N°21, 4-17 SETTEMBRE 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 18 settembre 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Fabio Rondini Maria Serra
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Photo Credits: Reuters; Kevin Lamarque/Reuters; EuNews.com; The Atlantic.
FOCUS LIBIA ↴
Continua l’avanzata e la liberazione degli ultimi quartieri di Sirte da parte delle milizie di Misurata e degli uomini fedeli al governo di unità nazionale del Premier in pectore Fayez al-Serraj. Un’avanzata ostacolata ormai soltanto dall’ingente quantità di trappole e mine inesplose disseminate nell’area e lasciate lì dai militanti fuggitivi della cellula dello Stato Islamico (IS) in loco. È questo del resto anche il motivo per cui non possono rientrare in città i circa 90.000 profughi che hanno dovuto lasciare le loro case prima o durante il periodo di assedio. Nonostante l’ormai imminente e definitiva liberazione di Sirte abbia contribuito a rafforzare l’immagine internazionale di al-Serraj, la sua posizione continua ad essere altamente precaria. Non frena, infatti, l’ostruzionismo portato avanti dal Parlamento di Tobruk il quale ancora una volta a fine agosto non ha accordato la fiducia all’esecutivo proposto da al-Serraj. Il 5 e il 6 settembre i delegati libici al Dialogo politico mediato dall’ONU si sono riuniti al fine di concordare appunto una nuova lista di nominativi da proporre ai vertici della Cirenaica: sembrerebbe essersi deciso, da un lato, di ridurre il numero dei Ministri e, dall’altro, di inserire tra le personalità che dovrebbero formare il nuovo esecutivo nomi più graditi ai vertici di Tobruk. La precarietà del governo al-Serraj non dipende solo e unicamente dall’ostruzionismo condotto tramite il canale parlamentare: domenica 11 settembre quattro terminal petroliferi della Cirenaica, in particolare Ras Lanuf, Sidra, Brega e da ultimo Zueitina sono stati conquistati, in poche ore e senza spargimento di sangue, dall’Esercito Nazionale di Liberazione guidato dal Generale Khalifa Haftar. La milizia 1
che era stata posta a controllo dei pozzi petroliferi, cioè la Guardia dei pozzi petroliferi guidata da Ibrahim Jadhran che aveva giurato fedeltà al governo di unità nazionale di al-Serraj, sembrerebbe aver lasciato strada libera alle forze di Haftar nella conquista dei siti in questione. Le stesse popolazioni della cosiddetta Mezzaluna petrolifera, la zona tra Ajdabiya e Sirte, avrebbero appoggiato l’azione delle milizie di Haftar, stanche delle tasse imposte dagli uomini di Jadhran e dal blocco della produzione e delle esportazioni che questi avevano imposto. Proprio, questa, infatti, è stata la giustificazione portata avanti dal Generale Haftar che in un’intervista al giornale egiziano al-Ahram al-Arabi ha precisato che «l’operazione è mirata a liberare i porti dalle mani di una banda di miliziani che ha bloccato l’esportazione del greggio, provocando enormi perdite all’economia». L’offensiva di Haftar è stata subito condannata dall’Occidente: in un comunicato congiunto Italia, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno fatto appello «a tutte le forze che sono entrate nella Mezzaluna petrolifera a ritirarsi immediatamente, senza precondizioni». Nello stesso comunicato il blocco occidentale ha rinnovato il proprio pieno sostegno al governo di unità nazionale, riconoscendolo ancora una volta quale sola autorità legittima della Libia. Al comunicato occidentale ha logicamente fatto eco il comunicato diffuso dal governo al-Serraj, in cui si è definita l’avanzata delle forze del Generale Haftar «un’aggressione flagrante», nonché un atto contrario al processo di riconciliazione. Poche ore dopo questo comunicato, il 12 settembre, il governo al-Serraj annunciava una controffensiva per riprendere i pozzi petroliferi, facendo tre giorni dopo un passo indietro e preferendo la via del dialogo. La proposta di Tripoli consisteva non più nell’abbandono e nel ritiro di Haftar dai pozzi petroliferi, ma in una nuova richiesta a tutte le parti libiche in conflitto di riunirsi per trovare un accordo. Il cambio di strategia è derivato probabilmente anche e soprattutto dalla decisione di Haftar di consegnare i terminal petroliferi alla National Oil Corporation (NOC), sebbene le forze di Tobruk continuino a mantenerne fisicamente e militarmente il presidio per questioni di sicurezza. La NOC, dopo aver accolto con soddisfazione la decisione di Haftar, ha annunciato tramite il suo portavoce, Mustafa Sanalla, che «le esportazioni riprenderanno immediatamente da Zueitina e Ras Lanuf», continueranno da Brega, dove in realtà non erano mai state sospese nonostante la guerra, e riprenderanno quanto prima possibile da Sidra. Grazie a questa sortita militare Haftar consolida il suo controllo sulla Libia centro-orientale, sulle infrastrutture principali del Paese – perlomeno quelle legate al petrolio – e soprattutto sulla zona della Mezzaluna petrolifera. La guerra del petrolio è una delle variabili più rilevanti della contesa tra Tobruk e Tripoli: l’industria petrolifera libica era il settore trainante prima dello scoppio della guerra, essendo la Libia uno dei Paesi più ricchi di petrolio della regione e, per definizione, classico esempio di rentier State. Per quanto ovviamente l’industria petrolifera risulti, dopo anni di guerra civile e l’azione di svariati gruppi primo fra tutti l’IS, fortemente compromessa nelle sue capacità produttive, resta pur sempre il settore chiave sul quale solamente può basarsi una ripresa economica del Paese. Il controllo delle risorse petrolifere e di conseguenza, dunque, la ripresa economica risulta essere 2
pertanto l’unica concreta assicurazione per la sopravvivenza di un governo stabile ed effettivo nel Paese. Da tutto ciò si deduce chiaramente l’importanza della vittoria in questa partita legata al petrolio che si sta giocando tra Tripoli e Tobruk.
LA “GUERRA DEL PETROLIO” – RIELABORAZIONE GRAFICA: REUTERS
In linea con l’appoggio ad al-Serraj, deve registrarsi, infine, l’attivazione, il 13 settembre, della missione italiana Ippocrate: una missione composa da circa 300 unità – 65 delle quali medici e infermieri e le restanti di supporto logistico e addetti alla sicurezza – che saranno inviate nella zona di Misurata per procedere all’installazione di
un ospedale da campo di
tipo Role 2. La costruzione
dell’infrastruttura medico-sanitaria si è resa necessaria in seguito ai problemi legati alle difficoltà e ai tempi eccesivamente lunghi per il trasporto e alle cure dei soldati fedeli al governo di unità nazionale impegnati nella lotta contro i gruppi jihadisti presenti in territorio libico. Oltre all’invio di personale, la missione prevede anche il dipsiegamento di un aereo C27J da trasporto per eventuali evacuazioni d’emergenza e di una nave già impegnata nella Missione Mare Sicuro per un supporto aggiuntivo. L’inquadramento della missione è quello di una missione umanitaria;
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tuttavia, sebbene non si abbiano ancora precise indicazioni circa le regole di ingaggio dei nostri militari, per lo più appartenenti al 186° Reggimento della Folgore, sembrerebbe si sia previsto l’uso della forza in caso di attacco in linea con la Risoluzione 2258/2015 del Consiglio di Sicurezza. Nonostante non sia stata ancora indicata la data precisa dell’inizio della missione, i tempi sembrerebbero essere non più lunghi di 3 settimane. Per la prima volta, dunque, escludendo le missioni di forze speciali e quelle di agenti segreti, i militari italiani saranno ufficialmente presenti su territorio libico.
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SIRIA ↴
Il bombardamento dei caccia americani contro posizioni dell’esercito siriano a Deir ez-Zor, che ha provocato la morte di oltre 60 soldati delle forze di Damasco, rischia di rappresentare un freno ai significativi sforzi diplomatici che si erano registrati nell’ultima settimana intorno al conflitto siriano. Dopo una lunga maratona negoziale, il 9 settembre il Segretario di Stato statunitense John Kerry ed il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov avevano infatti raggiunto un’intesa per un cessate il fuoco temporaneo in Siria. È la seconda volta che Stati Uniti e Russia trovano un accordo sulla Siria, dopo che il precedente, siglato nel febbraio scorso, era fallito nel giro di poche settimane a causa soprattutto della prosecuzione della battaglia intorno alla città di Aleppo. Il raggiungimento della nuova intesa avrebbe pertanto dovuto rappresentare un importante passo in avanti delle diplomazie russe e statunitensi per una soluzione al conflitto in questione, soprattutto se si tiene conto che il Vertice G20 di Hangzhou, in Cina, del 4-5 settembre – a margine del quale i Presidenti Barack Obama e Vladimir Putin si erano incontrati per discutere anche della questione siriana – non aveva prodotto alcun significativo cambiamento o risultato in merito. L’accordo, i cui dettagli non sono stati completamente rivelati neanche agli altri membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha previsto, innanzitutto, la cessazione delle ostilità tra l’esercito regolare di Assad e le opposizioni ribelli, sostenute dagli Stati Uniti, per almeno sette giorni, al fine di permettere l’apertura di corridoi umanitari che consentano di portare aiuti nella città di Aleppo, colpita in maniera decisa dai bombardamenti dell’ultimo mese e intorno alla quale si sono asserragliate le forze pro-regime sostenute dalla Russia. Secondariamente, la creazione di un Joint Implementation Center (JIC) verrà utilizzato per la condivisione delle informazioni
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necessarie a definire le aree controllate dai gruppi ribelli moderati e la strategia da intraprendere nei confronti dello Stato Islamico (IS). L’accordo di tregua è stato sottoscritto, oltre che dal Presidente siriano Bashar al-Assad, anche dagli alleati libanesi di Hezbollah, dall’Iran e dalla Turchia, benché quest’ultima non sia intenzionata a sospendere le operazioni contro le milizie curde. I gruppi ribelli riuniti sotto la sigla dell’Esercito Siriano Libero (ELS) hanno accettato l’accordo, esprimendo alcune riserve sul fatto che lo stesso possa indirettamente favorire Assad; tale possibilità ha convinto Ahrar al-Sham – gruppo ribelle considerato terrorista dalla Russia ma non dagli USA – a rigettare l’intesa trovata da potenze esterne. L’accordo di Ginevra avrebbe dovuto perciò rappresentare uno strumento utile a ridefinire le alleanze, che possa consentire l’inizio di un dialogo politico tra Damasco e i ribelli moderati isolando i gruppi islamisti radicali, in primis gli ex qaedisti di Jabhat Fatah al-Sham e lo Stato Islamico.
POSIZIONI SUL CAMPO – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WARS / RIELABORAZIONE GRAFICA: AP
Restano difatti confermate le operazioni contro quest’ultimo, che alla vigilia dell’accordo aveva lanciato un’ondata di attentati suicidi volti a minare ad ovest le posizioni del regime a Tartous, Homs e a Damasco, nonché a nord quelle delle Unità di Protezione Popolare (YPG) a Qamishli e Hasakah in evidente connessione al definitivo arretramento dai territori settentrionali della Siria dopo l’intervento di Ankara. Dopo l’allontanamento dalle linee di contiguità con la Turchia e dopo l’uccisione del portavoce Abu Mohammad al-Adnani e di Abu Omar al-Shishani, l’IS ha inoltre regi-
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strato la perdita del proprio Ministro dell’Informazione, Wail Adil Hasan Salman al-Fayad – meglio conosciuto come Dr. Wail, responsabile dei video di propaganda e influente membro del Consiglio della Shoura –, nel corso di un bombardamento USA su Raqqa. Al di là di quelle che potranno essere le ripercussioni del raid americano del 17 settembre ai danni dell’esercito damasceno – erroneo secondo la Casa Bianca, considerato intenzionale dalla Russia poiché volto a minare le basi del cessate il fuoco –, numerosi altri nodi restano tuttavia sul tappeto. Anzitutto non è stato ancora possibile consentire alle Nazioni Unite di portare gli aiuti umanitari necessari nella città di Aleppo, e ciò rappresenta un punto importante dell’accordo ancora non implementato. In secondo luogo, malgrado le Nazioni Unite abbiano riscontrato una sensibile diminuzione dei morti, continuano a registrarsi violazioni della stessa tregua: mentre il governo di Damasco accusa i ribelli di aver perpetrato una serie di attacchi nelle adiacenze di Jobar – un quartiere della capitale che secondo gli stessi ribelli sarebbe stato invece colpito dall’esercito governativo –, alcuni scontri si registrano nella zona di Idlib, oltre che tra le città di Homs e Hama. Resta inoltre alta la tensione nei territori meridionali, lungo il valico di Quneitra, dove caccia dell’aviazione militare israeliana hanno condotto una serie di raid colpendo una postazione dell’esercito di Assad che nei giorni precedenti aveva lanciato verso la zona di Hadba una serie di razzi. Tel-Aviv ha ad ogni modo smentito la notizia annunciata dalle forze armate siriane circa un presunto abbattimento di un jet e di un drone israeliano.
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BREVI COREA DEL NORD, 9 SETTEMBRE ↴
La Corea del Nord ha effettuato il suo quinto test nucleare dopo quelli compiuti nel 2006, 2009, 2013 e ai quali si aggiunge l’esplosione della bomba a idrogeno del 6 gennaio 2016. L’evento ha suscitato ancora una volta, la preoccupazione della comunità internazionale. L’agenzia di stampa di Pyongyang, la Korean Central News Agency (KCNA) ha diramato un comunicato che conferma il successo della miniaturizzazione delle testate nucleari e che ora il regime è in grado di posizionare le suddette su missili balistici, il che rappresenterebbe una svolta nelle capacità nucleari del Paese. La detonazione del 9 settembre, la più potente di tutti i precedenti esperimenti condotti finora da Pyongyang, ha causato un terremoto di magnitudo 5.3 e ha suscitato le dure condanne da parte di Seul, Pechino, Tokyo e Washington. Il Premier giapponese Shinzo Abe ha definito il test nordcoreano “inaccettabile” e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riunitosi in via straordinaria su richiesta di Giappone, USA e Corea del Sud, ha condannato l’accaduto, invitando gli Stati membri ad applicare rigorosamente le sanzioni che l’ONU aveva già imposto a Pyongyang e che aveva inasprito a seguito dell’esplosione della bomba a idrogeno nello scorso gennaio. Tokyo e Seul, invece, hanno preannunciato l’intenzione di imporre sanzioni unilaterali. Nei giorni successivi all’esperimento, la KNCA ha inoltre richiesto espressamente al Presidente USA Barack Obama di riconoscere ufficialmente la Corea del Nord come “Stato nucleare”, affermando che il test è stato una risposta necessaria alle minacce statunitensi e al dispiegamento congiunto con la Corea del Sud del sistema anti-missilistico THAAD lungo il confine nordcoreano nel luglio 2016. Il 13 settembre il Dipartimento di Stato americano ha ordinato a due bombardieri B-1B di sorvolare
lo
spazio
aereo
sudcoreano
seguendo
una
traiettoria
di
volo
sufficientemente vicina al confine con la Corea del Nord con un duplice obiettivo: svolgere un ruolo deterrente e rafforzare l’alleanza tra gli Stati Uniti e gli alleati asiatici.
STATI UNITI-ISRAELE, 14 SETTEMBRE ↴ I delegati di Stati Uniti e Israele hanno firmato il rinnovo dell’accordo per l’erogazione di aiuti militari nei confronti di Tel Aviv. Il documento prevede la concessione di circa 3,8 miliardi di dollari annui dal 2018 al 2028, 5 dei quali andranno a rafforzare il settore della difesa missilistica; i fondi, inoltre, 8
dovranno essere impiegati per l’acquisto di armamenti prodotti negli USA. L’intesa, volta a rinnovare il precedente accordo firmato nel 2007 e in scadenza nel 2018, è stata raggiunta dopo mesi di lunghi negoziati, resi più delicati dal peggioramento progressivo dello storico legame tra Tel Aviv e Washington, acuitosi sotto la presidenza Obama e in particolar modo legato sia alla conclusione dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 sia al progressivo sganciamento degli USA dal Medio Oriente. Si tratta del più importante trattato bilaterale di aiuti militari mai firmato nella storia diplomatica statunitense: con 38 miliardi di dollari complessivi, il nuovo accordo supererà nettamente il precedente Memorandum decennale siglato sotto la presidenza di George W. Bush, che complessivamente ha fatto confluire verso lo Stato ebraico 30 miliardi di dollari, ai quali si aggiungono le “donazioni extra” provenienti dal Congresso. Il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, pur non avendo ricevuto i 45 miliardi di aiuti richiesti, ha ottenuto un importante aumento del budget stanziato per la sicurezza del proprio Paese dinnanzi alla crescente instabilità in Medio Oriente. Una “sindrome da insicurezza” israeliana dettata sia dalle numerose guerre combattute contro gli Stati arabi confinanti, sia dalla persistenza di minacce asimmetriche (Stato Islamico, Hezbollah, Hamas, in primis).
UNIONE EUROPEA, 22 AGOSTO ↴ Si è concluso con l’enunciazione di una serie di obiettivi generici il Vertice informale dei Ventisette leader dell’Unione Europea – non vi ha partecipato infatti il Regno
Unito
–
a
Bratislava,
in
Slovacchia.
La
comunione di intenti sulla necessità di ripristinare il pieno controllo delle frontiere esterne, di assicurare la sicurezza interna e di combattere il terrorismo, di rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza e difesa, nonché di potenziare il mercato unico favorendo maggiori opportunità per i giovani europei, ha avuto lo scopo di restituire l’immagine di un’Europa più unita all’indomani del referendum britannico sulla cosiddetta Brexit. Tuttavia divergenze si sono registrate intorno ai temi della crescita economica e dell’immigrazione, che secondo il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi non sono stati sufficientemente trattati. Nonostante la positività degli incontri avvenuti nel corso dell’estate a Ventotene e a Maranello con François Hollande e Angela Merkel, nel corso dei quali lo stesso Primo Ministro era tornato a promuovere un piano per la Difesa europea fondato sul connubio Italia-Francia-Germania, la posizione di Renzi – plausibilmente motivata anche dalle dinamiche politiche interne italiane – rischia di segnare un nuovo strappo con i due leader. Se le priorità in materia di sicurezza e difesa sono condivise anche dai Paesi dal cosiddetto “Gruppo di Visegrád” (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), gli stessi hanno presentato una propria roadmap per il futuro dell’UE, in aperta critica all’approccio finora adottato. Il documento, promotore di un cosiddetto “processo di Bratislava” e di un rafforzamento 9
della “legittimità democratica” – intesa quale salvaguardia e rafforzamento dei Parlamenti nazionali –, intende introdurre il concetto di “solidarietà flessibile” nelle politiche di immigrazione e chiede che ogni meccanismo di redistribuzione delle quote avvenga su base volontaria. L’Ungheria, che di recente ha annunciato l’intenzione di costruire un nuovo muro lungo il confine con la Croazia, ha indetto per il prossimo 2 ottobre un referendum sul piano dell’UE per la ricollocazione dei migranti.
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ALTRE DAL MONDO ARMENIA, 8 SETTEMBRE ↴ A due mesi di distanza dalla crisi degli ostaggi a Yerevan, che – alla pari delle proteste dell’anno precedente – aveva evidenziato il malcontento popolare nei confronti delle politiche dell’esecutivo, il Primo Ministro Hovik Abrahamyan ha annunciato le proprie dimissioni. Sulla scelta avrebbero soprattutto inciso le dichiarazioni del Presidente Serzh Azati Sargsyan circa la necessità di operare un rimpasto di governo per ristabilire gli equilibri e ritrovare la fiducia dei cittadini. Al posto di Abrahamyan, in carica dal 2014, si è insediato Karen Karapetyan, già sindaco della capitale armena tra il 2010 e il 2011, nonché già vice Presidente di Gazprombank, vice Amministratore Delegato di Gazprom Mezhregiongaz e vice Direttore Generale di Gazprom Energoholding. Considerata la tradizionale influenza che la Russia esercita sulla politica armena, in particolare proprio attraverso il settore energetico, è lecito supporre un ulteriore rafforzamento delle relazioni con Mosca.
CROAZIA, 11 SETTEMBRE ↴ Con il 36,2% dei voti, la coalizione guidata dal Partito conservatore dell’Unione Democratica Croata (HDZ) di Andrej Plenković ha vinto le elezioni legislative anticipate, battendo il blocco di centro-sinistra guidato dal Partito Socialdemocratico (SDP) dell’ex Premier Zoran Milanović, fermatosi al 33,8%. Lo stesso leader socialdemocratico, che i sondaggi davano in testa, ha annunciato il ritiro dalla guida del partito, che avverrà formalmente dopo il relativo congresso. L’impossibilità di raggiungere una maggioranza assoluta (61 contro 54 seggi in seno al Sabor, il Parlamento croato), rischia tuttavia di riproporre lo stesso scenario di instabilità fuoriuscito all’indomani del voto del novembre 2015, costringendo le formazioni a ricorrere nuovamente ad un’alleanza di governo. Malgrado la perdita di consensi rispetto alla precedente tornata elettorale (quando ottenne il 13,5% dei voti conquistando 19 seggi) e nonostante le divergenze con HDZ con cui componeva l’esecutivo presieduto da Tihomir Orešković, Most – l’associazione delle liste indipendenti guidata da Božo Petrov – continua ad attestarsi come terza forza in grado di definire gli equilibri dello scenario politico croato.
FRANCIA-GERMANIA, 13-14 SETTEMBRE ↴ Durante una serie di perquisizioni condotte in tre centri di accoglienza per profughi nelle regioni della Bassa Sassonia e dello Schleswig-Holstein, nel nord della Germania, i servizi di sicurezza tedeschi hanno arrestato tre profughi siriani richiedenti asilo sospettati di avere legami con lo Stato Islamico (IS). Il blitz è stato condotto da circa 200 tra agenti delle forze di sicurezza e delle unità speciali anti-terrorismo tedesche. Secondo il Ministro dell’Interno tedesco Thomas de Maizière, le prove riscontrate di-
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mostrerebbero l’esistenza di contatti certi tra questa “cellula dormiente” e il commando degli attentatori autore della strage di Parigi del 13 novembre dello scorso anno. Negli stessi giorni in Francia sono stati effettuati una serie di arresti nella banlieue di Boussy-Saint-Antoine (situata circa 30 Km a sud-est rispetto alla capitale francese), nell’ambito delle indagini avviate a seguito del ritrovamento di un’auto con a bordo bombole di gas vicino a Notre Dame, a Parigi, nella notte tra sabato 3 e domenica 4 settembre. Inoltre, la polizia francese ha arrestato due giovani minorenni che si erano proposti come volontari per azioni terroristiche e che erano in collegamento con il jihadista Rachid Kassim, sospettato di teleguidare dalla Siria i suoi seguaci tramite il servizio di messaggeria criptata Telegram.
GERMANIA, 4 SETTEMBRE ↴ In attesa dei risultati delle consultazioni amministrative a Berlino, le elezioni nel Meclemburgo-Pomerania hanno rappresentato un nuovo importante test per il partito di Angela Merkel in vista del voto legislativo del 2017. Con il 19% dei consensi, l’Unione Cristiano-Democratica (CDU) della Cancelliera, che peraltro in questo Land ha il proprio collegio elettorale, è arrivata dietro i populisti di Alternative für Deutschland (AfD), che hanno ottenuto il 20,8%. La flessione dei voti (5 punti percentuali) del Partito socialdemocratico (SPD) – che ha raccolto il 30,6% delle preferenze, confermandosi comunque alla guida del governo regionale – evidenzia la costante crescita dei consensi intorno alla formazione guidata da Frauke Petry e la perdita di fiducia nei confronti dei partiti tradizionali, in particolare quelli di sinistra. Linke ha difatti ottenuto il 13,2% (rispetto al 18,4% di cinque anni fa), mentre i Verdi non hanno superato la soglia di sbarramento.
MOLDAVIA, 11 SETTEMBRE ↴ Come riportato dall’agenzia di stampa "Moldova.org", alcuni soldati statunitensi appartenenti alla Guardia nazionale del North Carolina sono giunti a Chișinău per partecipare alle manovre militari “Fire Shield 2016”, guidate dal Colonnello Andrei Șevcenco, presso la base di addestramento militare di Bulboaca. L’esercitazione internazionale, a cui, oltre ai 30 soldati statunitensi, partecipano 30 soldati rumeni e 233 soldati moldavi, è iniziata lo scorso 11 settembre e terminerà sabato 24. L’obiettivo di queste manovre sarà quello di rafforzare l’interoperabilità tra esercito moldavo, rumeno e statunitense e di preparare delle sub-unità di artiglieria dell’esercito nazionale anche in evidente connessione con il rischio di nuove escalation di tensioni nella vicina Ucraina.
RUSSIA-CINA, 23 AGOSTO ↴ Russia e Cina hanno dato inizio ad una serie di esercitazioni navali nel Mar Cinese Meridionale (“Joint Sea 2016”). Parte del programma di manovre militari bilaterali standard tra i due Paesi iniziato nel 2012 nel Mar Mediterraneo, le nuove operazioni 12
di addestramento – le più imponenti intraprese congiuntamente dai due Paesi – si inscrivono nel segno di una crescente cooperazione. Teatro operativo sarà la zona di mare ad est di Zhanjiang, la città più meridionale della provincia costiera del Guangdong. Il programma durerà 8 giorni, durante i quali le due potenze si concentreranno principalmente sulla difesa dell’aerea comune, su esercitazioni anti-sommergibile, operazioni di ricerca e soccorso, nonché su simulazioni di ripresa del controllo delle isole. Con queste manovre il Presidente russo Vladimir Putin ha infatti chiaramente dato il proprio sostegno alla posizione di Pechino sulle numerose rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale in un momento di rinnovata tensione all’indomani dalla sentenza della Corte permanente di arbitrato dell’Aja sulla disputa tra Cina e Filippine sfavorevole alla prima.
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ANALISI E COMMENTI LA CENTRALITÀ DELLA “POLITICAL WARFARE” NELL’ERA DELLA GUERRA IBRIDA ALESSANDRO PANDOLFI ↴ In un contesto segnato dal dibattito sui “nuovi conflitti”, che ha preso recentemente la forma della disputa sulla guerra ibrida e sulle zone grigie, l’attualità di concetti quali guerra non convenzionale e informativa è stata da più parti evidenziata. Anche il concetto di political warfare è tornato alla ribalta dopo un periodo di disinteresse, almeno in Occidente. Nonostante questa categoria sia ancora disputata tra gli specialisti, è stata di recente richiamata – assieme a concetti più puramente bellici – per interpretare gli approcci irregolari che Mosca ha impiegato nel contesto ucraino. Ma le riflessioni statunitensi hanno riguardato anche altri attori, come la Cina e l’Iran, che dispongono di strumenti asimmetrici e irregolari sempre più sofisticati per contrastare la superiorità militare convenzionale di Washington. Per interpretare al meglio le strategie asimmetriche che stanno causando la crescente attenzione occidentale occorre considerare una categoria di nicchia come quella della guerra politica, materia controversa e limitata ad una ristretta cerchia di specialisti, tuttavia estremamente utile ad inquadrare correttamente alcune dinamiche nelle aree di conflitto e nelle relazioni tra le principali potenze. Clausewitz definisce la guerra come un atto di forza che ha per scopo costringere l’avversario a sottomettersi alla volontà altrui, precisando però come essa si esplichi in forme molto diverse da quelle della “guerra assoluta” (…) SEGUE >>>
I NODI DELLA CRISI GRECA DAVIDE VITTORI ↴ Ad oltre un anno (5 luglio 2015) dal referendum greco sul memorandum d’intesa sulla proposta di salvataggio presentata alla Grecia dalla cosiddetta Troika, le prospettive del governo guidato dal Presidente di SYRIZA (Coalizione della Sinistra Radicale), Alexis Tsipras, non sono rosee. Nonostante nel 2017 si prospetti una crescita positiva del prodotto interno lordo (+2,7% rispetto al 2016), secondo l’OCSE i nodi degli investimenti e del consolidamento fiscale non sono ancora risolti. Nonostante il “no” popolare al piano prospettato dai creditori fosse stato plebiscitario all’epoca (oltre il 60%), il primo governo greco di sinistra radicale dall’avvento della democrazia ha dovuto accettare per calcolo politico le condizioni europee e firmare il mese successivo un nuovo accordo. Dopo la contestata firma della nuova intesa (12 agosto 2015), Tsipras ha dovuto in primis fare i conti con le crescenti tensioni all’interno del partito guidate dall’ex Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e dal gruppo del già Ministro della Ricostruzione della Produzione, dell’Ambiente e dell’Energia Panagiotis Lafazanis. Il primo, dopo aver lasciato il governo, ha dato di recente vita al movimento Democracy in Europe Movement 2025 (DiEM25), di chiara impronta “europeista” – favorevole cioè all’integrazione europea, ma fortemente critico rispetto all’attuale impianto economico e politico dell’Unione Europea –; Lafazanis, già esponente
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di spicco della minoranza all’interno di SYRIZA, è uscito dalla compagine dell’esecutivo e dal partito per fondare Unità Popolare, formazione che sostiene la necessità dell’uscita del Paese dall’euro ma che in occasione delle elezioni legislative del 20 settembre 2015 non ha ottenuto i voti utili per superare la soglia di sbarramento (…) SEGUE >>>
IL GIAPPONE E LE SFIDE DELLA CYBER-SECURITY MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴ Nell’immaginario collettivo, il Giappone si identifica con una realtà di assoluta avanguardia sul piano tecnologico e, più in generale, sul terreno dell’innovazione. Nonostante questo profilo e la rilevanza assunta – nell’ultimo decennio – dai problemi riguardanti il cyberspace, le soluzioni alle ingenti sfide poste dalla cyber-security risultano, paradossalmente, ancora in fase di definizione. Come evidenziato da Mina Pollmann in un interessante e recente contributo pubblicato su The Diplomat, i fattori che causano il lento progredire del Giappone in questo peculiare settore sono molteplici e legati sia all’economia, sia all’ambito sociale. Come riportato nell’articolo, un fattore di primaria importanza, risiede in una caratteristica propria del tessuto economico giapponese, connotato da una «heavy reliance on the Internet», nociva per la vulnerabilità del Paese soprattutto – considerato il rapido sviluppo tecnologico – in termini di valutazione delle effettive misure da adottare per assicurare un livello di sicurezza adeguato. Un altro fattore, in questo caso di natura socio-culturale, è invece strettamente connesso alla «population’s indifference or misunderstanding of the issue» dovuta a diverse cause (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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