N°18, 3-16 LUGLIO 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 17 luglio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Matteo Anastasi Eleonora Bacchi Marta Cioci Giuseppe Dentice Antonella Roberta La Fortezza Fabio Rondini Maria Serra
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Photo Credits: Sputnik/Dmitriy Vinogradov; Sputnik/ Mikhail Fomichev; Reuters/U.S. Navy; NATO; Noor Punasiya/Associated Press; Getty Images.
FOCUS FRANCIA-TERRORISMO ↴
Alle 22:30 del 14 luglio, sul finire dei festeggiamenti per la ricorrenza della presa della Bastiglia, un camion si è lanciato sulla folla che stazionava sulla Promenade des Anglais a Nizza. L’uomo ha percorso all’incirca due chilometri zigzagando tra la gente assiepata lungo la via pedonale e colpendola indistintamente sia con il mezzo sia con un kalashnikov. Il bilancio ufficiale è di 84 morti e 121 feriti, di cui almeno una trentina in gravi condizioni. Tra questi figurano anche diversi italiani, il numero e l’accertamento dell’identità dei quali è ancora in corso. Il responsabile dell’attacco è stato identificato in Mohamed Lahouaiej Bouhlel, un trentunenne franco-tunisino, residente legalmente da alcuni anni nella città nizzarda. L’identità del sospetto sarebbe stata confermata dal riscontro incrociato tra la carta d’identità ritrovata sulla vettura e le impronte digitali rintracciate sullo stesso documento. Secondo le ricostruzioni basate sul profilo psicologico dell’uomo ricavato dai primi elementi investigativi, Bouhlel era un soggetto violento, poco religioso e affetto da problemi di varia natura, compresa la depressione, causata dal procedimento di separazione con la moglie. Il terrorista era stato in passato segnalato alle autorità locali per piccoli furti e spaccio, ma non risultava iscritto in nessun registro di personalità pericolose per la sicurezza nazionale e pertanto non era ritenuto passibile di alcun interesse da parte delle forze speciali. Un uomo apparentemente normale, seppur con un bagaglio di esperienze negative e problemi personali, ma tali da non destare alcun campanello d’allarme alla comunità
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locale e/o nazionale. In un certo senso il profilo di Bouhlel ricorda quello dell’attentatore di Orlando, Omar Seddique Mateen, che il 12 giugno ha aperto il fuoco nella discoteca Pulse uccidendo una cinquantina di persone. Entrambi i soggetti, infatti, sembrano affetti da problemi di carattere psicologico legati alla loro sfera personale. Sebbene i due abbiano conosciuto percorsi di radicalizzazione differenti (gli inquirenti francesi ritengono che quello di Bouhlel sia stato particolarmente veloce), i due uomini hanno usato il gesto terroristico come strumento di giustificazione delle proprie difficoltà psicologiche e personali, intravedendo nell’atto criminale una forma di riscatto sociale. Non è ancora chiaro se l’uomo sia stato aiutato da qualcuno, se abbia potuto contare sulla complicità di amici e familiari o se semplicemente abbia agito come un lupo solitario, vagamente ispirato da una qualche ideologia radicale e fondamentalista, anche parzialmente riconducibile al messaggio dello Stato Islamico (IS). Inoltre, non emergono evidenze nel passato anche recente di Bouhlel, semplicemente in termini di vaga conoscenza, di possibili diretti collegamenti con personalità di spicco del mondo jihadista francese (come Omar Omsen, un reclutatore/facilitatore franco-senegalese attivo proprio nelle periferie nizzarde di Saint Roch e de L’Ariane) già segnalate alle autorità francesi nella cosiddetta “Fiche S”, una sorta di lista di proscrizione con tutti gli “attenzionati speciali” da parte dei Dipartimenti di Sicurezza. Ad ogni modo il 16 luglio l’IS ha rivendicato l’attentato in questione attraverso la propria piattaforma di propaganda, l’agenzia mediatica Amaq, asserendo che Bouhlel sarebbe un “soldato islamico” che ha aderito alla campagna lanciata dal Califfo per combattere gli infedeli e colpirli nei loro territori. Come accaduto in altri casi, il messaggio di rivendicazione applaudiva l’atto ma non ne avocava automaticamente e in maniera diretta la paternità ad un proprio membro (alla stregua di quanto accaduto in occasione dell’attentato a Dacca, in Bangladesh, lo scorso 1° luglio). Questo potrebbe significare che da parte dell’IS vi sia l’intenzione di sfruttare a proprio vantaggio tale episodio, facendo leva sul sentimento di paura e sull’incapacità delle forze di sicurezza di prevedere e rispondere ad atti di tale natura. In attesa che le indagini facciano maggiore chiarezza sulla vita dell'uomo e sugli intrecci delineati, le autorità francesi hanno fermato 7 persone, mentre hanno rilasciato dopo una serie di interrogatori l’ex moglie del terrorista. Gli investigatori, grazie anche l’ausilio di registrazioni fatte da telecamere di sicurezza, hanno peraltro appurato che l’attentatore ha compiuto almeno due sopraluoghi (12 e 13 luglio) sulla Promenade des Anglais e che ha inviato un sms ad una persona non meglio identificata chiedendo maggiori armamenti (sul camion sono state di fatto rinvenute granate ed armi a canna lunga). Sebbene permangano perciò numerose incertezze su modalità di attacco e connessioni che abbiano favorito o facilitato il successo dello stesso atto, i fatti di Nizza pongono all’attenzione almeno quattro importanti evidenze:
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1. benché il livello di allerta terrorismo fosse elevato (le forze di sicurezza avevano lanciato l’allarme per possibili attentati con camion bomba e mezzi non convenzionali), l’attacco è giunto all’indomani della conclusione dei campionati europei di calcio e dell’annuncio del Presidente François Hollande circa la rimozione dello stato di emergenza – prorogato per un ulteriore trimestre alla luce delle circostanze occorse –, un momento in cui, quindi, l’attenzione era più bassa; 2. la modalità di attacco – utilizzata già in altri contesti in Medio Oriente –, oltre che la scelta di colpire nuovamente nelle ore notturne, evidenzia un continuo cambio di strategia stragista da parte di soggetti presumibilmente radicalizzati, che rende sempre più complessa l’azione delle forze di intelligence, nonostante gli impegni e gli sforzi sinora condotti per prevenire minacce multiple; 3. l’area di Marsiglia, quella di Nizza e della divisione territoriale delle Alpi Marittime, ma più genericamente il Midi francese (le regioni meridionali della Francia), si confermano, dopo l'Île-de-France, le aree a più alto rischio di radicalizzazione. Solo le zone di Cannes e Nizza hanno ospitato 515 soggetti schedati dalla polizia come pericolosi, di cui circa 200 monitorati a tempo pieno. Basti pensare che il 10% dei combattenti francesi andati a ingrossare le fila dell’IS in Siria e in Iraq proveniva da queste zone ed è pertanto rilevante il collegamento, almeno ideale, che si è venuto a creare tra la Francia meridionale e il “Siraq”; 4. il tentativo da parte di questi soggetti, attraverso l’uso del terrorismo come mezzo, di aggravare la crisi sociale e politica francese, già profonda e ampia a tutti i livelli, con l’intento ultimo di destabilizzare governo e istituzioni. Già da prima dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, nel gennaio del 2015, la Francia è percorsa da tensioni sociali culminate da un lato nei cortei e nelle violenze scoppiate in occasione delle manifestazioni per la riforma del lavoro, oltre che nei giorni precedenti all’avvio dei campionati europei di calcio, e, dall’altro, nelle ripetute accuse da parte di alcune frange dell’opposizione nei confronti del governo di incapacità nel gestire la sicurezza nazionale e nel prevenire la minaccia terroristica. Si tratta evidentemente di condizioni che rischiano di acuire in maniera netta le distanze politiche e sociali, prestando il fianco a debolezze che potrebbero essere interpretate dai terroristi come un segnale di estrema fragilità nonché quindi optimum ideale per nuovi possibili attacchi sul territorio.
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NATO ↴
Il Vertice NATO dell’8 e 9 luglio si è tenuto in un clima di forte tensione, dettato sia dalla tempistica dell’evento (il perdurare delle frizioni tra l’Alleanza Atlantica e Mosca), sia dalla località in cui esso si è svolto (a Varsavia, in Polonia, Paese storicamente ostile alla politica estera condotta dal Cremlino) sia, infine, dalla forte dicotomia tra i Paesi della stessa Alleanza circa la percezione della minaccia russa e la relativa risposta da formulare. Se per alcuni, difatti, il pericolo principale per la sicurezza transatlantica risiede nella postura assunta dalla Federazione Russa – in particolare dalla crisi ucraina in poi –, alcuni partner dell’Europa Occidentale premono affinché la NATO presti maggiore attenzione alle minacce provenienti dal fianco sud dell’Europa, in particolare all’instabilità dell’Africa settentrionale, del Levante arabo e, dunque, all’incremento e allo sviluppo del fenomeno terroristico nella regione. Il Vertice tuttavia non ha registrato le novità attese e i rapporti con la Russia hanno rappresentato la principale questione sul tavolo: i 28 membri hanno ribadito la loro preoccupazione per l’aggressività della politica estera russa e hanno confermato la postura difensiva (“vigilant and prepared”) della NATO assunta già due anni prima al termine del Vertice in Galles, rinunciando al ruolo più globale che l’Alleanza ha cercato di assumere prima della crisi ucraina. Il Presidente Obama, infatti, ha dichiarato che altri 1.000 soldati, oltre a quelli già dispiegati sul territorio, saranno inviati in Polonia per proteggerla da un eventuale attacco di Mosca. Pur non ancora sufficienti a contenere seriamente un’eventuale invasione russa, queste misure insieme all’installazione di una serie di scudi missilistici in altri Paesi membri – quali Romania, Turchia e Spagna –, al dispiegamento a rotazione di 4.000 truppe sul confine russo dal 2014 e a una serie di importanti esercitazioni anti-russe, dimostrano la volontà della NATO di mantenere un certo livello di deterrenza verso Mosca. 4
Ad ogni modo, per quanto concerne la minaccia terroristica in generale e, in particolare quella proveniente da parte dello Stato Islamico (IS), il documento conclusivo di Varsavia riporta la volontà di sostenere un maggiore impegno dell’Alleanza nel Medio Oriente, soprattutto al confine turco-siriano, territorio ancora esposto alla minaccia dell’IS. In Polonia, infatti, i Capi di Stato e di Governo hanno annunciato l’impiego dei sistemi radio aviotrasportati AWACS (Airborne Warning and Control System) a sostegno della coalizione anti-IS, utili per sorveglianza aerea, funzioni di comando, controllo e comunicazioni. I 28 hanno altresì concordato di procedere verso un maggiore sostegno alle truppe dell’Esercito Nazionale Iracheno in contrasto all’IS e al prolungamento della missione Resolute Support (sostitutiva della precedente missione ISAF-International Security Assistance Force) in Afghanistan oltre dicembre 2016, data inizialmente concordata per la conclusione della stessa. È stata ribadita, inoltre, la necessità di una risoluzione delle due crisi militari ai confini della NATO: quella ucraina, per le evidenti ripercussioni nei rapporti con Mosca, e quella siriana, le cui conseguenze sono legate sia alla diffusione della minaccia terroristica sia al propagarsi di altri pericoli asimmetrici quali traffico d’armi, sfruttamento del fenomeno migratorio, proliferazione di armi di distruzione di massa, ecc. Se sui suddetti temi il summit non ha prodotto risultati eclatanti, sui rapporti NATOUE è stato concluso un accordo di cooperazione su temi quali la lotta al terrorismo e condivisione di informazioni sulla sicurezza, nel tentativo di migliorare i rapporti tra le due organizzazioni nella difesa, ovvero il settore nel quale il contributo dell’uscente Regno Unito è di maggior rilievo, cercando così di contenere gli effetti del Brexit. Il documento conferma un riavvicinamento tra le due organizzazioni, realizzato anche attraverso l’elaborazione della strategia europea “Horizon 2020” e una maggiore interazione tra i vertici istituzionali europei e atlantici. In tema di allargamento, l’Alleanza ha ribadito la sua politica della “porta aperta” verso Ucraina, Georgia e Moldavia, ma il processo di inclusione di questi Paesi nella NATO rimane ancora molto incerto. In conclusione, se dal summit non sono emerse decisioni particolarmente rivoluzionarie, in Polonia è stato ottenuto un bilanciamento degli impegni dell’Alleanza ad Est e a Sud, con l’adozione di una postura ancor più difensiva della NATO. Solo il tempo saprà confermare se a tali decisioni seguiranno coerenti e concrete misure per metterle in pratica.
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TURCHIA ↴
È fallito il colpo di Stato ordito da una parte degli apparati militari ai danni dell’establishment del Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Dalla tarda serata del 15 luglio velivoli militari avevano avviato un’attività anomale a bassa quota nei cieli della capitale Ankara e di Istanbul, dove blindati e carri armati avevano peraltro dapprima bloccato gli accessi ai ponti sul Bosforo e successivamente all’aeroporto internazionale Atatürk, costringendo ad una cancellazione immediata di tutti i voli in arrivo e in partenza. Nel giro di un paio d’ore gli stessi golpisti – il cui regista operativo è stato individuato dalle autorità turche in Mukarrem Köse, ex Consigliere del Capo di Stato Maggiore turco, Hulusi Akar, quest’ultimo inizialmente preso in ostaggio e poi liberato – hanno sospeso le trasmissioni della televisione di Stato, dove è avvenuta un’esplosione, e hanno annunciato in sequenza la presa dei punti nevralgici del potere, l'istituzione di un cosiddetto “Consiglio di pace” – formato da militari, incaricato di redigere una nuova Costituzione e di riportare il Paese sul binario dello Stato di diritto secolare – e l'imposizione della legge marziale e del coprifuoco. La svolta è giunta dopo l’appello del Presidente Erdoğan, apparso alla CNN Türk attraverso una video-chiamata con FaceTime, alla popolazione di scendere in piazza per difendere da un gruppo di traditori le istituzioni democraticamente elette. Per tutta la notte i golpisti, che hanno aperto il fuoco contro il Parlamento di Ankara e che hanno assaltato la sede centrale di AKP – il partito di maggioranza a cui appartiene lo stesso Presidente –, hanno ingaggiato scontri a fuoco con la polizia, le forze di sicurezza lealiste e con manifestanti fedeli allo stesso Erdoğan. Bombardamenti da parte dell’aviazione contro carri armati ed elicotteri guidati dai militari partecipanti al golpe si sono verificati ad Ankara intorno all’area del Palazzo presidenziale, mentre scontri tra la polizia anti-sommossa e reparti insurrezionali dell’esercito – che hanno provocato oltre 200 morti, la maggior parte dei quali militari golpisti – sono avvenuti 6
a Piazza Taksim, ad Istanbul, e nelle aree limitrofe. L’intervento delle forze lealiste e la mobilitazione popolare, oltre che evidentemente un coinvolgimento più capillare da parte dei servizi segreti turchi fedeli al Presidente, hanno riportato già alle prime ore dell’alba del 16 luglio il controllo effettivo dei punti chiave precedentemente occupati e del Paese nelle mani dell’esecutivo: diversi golpisti si sono arresi e hanno dichiarato di non essere a conoscenza di un golpe ma di essere stati ingaggiati per effettuare alcune esercitazioni militari e di anti-terrorismo, mentre altri sono fuggiti in Grecia da cui potrebbero venire espulsi con il reato di immigrazione clandestina. Il ritorno del Presidente ad Istanbul (malgrado nella notte fossero circolate voci, poi rivelatesi infondate, di una sua presunta fuga all’estero – in Germania, in Italia, nel Regno Unito e, infine, in Qatar) ha innescato la risposta delle autorità turche. Nelle prime 24 ore almeno 3.000 militari sospettati di aver preso parte al colpo di Stato – tra cui alcune figure di spicco come i comandanti della seconda e terza armata, Erdal Öztürk e Adem Huditi, e il comandante della guarnigione di Denizli, Özhan Özbakır – sono stati arrestati insieme a 2.745 giudici in una serie di operazioni che consentono ad Erdoğan, la cui immagine esce dagli avvenimenti indubbiamente rafforzata – anche di fronte ai partiti di opposizione (MHP, CHP e HDP) che hanno pur preso le distanze dal tentativo di golpe –, di completare quel giro di vite già da tempo in atto per controllare e reprimere il dissenso interno anche al fine di procedere tra le altre cose, nonostante le fratture interne sempre più profonde, con la riforma della Costituzione in senso presidenziale. D’altra parte lo stesso Erdoğan ha imputato a Fethullah Gülen – il predicatore islamico ex alleato del Presidente, guida del movimento Hizmet e da tempo accusato di aver istituito uno “Stato parallelo” in grado di penetrare i gangli dello Stato – la responsabilità del tentato golpe. Tuttavia la posizione di Ankara su Gülen, esiliato negli Stati Uniti, rischia di incrinare i rapporti con Washington: benché quest’ultima, insieme con l’Unione Europea, abbia fin dalle prime battute condannato il golpe e abbia affermato il sostegno alle istituzioni legittime turche, si è dichiarata non disponibile a concedere l’estradizione dell’imam finché la Turchia non mostrerà le evidenze del suo coinvolgimento nei fatti del 15 luglio. Lo strappo, sostanzialmente in rotta di collisione con gli ultimi gesti distensivi di Ankara in politica estera (su tutti il riavvicinamento con la Russia e con Israele, passaggi peraltro tutto sommato convergenti con l’azione strategica statunitense nel quadrante mediorientale), potrebbe approfondirsi dopo la decisione turca di sospendere le operazioni aeree dalla base NATO di Incirlik, utilizzata dalla coalizione internazionale a guida americana per colpire le postazioni dello Stato Islamico (IS) in Siria, e di arrestare un alto ufficiale della stessa base, il Generale Bekir Ercan Van, insieme con altri soldati sospettati di aver preso parte al colpo di Stato. Mentre il quadro delle responsabilità individuali sembra diventare più definito, restano ancora sul tappeto diversi punti oscuri, a cominciare dall’accertamento dei segmenti militari e civili che hanno organizzato e/o appoggiato il colpo di Stato, 7
dalle eventuali debolezze strutturali o dalle dinamiche in itinere che hanno permesso che gli stessi golpisti perdessero rapidamente terreno dopo l’ingente dispiegamento militare sui punti chiave del Paese, o, ancora, se vi siano delle responsabilità da parte dello stesso Erdoğan o del suo entourage – come hanno asserito Gülen e i detrattori del Presidente – nel simulare o istigare più o meno direttamente un golpe e una sua possibile destituzione per legittimare ulteriormente la propria posizione.
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BREVI ARABIA SAUDITA, 4 LUGLIO ↴
Tre attentati sono avvenuti in Arabia Saudita, in località geograficamente distanti tra loro ma dall’alto valore simbolico: Jeddah, Qatif e Medina. Gruppi ristretti (2-3 uomini per ogni attacco) sarebbero stati in
grado di
condurre
apparentemente
tre
operazioni
diverse
slegate,
e
causando
complessivamente 4 vittime, tutte appartenenti alle forze di sicurezza. I luoghi colpiti sono stati il Consolato statunitense di Jeddah, una moschea sciita a Qatif, e, infine, la moschea di Medina. Le autorità hanno identificato gli attentatori in soggetti radicalizzati di origine saudita, kuwaitiana e, nel caso di Medina, in un lavoratore pachistano residente da anni nel regno. Gli attacchi, seppur non rivendicati, sarebbero riconducibili per modus operandi e capacità distruttiva alle tattiche finora condotte dallo Stato Islamico (IS) in altre realtà del Medio Oriente. Al di là delle condanne di rito da parte delle autorità locali e dei più alti ranghi della famiglia reale saudita, i target colpiti rivestono tutti un alto valore simbolico e per motivi differenti avvalorerebbero la pista che porta all’IS. Infatti da almeno un anno e mezzo, il Califfo attraverso il suo portavoce Abu Mohammed al-Adnani aveva prescritto un cambio di orientamento negli attentati variando il più possibile i target da colpire: in accordo a tale strategia, dovranno essere colpiti non solo civili-musulmani, simboli del potere o militari, ma sarà necessario internazionalizzare l’azione jihadista colpendo modelli che definiscano al meglio l’agire occidentale in Medio Oriente e fuori da esso. Se l’attacco al Consolato si inserisce per l’appunto in questo percorso, quello alle moschee o ai simulacri musulmani ribadiscono l’intenzione del Califfo di punire tutti indistintamente, qualora reputati colpevoli di doppio-giochismo o di infedeltà alla causa dell’IS. Tali obiettivi così differenti indicano inoltre l’ennesimo salto di qualità nella strategia stragista delle formazioni jihadiste mediorientali legate allo Stato Islamico. Sebbene il Consolato americano a Jeddah non rappresenti una pura novità – già attaccato nel 2004 da una locale cellula qaedista – e sebbene anche l’azione settaria contro gli sciiti nel Qatif confermebbero un leit-motiv troppo spesso abusato dai miliziani del Califfo al-Baghdadi, l’attacco contro la moschea di Medina costituisce una vera chiave di volta per almeno due motivi. Il primo è nel simbolo colpito: la città santa dell’Islam al pari de La Mecca, sede delle spoglie del profeta Maometto. Il secondo
fattore
risiede
nel
messaggio
politico
e
religioso
rivolto
contemporaneamente agli stessi musulmani sunniti – equiparati a degli infedeli e pertanto passibili di morte come cristiani, giudei e occidentali in generale –, ma in particolare alla casa regnante degli al-Saud. Quest’ultimi sono i custudi delle città sante dell’Islam, un ruolo da cui traggono legittimazione religiosa e, dunque, politica.
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In questo senso l’attacco a Medina rappresenta un avvertimento, se non proprio una sfida politica, alla legittimità saudita.
CINA, 12 LUGLIO ↴ La Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja si è espressa a favore delle richieste avanzate dal governo di Manila nel 2013, stabilendo che la Cina non ha alcun diritto storico sulle isole contese nel Mar Cinese Meridionale. Pechino avrebbe violato non solo la sovranità delle Filippine nella loro zona economica esclusiva (ZEE), interferendo con i diritti di pesca e di esplorazione petrolifera, ma avrebbe anche arrecato, con le sue attività di costruzione di atolli artificiali, danni all’ambiente naturale con particolare riferimento alla barriera corallina. L’immediata reazione di Pechino alla sentenza risulta perfettamente in linea con l’atteggiamento fin qui tenuto dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC), ossia di generale contestazione della Corte e del collegio arbitrale. Il Ministro degli Esteri Wang Yi ha parlato di una sentenza «nulla, invalida e non vincolante», una sentenza che non sarà mai «riconosciuta né accettata». Secondo Pechino, «la sovranità territoriale, i diritti e gli interessi marittimi nel Mar Cinese Meridionale non possono sotto alcuna circostanza essere affetti da queste sentenze», trovando unica applicazione il diritto storico della Cina dettato dalla “Linea dei Nove tratti”. Con tale riferimento basato su cartagrafie cinesi del 1947 effettuate, appunto, con nove tratti di penna, Pechino definisce il 90% di quei circa tre milioni quadrati di oceano «territori storicamente soggetti alla sovranità della Cina», risalenti addirittura ai tempi imperiali. Nei cosiddetti “Nove Tratti” sono inseriti gli arcipelaghi contesi con le Filippine delle isole Paracel (Xisha secondo i cinesi) e Spratly
(Nansha
attraverso
in
i
quali
annualmente
merci
cinese), transitano
e
materie
prime da e verso l’Asia per un valore
commerciale
miliardi
di
sospettano
dollari
di e
5.000 che
contenere
si
ricche
risorse naturali di gas e petrolio. È evidente che la decisione dell’Aja va ben oltre i rapporti tra Filippine e Cina, toccando anche quelli della RPC con tutti quei Paesi dell’area (Giappone,
Vietnam,
Malesia,
Taiwan, Brunei) con i quali vi sono controversie Sebbene tutti
territoriali
Manila
alla
abbia
aperte. invitato
moderazione,
non 10
sembra al momento potersi totalmente escludere il rischio di una escalation, rischio dovuto soprattutto agli enormi interessi economici in ballo nel Mar Cinese Meridionale.
REGNO UNITO, 13 LUGLIO ↴ Dopo le spaccature politiche emerse all’indomani del referendum sulla Brexit, il fronte conservatore sembra essersi momentaneamente ricompattato intorno alla nomina del suo nuovo leader e Premier: Theresa May, già Ministro dell’Interno nell’esecutivo guidato da David Cameron, ha presentato la propria squadra di governo. L’ex sindaco di Londra Boris Johnson – tra i principali fautori del “Leave” ma che in un evidente calcolo politico aveva rinunciato ad assumere la leadership dei Tories – guiderà il Ministero degli Esteri dopo Philip Hammond, nominato ora Cancelliere dello Scacchiere (Economia e Tesoro) al posto di George Osborne; Amber Rudd, già Ministro dell’Energia, eredita dalla stessa May il Dicastero degli Interni, mentre David Davis assumerà l’incarico di Segretario per la Brexit, seguendo in prima persona le trattative con l’Unione Europea; Liz Truss subentra a Michael Gove, sostenitore insieme a Johnson del “Leave” e grande escluso dalla nuova compagine governativa, al Ministero della Giustizia; tra i Ministeri chiave resta confermato Michael Fallon alla Difesa. Complessivamente, tra i 26 membri dell’Esecutivo May, solo 7 sono apertamente schierati a favore della Brexit. L’accelerata sulla nomina di May rispetto alla tabella di marcia inizialmente prevista risponde evidentemente al duplice obiettivo di sanare le spaccature all’interno dei Tories e di scongiurare il ricorso ad elezioni anticipate oltre che il concreto di rischio di un’emorragia di voti, nonché di avvantaggiarsi rispetto al partito laburista – le cui fratture interne si sono acuite dopo il rifiuto di Jeremy Corbyn di lasciare il comando – oltre che rispetto a UKIP, dalla cui leadership Nigel Farage ha deciso di dimettersi – pur mantenendo l’incarico di eurodeputato – dichiarando di aver raggiunto il suo obiettivo politico. La nomina di May, sostenitrice – pur se tiepida – del “Remain”, risponde non di meno all’esigenza di proporre un’interlocutrice più conciliante non solo ai rappresentanti delle Istituzioni europee ma anche di Irlanda del Nord e, soprattutto, Scozia, intenzionata a proporre un nuovo referendum indipendentista. RUSSIA, 14 LUGLIO ↴ Continuano le esercitazioni navali russe nel Baltico – dove la nave Aleksander Shabalin ha effettuato uno sbarco di mezzi blindati Btr-82A testando operazioni di respingimento di attacchi e il funzionamento di armi anti-aeree – mentre le Forze Missilistiche Strategiche
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equipaggiate con missili balistici intercontinentali a testata nucleare, tra cui i lanciarazzi Topol, Topol-M e Yars, hanno effettuato nella regione occidentale di Tver e nel Territorio dell’Altaj, al confine con il Kazakistan, manovre di addestramento e di preparazione di azioni da combattimento. Se da un lato tale attività militare sembra profilarsi come una risposta alle recenti decisioni in materia di sicurezza da parte della NATO nel Baltico e in Europa Orientale (con specifico riferimento al dislocamento di quattro nuove divisioni e al trasferimento a rotazione di 4.000 militari e all’attivazione a Deveselu – in Romania – del segmento europeo del sistema di difesa anti-missile AEGIS), la proposta russa sull’uso dei transponders – ossia i trasmettitori di identificazione degli aerei al fine di salvaguardare la sicurezza aerea – al Vertice del Consiglio Russia-NATO del 13 luglio a Bruxelles sembrerebbe dimostrare una possibile convergenza su un allentamento delle tensioni, come d’altra parte già dimostrato dai segnali di cooperazione tra Mosca e Washington sullo scenario siroiracheno. L’attenzione del Cremlino è non di meno rivolta sul fronte della sicurezza interna: il 7 luglio il Presidente Vladimir Putin ha firmato la controversa “Legge Yarovaya”, un pacchetto di misure già approvato dalle due Camere dal Parlamento nello scorso mese di giugno che mira a contrastare il terrorismo di matrice islamica (a cui la Russia è più esposta sul suo fronte caucasico oltre che dell’Asia Centrale), oltre che ad imporre controlli più stringenti in ambito domestico e sulla privacy dei cittadini russi. Le nuove disposizioni prevedono infatti l’introduzione di una serie di reati e di capi d'imputazione con pene detentive fino all’ergastolo per istigazione, coinvolgimento e omessa denuncia di informazioni relative a disordini di massa, insurrezione armata, colpi di Stato o complotti omicidi ai danni di uomini di governo, e terrorismo internazionale rivolto contro gli interessi russi. L’emendamento prevede inoltre la restrizione di attività religiose ad aree appositamente designate e con obbligo di iscrizione a organizzazioni riconosciute, nonché l'obbligo da parte di operatori telefonici e provider internet di conservare i dati di traffico degli utenti per sei mesi e i metadati per tre anni, e di fornire su richiesta dell'FSB le chiavi per la decrittazione dei messaggi.
SIRIA-IRAQ, 10-16 LUGLIO ↴ Non
conoscono
sosta
gli
scontri
fra
le
truppe
governative e le milizie dello Stato Islamico (IS) in Iraq e in Siria. Il 13 luglio almeno dieci civili siriani sono morti e decine sono rimasti feriti nei bombardamenti condotti dall’aviazione russa su alcune postazioni del Free Syrian Army, nei pressi di un campo profughi nell’area di Hadalat, nel deserto fra la regione siriana di Deir ez-Zor e il confine giordano. Secondo le fonti giordane, sono circa 60.000 gli sfollati siriani, fuggiti dalla guerra nelle regioni orientali e centrali, che sono intrappolate nella steppa desertica a ridosso del confine, chiuso, con la Giordania. Non migliore, invece, la situazione ad Aleppo, città martire della 12
guerra in Siria, con una situazione umanitaria difficile. Il 14 luglio è stata ancora strage di civili. L’aviazione lealista ha colpito i quartieri di Tariq al-Bab e al-Salihin causando decine di morti e feriti: secondo gli attivisti locali i caccia governativi hanno lanciato missili sulle case dei civili. Nel frattempo, sul fronte militare iracheno si registrano due importanti successi da parte delle forze regolari. Il 10 luglio i militari hanno strappato al Califfato la base aerea di Qayyarah, città strategica settanta chilometri a sud di Mosul, che pare essere ora il prossimo obiettivo. Immediatamente dopo la conquista, le forze dell’alleanza internazionale a guida statunitense vi avrebbero installato una propria base utile a coordinare le azioni da lanciare nelle prossime settimane contro gli avamposti dell’IS a Mosul. Il 13 luglio, invece, Amaq, la piattaforma digitale vicina a DAESH ha ufficializzato la notizia circolante alcune settimane fa circa la morte di Omar al-Shishani, combattente di nazionalità georgiana e alto comandante dell’IS. Secondo le ricostruzioni di Amaq, al-Shishani è stato ucciso in un’azione di difesa a Mosul durante un bombardamento aereo statunitense. Sullo sfondo di questi avvenimenti, il 14 luglio a Mosca si sono tenuti importanti colloqui ufficiali fra il Segretario di Stato USA John Kerry e il Presidente russo Vladimir Putin: sul tavolo del confronto la definizione di una possibile collaborazione russostatunitense mirata a combattere il terrorismo internazionale e lo Stato Islamico in Siria e Iraq.
TERRITORI ATTUALMENTE SOTTO IL CONTROLLO DELLO STATO ISLAMICO IN SIRIA E IRAQ (UPDATE AL 07/2016) - FONTE: STRATFOR/ESRI
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ALTRE DAL MONDO GERMANIA, 13 LUGLIO ↴ Il governo tedesco ha approvato il nuovo Libro Bianco sulla Sicurezza e sul futuro delle Forze Armate (Bundeswehr). Il documento, presentato dal Ministro Federale della Difesa Ursula von der Leyen, aggiorna la dottrina di sicurezza varata nel 2006 e intende rispondere al nuovo ruolo della Germania di fronte al mutato scenario internazionale e alla trasformazione delle minacce alla sicurezza nazionale. La riforma del Libro Bianco – avviata nello scorso mese di febbraio congiuntamente con gli altri Dicasteri – certifica un cambiamento di paradigma per un Paese che dal secondo dopoguerra fino al 1994 si è mostrato riluttante nel prendere parte a missioni internazionali di peacekeeping ma che dagli anni Duemila vede il dispiegamento di proprie truppe in aree di crisi (nei Balcani, in Afghanistan, in Mali) ed è parte della coalizione internazionale che contrasta lo Stato Islamico. Il documento sottolinea la necessità di una più stretta interconnessione della Germania con l’Alleanza Atlantica e con l’Unione Europea in un quadro di azione multilaterale, l’incremento del budget della Bundeswehr fino al raggiungimento dell’ambizioso target NATO pari al 2% del PIL, e un incremento del personale di 20.000 addetti, consentendo anche ai cittadini europei di arruolarsi nelle Forze Armate tedesche.
GIAPPONE, 10 LUGLIO ↴ Si sono tenute in Giappone le elezioni per eleggere la metà dei seggi della Camera Alta del Parlamento. Come previsto dai sondaggi pre-elettorali, il Partito Liberal Democratico (PLD) del Premier Shinzo Abe ha guadagnato 70 seggi su 121, ottenendo – per la prima volta nella storia del Paese – una maggioranza dei due terzi in entrambe le assemblee parlamentari. Grazie alla nuova composizione parlamentare, Abe avrà pertanto il sostegno necessario per indire un referendum a favore di una riforma costituzionale volta a modificare l’art. 9 della Costituzione giapponese, quello che sancisce la rinuncia alla guerra. Con una simile modifica Tokyo potrebbe raggiungere uno degli obiettivi storici dei PLD: eliminare le limitazioni al potenziale militare giapponese imposte a seguito alla Seconda Guerra Mondiale.
NIGERIA, 10 LUGLIO ↴ Un gruppo di uomini armati appartenenti a Boko Haram ha ucciso 7 persone in un assalto nel villaggio di Rann, nel nord-est della Nigeria, vicino al confine camerunense. Secondo i testimoni, i terroristi sono entrati nel villaggio a bordo di motociclette e hanno aperto il fuoco sulle case. I superstiti sono riusciti a fuggire verso la città di Gamboru in Camerun, a circa trenta chilometri di distanza. Prima di abbandonare il villaggio, gli estremisti hanno saccheggiato cibo e medicinali nell’unico ospedale dell’area. L’episodio è solo l’ultimo della lunga lista di attacchi armati e attentati ai danni della popolazione inerme da parte del gruppo terroristico nello Stato del 14
Borno. La zona era già stata colpita a giugno, quando in un assalto vicino Rann erano morte 8 persone.
REGNO UNITO-IRAQ, 6 LUGLIO ↴ Dopo sette anni d’indagini è stato pubblicato il rapporto della commissione d’inchiesta britannica guidata da John Chilcot, voluta dall’ex Premier Gordon Brown e volta a fare luce su scenari e motivi del coinvolgimento del Regno Unito nella guerra in Iraq del 2003. Secondo il rapporto – pubblicato in 12 volumi – i risultati principali sono i seguenti: l’azione britannica disponeva di basi legali insoddisfacenti in quanto non vi era una comprovata minaccia imminente alla sicurezza nazionale da parte dell’Iraq di Saddam Hussein; nel presentare le ragioni dell’intervento ai cittadini britannici, Tony Blair modificò le informazioni al fine di giustificare la guerra e renderla necessaria agli occhi dei connazionali; la scelta di entrare in guerra fu presa prima di aver esaurito tutte le altre opzioni pacifiche disponibili; Blair decise di attaccare l’Iraq nonostante fosse stato messo in guardia in merito ad un possibile aumento della minaccia terroristica in seguito all’invasione ed era, inoltre, in possesso degli elementi per prevedere il caos cui avrebbe dato luogo l’intervento armato. In conclusione, secondo il rapporto non furono i dati reali e la potenziale minaccia di Saddam Hussein a scatenare il conflitto in Iraq, bensì la volontà politica di George W. Bush e Tony Blair.
SOMALIA, 11-14 LUGLIO ↴ I militanti somali di al-Shabaab hanno preso il controllo della città portuale di Merca, nell’est del Paese, dopo che le forze governative si sono ritirate senza fornire motivazioni ufficiali. La riconquista è avvenuta a poche ore dall’offensiva lanciata dall’esercito somalo nella località di Goobaanle, nella regione del Basso Scebeli, una delle roccaforti del gruppo jihadista. Nell’attacco diversi militanti sono rimasti uccisi. Negli ultimi mesi al-Shabaab ha intensificato i suoi attacchi nell'area della capitale, l’ultimo dei quali avvenuto lo scorso 25 giugno che ha provocato la morte di 16 persone. Nonostante il gruppo jihadista resti ancora fortemente radicato nel Paese, l'esercito somalo, grazie all'aiuto della missione dell’Unione Africana AMISOM, è riuscito a riconquistare buona parte dei territori finiti negli ultimi anni sotto il controllo di alShabaab. Sono stati inoltre sventati diversi attacchi, tra cui quello di giovedì scorso che aveva come obiettivo l’hotel Maka al-mukarama di Mogadiscio: secondo quanto riferito dal portavoce del governo locale, Abdifitah Omar Halane, l’intelligence somala (NISA) ha sequestrato un’automobile imbottita di esplosivo e catturato un affiliato ad al-Shabaab in procinto di attaccare l’hotel.
SUD SUDAN, 8-14 LUGLIO ↴ Alla vigilia del quinto anniversario della nascita del Sud Sudan, sono riprese le violenze tra gruppi politici avversari. L’evento scatenante, secondo fonti locali, è stato 15
uno scontro tra le guardie del corpo del Presidente Salva Kiir e del vice Presidente Riek Machar, fuori dal Parlamento sudsudanese, in seguito al quale la disputa si è estesa a tutto il Paese con conseguenze disastrose soprattutto a Juba. La pace tra le fazioni, in vigore dall’agosto 2015, è stata violata per quattro giorni di seguito con un bilancio di 300 morti – tra cui soldati, civili e un casco blu dell’ONU di nazionalità cinese – prima che i due avversari dichiarassero unitamente un nuovo cessate il fuoco. Il 13 luglio, James Gatdet Dak, il portavoce di Machar, ha infine annunciato il ritiro dalla capitale delle truppe fedeli al vice Presidente con lo scopo di contribuire alla cessazione delle ostilità.
YEMEN, 6 LUGLIO ↴ Fonti locali yemenite hanno riferito che due autobombe hanno colpito la base militare di Sulban, vicina all’aeroporto internazionale di Aden, nel sud dello Yemen, provocando 10 morti. La prima autobomba sarebbe esplosa all’ingresso della base, dando così la possibilità al secondo veicolo-bomba di introdursi all’interno della stessa. Uno scontro a fuoco è poi stato ingaggiato, subito dopo le due esplosioni, tra i terroristi e i militari di guardia. Il 7 luglio l’attentato di Aden è stato rivendicato da al-Qaeda, che, attraverso un comunicato diffuso su internet, definisce l’operazione come una vendetta per gli attacchi governativi avvenuti in altre zone del sud del Paese.
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ANALISI E COMMENTI TERRORISMO INTERNAZIONALE, NATO E STATI UNITI: UNA TRIANGOLAZIONE MAL RIUSCITA
DAVIDE BORSANI ↴ L’imminente Vertice NATO dell’8 e 9 luglio, che si terrà a Varsavia, arriva in un momento particolarmente critico per il mondo euro-atlantico. Alla sfida posta dalla Russia all’ordine internazionale occidento-centrico e alla minaccia del terrorismo internazionale posto dallo Stato Islamico (IS) si sono venute a sovrapporre una campagna elettorale negli Stati Uniti dagli esiti sempre più incerti e la prima storica regressione del processo di integrazione europea causata dalla Brexit, che potrebbe avere ripercussioni sulla stessa Alleanza Atlantica. Al di là dei più recenti sviluppi, comunque, le trattative diplomatiche in Polonia verteranno soprattutto su questioni strategiche di più “vecchia” data relative al fianco Est e a quello Sud della NATO. Due fronti, questi, che nel corso degli ultimi due anni hanno convissuto a fatica nelle discussioni interalleate e la cui pericolosità, ancora oggi, viene percepita in modo differente dai vari Paesi membri, a cominciare proprio dagli Stati Uniti (…) SEGUE >>>
2014-2016: ASCESA ED EVOLUZIONE DELLO STATO ISLAMICO IN “SIRAQ” ALESSANDRO TINTI ↴ La violenta affermazione del gruppo Stato Islamico (IS) intercetta, alimenta ed è essa stessa il prodotto di una profonda ristrutturazione della regione mediorientale, che vede nello smembramento della Siria travolta da una guerra civile quinquennale e dell’Iraq post-Saddam Hussein logorato dalle rivalità settarie il processo più appariscente. Del resto l’unificazione del “Siraq” sotto la propaganda e gli urti del sedicente Califfato islamico fu iconicamente simboleggiata nel luglio 2014, all’indomani dell’investitura del “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, dalla distruzione della “linea nella sabbia” tracciata dai noti accordi Sykes-Picot di età coloniale, di cui peraltro quest’anno ricorre il centenario, e l’ordine statale da questi rappresentato. Tuttavia, la sfida lanciata dalle milizie islamiste è propriamente il sintomo e non la fonte di un vento di cambiamento che, nel contesto delle sollevazioni popolari contro Assad, rapidamente precipitate in un conflitto armato dalle conseguenze disastrose, e delle contraddizioni dischiuse dal fallimentare intervento statunitense in Iraq (…) SEGUE >>> A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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