisizioni nei campi profughi arrestando centinaia di persone di nazionalità siriana, sebbene per semplice irregolarità nei documenti. 10


LIBIA, 27 GIUGNO ↴ Il generale Khalifa Haftar, capo delle milizie libiche facenti riferimento al governo di Tobruk, è giunto a Mosca dove ha incontrato il Ministro della Difesa, Sergej Shoigou, il Segretario del Consiglio di Sicurezza, Nikolai Petroshav e il Ministro degli Esteri, Sergej Lavrov. Il tema principale dei colloqui con i vertici russi è stato quello di una possibile collaborazione tra Tobruk e Mosca e soprattutto una presunta fornitura di armi da parte di Mosca di cui dovrebbero beneficiare le milizie di Haftar; quest’ultima eventualità dovrebbe, del resto, fare i conti con l’embargo sulle armi, deciso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, attualmente in vigore sul territorio libico.

SOMALIA, 30 GIUGNO ↴ Almeno 18 persone hanno perso la vita in seguito all’esplosione di una bomba nella città somala di Lafoole, a 40 km a ovest della capitale Mogadiscio. L'ordigno, che era stato piazzato sul ciglio della strada, è stato azionato a distanza e ha colpito un minibus di passaggio, uccidendo tutti i passeggeri. Tuttavia si pensa che l'obiettivo reale sarebbe dovuto essere un convoglio governativo non molto distante dal luogo dell’accaduto. Finora, nessun gruppo ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Simili operazioni sono però riconducibili al modus operandi di al-Shabaab, gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda ed attivo nella regione del Corno d’Africa dal 2006. Una spirale di violenze che continua a prendere di mira obiettivi civili e militari nella zona della capitale. Sebbene l’azione congiunta dell’esercito somalo e della missione dell’Unione Africana AMISOM abbia permesso alle autorità di Mogadiscio di riconquistare buona parte dei principali centri del Paese, i jihadisti restano ancora fortemente radicati nel sud e nei territori rurali.

YEMEN, 27 GIUGNO ↴ Una serie di attentati ha causato la morte di 42 persone e il ferimento di 37 nella città costiera di Mukalla, capitale della provincia yemenita di Hadramawt. Le quattro esplosioni sono avvenute al calare del sole quando soldati e civili si accingevano a rompere il digiuno giornaliero con il pasto serale del Ramadan (Iftar). Secondo quanto riportato da agenzie di stampa internazionali, la prima esplosione è avvenuta nella parte occidentale della città per mano di un attentatore suicida che, dotato di una cintura esplosiva, si è fatto esplodere in un punto di ristoro per soldati che stavano appunto preparandosi per l’Iftar, mentre le altre tre esplosioni sono avvenute nel centro di Mukalla per la detonazione di un’autobomba e di ordigni rudimentali (IED) contro campi dell’esercito e dell’intelligence yemenita. Gli attacchi sono stati rivendicati dall’IS sebbene la zona fosse stata riconquistata a discapito di al-Qaeda nell’aprile scorso da parte delle forze governative e della coalizione a guida saudita.

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ANALISI E COMMENTI TROLLING E ASTROTURFING COME STRUMENTI DI GUERRA INFORMATIVA DELLA RUSSIA ALESSANDRO PANDOLFI ↴ Come è stato rilevato fin dagli esordi della rivoluzione digitale, i nuovi media possono facilitare un vasto insieme di attività, incluse quelle di propaganda, influenza, deception e guerra informativa. Il concetto statunitense di information operations (IO) include in larga parte l’information warfare (IW, concetto simile e tuttora impiegato da numerosi Stati), ovvero l’impiego delle informazioni ai fini del perseguimento degli interessi nazionali e, in particolare, la lotta per la superiorità nel dominio informativo. La riflessione in merito all’impatto delle nuove tecnologie sulle attività di IO/IW ha riscontrato come le possibilità di manipolazione informativa e psicologica siano destinate a crescere parallelamente al perfezionamento e alla diffusione dei media interattivi. In questo contesto, Internet rientra a pieno titolo nel panorama degli strumenti di propaganda e disinformazione, prefigurando enormi possibilità che meritano un’attenzione ben maggiore di quella che vi è stata finora dedicata (…) SEGUE >>>

UE E KAZAKISTAN: NUOVA PAGINA DELLA STRATEGIA EUROPEA PER L’ASIA CENTRALE LUTTINE ILENIA BUIONI ↴ Come anticipato il 30 marzo scorso in occasione dell’incontro a Bruxelles tra il Presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev e il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, dal 1 maggio 2016 è entrata in vigore, a titolo provvisorio, la parte economica dell’Accordo Rafforzato di Partenariato e di Cooperazione (EPCA) tra l’Unione Europea e la Repubblica del Kazakistan. Sottoscritto ad Astana il 21 dicembre 2015 alla presenza dell’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, l’accordo è stato ratificato dal Parlamento di Astana a marzo, sebbene sia destinato a diventare pienamente operativo solo a seguito della ratifica dei 28 Stati membri dell’UE e del Parlamento europeo. Il nuovo documento rappresenta l’evoluzione dell’originario Accordo di Partenariato e Cooperazione (PCA), in vigore dal 1999, ed è indicativo della volontà di entrambe le parti di consolidare la partnership politica e specialmente la cooperazione economica a seguito dell’adesione ufficiale del Kazakistan (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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