N°29, 4-17 DICEMBRE 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 18 dicembre 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Giulia Bernardi Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Giuseppe Dentice Nicolò Fasola Danilo Giordano Vladislav Krassilnikov Antonella Roberta La Fortezza Fabio Rondini Maria Serra
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FOCUS SIRIA-IRAQ ↴
A poco più di un mese dall’avvio della “fase due” della campagna militare su Aleppo da parte delle truppe lealiste di Assad e dei suoi alleati sul campo (milizie curde YPG, formazioni filo-sciite, russi e iraniani), i quartieri orientali della città martire della guerra civile siriana sono stati quasi tutti liberati dalla presenza dei gruppi ribelli laici e islamisti. Questo è quanto è stato annunciato l’11 dicembre dal Ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e dai comandi militari delle forze lealiste siriane ad Aleppo. Sebbene la caduta di Aleppo Est non possa dirsi totalmente conclusa poiché si registrano ancora scontri e colpi di mortaio in almeno due quartieri ancora in mano ai ribelli (principalmente le aree di Khan al-Asal e Khan Touman), la città può dirsi pressoché sotto il controllo delle forze di Assad. Il successo militare e strategico delle forze pro-regime sta spingendo ad un’evacuazione forzata di gran parte della popolazione di Aleppo Est. Le tregue umanitarie – spesso disattese per violazioni continue da ambo le parti – si alternano agli infruttuosi tentativi di ripresa del dialogo bilaterale. Il governo di Assad e i ribelli si accusano vicendevolmente di non aver rispettato gli accordi di cessate il fuoco. Secondo le Nazioni Unite, ad Aleppo si sta consumando un’autentica crisi umanitaria, con 6-8.000 civili – di cui 2.700 minori e/o bambini – fuggiti dai quartieri orientali solo nel corso dell’ultima settimana e con altre migliaia che attendono di poter lasciare Aleppo alla prima opportunità utile. Il Segretario di Stato USA John Kerry e il Ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault hanno proposto in sede di Nazioni Unite una risoluzione che fermi almeno temporaneamente le azioni militari dell’esercito governativo siriano e dei russi nei confronti dei ribelli e dei civili 1
che si trovano ancora nel centro. Secondo l’ONU vi sarebbero 100.000 persone senza cibo e medicinali bloccate in un’area sempre più ristretta ancora sotto il controllo delle truppe anti-Assad.
CAMPAGNA MILITARE SU ALEPPO (UPDATE AL 14/12/2016) – FONTE: IHS CONFLICT MONITOR-BBC
L’ormai imminente caduta di Aleppo segna dunque un punto di svolta fondamentale per la guerra in Siria, ma, come ha affermato Bashar al-Assad in un’intervista al quotidiano arabo al-Watan, «una vittoria non significa la fine della guerra» nel Paese, almeno «fino a quando il terrorismo non sarà eliminato». Proprio le affermazioni del Presidente siriano fotografano abbastanza fedelmente i rischi e le evoluzioni, potenzialmente ancor più destabilizzanti nel quadro locale e regionale, che il conflitto potrebbe assumere in parallelo con l’assalto lanciato dai gruppi lealisti contro le ultime roccaforti islamiste di Idlib e al-Bab. Mentre quest’ultime potranno assumere una posizione privilegiata all’interno del coacervo gruppo di forze anti-Assad, senza tuttavia riuscire a detenere un vero e proprio controllo del territorio, le forze pro-regime continueranno a commettere atrocità e violenze contro i civili, con il supporto più o meno velato di Russia e Iran, i principali partner politici ed economici di Damasco. Parimenti, gli Stati Uniti, i suoi alleati occidentali (in primis la Francia, la forza più coinvolta nello scenario siriano) e i partner regionali e internazionali dovranno ora confrontarsi con una nuova fase del contesto militare, che vedrà le varie forze in campo confrontarsi con agende politiche confliggenti (come ad esempio quelle riguardanti Arabia Saudita vs Turchia o Turchia vs curdi e USA) e foriere di ridefinire strategie e alleanze sul campo. Nel frattempo, nove mesi dopo la loro cacciata da uno dei luoghi simbolo della guerra allo Stato Islamico (IS), le milizie di al-Baghdadi hanno lanciato una nuova offensiva militare per riconquistare Palmira, centro dall’alto valore strategico sulla direttrice est-ovest che congiunge Damasco e Dair az-Zor. Seppur ridotta dalle 2
sconfitte sul campo e dalle perdite territoriali subite, la ripresa di Palmira ha dimostrato ancora una rilevante capacità militare e di controllo dell’IS di incunearsi nelle aree contese o tendenzialmente fragili dello Stato siriano, sfruttando le debolezze e le vulnerabilità dei propri avversari impegnati su almeno tre fronti (Aleppo, Raqqa e Mosul) e incapaci di riorganizzarsi efficacemente in tempi rapidi e in maniera omogenea nel cosiddetto “Siraq”. Mentre lo scenario siriano conosce nuove dinamiche e possibili complicazioni, in Iraq la battaglia per Mosul vive una situazione di sostanziale stallo dettata da difficoltà molteplici di tipo militare e politico. Le Forze di Sicurezza Irachene (ISF), i peshmerga curdi e le Forze di Mobilitazione di Unità Popolare (PMU) hanno concentrato il grosso delle proprie operazioni su Mosul e i suoi immediati dintorni (in particolare Tal Afar, Tell Kayyaf e Qayyarah), consolidando i guadagni strategici acquisiti senza tuttavia riuscire ad avanzare a causa della strenua resistenza dei miliziani dello Stato Islamico nella seconda città irachena.
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STATI UNITI ↴
Il 13 dicembre, il Presidente eletto Donald Trump ha reso noto tramite un comunicato stampa il nome del prossimo Segretario di Stato. Si tratta di Rex Tillerson, Presidente e amministratore delegato della ExxonMobil, colosso petrolifero americano. Noto per essere un negoziatore pragmatico che vanta una lunga esperienza internazionale, Tillerson è stato preso in considerazione dal transition team di Trump su suggerimento dell’ex Segretario di Stato Condoleezza Rice e dell’ex Segretario della Difesa Robert Gates, la cui società di consulenza ha in passato lavorato con la ExxonMobil, secondo quanto riportato da Politico. «La sua tenacia, la sua vasta esperienza e la sua profonda comprensione delle dinamiche geopolitiche lo rendono una scelta eccellente per la carica di Segretario di Stato», ha spiegato Trump sul suo sito ufficiale. La nomina del magnate petrolifero ha, però, suscitato non poche perplessità, in particolare fra le fila repubblicane al Congresso, che sarà chiamato ad esprimere un voto di conferma, alla luce dei suoi solidi legami d’affari con la Federazione Russa e di un rapporto di amicizia con il Presidente Vladimir Putin, il quale nel 2013 lo ha insignito dell’Ordine dell’Amicizia, un’onorificenza che riconosce il contributo di Tillerson allo sviluppo di relazioni cooperative nel settore energetico. «Non so quale fosse la relazione del signor Tillerson con Vladimir Putin, ma è una questione che merita attenzione», ha commentato il Senatore John McCain durante un’intervista a Fox News. Si pone, inoltre, un potenziale problema di conflitto di interessi, come evidenziato dal Guardian. Tillerson, infatti, è un aspro critico delle sanzioni imposte su Mosca, le quali, a suo dire, gli costerebbero un miliardo di dollari all’anno. Per la natura degli investimenti effettuati, risulta complesso per Tillerson vendere le sue azioni della ExxonMobil oppure affidarle ad un blind trust. A completamento della squadra di governo, Trump ha nominato il Generale in congedo John Kelly, già comandante dello United States Southern Command, a capo 4
del Dipartimento della Sicurezza Interna; il Rappresentante al Congresso dello Stato del Montana Ryan Zinke, fra i primi a dichiarare il supporto per il miliardario newyorkese, al Dipartimento degli Interni; Andrew Pudzer, imprenditore nel settore della ristorazione e critico del salario minimo, al Dipartimento del Lavoro; Ben Carson al Dipartimento della Casa e dello Sviluppo Urbano, malgrado egli abbia affermato di non essere sufficientemente qualificato a ricoprire ruoli governativi; l’ex Governatore del Texas Rick Perry al Dipartimento dell’Energia, sebbene egli abbia dichiarato di voler eliminare questo dicastero; il Ministro della Giustizia dell’Oklahoma Scott Pruitt all’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, benché egli abbia intentato una causa contro la stessa; Linda McMahon, fra i suoi donatori più generosi, all’Amministrazione per le Piccole Imprese. Il periodo di transizione presidenziale rimane comunque segnato da crescenti tensioni anche sul piano internazionale, a cominciare dalle relazioni sino-americane. Per via di un colloquio telefonico con il Presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, Donald Trump ha interrotto la tradizione diplomatica quarantennale della “One China Policy”, che prescrive un delicato equilibrio politico, volto a mantenere rapporti costruttivi con Pechino, a garantire la sicurezza di Taipei e a proiettare stabilità in un’area particolarmente volatile. Il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha minimizzato l’episodio, attribuendone la responsabilità a Taiwan, come riportato dal New York Times. Il Presidente eletto, invece, dopo aver sottolineato su Twitter come sia stata Tsai Ing-wen a telefonargli, ha osservato che gli Stati Uniti vendono equipaggiamento militare a Taiwan per un valore nell’ordine di svariati miliardi di dollari, ma, paradossalmente, lui non potrebbe accettare una telefonata di congratulazioni. Le tensioni fra Washington e Pechino sono state ulteriormente esasperate dalla recente identificazione da parte del Center for Strategic and International Studies di strutture militari – in particolare, equipaggiamento anti-aereo e anti-missile – installate sulle isole artificiali costruite nel Mar Cinese Meridionale. Se da un lato il Ministero della Difesa cinese ha insistito sul legittimo scopo civile delle installazioni, dall’altro ha alluso alle manovre “provocatorie” della Marina militare americana nell’area e alla necessità di potenziare le proprie capacità di autodifesa. Infine, si complicano anche i rapporti con Teheran in seguito all’adozione da parte del Congresso dell’Iran Sanctions Act, entrato in vigore giovedì 15 dicembre, il quale estende le sanzioni sul regime iraniano per ulteriori dieci anni – un atto giudicato dalla Casa Bianca non necessario, ma “interamente congruente” con le disposizioni del Joint Comprehensive Plan of Action.
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BREVI EGITTO, 11 DICEMBRE ↴ Un attentato contro la Cattedrale di San Marco al Cairo ha provocato la morte di almeno 25 persone e una cinquantina di feriti. L’attentato rappresenta l’atto di sangue più grave registratosi nel Paese di recente contro i cristiano-copti – circa il 10% della popolazione totale egiziana – sin dai tempi dell’esplosione di una bomba artigianale contro la Chiesa dei Santi ad Alessandria la notte di capodanno del 2010-2011, quando furono 23 le vittime e 97 i feriti. Un evento che contribuì a quel clima generale di instabilità che di lì a poco avrebbe trovato una propria manifestazione nell’avvio delle proteste contro il regime di Mubarak e che caratterizzarano nel complesso la stagione nordafricana delle cosiddette Primavere Arabe. Secondo le prime ricostruzioni diffuse dalla polizia, un uomo avrebbe nascosto 12 Kg di esplosivo di tipo militare, azionato con un timer elettrico preimpostato, all’interno di una cappella della vicina Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, sempre nel complesso della Cattedrale di San Marco, e alla sede del Patriarca della Chiesa Ortodossa Copta, Tawadros II. L’obiettivo dell’attentatore era infatti la comunità dei fedeli riuniti in Chiesa per celebrare la santa domenica, in una dinamica e modus operandi molto simili agli attacchi suicidi contro i cristiani avvenuti anche di recente in Nigeria e Kenya. Lo stesso Ministero degli Interni ha diffuso rapidamente un identikit del presunto attentatore, che pare essere stato Mahmud Shafik Mohamed Mustafa, giovane membro di un’associazione di carità operante in Qatar e affiliata ai Fratelli Musulmani, nonché appartenente al Wilayat Sinai (WS, già noto come Ansar Bayt al-Maqdis), cellula islamista dello Stato Islamico e attivo nel nord del Sinai e nelle principali città d’Egitto. Sebbene inizialmente non rivendicato, l’atto è stato poi ufficialmente reclamato dal WS, attraverso un comunicato rilasciato su alcuni siti jihadisti online. L’attentato contro la Chiesa di San Marco giunge a due giorni di distanza dagli attacchi organizzati dallo Stato Islamico e dal gruppo Hasm – organizzazione in forte ascesa nella galassia jihadista e ritenuto una costola violenta di fuorisciti della Fratellanza Musulmana – contro due checkpoint militari a Giza e al Cairo. Oltre a confermare un trend in crescita sia di atti violenti in generale sia di azione settarie, in particolare, contro la comunità copta egiziana, l’attacco denota ancora una volta il travalicamento dei confini non solo geografici della violenza jihadista dal Sinai al mainland egiziano, nonché una varietà sempre più ampia di target da colpire (civili, militari e religiosi). Un arco di instabilità che si innesta su di un contesto socio-politico potenzialmente esplosivo – anche a causa delle leggi liberticide proclamate dal regime egiziano, l’ultima delle quali riguarda la cosiddetta legge anti-ONG, sempre più limitate e controllate dalle autorità centrali cairote –, favorito anche da una galoppante crisi economica che sta mettendo in ginocchio la terza economia della regione MENA. 6
LIBIA, 5 DICEMBRE ↴ Un portavoce dell’operazione al-Bunyan al-Marsus, lanciata dal governo di Tripoli il 12 maggio scorso per la ripresa di Sirte, ha annunciato che tutti i guerriglieri delle fila jihadiste sono stati cacciati dalla città di Sirte e che quest’ultima è ormai sotto il controllo delle milizie fedeli al governo di Tripoli. Dopo 7 mesi di guerriglia urbana, le milizie di Misurata, fedeli al governo di Fayez al-Serraj, sono riuscite a riprendere possesso della città, sancendo così il quasi totale controllo della costa occidentale del Paese a favore del governo tripolino. La ripresa di Sirte non significa, tuttavia, che il pericolo rappresentato dallo Stato Islamico (IS) sia definitivamente lontano dal Paese nordafricano. In effetti, da alcune fonti emerge che non solo molti jihadisti sono ancora presenti nell’area di Bengasi ma anche che molti dei terroristi scappati da Sirte sono ora in fuga verso il Fezzan, zona dove regna una situazione di sostanziale anarchia. Il pericolo dunque è che le forze jihadiste abbiano in questo modo tempo e mezzi per potersi riorganizzare e riprendere la lotta. Ma soprattutto la ripresa di Sirte non significa una riunificazione del Paese e la fine delle divisioni tra le varie fazioni. Essa apre piuttosto nuovi scenari che toccano i delicati equilibri esistenti non solo fra il governo di Tripoli e quello di Tobruk ma anche interni allo stesso governo di Tripoli. Emblematico in tal senso è l’episodio del 7 dicembre: le città di Bin Jawad e Naw Faliya sono state prese da alcuni gruppi armati che puntavano verso il terminal petrolifero di Sidra. L’attacco è stato respinto in poche ore ma restano i dubbi circa le responsabilità. Molti osservatori hanno accusato il Ministro della Difesa del governo tripolino, Mahdi al-Barghathu, e gruppi militari a lui più o meno associati (in particolar il Benghazi Defence Brigades e la Guardia Petrolifera). Voci, queste, non ancora confermate ma che sicuramente pongono in luce le difficoltà, anche interne, con cui il governo Serraj deve misurarsi.
MACEDONIA, 11 DICEMBRE ↴ Sono solamente poco più di 17.000 i voti di differenza tra l’Organizzazione Rivoluzionaria Interna MacedonePartito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone (VMRO-DPMNE), la formazione di centro-destra al poter da oltre un decennio e guidata dall’ex Premier Nikola Gruevski, e l’Unione Socialdemocratica di Macedonia (SDSM) di Zoran Zaev, che dopo un lungo testa a testa hanno rispettivamente ottenuto il 39,3% e il 37,8% dei consensi per il rinnovo del Parlamento. L’impossibilità tuttavia per il primo di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi (ne ha infatti conquistati 51 su 120, dieci in meno rispetto alle consultazioni del 2014), costringerà il Primo Ministro macedone a ricercare la formazione di un governo di coalizione nuovamente con l’Unione Democratica per 7
l'Integrazione (DUI/BDI), guidata da Ali Ahmeti e rappresentativa della comunità albanese, che resta la terza forza del Paese (con 7,5% dei voti) pur avendo perso 9 seggi. Tale necessità, se da un lato certifica la crescita dei favori nei confronti dell’opposizione di Zaev (che ha ottenuto infatti 15 seggi in più rispetto alla tornata di due anni fa), dall’altro non pone evidentemente fine alla lunga fase di instabilità politico-sociale iniziata nel 2015, a seguito delle accuse di corruzione e di altre attività poco trasparenti da parte dello stesso leader socialdemocratico nei confronti di Gruevski, e ufficialmente conclusa con gli accordi di Pržino (2 giugno-15 luglio 2015) sotto la mediazione dell’Unione Europea. Lo slittamento nel corso dell’anno del voto in questione in almeno due occasioni a causa dell’impossibilità di trovare una posizione condivisa su alcuni punti spinosi (ruolo dei media e definizione delle liste elettorali), insieme alle nuove denunce di brogli e irregolarità da parte dell’SDSM, parzialmente accettate dalla Commissione Elettorale macedone (DIK), pongono il Paese di fronte ad un nuovo scenario di crisi politica, soprattutto se DUI/BDI, alla luce di una debacle dipesa anche dal legame con la VMRO-DPMNE, non accetterà di partecipare all’esecutivo.
TURCHIA, 10-17 DICEMBRE ↴ La Turchia torna ad essere al centro di una nuova serie di attentati di matrice curda. Il 10 dicembre un doppio attacco ha avuto luogo a Istanbul: la prima esplosione è avvenuta in prossimità dello stadio di calcio del Beşiktaş, causando 29 morti e 166 feriti. L’autobomba era stata posizionata in prossimità di una camionetta della polizia che si trovava sul posto per il normale servizio d’ordine legato al match calcistico che si era appena concluso. A meno di 45 secondi da questa prima esplosione, un attentatore suicida si è fatto esplodere nel vicino Macka Park, nei pressi di Piazza Taksim. Il duplice attentato è avvenuto proprio nel giorno in cui il Parlamento turco ha iniziato ad esaminare il pacchetto di riforme costituzionali voluto da Erdoğan che, qualora approvato e attuato, porterà la Turchia verso una forma di governo presidenziale. Le autorità turche hanno accusato il PKK degli attentati, salvo poi dover prendere atto della rivendicazione del TAK (i Falconi della Libertà), il gruppo estremista curdo nato all’interno del PKK ma da anni da questo separatosi. Nonostante la rivendicazione del TAK, nella stessa notte del duplice attentato e nei giorni successivi, le autorità turche hanno arrestato centinaia di membri del partito filocurdo HDP, accusati di presunti legami con il PKK. La stessa dinamica si è ripetuta ad una settimana esatta dagli attentati del 10 dicembre: sabato 17 dicembre un autobus è esploso vicino alla fermata dell’Università di Erciyes, nella provincia di Kayseri, nella Turchia centrale. A bordo dell’autobus vi erano civili ma anche numerosi militari in permesso. Si registrano 14 morti, tutti militari, e almeno 55 feriti, tra cui anche civili. La Brigata commando di Kayseri è da tempo impegnata nelle operazioni anti-terrorismo nel sud-est del Paese, proprio contro i curdi. Ancora 8
una volta le autorità turche hanno chiamato sul banco degli imputati il PKK; Erdoğan ha parlato di un Paese tenuto in scacco dalla minaccia del gruppo terroristico separatista curdo che sta cercando con le sue azioni di «bloccare lo sviluppo del Paese». Il Presidente turco ha poi esortato all’unità, parlando di una «chiamata alle armi» alla quale i cittadini devono rispondere compatti «per opporsi con decisione a queste organizzazioni terroristiche». 22 persone sono già state arrestate e 5 sono i sospettati ricercati. Nella stessa mattina del 17 dicembre, inoltre, un tribunale di Istanbul ha emesso mandati di arresto per 530 soldati di alto rango accusati di aver avuto legami con i golpisti di luglio.
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ALTRE DAL MONDO AUSTRIA, 4 DICEMBRE ↴ Con il 53,8% dei voti, il candidato indipendente sostenuto dai Verdi, Alexander Van der Bellen, è stato eletto alla Presidenza della Repubblica battendo l’esponente del partito della destra nazionalista FPÖ, Norbert Hofer, fermatosi al 46,2% delle preferenze. È stato dunque riconfermato l’esito del voto del ballottaggio dello scorso 22 maggio, successivamente annullato dalla Corte Costituzionale austriaca (1° luglio) a seguito del ricorso presentato dallo stesso FPÖ per presunte irregolarità nella maggior parte dei collegi elettorali. La vittoria di Van der Bellen è stata accolta positivamente dalle cancellerie europee, ma non mitiga il rischio di una vittoria della formazione guidata da Heinz-Christian Strache in occasione delle prossime elezioni legislative – presumibilmente anticipate al 2017 – vista sia la costante crescita di consensi dell'FPÖ sia le difficoltà e le divisioni interne dei due partiti di governo, l’SPÖ e l’ÖVP.
COREA DEL SUD, 9 DICEMBRE ↴ Con 234 voti sui 300 membri dell’Assemblea Parlamentare (i voti minimi richiesti per attivare l’impeachment sono 200), Park Geun-hye è stata esautorata dall’incarico di Presidente della Repubblica. Park è accusata di corruzione e di collusione con una sua collaboratrice per aver esercitato una serie di pressioni su grandi imprese affinché facessero donazioni a due fondazioni costituite per sostenere le sue iniziative politiche. Spetterà alla Corte Costituzionale decidere entro 180 giorni se confermare o respingere la mozione. Nel frattempo i poteri esecutivi sono passati nelle mani del Primo Ministro ad interim Hwang Kyo-ahn.
FRANCIA, 6 DICEMBRE ↴ L’ex Ministro degli Interni – nonché ex delegato al Bilancio e agli Affari Europei – ed esponente del Partito Socialista (PS), Bernard Cazeneuve, ha assunto la guida del governo dopo le dimissioni di Manuel Valls, che correrà i prossimi 22-29 gennaio 2017 alle primarie del centro-sinistra per la presidenza della Repubblica. Al posto di Cazeneuve, peraltro nel corso dell’ultimo biennio fortemente criticato dalle opposizioni in quanto colpevole di non aver sufficientemente garantito la sicurezza del Paese, è stato nominato Bruno Le Roux, deputato socialista e Presidente del raggruppamento del PS all'Assemblea Nazionale dal giugno 2012.
GAMBIA, 4-14 DICEMBRE ↴ Continua la pressione della comunità internazionale – in particolare da parte della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) nei confronti di
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Yahya Jammeh, Presidente del Paese africano dal 1994, che ha disconosciuto la sconfitta subita nelle elezioni presidenziali del 1° dicembre, ufficialmente vinte dal suo sfidante, l’imprenditore Adama Barrow. Sebbene inizialmente avesse riconosciuto l’esito del voto e si fosse prontamente complimentato con Barrow per la vittoria, in un discorso alla televisione nazionale (9 dicembre), Jammeh ha annunciato di non voler accettare la sconfitta a causa dei brogli che si sarebbero verificati in alcune zone del nord del Paese. Era stata la stessa Commissione elettorale, alcuni giorni dopo le votazioni, a confermare alcune assegnazioni sbagliate dei voti in alcune aree del territorio nazionale, aggiungendo però che tali errori non modificavano il risultato finale. L’esito elettorale apre pertanto una fase di instabilità istituzionale con possibili ricadute sul piano della sicurezza: mentre il partito di Jammeh si è appellato alla Corte Suprema, l’esercito è stato schierato nelle principali aree della capitale Banjul.
GHANA, 7 DICEMBRE ↴ Con il 53,8% delle preferenze, il capo dell’opposizione ghanese, Nana Akufo-Addo, ha vinto le elezioni presidenziali, battendo l’uscente uscente John Dramani Mahama, attestatosi al 44,4%. Il voto conferma ancora una volta l’alternanza al potere tra i due maggiori partiti del Paese, rispettivamente il New Patriotic e il National Democratic Congress (NDC), facendo del Ghana un sempre più stabile pilastro democratico nell’Africa Occidentale e nel Continente. Nana Akufo-Addo, figlio di Edward AkufoAddo, Presidente del Ghana alla fine degli anni Sessanta, avrà importanti sfide da affrontare nel breve e medio periodo, tra le quali il consolidamento del processo riformista e la diversificazione della struttura economica nazionale.
IRAN, 7 DICEMBRE ↴ L’Iran ha proposto la formazione di un’alleanza strategica di Paesi arabo-musulmani che includa anche la sua principale rivale regionale, l’Arabia Saudita, al fine di combattere il terrorismo e rafforzare la cooperazione economica. Secondo quanto riportato dal Washington Post, lo speaker del Parlamento Iraniano, Ali Larijani, in occasione di una conferenza sulla sicurezza avrebbe ribadito che «Iran, Arabia Saudita assieme a Turchia, Egitto, Iraq e Pakistan dovrebbero unirsi per promuovere la pace regionale basata sull’Islam, difendendo il popolo palestinese, promuovendo la lotta al terrorismo e i rispettivi interessi economici». Al di là delle intenzioni, il clima di tensioni tra Teheran e Riyadh, acuitosi nel corso dell’ultimo anno, non farebbe presumere un lancio ufficiale dell’iniziativa in tempi brevi. Le due potenze, infatti, sostengono fronti opposti sia nella guerra in Siria sia nel conflitto in Yemen e si trovano su posizioni distanti anche su questioni energetiche, relativamente al taglio della produzione petrolifera a livello globale.
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KIRGHIZISTAN, 11 DICEMBRE ↴ Il popolo kirghiso ha approvato tramite referendum una controversa riforma costituzionale che potrebbe accrescere significativamente i poteri del Primo Ministro. Secondo la Commissione Elettorale Centrale la riforma è passata con l’80% delle preferenze, ma a votare sarebbero stati solo il 40% degli aventi diritto. Tra i punti più controversi della riforma, sostenuta fortemente dal partito del Presidente Almazbek Atambayev, vi è quello che prevede che il Capo dell’esecutivo possa nominare e revocare le nomine ministeriali senza doversi consultare con il Capo dello Stato. Un’iniziativa che è stata criticata dall’opposizione in vista di una possibile candidatura di Atambayev alla carica di Premier allo scadere del mandato presidenziale nel 2017.
MOLDAVIA, 11 DICEMBRE ↴ I cittadini della Repubblica secessionista di Transnistria sono stati chiamati ad eleggere il proprio nuovo Presidente. Tra i pochi candidati presentatisi, i principali erano Yevgeny Shovchuk, Presidente uscente, e Vadim Krasnoselski, speaker del Parlamento. Con un’affluenza alle urne di circa il 60%, le elezioni sono state vinte da quest’ultimo, con un ampio 62,3% delle preferenze. Krasnoselski ha avuto la meglio sia per via dell’improduttiva strategia politica dell’avversario, sia perché spalleggiato dalla maggioranza delle forze conservatrici del Paese, a loro volta legate indissolubilmente alla holding Sheriff – che controlla la gran parte delle risorse e delle attività economiche locali. Inizialmente assurto alla presidenza grazie all’appoggio proprio della Sheriff, durante il proprio mandato Shevchuk ne ha progressivamente preso distanza e ha tentato di creare un nuovo centro di potere intorno alla propria persona. Un progetto che già le elezioni parlamentari del novembre 2015 avevano segnato come fallimentare, marginalizzando i candidati filo-presidenziali e conferendo la maggioranza assoluta al partito Rinascimento. Le posizioni e i progetti dei due candidati alle presidenziali sono stati sovrapponibili, al di là di effimere differenze in termini di politica fiscale. Chiaramente, la vicinanza a Mosca non è stato un punto di dibattito; piuttosto, lo è stato il dimostrare chi fosse il “preferito” del Cremlino – questione inestricabilmente legata alla sfida tra i blocchi di potere e alla ricerca di garanzie per la futura profusione di aiuti, recentemente in calo, da parte della Russia. La subordinazione della Transnistria a Mosca è marcata: al di là della componente demografica a maggioranza russa e russofona e dei 1.500 peacekeeper russi presenti sul territorio, va anche considerato che circa il 70% del budget di Tiraspol proviene proprio dal Cremlino, sia sotto forma di quelli che vengono formalmente classificati come aiuti umanitari ai settori di istruzione e sanità, sia come forniture gratuite di gas. La presidenza del filo-russo Igor Dodon in Moldavia potrebbe portare a svolte nelle relazioni con la Repubblica secessionista, seppur non ad una soluzione del conflitto.
NIGERIA, 10-14 DICEMBRE ↴ Due giovani ragazze si sono fatte esplodere l’11 dicembre all’interno di un mercato molto frequentato della città di Maiduguri, nel nord-est del Paese, causando la morte 12
di una persona ed il ferimento di altre 18. L’attentato non è stato rivendicato, ma le modalità utilizzate fanno pensare ad un coinvolgimento dei miliziani di Boko Haram. Solo poche ore prima, il 10 dicembre, un altro attentato era avvenuto a Madagali, nello Stato di Adamawa, sempre nel nord-est nigeriano: anche in questo caso due giovani ragazze si erano fatte esplodere causando la morte di 45 persone ed il ferimento di 33. Nel frattempo, sul fronte politico, il Presidente Muhammad Buhari ha presentato il 14 dicembre al Senato una legge finanziaria del valore di oltre 23 miliardi di dollari con il chiaro intento di riattivare l’economia e di favorire una rapida uscita del Paese dalla recessione in cui è piombato anche a seguito di una congiuntura internazionale sfavorevole, determinata dal basso prezzo globale del petrolio.
NUOVA ZELANDA, 4 DICEMBRE ↴ Dopo aver vinto le elezioni per tre turni consecutivi negli ultimi anni (2008, 2011 e 2014), John Key ha annunciato le proprie dimissioni da Primo Ministro. Alla base della scelta del leader del Partito Nazionale non vi sarebbero motivazioni politiche, bensì personali. Gli otto anni alla guida del Paese avrebbero infatti allontanato Key dalla sua famiglia e il Primo Ministro dimissionario avrebbe dichiarato di sentire il bisogno di trascorrere più tempo con i suoi cari. Bill English, ex Ministro delle Finanze, è stato designato unanimemente dal Partito Nazionale a prendere la guida dell’esecutivo. Paula Bennett, già Ministro degli Affari Sociali, è stata nominata invece Vice Primo Ministro.
ROMANIA, 11 DICEMBRE ↴ Il partito socialdemocratico (PSD) è uscito nettamente vincitore dalle elezioni per il rinnovo dei 466 seggi del Parlamento romeno, forte di circa il 45% delle preferenze, il più alto risultato negli ultimi 25 anni. Aumento dei salari ed investimenti in istruzione, sanità e infrastrutture sono stati i proclami della campagna che più hanno attirato i votanti, visto soprattutto il quadro di perdurante stagnazione socio-economica che affligge il Paese: nonostante Bucarest abbia il tasso di crescita maggiore dell’UE (stime FMI), essa rimane in coda alla classifica del benessere. Il divario fra ricchi e poveri è in aumento, lo stipendio mensile di soli 640 euro e la disoccupazione sopra il 6%, oltre alle difficoltà nell’assorbimento efficiente dei fondi europei – perlopiù sprecati o illecitamente appropriati da politici e funzionari. Il partito nazionaleliberale (PNL), il secondo più grande della Romania, si è fermato ad un relativamente basso 21%, espressione del calo dei consensi vissuto negli ultimi anni per via dell’immobilismo del Presidente della Repubblica – che appartiene a questo partito – e dell’appoggio dato al governo tecnico che nel 2016 ha guidato il Paese. Nonostante esso non sia stato osteggiato dalla popolazione, concreti successi sono mancati. Oltre all’economia, tema dominante della campagna è stata la lotta alla corruzione. Non a caso, circa la metà dei candidati a queste elezioni aveva problemi con la giustizia. Lo stesso leader e candidato Primo Ministro del PSD, Liviu Dragnea, è appena rientrato in politica dopo due anni di estromissione seguita ad una condanna per frode elettorale. Questo potrebbe persino influire sulla stessa formazione del governo, dato che 13
il Presidente Klaus Iohannis ha affermato di non voler affidare la guida del Paese a chi avesse avuto problemi con la giustizia.
RUSSIA, 4 DICEMBRE ↴ Il leader del Wilayah al-Qawqaz, cellula russa dello Stato Islamico (IS), Rustam Aselderov e altri quattro militanti sono stati uccisi durante un’operazione anti-terrorismo condotta dalle forze speciali dell’FSB (il Servizio di Sicurezza Federale della Federazione Russa) in Daghestan. I cinque sarebbero stati uccisi durante uno scontro armato alle periferie di Machačkala, capitale della Repubblica nord caucasica. Affiliato all’IS a partire dal 2014, Aselderov è ritenuto responsabile di diversi attentati terroristici verificatisi nel Caucaso Settentrionale e nella Russia Centrale, tra cui quelli di Volgograd nel dicembre 2013 che causarono la morte di 34 persone. Nonostante gli sforzi del Cremlino nel contrastare le attività jihadiste sul proprio territorio, il Caucaso settentrionale continua ad essere una regione particolarmente instabile nonché territorio di reclutamento di jihadisti stranieri che combattono in Siria e in Iraq.
SOMALIA, 11 DICEMBRE ↴ Almeno 20 persone sono morte a seguito dell’esplosione di un camion bomba a Mogadiscio avvenuta nei pressi dell’ingresso principale del porto commerciale, un’area molto trafficata e a forte presenza di civili. Il bilancio delle vittime è ancora provvisorio e potrebbe peggiorare a causa dei numerosi feriti gravi trasportati presso le strutture ospedaliere della capitale somala. L’attentato è stato rivendicato dai miliziani islamisti di al-Shabaab, organizzazione terroristica somala legata ad al-Qaeda, attraverso un comunicato sul proprio canale Telegram.
UZBEKISTAN, 4 DICEMBRE ↴ Il Presidente ad interim uzbeko Shavkat Mirziyoyev e candidato del Partito Liberaldemocratico dell’Uzbekistan, ha conseguito una netta vittoria nelle elezioni presidenziali straordinarie, indette per scegliere la nuova guida del Paese post-Karimov. Primo Ministro dal 2003, Mirziyoyev è stato sostenuto dai clan politico-militari, che detengono il potere nel Paese, per guidare la fase di transizione con il ruolo di Presidente ad interim lo scorso settembre, quando Islom Karimov, leader indiscusso dell’Uzbekistan dal 1991, si è spento a causa di un ictus all’età di 78 anni. Mirziyoyev si è assicurato, senza molte sorprese, quasi il 90% dei voti, mentre gli altri tre candidati, tutti appartenenti a partiti filo-governativi, non hanno ottenuto più del 4%. Le elezioni sono state definite dagli osservatori internazionali dell’OSCE come caratterizzate da diffuse falsificazioni. La fase più delicata della transizione sembra ora alle spalle, anche se non si hanno certezze sulla linea politica che Mirziyoyev intraprenderà tanto sul piano interno tanto in politica estera.
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ANALISI E COMMENTI BOKO HARAM BETWEEN RETREATS AND FRACTURES LUCIANO POLLICHIENI ↴ Over the last two years, two main trends have emerged in Boko Haram’s insurgency. Firstly, the group is evidently retreating: in fact it is nowadays present only in the Sambisa forest – in northeastern Nigeria – and in the Lake Chad basin. Secondly, new fractures are emerging inside Boko Haram. In particular, this second phenomenon might explain many things about the future of its armed insurgency and suggest how to defeat the extremist Islamic sect. The presence of factions inside Boko Haram might be a precious opportunity to achieve a definitive truce or, on the contrary, it might be the beginning of a new a deadliest phase in the war. For this reason, it is important to consider this characteristic of Boko Haram which is “a group historically fractured”: this means that the perception of the sect as a univocal movement would lead to disastrous results in the fight against it (…) SEGUE >>>
L’INGRESSO NELLA NATO COME ENIGMA GEOSTRATEGICO: RISCHI E OPPORTUNITÀ PER FINLANDIA E SVEZIA SIMONE ZUCCARELLI ↴ «[L]a crisi tende a imporsi come una dimensione essenziale del nostro tempo»; tale assunto si mostra in tutta la sua pienezza quando si analizza l’evoluzione dei rapporti tra NATO, Unione Europea, Stati Uniti e Russia negli ultimi anni. Nel lasso di tempo intercorso dall’annessione russa della Crimea (18 marzo 2014) ad oggi, infatti, la crisi, da dimensione eccezionale, è divenuta la norma nelle relazioni tra gli attori sopra citati e, conseguentemente, anche in seguito a scontri su partite esterne allo scacchiere europeo, i rapporti si sono fatti sempre più freddi, in un susseguirsi di recriminazioni reciproche e affondi politico-diplomatici e militari. Tale irrigidimento ha coinvolto anche Finlandia e Svezia, Stati esterni all’Alleanza Atlantica ma profondamente immersi nel reticolato strategico europeo e, dunque, cruciali per le dinamiche di sicurezza dell’Europa orientale. I due Paesi scandinavi, alla luce delle crescenti tensioni con la Russia, hanno rafforzato a tal punto i legami con la NATO da divenire quasi, de facto, membri della stessa (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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