OPI Weekly Report N°26/2016

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N°26, 6-12 NOVEMBRE 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 13 novembre 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Giulia Bernardi Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Nicolò Fasola Danilo Giordano Vladislav Krassilnikov Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Fabio Rondini Maria Serra

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°26/2016 (6-12 novembre 2016), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2016, www.bloglobal.net

Photo Credits: EPA; CNN; RTE; Sergei Grits/AP Photo; AP Photo/Khalid Mohammed; Philippe Lopez/AP; EU Commission.


FOCUS STATI UNITI ↴

Donald J. Trump è stato eletto 45° Presidente degli Stati Uniti d’America. In uno dei più clamorosi colpi di scena nella storia politica americana, il candidato espresso dal Partito Repubblicano ha superato la soglia dei 270 grandi elettori necessari per conquistare la Casa Bianca, pur avendo il suo avversario democratico, Hillary Clinton, raccolto un numero più elevato di consensi popolari. Le proiezioni indicano che il Collegio Elettorale assegnerà almeno 290 voti al magnate di Manhattan, a fronte degli almeno 228 voti per l’ex Segretario di Stato, mentre il Michigan e il New Hampshire, che conferiscono rispettivamente 16 e 4 grandi elettori, sono al momento ancora too close to call. I sondaggi, che davano quasi unanimemente per favorita – con margini in media del +4% – Clinton, hanno sottovalutato significativamente le potenzialità di vittoria dell’imprenditore prestato alla politica, il quale, contro ogni pronostico, ha prevalso in cruciali Swing States, come Florida, North Carolina, Pennsylvania, Ohio e Iowa, abbattendo persino il cosiddetto Clinton firewall, che salvo sorprese avrebbe dovuto garantire una nuova amministrazione del partito dell’asinello, in un bastione democratico come il Wisconsin. Si è trattato, tuttavia, di una corsa particolarmente competitiva, in cui non di rado una manciata di voti – attorno al punto percentuale degli elettori – ha fatto la differenza in Stati con un’alta posta in gioco, come Florida e Pennsylvania. All’indomani del trionfo del Grand Old Party, che ha conservato la propria maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti sia al Senato nelle elezioni tenutesi

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contestualmente a quelle presidenziali, gli exit poll elaborati dal New York Times suggeriscono che Donald Trump avrebbe cavalcato un’ondata di strisciante risentimento diffuso soprattutto fra i cosiddetti angry white men, l’elettorato maschile, bianco e impoverito, che percepisce ancora gli effetti della Grande Recessione e si scopre in un’America sempre più etnicamente eterogenea. È paradigmatico, infatti, che il 53% degli uomini (+5% rispetto al 2012), il 58% dei bianchi (a fronte di uno sbalorditivo 88% dell’elettorato afroamericano che ha preferito Hillary Clinton) e il 51% dei non laureati si siano espressi a favore del candidato repubblicano. Non sono stati sufficienti per l’ex First Lady i tentativi di ricostruire la coalizione progressista che portò al potere Barack Obama nel 2008, sebbene lei sia riuscita a intercettare il 54% dei consensi femminili, ampie maggioranze fra gli appartenenti a minoranze etniche (65% sia degli elettori ispanici, sia degli elettori asiatici) e il 55% dei voti dei giovani. Una quota non trascurabile di quest’ultimo segmento elettorale, attestantesi attorno al 9%, ha preferito, però, votare per un candidato espresso da un partito diverso dai due maggiori – un esito sintomatico della difficoltà di Trump e Clinton di guadagnarsi la fiducia degli under 30. Nel corso del suo concession speech, Hillary Clinton ha preso atto della sconfitta, congratulandosi con il nuovo President elect e auspicandone il successo per il bene di tutti gli americani. Nel suo discorso della vittoria, Donald Trump ha ringraziato la sua rivale per i numerosi anni di servizio pubblico e ha promesso «a ogni cittadino del nostro Paese che sarò il Presidente di tutti gli americani». Al fine di favorire una pacifica transizione di potere, «uno dei cardini della nostra democrazia», il Presidente Obama ha invitato il suo successore ad un colloquio nello Studio Ovale il 10 novembre, al seguito del quale entrambi hanno espresso piena volontà collaborativa durante una conferenza stampa congiunta.

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BREVI CIPRO, 7-11 NOVEMBRE ↴ Si sono tenuti a Ginevra i negoziati, mediati dalle Nazioni

Unite,

tra

il

Presidente

cipriota

Nicos

Anastasiadis e il leader della comunità turco-cipriota Mustafa Akıncı sulla riunificazione politica dell’isola. Dal 1974, anno dell’invasione da parte delle forze turche, Cipro è rimasta divisa de facto in due entità statali: la Repubblica di Cipro, membro dell’Unione Europea e dell’eurozona, e la Repubblica turco-cipriota del Nord, proclamatasi indipendente nel 1983, a maggioranza musulmana, riconosciuta diplomaticamente solo da Ankara, che occupa circa il 40% della superficie dell’isola. Il nuovo round di incontri, che a detta delle parti in causa è stato positivo, dovrà trovare una soluzione a diverse questioni rimaste insolute negli anni: da una parte, le richieste dei greco-ciprioti sia circa il ritiro delle truppe turche – ancora presenti nel nord del Paese dal 1974 – sia circa l’indennizzo per le perdite di beni e delle proprietà subite dopo gli espropri effettuati da parte dei Turchi nel nord; dall’altra, la volontà dei turco-ciprioti di costituire uno Stato federale e di una maggiore garanzia di protezione dopo l’eventuale ritiro delle forze militari di Ankara. Da decenni il tema è stato oggetto di negoziati internazionali e nel 2004, sotto la mediazione dell’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si era giunti a un accordo (“Piano Annan”), volto a creare uno Stato federale. La divisione del Paese si era manifestata anche in occasione delle consultazioni per la ratifica del patto, che hanno visto i turco-ciprioti approvare in massa il piano, respinto, invece dai greco-ciprioti. Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon ha chiesto a Grecia, Regno Unito e Turchia di garantire il loro sostegno ai colloqui, affermando che i due leader ciprioti sono ad uno snodo storico nella trattativa, che potrebbe concludersi entro fine anno. La Commissione europea ha dato il proprio appoggio ai negoziati. Ankara ha, tuttavia, lasciato intendere che, in caso di fallimento delle trattative, sarebbe disposta ad annettere la porzione settentrionale dell’isola.

GEORGIA, 30 OTTOBRE - 7 NOVEMBRE ↴ I risultati del secondo turno delle elezioni parlamentari tenutesi il 30 ottobre hanno confermato la schiacciante vittoria del partito Sogno Georgiano, il quale si è assicurato un totale di 115 seggi su 150 del Parlamento monocamerale nazionale. I 48 seggi vinti durante il ballottaggio si sono infatti aggiunti ai 67 vinti durante la

prima

tornata

elettorale.

Sia

il

Partito

degli 3


Industriali, sia quello degli Indipendenti si sono visti assegnare un seggio durante questo secondo turno di elezioni. Al contrario, il numero di parlamentari rimane invariato rispetto al primo turno sia per il principale partito di opposizione, nonché partito dell’ex Presidente Mikheil Saakashvili, il Movimento Nazionale Unito, il quale avrà 27 seggi, sia per il partito conservatore Alleanza dei Patrioti, che conquista un totale di 6 seggi. Grazie a questo risultato, il partito al governo, Sogno Georgiano, potrà modificare la Costituzione senza doversi consultare o dover ottenere l’approvazione delle altre forze politiche. Secondo la legge georgiana, infatti, al fine di modificare la Carta costituzionale è necessaria la maggioranza parlamentare, costituita dai ¾ del Parlamento, o 113 seggi. Ignacio Sanchez Amor, il capo della missione di osservatori dell’OSCE a breve termine, ha sottolineato la grande responsabilità che avere la maggioranza costituzionale comporta. «L’equilibrio di potere deve essere opportunamente osservato e i diritti delle minoranze devono essere al centro di ogni discussione se ci sono delle modifiche costituzionali». Tra le prime decisioni del nuovo governo vi è, però, quella di reintrodurre il servizio militare obbligatorio, parzialmente abolita lo scorso giugno dall’ex Ministro della Difesa Tinatin Khidasheli. La decisione è stata annunciata dall’attuale titolare del Dicastero della Difesa, Levan Izoria, il 7 novembre. Il Ministro ha inoltre dichiarato di voler riformare l’attuale sistema di leva, ritenuto iniquo. Tra le altre cose, i soldati avranno diritto a dei giorni di ferie e il loro stipendio salirà a 50 lari al mese, circa 20 euro.

IRAQ-SIRIA, 7-12 NOVEMBRE ↴ Prosegue con cautela l’avanzata militare verso Mosul, lanciata il 17 ottobre scorso dall’esercito iracheno e dai peshmerga curdi, con l’aiuto delle forze internazionali (in

particolare

statunitensi).

Nonostante

l’accerchiamento e il taglio di qualsiasi via di fuga verso l’esterno dei miliziani islamisti, le operazioni sul campo del fronte anti-Stato Islamico (IS) non conoscono particolari sussulti a causa della resistenza riposta dai jihadisti asserragliati in città e pronti a difendere strenuamente le proprie postazioni. Le forze regolari attualmente sono riuscite a strappare all’IS la città di Samah sul versante orientale, mentre su quello meridionale hanno conquistato Nimrud, l’antica capitale assira a 30 Km da Mosul e in mano allo Stato Islamico dal marzo 2015. Nel tentativo di fiaccare o ostacolare l’avanzata degli alleati, l’IS ha lanciato una nuova campagna di attentati nel retroterra strategico teoricamente già sotto il controllo delle forze regolari, in particolare a Samarra, Tikrit e Baghdad. L’intento di tali attacchi è duplice: da un lato quello di creare una sorta di contro-accerchiamento alle azioni dei militari iracheni e dei peshmerga curdi, in modo da tagliare loro le possibili vie di fuga e di rifornimento; dall’altro, attaccando le popolazioni sciite, i miliziani dell’IS sperano di provocare una rappresaglia delle milizie sciite contro i cittadini sunniti favorendo un’emerginazione

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di questi ultimi e quindi il tentativo di dare nuova forza al feeling spezzato tra costoro e il Califfato.

CAMPAGNA DI MOSUL (UPDATE AL 13/11/2016) – FONTE: LIVEUAMAP.COM

Intanto si susseguono numerose accuse internazionali di violenze e crimini contro l’umanità da parte di entrambi gli schieramenti secondo osservatori e ONG come Human Rights Watch. Infatti, se le violenze dei jihadisti dell’IS a Mosul e dintorni paiono trovare conferme dalla scoperta di fosse comuni nelle quali sono stati trovati i cadaveri di civili e militari iracheni, quelle eseguite da forze regolari irachene e dai curdi nei confronti dei villaggi sunniti o cristiani a Ninive e Kirkuk sono ancora contestati e di difficile riscontro a causa delle molteplici problematicità esistenti sul campo. Nel frattempo sul fronte siriano, le Forze Democratiche Siriane (SDF) – una coalizione-ombrello costituita dai curdi-siriani del YPG e da alcuni gruppi di opposizione anti-Assad e militarmente sostenuta dagli Stati Uniti – ha lanciato il 6 novembre l’operazione “Eufrate Wrath” (Ira dell’Eufrate) con l’obiettivo dichiarato di strappare all’IS la loro capitale di Raqqa. I funzionari del Pentagono hanno asserito che l’operazione di isolamento della città potrebbe durare diversi mesi prima dell’inizio delle vere e proprie azioni di conquista.

TERRORISMO, 8 NOVEMBRE ↴ A un anno dagli attentati del 13 novembre 2015 alla sala musicale Bataclan di Parigi e a quello fallito allo Stade de France di Saint-Denis, che hanno provocato la

morte

di

132

persone,

le

indagini

condotte

congiuntamente dalla polizia e dai reparti speciali francesi e belgi hanno evidenziato l’esistenza di una 5


cosiddetta mente esterna, responsabile degli attacchi sia nella capitale francese sia di quelli del marzo 2016 a Bruxelles. Il regista degli attentati è stato individuato in Abu Ahmad, nom de guerre di Oussama Atar, un jihadista belga di 32 anni, che avrebbe definito dalla Siria gli obiettivi europei da colpire, coordinando e finanziando direttamente le attività delle cellule locali sul terreno. Abu Ahmad era stato arrestato in Iraq nel 2005 e condannato a dieci anni di carcere per aver illegalmente attraversato il confine con la Siria. Dopo la sua scarcerazione nel 2012 era rientrato in Belgio prima di tornare ancora una volta in Siria e giurare fedeltà allo Stato Islamico (IS) e al califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Come spiegato da un’inchiesta parallela condotta dal quotidiano francese Le Monde, il nome di Abu Ahmad sarebbe emerso nelle indagini degli inquirenti franco-belgi dopo l’arresto avvenuto nel dicembre 2015 in Austria, dalle parti di Salisburgo, del cittadino algerino Adel Haddadi e di quello pachistano Mohamed Usman, sospettati di aver coordinato gli attentatori di Parigi e Bruxelles per conto di Abu Ahmad. Haddadi e Usman sono sbarcati illegalmente sull’isola greca di Leros il 3 ottobre 2015 insieme ai due kamikaze iracheni che si sono fatti esplodere davanti allo Stade de France. Fin dal loro arresto da parte delle autorità austriache, Haddadi e Usman hanno affermato che le loro attività erano dirette da Abu Ahmad, uomo di fiducia del califfo al quale riportava direttamente per tutte le sue operazioni. Nel timore di nuovi attentati, anche in vista delle primarie repubblicane (20-27 novembre 2016) e socialiste (22 gennaio 2017) che definiranno i nomi dei leader dei due schieramenti che si fronteggerano nelle elezioni presidenziali dell’aprile-maggio 2017, il governo Valls ha deciso di prorogare lo stato di emergenza almeno fino al prossimo 31 gennaio. Nelle stesse ore in cui veniva data notizia dell’identità della mente degli attentati di Parigi e Bruxelles, la polizia tedesca ha arrestato cinque persone in Bassa Sassonia e nel Nord RenoWestfalia, accusate di reclutamento di giovani musulmani radicalizzati per conto dell’IS e di sostegno logistico e finanziario all’organizzazione terroristica. Tra gli arrestati vi è anche il predicatore Abu Walaa, alias di Ahmad Abdelazziz A., ritenuto dagli inquirenti tedeschi un soggetto altamente pericoloso e molto importante nella catena di potere che lo collega all’IS. Abu Walaa è un cittadino iracheno, meglio noto anche come il “predicatore senza volto”, ed è considerato dalle forze di sicurezza tedesche come il “numero 1” dell’IS in Germania. Già nel luglio scorso, le forze di polizia locali avevano disposto una serie di raid contro la rete di Abu Walaa, attiva per lo più nella città di Hildsheim, sede di riferimento non solo per la predicazione radicale nel Paese ma anche per il suo alto tasso di partenze di foreign fighters verso la Siria. Questa nuova tornata di arresti conferma l’esistenza di una vasta rete terroristica tedesca ed europea pronta ad attivarsi anche a distanza.

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UCRAINA, 6-8 NOVEMBRE ↴ L’ex Capo di Stato georgiano Mikheil Saakashvili si è dimesso dalla carica di governatore dell’oblast della città di Odessa, accusando il governo di Kiev e il Presidente ucraino Petro Poroshenko di non voler genuinamente combattere la corruzione del Paese, bensì di esserne tra i primi fautori. Nonostante le dimissioni, Saakahsvili non si ritirerà dalla politica. L’ex leader georgiano ha infatti dichiarato di voler continuare la sua lotta contro la corruzione in Ucraina. La decisione arriva a pochi giorni dall’istituzione a Kiev della Commissione anti-corruzione (NAKO) composta sia da membri locali sia da esperti stranieri, il cui scopo sarà quello di valutare lo stato della corruzione relativamente al settore della Difesa. Nallo specifico, la Commissione in questione, che dovrà sviluppare una strategia d’azione per il biennio 2017-2018, valuterà gli sforzi compiuti fino a questo momento nel combattere la corruzione nel settore, svilupperà raccomandazioni a riguardo delle politiche da implementare, promuoverà la trasparenza delle istituzioni e ne rafforzerà l’efficacia. Nel frattempo nella regione del Donbass si continua a combattere e all’interno della Repubblica Popolare di Donetsk si registra una crescente instabilità. L’uccisione avvenuta lo scorso 16 ottobre di Andrey Pavlov (detto Motorola), il famoso comandante del battaglione Sparta, e il successivo arresto di alcuni capi della polizia e delle forze di sicurezza di Donetsk, suggeriscono una crescente precarietà dello stato di sicurezza all’interno delle repubbliche separatiste che potrebbe sfociare in una vera e propria lotta per il potere. I leader delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, Aleksander Zakharcheno e Igor Plotnitsky, hanno intanto posticipato le elezioni locali che avrebbero dovuto tenersi lo scorso 6 novembre.

UNIONE EUROPEA, 9 NOVEMBRE ↴ La Commissione europea ha presentato il “Pacchetto Allargamento 2016”, il relazioni

annuali

sullo

documento contenente le stato

del

processo

di

convergenza all’Unione Europea da parte dei Paesi candidati – o potenzialmente tali – all’ingresso. Il Commissario per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, Johannes Hahn, ha sottolineato l’importanza delle politiche di allargamento e di avvicinamento alle strutture comunitarie quale fondamentale strumento per l’effettiva stabilizzazione degli Stati del sud-est europeo (nella fattispecie Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Serbia e Turchia), pur riconoscendo l’eterogeneità dei singoli percorsi nazionali e la necessità che i Paesi in questione adottino ulteriori misure di varia natura par garantire il consolidamento dello Stato di diritto, la cooperazione intra-regionale, il rispetto dei diritti fondamentali e dunque degli standard richiesti per l’accesso all’UE. In particolare, la 7


Commissione ha raccomandato l’apertura dei negoziati di adesione con l’Albania: il Paese delle due aquile è quello che tra tutti ha registrato più passi in avanti, in particolare a seguito della recente approvazione della riforma costituzionale (21 luglio) che ha contribuito ad avviare una complessiva riorganizzazione del sistema giudiziario. All’implementazione di tale riassetto, utile ad arrestare la corruzione e a rompere i legami tra gli esponenti della giustizia, della politica e la criminalità, è vincolata l’apertura dei capitoli negoziali, sebbene per questa non sia stato individuato un preciso orizzonte temporale – d’altra parte in linea con la strategia di allargamento annunciata da Jean-Claude Juncker all’indomani dell’insediamento della Commissione. Lotta alla corruzione e al crimine organizzato restano non di meno gli obiettivi da raggiungere anche per la Serbia, con la quale Bruxelles ha già in corso le trattative su quattro capitoli negoziali dopo l’avvio del processo di normalizzazione dei rapporti con il Kosovo. Maggiori sforzi nel processo di riconciliazione, sottolinea la Commissione, devono essere messi in atto da ambo le parti a fronte delle criticità interne emerse nel corso dell’ultimo anno. In particolare le autorità kosovare, malgrado l’entrata in vigore dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA, 1° aprile), sono chiamate a ripristinare il regolare svolgimento dei processi decisionali compromessi a seguito della crisi di governo apertasi dopo la firma degli accordi con Belgrado circa la creazione dell’Associazione delle Municipalità serbe del nord del Kosovo e con il Montenegro sulla demarcazione dei confini (entrambe le intese erano state raggiunte a margine del secondo Vertice del processo di Berlino, il 25 agosto 2015). Con riferimento a Podgorica – la quale proprio dall’accordo con Priština punta ad ottenere la liberalizzazione dei visti da parte dell’UE –, la Commissione ha evidenziato i progressi registrati in termini di maggior trasparenza in occasione delle recenti elezioni legislative (16 ottobre), ma ha anche invitato ad indagare sulle irregolarità e sugli arresti avvenuti nel corso della stessa giornata, nonché a garantire la libertà di espressione nel Paese. Per quanto riguarda la Macedonia – nonostante i passi in avanti nelle riforme e la collaborazione dimostrata con la Serbia in merito alla crisi migratoria –, essa deve ancora dar prova del funzionamento della vita democratica: sono infatti ancora presenti profonde divisioni che ostacolano il raggiungimento di un compromesso politico. Le elezioni indette per il prossimo 11 dicembre rappresentano pertanto il banco di prova per i quattro principali partiti politici macedoni circa l’effettiva implementazione degli accordi di Pržino (2 giugno 2015) e successivi, facilitati dalla stessa UE, e per lo sblocco dell’impasse politica che dura dall’inizio del 2015. Con riferimento, infine, alla Turchia, la relazione della Commissione sottolinea come le misure repressive messe in atto in seguito al fallito colpo di Stato del 15 luglio, che in via definitiva compromettono lo stato di diritto, esprimono la volontà di Ankara di allontanarsi dall’UE; un percorso che, evidenzia Hahn, era in realtà già in corso da tempo e che ora porrà evidentemente le autorità turche di fronte a condizionalità più stringenti. Kati Piri, esponente del Gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, ha richiesto il congelamento dei negoziati di adesione con Ankara finché non verrà ristabilita una situazione di normalità.

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ALTRE DAL MONDO AF-PAK, 11-12 NOVEMBRE ↴ Una spirale di violenze e attentati terroristici hanno investito le città afghane di Mazar-i-Sharif e Bagram e quella pachistana di Khuzdar. Un doppio attacco eseguito dai Talebani a nord di Kabul ha avuto come bersagli il Consolato tedesco di Mazar-i-Sharif e gli alloggi militari della base aerea statunitense di Bagram. Secondo il referto ufficiale, il conteggio totale delle vittime dei due attentati consta di 8 morti e diverse centinaia di feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. La nuova scia di sangue lasciata sul campo dai Talebani dimostra ancora una volta l’incapacità delle autorità locali e delle forze civili e militari internazionali di non riuscire a condurre un reale processo di pacificazione nel Paese ad ormai quindici anni dall’inizio di quel che fu la missione internazionale del 2001, Enduring Freedom. Nelle stesse ore, lo Stato Islamico ha rivendicato un attacco suicida contro il santuario sufi di Shah Noorani, vicino Khuzdar, 100 Km a nord di Karachi, nella regione sempre più irrequieta del Balochistan. Secondo stime non ancora ufficiali, l’attentato ha provocato la morte di 50 persone e il ferimento di almeno un centinaio.

BULGARIA, 6 NOVEMBRE ↴ Il primo turno delle elezioni presidenziali ha fatto nettamente emergere due tra i 21 candidati alla carica, confermando i pronostici preliminari. Ad aver raccolto il maggior numero di preferenze è stato Rumen Radev. Formalmente in corsa come indipendente, nella sostanza è il candidato dei socialisti. Già comandante dell’Aeronautica Militare, egli sfrutta la propria presunta alterità dal mondo politico e il carisma dell’uomo militare per raccogliere il consenso di quella vasta parte della popolazione amareggiata dal comportamento cleptocratico del partito conservatore al governo (GERB). Principali punti del suo programma sono sicurezza pubblica e istituzioni funzionanti – due concetti spesso messi in sinergia con una retorica anti-immigrazione. Il secondo contendente al ballottaggio presidenziale è invece Tsetska Tsacheva, sostenuta dal GERB. Speaker del Parlamento, prima del 1992 militò tra le fila del Partito Comunista Bulgaro, accumulando una certa esperienza politica. Ciononostante, non pare aver sviluppato un particolare carisma pubblico, sia all’interno dei ranghi del proprio partito sia tra gli elettori. La sua vittoria nel ballottaggio del 13 novembre potrebbe fungere da traino per una futura candidatura alla Presidenza di Boyko Borisov, attuale Premier e centro di molti dei moti che negli ultimi anni hanno scosso il Paese. Ma se il legame di Tsacheva con Borisov può esserle utile in termini di risorse politiche, potrebbe invece essere controproducente per la sua popolarità elettorale. Al di là dei proclami della campagna, le linee politiche dei due contendenti non si distanziano irreconciliabilmente in campo economico. Parimenti, pur con tinte diverse, in politica estera entrambi hanno manifestato l’interesse a riconciliare l’appartenenza alla comunità euro-atlantica con un rinnovamento delle relazioni con Mosca – alla quale la Bulgaria è d’altronde indissolubilmente legata da dipendenza energetica e affinità culturali. 9


GIORDANIA, 4 NOVEMBRE ↴ Resta ancora da chiarire la dinamica dei fatti che ha portato alla morte di 3 istruttori militari americani durante una sparatoria all’entrata di una base militare in Giordania a pochi chilometri da Amman. Da quanto finora emerso, l’episodio non sembrerebbe configurarsi come un attentato terroristico; si tratterebbe più verosimilmente di un incidente. L’auto, con a bordo i militari americani, avrebbe cercato di entrate nella base aerea Principe Faysal nell’area di al-Jafr senza rispettare le normali e obbligatorie procedure per l’ingresso. In conseguenza di ciò i militari giordani avrebbero aperto il fuoco contro l’auto, uccidendo sul colpo uno dei militari e ferendo a morte gli altri due. Le autorità giordane, in stretta collaborazione con quelle statunitensi, hanno aperto un’indagine sull’incidente per poterne accertare l’effettiva dinamica.

HONG KONG, 8 NOVEMBRE ↴ Migliaia di persone si sono riunite a Western Street, nel distretto di Sai Ying Pun, a Hong Kong, per protestare contro il governo dell’ex colonia britannica. È stata una riproposizione della protesta degli ombrelli, meglio conosciuta come Occupy Central, che nel 2014 aveva visto scendere nelle piazze della città numerosi giovani per contestare il governo a causa dello scarso grado di democraticità concesso ai suoi cittadini: i manifestanti hanno marciato per le strade di Hong Kong per protestare contro la decisione di Pechino di interdire l’ingresso nel Parlamento cinese di due deputati indipendentisti eletti lo scorso settembre, Yau Wai-ching e Baggio Leung, i quali avevano “storpiato”, in maniera provocatoria, il pronunciamento necessario a ufficializzare il loro ingresso nel Consiglio Legislativo di Hong Kong. Mentre il Parlamento di Hong Kong aveva sospeso i due deputati, nell’attesa di un pronunciamento dell’Alta Corte sulla possibilità di un eventuale reintegro, l’Assemblea Nazionale del Popolo, al quale è garantito un potere superiore, ha bloccato sul nascere ogni tipo di revisione, affermando che «ogni parola o azione che contravviene deliberatamente ai requisiti prescritti […] deve essere fermata in conformità alla legge».

ISRAELE-PALESTINA-RUSSIA, 9-11 NOVEMBRE ↴ Il Primo Ministro russo, Dmitri Medvedev, in visita ufficiale in Medio Oriente ha incontrato in Israele il Premier Benjamin Netanyahu, il Capo di Stato Reuven Rivlin e altri Ministri dell’esecutivo israeliano. Negli incontri tra i leader israeliani e il Primo Ministro russo è emersa la volontà di rafforzare le relazioni bilaterali tra i rispettivi Paesi, soprattutto nei settori della sicurezza, della lotta al terrorismo e degli scambi commerciali. La visita è stata particolarmente significativa in quanto caduta nel 25° anniversario del rinnovo delle relazioni bilaterali tra Tel Aviv e Mosca. Medvedev ha poi incontrato a Gerico il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, con il quale ha discusso in particolare di sostegno ai progetti umanitari in Palestina e di un ruolo più attivo di Mosca nella ricerca di una soluzione al conflitto israelo-palestinese.

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KAZAKISTAN, 7-9 NOVEMBRE ↴ Il Presidente kazako Nursultan Nazarbayev si è recato in visita ufficiale in Giappone e Corea del Sud. Nei dialoghi con l’Imperatore giapponese Akihito e il Primo Ministro Shinzo Abe, è stata confermata l’intenzione di rafforzare le relazioni bilaterali in numerosi settori, tra cui la cooperazione politica, l’economia, il commercio, la cultura e le questioni umanitarie. Similmente nel corso della visita in Sud Corea e dei dialoghi con la Presidentessa Park Geun-hye, Nazarbayev ha affrontato numerosi temi: economia, finanza, investimenti, trasporti, comunicazioni, questioni regionali e internazionali, disarmo, non proliferazione delle armi nucleari, cyber security e cooperazione scientifica e tecnica. In entrambe le visite, i vertici giapponesi e sudcoreani hanno affermato di voler sostenere l’intensa attività di Nazarbayev per l’iniziativa contro le armi nucleari, specialmente in occasione del seggio non permanente del Kazakistan al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2017-2018.

MAROCCO, 7 NOVEMBRE ↴ È iniziata a Marrakech la 22esima Conferenza Internazionale sul Clima, o COP 22, alla quale parteciperanno più di 20.000 persone, in rappresentanza di 196 governi, centinaia di imprese, ONG, associazioni di scienziati, popolazioni autoctone. Il principale scopo di questa Conferenza, che si protrarrà fino al 18 novembre, sarà quello di dare attuazione ai termini dell’accordo sul clima raggiunto a Parigi il 12 dicembre 2015, nell’ambito della COP 21. Il primo punto che dovrà affrontare la COP 22 saranno i programmi di revisione degli Intended Nationally Determined Contribution (INDC), ovvero le riduzioni delle emissioni di gas serra avanzate dai governi: il proposito dichiarato di limitare la crescita della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2025 è considerato troppo debole dagli esperti. Secondo alcuni, le riduzioni di emissioni promesse non saranno sufficienti, in quanto porteranno un aumento della temperatura globale di almeno 2,7 gradi centigradi. Le altre due grandi sfide della Conferenza di Marrakech, che solo dal 15 novembre vedrà la partecipazione dei leader politici mondiali, riguarderanno le regole per l’adozione dell’Accordo di Parigi e la garanzia dei finanziamenti previsti di almeno 100 miliardi di dollari all’anno, fino al 2020.

NATO, 9 NOVEMBRE ↴ L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico ha lanciato ufficialmente una nuova operazione militare nel Mediterraneo denominata “Sea Guardian”, precedentemente stabilita lo scorso luglio durante i lavori del Vertice NATO di Varsavia come implementazione della missione Active Endeavour. Diretta da Northwood, nel Regno Unito, essa ha lo scopo di migliorare la difesa europea e la sicurezza collettiva nel Mar Mediterraneo anche grazie a un migliore coordinamento con l’operazione EuNavforMedSophia, sotto la guida UE, e sarà indirizzata al perseguimento di tre funzioni principali: sorveglianza marittima, anti-terrorismo e capacity building. Il primo gruppo di navi di sarà condotto tre pattugliatori: l’italiano ITS Aviere, il bulgaro BGS Verni e il

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turco TCG Gemlik e sarà, inoltre, rafforzato dal contributo di un sottomarino greco e da uno spagnolo.

NIGER, 8 NOVEMBRE ↴ Un attacco terroristico a Bani Bangou, in Niger, al confine con il Mali, ha provocato la morte di cinque soldati e il ferimento di altri tre, mentre quattro sono ancora dispersi. L’attentato, non ancora rivendicato, ha avuto come obiettivo una postazione militare nigeriana. Secondo il Ministero dell’Interno locale, gli aggressori sarebbero fuggiti in Mali. I sospetti ricadono sul gruppo scissionista di al-Mourabitoun comandato da Abu Walid al-Sahraoui e legato allo Stato Islamico. Per il momento, sono stati arrestati 26 jihadisti sospettati di essere coinvolti nell’attacco.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 5 NOVEMBRE ↴ Nel tentativo di uscire dall’impasse politico-istituzionale nella quale versa da diversi mesi, la presidenza della Repubblica Democratica del Congo e una parte minoritaria delle opposizioni avrebbero trovato un accordo di massima per la formazione di un governo di larghe intese, di cui ancora si attende di conoscere il nome dell’esponente politico incaricato di guidare l’esecutivo di unità nazionale. L’intesa è stata firmata il 18 ottobre scorso e prevedeva la costituzione, entro l’8 novembre, di un governo affidato alla guida di un membro dell’opposizione. L’accordo è maturato senza la partecipazione dei movimenti che fanno capo al leader storico delle opposizioni, Etienne Tshisekedi, e permette di fatto la convocazione di nuove elezioni nel 2018. Molti si oppongono alla permanenza di Joseph Kabila al potere oltre la scadenza naturale del mandato, a dicembre del 2016. Sebbene l’obiettivo del nuovo accordo sia quello di instaurare elezioni pacifiche al fine di favorire maggiore inclusione politica e sociale, le tensioni nel Paese non accennano a diminuire: la polizia ha impedito la manifestazione indetta a Kinshasa per il 5 novembre dall’opposizione, mentre il segnale di Radio Okapi, l’emittente congolese promosso dall’ONU, e quello di Radio France International (RFI) sono stati disturbati a Kinshasa e a Lubumbashi, la seconda città del Paese e feudo dell’opposizione al Presidente Kabila.

SERBIA-RUSSIA-BIELORUSSIA, 9 NOVEMBRE ↴ Si sono concluse le esercitazioni militari congiunte tra le Forze Armate di Serbia, Russia e Bielorussia – Slavic Brotherhood 2016 – cominciate lo scorso 3 novembre e svoltesi nei campi di addestramento di Orešac e Pasuljanske Livade, nonché negli aeroporti militari di Kovin e Batajnica. Le manovre, che hanno impegnato 450 soldati serbi, circa 250 russi (comprese le forze speciali e paramilitari, che resteranno nel Paese per un ulteriore periodo di addestramento) e 50 bielorussi, hanno avuto lo scopo di testare le proprie capacità operative e di migliorare quelle di risposta in operazioni anti-terrorismo in un ambiente multinazionale. Sebbene tali operazioni siano state lette come una risposta a Crna Gora 2016, l’esercitazione NATO tenuta in 12


Montenegro – Stato prossimo all’ingresso nell’Alleanza Atlantica – dal 31 ottobre al 4 novembre, esse si inscrivono in un più ampio contesto di relazioni in materia di difesa tra i tre Paesi: le precedenti edizioni di Slavic Brotherhood si erano infatti svolte nel settembre 2015 a Krasnodar, nella Russia meridionale, e nel novembre 2014 in Serbia. È tuttavia indubbio che le manovre in questione contribuiscono ad alimentare le tensioni tra l’Occidente e Mosca, la quale punta non di meno a continuare ad esercitare un notevole grado di influenza su Belgrado in una fase di forte orientamento politico di quest’ultima verso le strutture euro-atlantiche.

UNGHERIA, 8 NOVEMBRE ↴ Con 131 voti favorevoli su 199, ovvero meno della maggioranza richiesta di almeno due terzi del Parlamento, l’Assemblea ungherese ha respinto un emendamento costituzionale proposto da FIDESZ, il partito di maggioranza guidato dal Premier Viktor Orbán, attraverso il quale il governo intendeva introdurre nella Costituzione uno specifico divieto al ricollocamento dei migranti previsto dal piano stabilito in sede di Unione Europea. Determinante è stata l’astensione del partito ultranazionalista Jobbik, che, sebbene allineato con il partito di governo sul tema, punta ad implementare misure più restrittive in materia di immigrazione, nonché – soprattutto – ad indebolire ulteriormente la posizione del Primo Ministro. La proposta di legge, infatti, mirava a bypassare l’esito del referendum dello scorso 2 ottobre sulla ripartizione delle quote dei migranti, reso nullo – nonostante il 98% dei votanti si fosse espresso contro la politica europea in questione – dal mancato raggiungimento del quorum.

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ANALISI E COMMENTI INCOGNITE E PROSPETTIVE DELLA PRESIDENZA TRUMP DAVIDE BORSANI ↴ Nel corso delle ultime ore, è stato detto e ripetuto da più parti: la vittoria di Donald Trump alle presidenziali USA è arrivata imprevista. Anche chi, tra esperti o semplici appassionati di politica internazionale, auspicava per varie ragioni la sconfitta di Hillary Clinton, difficilmente potrà affermare che un simile risultato era davvero una probabilità concreta anziché “solo” una possibilità. D’altro canto, le elezioni del 2016 sono state fin dall’inizio sui generis, costituendo uno spartiacque per la storia politica recente degli Stati Uniti. Il contesto generale entro cui si sono svolte è noto. La crisi finanziaria di nove anni fa ha innescato un processo di ridefinizione delle identità dei due grandi partiti, repubblicano e democratico, che perdura tutt’oggi con un impatto diretto sul sistema istituzionale. Da un lato, gli anni della presidenza di Barack Obama, al netto del dibattito sulla efficacia o meno delle misure adottate, hanno visto il recupero e il ritorno alla crescita economica degli Stati Uniti. Dall’altro, tuttavia, il Paese non è uscito dalla crisi, quantomeno a livello di ripercussioni sociali e politiche, le quali, a loro volta, si sono riflettute sulle dinamiche istituzionali. L’ondata di protesta iniziata nel 2009 con i Tea Party e poi Occupy Wall Street ha visto raggiungere il suo culmine oggi, nell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Una protesta, questa, che è sia causa che conseguenza di un rapporto di fiducia tra elettorato e classe dirigente drammaticamente incrinatosi. Nonostante il trionfo di Trump, il Grand Old Party (GOP) ha subìto maggiormente l’impatto della protesta. È innegabile che, negli ultimi anni, il partito abbia ottenuto notevoli successi in ambito elettorale, conquistando nel 2010 la Camera dei Rappresentanti e nel 2014 anche il Senato. Tuttavia, l’establishment repubblicano non è mai riuscito nell’intento di unire l’anima più radicalizzata del partito e del suo elettorato con quella più moderata. (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 14


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