N°24, 9-22 OTTOBRE 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 23 ottobre 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Giulia Bernardi Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Nicolò Fasola Danilo Giordano Vladislav Krassilnikov Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Fabio Rondini Maria Serra
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Photo Credits: Associated Press; Reuters/Stevo Vasiljevic; ANSA; Mark Ralston/AFP/Getty Images; La Repubblica; Presidenza del Consiglio dei Ministri.
FOCUS IRAQ-SIRIA ↴
Dopo settimane di smentite e di rinvii dovuti a motivi logistici, il 17 ottobre il governo iracheno e i peshmerga curdi hanno lanciato l’offensiva militare per la riconquista di Mosul, città simbolo, ben più della stessa Raqqa in Siria, delle milizie fedeli allo Stato Islamico (IS), che la controllano dal giugno 2014. L’azione irachena, lanciata con il supporto terrestre e di intelligence delle forze speciali statunitensi, nonché con l’ausilio di altri alleati occidentali, sebbene non siano del tutto chiari i compiti dell’intervento di questi ultimi, mira a liberare la seconda città dell’Iraq entro la fine dell’anno. La campagna militare rappresenta la più grande operazione nel Paese dal ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto 2011. Fin dalle prime ore di battaglia, le forze regolari irachene sono riuscite a strappare diversi villaggi a sud di Mosul, spostando rapidamente la linea del fronte sempre più avanti e attestandola intorno a Bartella e a Bashiqa. Sebbene l’avanzata militare abbia conosciuto un’espansione rapida e a tratti insperata, è probabile che questa conoscerà un lento sviluppo nei prossimi giorni e sarà altrettanto ostacolata dalle manovre di guerriglia, per lo più urbana, dei jihadisti dell’IS (sarebbero all’incirca in 4.000 quelli presenti nell’area intorno Mosul). I miliziani sarebbero pronti ad usare la popolazione civile come scudi umani (si stima che attualmente siano tra le 700.000 e l’1,5 milioni di persone) per ostacolare l’avanzata delle forze regolari e per confondersi tra loro in modo da lanciare azioni suicide contro gli attaccanti. Attraverso, quindi, un’azione a tenaglia i miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi hanno iniziato una serie di attacchi suicidi nei territori che si presumevano fossero sotto il controllo sicuro dell’esercito regolare iracheno e dei peshmerga curdi, come a Kirkuk e Dabis, 1
provocando 16 morti e diverse decine di feriti. L’utilizzo degli attentati kamikaze da parte dell’IS, così come i bombardamenti dei villaggi sotto il loro controllo o le esecuzioni sommarie pubbliche di civili (secondo fonti dell’intelligence irachena non ancora accertate ne sarebbero stati uccisi circa 284, tra cui diversi bambini solo a Mosul), rappresentano un disperato tentativo dell’organizzazione di al-Baghdadi di rallentare l’avanzata delle forze regolari e allo stesso tempo, con un’azione dura di propaganda, di scoraggiare qualsiasi ipotesi di tradimento. Secondo fonti citate dall’agenzia Reuters, l’IS sarebbe prossima ad usare anche armi chimiche nei combattimenti di Mosul.
BATTAGLIA DI MOSUL: LINEA DEL FRONTE – FONTE: STRATFOR
La possibile presa di Mosul entro la fine dell’anno rappresenterà sicuramente l’ennesimo duro colpo inferto allo Stato Islamico, ma rischia anche di scatenare vecchi e nuovi problemi irrisolti con conseguenze nefaste sul futuro del Paese e sull’intero scenario mediorientale/internazionale. Secondo un’analisi del gruppo di lavoro effettuata dalla società privata di sicurezza e difesa statunitense IHS, l’IS ha perso dal gennaio 2015 il 28% dei propri territori tra Siria e Iraq, di cui all’incirca il 16% (un’area paragonabile all’isola di Sri Lanka), nei primi 9 mesi del 2016, pari ad un quarto dell’area totale sotto il suo controllo. Sempre secondo gli studi di IHS, da luglio 2016 la perdita di territori sarebbe stata rallentata a causa soprattutto della diminuzione degli strikes russo-siriani. 2
Parallelamente alle difficoltà sul campo di battaglia si aggiungono quelle logistiche, legate alla propaganda e al crollo del numero di foreign fighters combattenti in loco (da 2.000 a 200 unità al mese, una riduzione netta del 10%).
TERRITORI DELL’IS (05.01.2015 – 03-10.2016) – FONTE: IHS CONFLICT MONITOR/BBC
Sul fronte siro-iracheno, Ankara pressa USA e Iraq per poter partecipare nelle operazioni militari su Mosul, nonché di potersi accreditare quale soggetto attivo e fondamentale in un futuro tavolo negoziale di un Iraq post-IS. L’obiettivo del Presidente Recep Tayyp Erdoğan è quello di securitarizzare i confini orientali turchi impedendo che vi siano collegamenti diretti o un travaso di combattenti tra PKK e curdi iracheni del KRG. Sempre Ankara, in appoggio ai ribelli siriani del Free Syrian Army (FSA), continua l’avanzata nel nord-ovest della Siria, al fine di consolidare le aree sotto il controllo delle forze anti-Assad e contestualmente di ostacolare i progetti curdo-siriani del PYG di creare un continuum terrestre tra i cosiddetti cantoni curdi. Nelle operazioni in Siria, inoltre, FSA ed esercito turco hanno liberato il villaggio di Dabiq (19 ottobre), centro noto per aver dato il nome alla rivista ufficiale di propaganda dell’IS e, secondo un’antica profezia, luogo dello scontro tra musulmani e infedeli nel giorno del giudizio. Sul fronte diplomatico, invece, dopo il fallimento del Vertice di Losanna sulla Siria del 14-15 ottobre, il Segretario di Stato USA John Kerry ha annunciato la possibilità di inasprire le sanzioni vigenti nei confronti della Russia, valutando l’opzione di inserirne delle nuove a causa dei raid russo-siriani su Aleppo, che stanno provocando un disastro umanitario e che diversi osservatori internazionali delle Nazioni Unite hanno definito una “carneficina”. Mentre Mosca respinge ogni accusa, definendole “false” e “insensate”, il Ministro della Difesa russa Sergej Shoigu, in accordo con l’alleato damasceno, ha indetto una “pausa umanitaria” di poche ore nella città martire, al fine di favorire un’uscita sicura da Aleppo dei civili gravemente feriti. Ciononostante, una grande flotta navale da guerra russa (tra cui un incrociatore, due unità anti-subacquee, quattro navi di supporto e un sommergibile), guidata dalla portaerei
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Ammiraglio Kuznetsov, è partita dalla base di Severomorsk, vicino Murmansk e acquartieramento della Flotta del Nord della Marina militare russa, ha attraversato la Manica e lo Stretto di Gibilterra, sorvegliata dalle navi della Marina militare britannica, e si è diretta verso Tartous, sede della più grande base navale russa nel Mediterraneo. L’obiettivo russo è di intensificare i bombardamenti contro gli insorti di Aleppo e liberare la città ancor prima che USA, Iraq e peshmerga riescano a fare altrettanto con Mosul.
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STATI UNITI ↴
Il 9 ottobre si è tenuto presso la Washington University di Saint Louis, in Missouri, il secondo dibattito presidenziale fra il candidato del Partito Democratico, Hillary Clinton, e il candidato repubblicano, Donald Trump. Il confronto televisivo si è svolto secondo le modalità di un town hall meeting: i candidati, in piedi al centro di un anfiteatro, hanno risposto alle domande sia dei moderatori, Anderson Cooper della CNN e Martha Raddatz della ABC, sia del pubblico, selezionato dall’istituto demoscopico Gallup fra un campione di elettori indecisi. Clinton e Trump sono stati, infatti, subito chiamati a rispondere ad un quesito proveniente dal pubblico sulla loro capacità di rappresentare un esempio positivo per i giovani. I moderatori hanno, a questo punto, orientato la discussione sull’audio del 2005 fatto recentemente trapelare dal Washington Post, in cui il candidato repubblicano utilizza un linguaggio denigratorio nei confronti delle donne. Trump ha minimizzato la controversia, definendo le sue parole «chiacchiere da spogliatoio». Successivamente, il magnate newyorkese ha attaccato duramente il suo avversario sulla questione delle e-mail, promettendo di nominare un Pubblico Ministero speciale per aprire un’inchiesta al riguardo e alludendo, in caso di propria vittoria, ad un eventuale arresto dell’ex Segretario di Stato. In seguito, le domande incalzanti dei moderatori hanno costretto il miliardario di Manhattan ad ammettere di non aver pagato per diversi anni tasse federali e di essere in disaccordo con il proprio candidato alla vice presidenza, Mike Pence, circa la strategia da mettere in atto in Siria. Secondo le rilevazioni di YouGov, il dibattito, iniziato senza stretta di mano fra i candidati e definito da Politico «il più astioso della storia», si è concluso con la vittoria di Hillary Clinton, la quale, tuttavia, è apparsa meno brillante rispetto al primo confronto, stando all’analisi del Washington Post.
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A distanza di soli dieci giorni ha avuto luogo presso la University of Nevada di Las Vegas il terzo ed ultimo dibattito presidenziale della presente stagione elettorale. Il confronto fra i candidati espressi dai due maggiori partiti statunitensi è stato moderato per la prima volta da un giornalista di Fox News, Chris Wallace, il quale ha annunciato anticipatamente i sei temi di dibattito: debito nazionale, immigrazione, economia, Corte Suprema, crisi internazionali e idoneità a ricoprire il ruolo di Presidente. In una sfida televisiva particolarmente densa di discussioni dettagliate in termini di policy, a dispetto dell’accusa principale rivoltagli dal suo avversario, Donald Trump è riuscito a mantenere un atteggiamento presidenziale, almeno nel corso della prima mezz’ora, secondo la valutazione del New York Times. È stata Hillary Clinton, invece, a ricorrere a battute taglienti, interruzioni e attacchi personali con maggiore frequenza, rendendo il candidato repubblicano vittima delle sue stesse tattiche. L’affondo più efficace del candidato democratico è consistito, però, in un contrasto fra la propria lunga esperienza politica e la controversa immagine pubblica del magnate newyorkese. Tuttavia, la fase cruciale del confronto è giunta nel momento in cui Trump ha messo in discussione la legittimità del processo democratico americano, affermando di non avere ancora intenzione di accettare l’esito del voto per creare della suspense. I sondaggi condotti dalla CNN al termine del confronto rilevano come anche in questo caso la maggior parte degli intervistati ritenga che Hillary Clinton si sia dimostrata il candidato più adatto a ricoprire la carica di Presidente.
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BREVI LETTONIA-ITALIA, 13 OTTOBRE ↴ In occasione del 50esimo anniversario dalla fondazione del NATO Defense College a Roma, il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ed il Segretario Generale dell’Alleanza
Atlantica
Jens
Stoltenberg
hanno
comunicato che entro il 2018 l’Italia schiererà in Lettonia una compagnia di 140 militari. Una simile decisione si inserisce nel quadro del processo di rafforzamento del fianco orientale della NATO, da ottenersi, così come decisosi a Varsavia lo scorso luglio, tramite l’invio di quattro battaglioni in Polonia e nei Paesi baltici, in risposta ai loro crescenti timori nei confronti del presunto revanscismo russo. Sia i vertici politici dell’Alleanza sia i Ministeri competenti hanno subito specificato che non si tratta di un atto ostile, quanto del rispetto dei vincoli di mutua assistenza interni alla NATO, già concordati e condivisi dalla stessa Italia durante il Vertice di Varsavia. Sarebbe dunque il risultato di un legame di solidarietà funzionante, atto a rassicurare i partner orientali riguardo la loro sicurezza militare e tutt’al più leggibile come un dispositivo di deterrenza convenzionale. Si nega al contrario che l’atto sia da configurarsi – come Mosca già disse a seguito di Varsavia e ha in quest’occasione ribadito – come un ennesimo esempio di ostilità. Al di là delle dichiarazioni, le tensioni tra UE, NATO e Russia si innestano in un retroterra strategico che sin dalla crisi ucraina si è fatto sempre più scottante. Da allora si sono infatti susseguite continue violazioni dello spazio aereo NATO nel Baltico da parte della Russia, così come si sono registrate esercitazioni dell’Alleanza a ridosso del confine della Federazione, passando per i rafforzati e reciproci dislocamenti missilistici di Patriot e Iskander sempre nell’area baltica. Se da un lato la rafforzata presenza militare della NATO in Est Europa fa intravedere un “ritorno alle origini” – ossia una maggiore attenzione per le questioni di sicurezza convenzionale ex art. 5 –, dall’altro lato bisogna tuttavia badare a non lasciarsi trascinare dalle mode verbali ed isterismi di una nuova Guerra Fredda o, peggio, dell’imminenza di una Terza Guerra Mondiale. Il rischio per entrambe le parti in gioco, infatti, è quello di cadere preda del vortice delle proprie stesse retoriche, trovandosi a brandire armi che, a mente fredda, sarebbe stato ben evitabile impugnare.
LIBIA, 14-15 OTTOBRE ↴ Un gruppo di milizie fedeli all’ex Primo Ministro libico, di orientamento islamista, Khalifa al-Ghwell, ha portato avanti un tentativo di golpe ai danni dell’attuale governo di unità nazionale di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj, prendendo il controllo della zona intorno 7
all’Hotel Rixos, sede del Consiglio di Stato. Subito dopo il golpe, al-Ghwell ha annunciato in una conferenza stampa il rispristino degli organismi statali esistenti prima del 30 marzo 2016, data in cui il governo di unità nazionale guidato da alSerraj e sostenuto dalle Nazioni Unite si è insediato a Tripoli. Ghwell ha accusato l’esecutivo Serraj di essere una semplice pedina in mano a forze straniere aventi quali obiettivo quello di dividere il Paese, arrivando a chiedere al governo di Tobruk di sostenerlo e di unirsi a lui per formare un effettivo governo di unità nazionale. L’appello a Tobruk è in realtà caduto nel vuoto; del resto i rapporti tra il governo “islamista” di Tripoli e quello “laico” di Tobruk risultavano tesi e precari anche prima dell’arrivo di al-Serraj. Non si è fatta attendere, invece, la reazione del governo riconosciuto internazionalmente, il quale, in meno di 48 ore, con l’aiuto dei rinforzi giunti da Misurata, avrebbe bloccato il putsch facendo rientrare l’ennesima crisi libica. Nonostante quella che sembrerebbe essere una vittoria di al-Serraj, il tentato colpo di Stato dimostra l’incapacità del governo di Tripoli di controllare finanche la zona occidentale del Paese e ancora di più quanto la sopravvivenza dell’attuale esecutivo sia appesa alla fedeltà militare delle milizie di Misurata. Questa precarietà, a 5 anni esatti dalla morte di Muammar Gheddafi e dall’inizio della guerra e del caos nel Paese, non fa ben sperare per il futuro. Nel frattempo, il governo al-Serraj ha inviato ufficialmente una richiesta d’aiuto all’Italia per affrontare l’emergenza dei flussi di migranti irregolari. Roma dopo aver formalmente accettato la richiesta libica ha mandato a Tripoli motovedette, fuoristrada e dispositivi per la vigilanza delle coste.
MONTENEGRO, 16 OTTOBRE ↴ Con il 41,42% dei voti il Partito Democratico dei Socialisti (DPS) del Primo Ministro Milo Đukanović ha vinto
le
elezioni
per
il
rinnovo
del
Parlamento
montenegrino, conquistando 36 degli 81 seggi e battendo il Fronte Democratico (FD) – la principale coalizione
di
opposizione
che
riunisce
Nuova
Democrazia Serba (NOVA), il Movimento per i Cambiamenti (PzP), il Partito Popolare Democratico (DNP), il Partito del Lavoratori (RP) e altre formazioni minori che non hanno espressione all’interno della compagine parlamentare – guidato dal leader di NOVA, Andrija Mandić, fermatosi al 20,27%. Seguono l’Alleanza Chiave (Ključ) – coalizione tra Alleanza Democratica (DEMOS), il Partito Socialista Popolare (SNP) e l’Unita Azione Riformista (URA) – dell’ex Ministro degli Esteri e candidato alla presidenza nel 2013, Miodrag Lekić, con l’11%; i Democratici (DCG) di Aleksa Bečić (9,9%); il Partito Socialdemocratico del Montenegro (SDP) del Presidente del Parlamento, Ranko Krivokapić, con il 5,2%. Hanno inoltre superato la soglia di sbarramento del 3% il partito della minoranza bosniaca (BS) con il 3,2%, i Socialdemocratici (SD) con il 3,26%. Malgrado il DPS abbia ottenuto in termini di seggi un risultato migliore rispetto alle elezioni del 2012 (quando ottenne il 45,6%), l’impossibilità di formare un governo di maggioranza potrebbe indurre Đukanović, al 8
potere da più di un ventennio, a dover ricercare un’alleanza per la formazione di un esecutivo stabile, avvantaggiandosi della notevole frammentazione interna delle alleanze di opposizione. Il Fronte Democratico, attraverso un proprio portavoce, non ha tuttavia escluso la possibilità di offrire piuttosto l’appoggio esterno per la formazione di un governo di minoranza che estrometta lo stesso Đukanović. Sullo sfondo di una strisciante instabilità interna legata soprattutto alla posizione dell’esecutivo uscente sui temi dell’integrazione euroatlantica (oltre che sulle relazioni con la Russia), le opposizioni hanno infatti denunciato fin dalla campagna elettorale brogli, irregolarità, falsificazione di documenti, nonché l’organizzazione di un possibile piano di disordini per evitare il riconteggio dei voti, al fine di limitare gli stessi partiti di minoranza. Secondo il Fronte Democratico, il partito del Premier avrebbe inoltre orchestrato lo smantellamento di un’organizzazione eversiva e l’arresto di 20 serbi, avvenuti nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, per screditare l’opposizione: il capo della Polizia montenegrina, Slavko Stojanović, ha dall’altro lato dichiarato che il gruppo criminale, operativo tra Serbia e Montenegro e presumibilmente guidato da Bratislav Dikić, ex comandante della Gendarmeria serba, ha introdotto nel Paese un numero ingente di armi e munizioni e che stava pianificando attentati terroristici nel Paese nella giornata elettorale, nonché il rapimento di Đukanović.
UNIONE EUROPEA, 20-21 OTTOBRE ↴ Si è svolto a Bruxelles il Consiglio ordinario dell’Unione Europea che aveva tra i principali temi di discussione la Siria, la definizione di trattative per la Brexit e la questione migranti. Nella prima sessione il Consiglio europero ha espresso la ferma condanna per le atrocità commesse dal regime siriano e dai suoi alleati, in primis la Russia, contro la popolazione civile di Aleppo, chiedendo l’immediata cessazione delle ostilità, l’accesso di aiuti umanitari senza restrizioni ed il ripristino di un processo politico credibile sotto la tutela ONU. Nonostante il richiamo alla possibilità che l’UE valuti tutte le azioni possibili da intraprendere nei confronti della Russia, nel comunicato finale, su espressa richiesta dei governi di Italia, Cipro e Grecia, non è stata proposta alcuna nuova sanzione contro Mosca. Altro tema forte di discussione è stato quello relativo alla Brexit, ovvero la gestione delle condizioni per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Il Presidente francese, François Hollande, in risposta alle recenti dure affermazioni della Premier inglese Theresa May su una Brexit senza sconti, ha risposto in maniera altrettanto ferma, auspicando negoziati molto duri per l’uscita di Londra dai processi comunitari nei quali è coinvolta. Per quanto riguarda l’altra questione prioritaria per la UE, il tema immigrazione, il Presidente del Parlamento Martin Schulz ha richiamato tutti i governi degli Stati membri ad una forte assunzione di responsabilità nei confronti del problema, sottolineando nell’atteggiamento italiano un vero esempio di solidarietà da seguire. Il Presidene del Consiglio italiano, Matteo Renzi, nell’esprimere soddisfazione 9
per i riconoscimenti avuti, ha sottolineato ancora una volta la necessità di dover rendere concrete queste dichiarazioni: riferimento esplicito all’opposizione di alcuni Stati (tra tutti quelli del blocco di Visegrád) alle politiche di rilocazione dei migranti che giungono in Europa attraverso Italia e Grecia. Nel testo finale del comunicato l’Italia è riuscita, infine, a far inserire un paragrafo che sottolineasse lo sforzo finanziario del Paese nella gestione dei migranti, il che potrebbe aprire spiragli positivi per l’approvazione del tanto discusso Documento di Programmazione Economico Finanziaria italiano, attualmente al vaglio della Commissione UE.
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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 10-19 OTTOBRE ↴ Lashkargah, capoluogo di Helmand, una delle province meridionali dell’Afghanistan, si trova sotto assedio dei talebani da circa un mese. Accanto ai combattimenti quotidiani tra i talebani e forze di sicurezza afghane, il 10 ottobre si è verificato un attentato che ha causato 14 morti, di cui 10 poliziotti, e circa 30 feriti. Un’autobomba è, infatti, esplosa nei pressi di un complesso della polizia afghana, a pochi metri di distanza da una struttura ospedaliera gestita dall’associazione umanitaria italiana Emergency e a qualche chilometro dall’edificio del governo provinciale. Nei giorni seguenti si è verificata un’intensificazione dei combattimenti con razzi che sono stati lanciati fino al pieno centro della città, nonché si è assistito alla conquista talebana dei quartieri di Bolan e Nawa, sempre a Lashkargah.
ARABIA SAUDITA, 16 OTTOBRE ↴ A una settimana dalla fine delle esercitazioni della Marina militare dell’Arabia Saudita nello Stretto di Hormuz, denominate “Gulf Shield 1”, che hanno innalzato la tensione con l’Iran, sono iniziate nuove manovre congiunte della Marina saudita con quella del Bahrain. Le esercitazioni iniziate domenica 16 ottobre sono state denominate “Bridge 17” e si stanno svolgendo nei pressi del porto di Shaikh Salman. Lo scopo dichiarato da parte di Riyadh con le esercitazioni militari in corso è di aumentare le capacità di combattimento e le performance professionali in tutte le operazioni della Marina e contribuire a proteggere le acque regionali contro possibili aggressione. Teheran, che non ha visto di buon occhio le manovre arabe, ha affermato che le Guardie iraniane sono pronte a rispondere nel caso in cui navi saudite possano avvicinarsi all’Iran.
BURUNDI, 12 OTTOBRE ↴ Il Parlamento di Bujumbura ha votato il ritiro del Paese della Corte Penale Internazionale (CPI). Dopo il voto in Assemblea Nazionale, il testo dovrà ancora essere approvato dal Senato prima di essere promulgato dal Capo di Stato Pierre Nkurunziza. Lo scorso aprile il Tribunale Internazionale aveva aperto un esame preliminare sulle violenze avvenute in Burundi dal 2015. Inoltre a fine luglio le Nazioni Unite avevano autorizzato l’invio di 228 poliziotti nel Paese, ma il governo di Nkurunziza aveva rifiutato lo schieramento di queste forze. Pressato pertanto dalla giustizia internazionale, il Burundi aveva espresso la settimana scorsa la sua intenzione di lasciare il CPI. Tale ritiro non escluderebbe tuttavia un’eventuale azione penale internazionale, come è avvenuto nei casi del Darfur e della Libia, rispettivamente, nel 2005 e nel 2011.
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FILIPPINE, 20 OTTOBRE ↴ A seguito di un Vertice a Pechino con il Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, durante il quale è stato formalizzato il riavvicinamento fra i due Paesi, il Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha annunciato una separazione dagli Stati Uniti, chiarendo, tuttavia, che non si tratta di una rottura dei rapporti diplomatici con Washington, bensì un’intenzione di perseguire una politica estera non necessariamente allineata con gli interessi americani. Il possibile shift di Manila nei confronti di Pechino, le cui relazioni sono state finora complicate dalle rispettive ambizioni nel Mar Cinese Meridionale, potrebbero rappresentare inoltre un duro colpo alla politica statunitense di contenimento cinese nella regione, meglio nota come “pivot to Asia”.
GEORGIA, 8 OTTOBRE ↴ Nelle elezioni parlamentari il partito Sogno Georgiano, già al potere dal 2012, si è aggiudicato la vittoria con il 48,8% dei voti, mentre il principale partito di opposizione legato all’ex Presidente Mikheil Saakashvili, Movimento Nazionale Unito, ha guadagnato il 27,1% delle preferenze. L’unico tra i partiti minori a raggiungere la soglia del 5% necessaria per entrare in Parlamento è stata l’Alleanza dei Patrioti, gruppo conservatore che mira allo sviluppo di una società tradizionalista fondata sui principi della chiesa ortodossa. L’affluenza alle urne è stata estremamente bassa. Solo il 51,6% degli aventi diritto è andata a votare. I risultati finali si avranno a inizio novembre, dopo che un secondo turno di ballottaggio che si terrà in 50 circoscrizioni dove i parlamentari vengono eletti attraverso sistema maggioritario. Nonostante alcune irregolarità, le elezioni sono stata considerate in gran parte regolari, libere ed eque da tutti i principali osservatori internazionali.
ISRAELE-PALESTINA, 14 OTTOBRE ↴ Il Consiglio esecutivo dell’UNESCO ha adottato la Risoluzione “Palestina occupata” relativa al patrimonio culturale della città vecchia di Gerusalemme. La proposta è stata avanzata da numerosi Paesi arabi tra i quali Algeria, Marocco, Oman, Qatar, Sudan. La problematica affrontata dal documento è molto chiara: “il Monte del Tempio è un sito esclusivamente musulmano?”. La Risoluzione mira a tutelare il patrimonio culturale palestinese e nega il legame storico-religioso che unisce gli ebrei al “Monte del Tempio”, ove sorgono siti di culto quali il Muro del Pianto, il luogo più sacro per gli ebrei di tutto il mondo, sostituendo così i riferimenti in ebraico con un’unica dicitura in arabo “Haram al-Sharif”, ovvero “Spianata delle Moschee”. Il testo della Risoluzione ha causato l’indignazione del Premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’intera comunità ebraica.
KUWAIT, 16-17 OTTOBRE ↴ L’Emiro del Kuwait, Sheikh Sabah al-Ahmad al-Sabah, ha dichiarato lo scioglimento del Parlamento del piccolo Stato del Golfo: a seguito del complicarsi del contesto 12
economico regionale e delle minacce alla sicurezza, si rende necessario ridare «la parola al popolo per affrontare queste nuove sfide», recita il decreto governativo. La decisione, presa al termine di un consiglio straordinario, è scaturita anche dall’opposizione di alcuni membri del Parlamento ad accettare un aumento dei prezzi del petrolio e dalla richiesta di chiarimenti su presunte violazioni amministrative commesse da alcuni Ministri. Il governo kuwaitiano ha annunciato che le elezioni anticipate si svolgeranno il prossimo 26 novembre.
NIGERIA, 12 OTTOBRE ↴ Una donna kamikaze si è fatta esplodere nei pressi di una stazione degli autobus nel nordest di Maiduguri, capitale del distretto di Borno. La zona è famosa per essere la roccaforte del gruppo jihadista Boko Haram. La bomba esplosa era presente all’interno di un taxi che aveva a bordo 5 passeggeri, 4 donne e l’autista. L’esplosione è avvenuta mentre l’auto stava per avvicinarsi al convoglio militare tra Maiduguri e Gamboru Ngala. Secondo quanto riferito dalle autorità locali, si contano 8 vittime e 15 feriti. Si pensa che la donna suicida possa far parte del gruppo islamista, sebbene al momento non vi sia stata ancora alcuna rivendicazione. Anche nel recente passato, Boko Haram si è spesso avvalso di donne e bambini per compiere i suoi attentati in zone affollate, nei mercati e davanti alle scuole.
RUSSIA-TURCHIA, 11 OTTOBRE ↴ Russia e Turchia hanno firmato un accordo circa la costruzione del Turkish Stream, un gasdotto che trasporterà gas dalla regione russa di Krasnodar alla Turchia attraverso il Mar Nero. Il progetto prevede la costruzione di due linee principali che dovrebbero entrare in funzione entro il 2019. La prima fornirà gas direttamente alla Turchia, mentre la seconda verrà utilizzata per trasportare l’oro blu in Europa attraverso l’Anatolia. Alla firma dell’accordo hanno presenziato i due leader, i Presidenti Recep Tayyp Erdoğan e Vladimir Putin, segnando una nuova tappa nella normalizzazione delle relazioni tra Russia e Turchia.
SOMALIA, 12 OTTOBRE ↴ La Somalia è scossa da una serie di attentati che rischiano di mettere a repentaglio il già fragile equilibrio all’indomani delle elezioni presidenziali, che potrebbero svolgersi tra dicembre e l’inizio del prossimo anno. Gli scontri tra i miliziani jihadisti di alShabaab e le forze della missione di pace AMISOM dell’Unione Africana sono iniziati nella notte tra l’11 e il 12 ottobre nel villaggio di Qoryoolei, a circa 120 km dalla capitale Mogadiscio. I raid sono proseguiti anche nelle province meridionali quasi al confine con il Kenya dove cittadini somali, etiopi e kenioti sono stati giustiziati pubblicamente nelle piazze del villaggio di Jilib dopo esser stati accusati dai miliziani di essere spie dell’intelligence inglese e somala. Si teme inoltre un’infiltrazione politica del gruppo terrorista, la quale metterebbe a serio rischio il futuro democratico del 13
Paese già dilaniato da lunghi anni di guerre civili e soggetto a quotidiani attacchi kamikaze.
STATI UNITI-ITALIA, 18 OTTOBRE ↴ Il Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Matteo Renzi è stato ricevuto dal Presidente Barack Obama nella South Lawn della Casa Bianca: il massimo riconoscimento per un leader straniero. «L’Italia è tra i più forti alleati degli Stati Uniti» ha affermato Obama, rafforzando il proprio sostegno alla campagna referendaria di Renzi: «Ha lanciato una visione di progresso che non affonda le radici nelle paure della gente, ma nelle loro speranze. Gli Stati Uniti sostengono con forza le riforme di Matteo Renzi». Il meeting ha inoltre sollevato numerosi punti di riflessione: dalla risposta al problema migratorio alla lotta al terrorismo, dalla crescita economica al processo di riforma istituzionale, fino alla collaborazione in Iraq e in Afghanistan.
TERRORISMO, 10-12 OTTOBRE ↴ Jaber Albakr, il siriano sospettato di terrorismo e di legami con lo Stato Islamico in Germania, è stato trovato impiccato nella sua cella nel carcere di Lipsia, dove era stato rinchiuso dopo il suo arresto. L’uomo, fuggito in precedenza ad un tentativo di arresto a Chemnitz, era stato fermato l’8 ottobre nella capitale della Sassonia grazie alla denuncia di tre suoi connazionali, i quali dopo aver scoperto la reale identità del soggetto, lo hanno immediatamente bloccato e segnalato alla polizia locale. La vicenda ha fatto emergere molti dubbi sulla reale capacità della polizia tedesca di affrontare la minaccia del terrorismo. Nelle stesse ore in Francia, invece, il governo ha approvato il decreto per la creazione di una Guardia Nazionale, destinata a contare circa 84.000 effettivi volontari entro il 2018, con compiti riguardanti soprattutto il counter-terrorism e che dovrà coadiuvare la Gendamerie nell’affrontare le nuove minacce alla sicurezza nazionale.
UCRAINA, 19 OTTOBRE ↴ Ad un anno dal Vertice di Parigi, i Presidenti di Ucraina, Russia e Francia e la Cancelliera tedesca Angela Merkel, si sono riuniti a Berlino al fine di riprendere i negoziati sulla crisi ucraina e rilanciare gli accordi di Minsk. L’incontro si è concluso senza che nessun accordo ufficiale venisse firmato. I leader hanno comunque raggiunto un’intesa sull’elaborazione di un piano d’azione, o roadmap, che dovrebbe portare alla graduale realizzazione degli accordi di Minsk e sull’allargamento della missione OSCE nell’Est dell’Ucraina. I dettagli del piano d’azione verranno elaborati dai Ministri degli Esteri dei Paesi coinvolti nei prossimi mesi. Secondo il Presidente Ucraino, Petro Poroshenko, l’accordo verrà formalizzato entro fine novembre. L’attenzione si è poi spostata sulla questione siriana: Merkel e Hollande hanno condannato i pesanti bombardamenti russi su Aleppo e ventilato l’ipotesi di nuove sanzioni internazionali contro la Russia. 14
YEMEN, 8-20 OTTOBRE ↴ Un raid aereo della coalizione a guida saudita ha colpito, l’8 ottobre, un obiettivo nella capitale yemenita Sana’a nel corso del funerale del padre del Ministro dell’Interno Houthi, Jalal al-Ruwaishan. Il bilancio è stato di 144 morti e più di 500 feriti. In un primo momento Riyadh ha negato ogni coinvolgimento con l’accaduto, ma nei giorni successivi ha ammesso la colpevolezza della coalizione, affermando che si è trattato di un errore basato su informazioni non corrette. Nei giorni seguenti, diverse navi da guerra americane situate nel Mar Rosso sono state attaccate da missili lanciati da postazioni Houthi nel sud del Paese. La risposta americana – che ha rappresentato il più serio coinvolgimento di Washington nella guerra yemenita – ha visto il lancio di missili Tomahawk contro le basi delle milizie filo-sciite lungo la costa yemenita. Una tregua di 72 ore è iniziata, infine, la sera del 19 ottobre, ma fin dal primo giorno del cessate il fuoco si sono verificati ulteriori scontri tra le parti in lotta che hanno causato la morte di 11 persone.
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ANALISI E COMMENTI L’ARABIA SAUDITA TRA MINACCE INTERNE E LO SPETTRO IRANIANO ELIAS TROGU ↴ La “Guerra Fredda” iraniano-saudita si costruisce su un complesso di dispute ideologiche e di rivalità storiche tra due realtà culturali e statuali profondamente diverse, a cui devono sommarsi concreti interessi politici e geostrategici concorrenti. Secondo Charles Tripp tale rivalità ha contorni primariamente geopolitici, trattandosi di due potenze regionali che affacciano sullo stesso specchio d’acqua, protese alla realizzazione di speculari obiettivi strategici nel Golfo e in Medio Oriente, oltre che essere competitor nella produzione e nell’esportazione di petrolio. Inoltre, Arabia Saudita e Iran rappresentano – simbolicamente e in maniera approssimativa – le due principali anime della religione musulmana, il sunnismo e lo sciismo, ed entrambi hanno utilizzato tali interpretazioni dottrinali come sistemi di legittimazione politica del rispettivo potere locale. Ciò ha portato i due regimi a costruire opposte narrative utili a spiegare la conflittualità settaria quale lettura sommaria e prevalente delle dinamiche mediorientali (…) SEGUE >>>
IL FUTURO DEL GAS IN RUSSIA E IN ASIA CENTRALE. ALLA RICERCA DI UNA NUOVA STRATEGIA OLEKSIY BONDARENKO ↴ Nonostante una netta e rapida trasformazione, il mercato degli idrocarburi rimane ancora uno dei principali fattori nella politica internazionale. L’energia è divenuta, a cavallo tra il Ventesimo e il Ventunesimo secolo, uno dei principali strumenti di competizione geopolitica a livello mondiale, andando ad affiancare il tradizionale potere militare e quello economico degli Stati. In questo contesto la Russia rappresenta un attore principale all’interno della mappa energetica euroasiatica, oltre che anello di congiunzione tra Europa, Caucaso, Asia Centrale e Orientale. Secondo i dati di U.S. Energy Information Administration (EIA) la Federazione Russa è tra i primi dieci Paesi con le maggiori riserve di greggio, nonché il primo produttore mondiale con oltre 10 milioni di barili prodotti al giorno nel 2015. I dati sono però ancora più imponenti nel settore del gas naturale dove Mosca, grazie agli ingenti giacimenti situati in Siberia e nell’Estremo Oriente, detiene il primato sia delle riserve conosciute, sia quello dell’esportazione, davanti a Qatar e Norvegia (…) SEGUE >>> A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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