OPI Weekly Report N°6/2016

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N째6, 14-20 FEBBRAIO 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 21 febbraio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Ester Mauro Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo Credits: ANSA; Agence France-Presse; Armed Forces Of The Philippines/EPA; Aleksey Nikolskyi/Sputnik; Reuters/Ümit Bektaş.


FOCUS SIRIA-IRAQ ↴

Mentre il termine per l’attuazione della tregua concordata a Monaco l’11 febbraio scorso è scaduto infruttuosamente, attorno ad Aleppo si stringono in modo convulso le azioni militari delle parti in conflitto. Il protrarsi dell’offensiva delle forze governative e l’accerchiamento delle opposizioni hanno spinto migliaia di civili (58.000 secondo fonti ONU) a lasciare la seconda città siriana verso il confine turco. La richiesta di cessazione delle ostilità avanzata dal Gruppo internazionale di sostegno alla Siria è sinora caduta nel vuoto, senza arrestare i combattimenti nel nord del Paese e i bombardamenti dell’aviazione russa e siriana. Il 15 febbraio cinque strutture mediche (una delle quali gestita da Médecins Sans Frontières) e due scuole ad Aleppo e Idlib, l’altra roccaforte della ribellione, sono state colpite durante i raid. Il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha attribuito a Mosca la responsabilità degli attacchi, in cui hanno perso la vita almeno cinquanta civili, mentre l’Ambasciatore siriano in Russia, Riyadh Haddad, ha rivolto le medesime accuse contro gli Stati Uniti. Il viceMinistro degli Esteri russo Gennady Gatilov ha ribadito che i caccia russi continueranno a sorvolare la provincia di Aleppo e bombardare i gruppi terroristi anche qualora si raggiunga una tregua. A questo riguardo, le delegazioni russa e statunitense stanno lavorando a Ginevra per la definizione di un accordo che consenta l’implementazione delle misure umanitarie disposte per le aree civili sotto assedio e l’interruzione degli scontri. Una bozza preliminare è stata raggiunta il 20 febbraio, ma la deliberazione del Gruppo di supporto internazionale è condizionata alla precisazione di un calendario che ne scandisca l’attuazione – un punto sul quale gli schieramenti pro e contro 1


Assad mantengono posizioni discordi, laddove Iran e Russia in particolare premono per una dilazione dei termini al fine di avvantaggiare le truppe governative, che oltre ad attestare il controllo del quadrante meridionale della provincia di Aleppo nell’ultima settimana hanno riconquistato il villaggio di Kinsabba, ultimo baluardo delle opposizioni nel governatorato di Latakia. Lo stesso Ministero della Difesa russo ha reso noto che dall’inizio di febbraio le forze lealiste hanno ripreso oltre 800 chilometri quadrati di territorio e 73 centri abitati. Il successo della controffensiva su larga scala – cui contribuiscono non solo i bombardamenti russi, ma anche i pasdaran inviati da Teheran e i miliziani di Hezbollah e delle fazioni sciite irachene filo-iraniane – emerge dalle parole di Bashar al-Assad, che ha rifiutato fermamente l’ipotesi di una tregua con i gruppi armati ribelli. Il Presidente siriano ha voluto inoltre avvisare Turchia e Arabia Saudita delle “ripercussioni globali” che avrebbe un’invasione di terra turco-saudita nel nord del Paese.

ZONE DI CONTROLLO NELL’AREA DI ALEPPO (FEBBRAIO 2016) – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

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È precisamente il rischio di un ulteriore allargamento e acutizzazione del conflitto che si accompagna allo sbandamento dei colloqui di pace. Se da un lato il negoziatore ONU, Staffan de Mistura, ha annunciato che le consultazioni non riprenderanno il 25 febbraio, come in un primo momento era stato auspicato, dall’altro la decisa stretta governativa su Aleppo ha innescato una febbrile serie di eventi. Le milizie curdosiriane (Forze Democratiche siriane) hanno tratto vantaggio dalla situazione per strappare ai ribelli numerose località a nord di Aleppo, arrivando a pochi chilometri dal confine turco. Ankara ha reagito bombardando dalla provincia turca di Kilis le brigate curde del YPG tra Azaz e Afrin, come pure incoraggiato secondo la ricostruzione del quotidiano turco Yeni Safak l’ingresso di circa 500 combattenti del gruppo islamista Faylaq al-Sham nell’area di Azaz allo scopo di impedire la definitiva affermazione curda nel lembo di terra che congiunge Aleppo alla frontiera settentrionale. I guerriglieri curdi denunciano lo sconfinamento dei carri armati turchi e le vittime civili dei colpi di artiglieria, mentre fonti locali stimano che sarebbero almeno duemila i miliziani ribelli entrati in Siria dal valico di Oncupinar e direttamente armati da Ankara. Per voce del Ministro degli Esteri Adel al-Jubeir in un’intervista al Der Spiegel, l’Arabia Saudita si è detta pronta a fornire missili terra-aria ai gruppi di opposizione con l’intento di ribaltare i rapporti di forza nello scenario di guerra. Una bozza di risoluzione russa diretta ad arrestare i bombardamenti dal confine turco e prevenire un intervento di terra è stata respinta dal voto francese nell’ambito di una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza ONU il 19 febbraio. Parigi ha anzi fortemente condannato le manovre militari di Mosca, attribuendogli l’escalation su Aleppo e denunciando la commissione di crimini di guerra in virtù dei bombardamenti su obiettivi civili e della grave situazione umanitaria. Per contro, l’Ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha escluso nettamente l’ipotesi tedesca di una nofly zone sotto cui riparare le trattative di pace e il processo di transizione politica. Se la Francia si è mostrata solidale con la posizione turca, gli Stati Uniti hanno sposato una linea di moderazione. Mentre procedono le consultazioni al vertice con la controparte russa per l’inquadramento di una tregua a livello nazionale, il Presidente Barack Obama ha chiesto in un colloquio telefonico con l’omologo turco Recep Tayyip Erdoğan l’interruzione degli attacchi contro le milizie curde. Se quest’ultime hanno liberato (con il sostegno della coalizione internazionale a guida statunitense) una serie di villaggi nella provincia nord-orientale di al-Hasakah dai guerriglieri jihadisti dello Stato Islamico (IS), tra cui l’importante snodo di al-Shaddadi, nel nordovest hanno sconfitto la resistenza ribelle anti-Assad nella cittadina di Marea a nord di Aleppo, dove le opposizioni erano state argine sia alle forze russo-siriane, sia alle frange jihadiste del Califfato. La situazione di “tutti contro tutti” cui si assiste nel nord-ovest della Siria espone dunque Washington a pesanti contraddizioni. Tra queste, è emblematico il ruolo assunto nel conflitto dalle divisioni sciite irachene, addestrate dalla CIA e dal Pentagono in Iraq per contrastare l’IS e oggi impegnate al fianco delle truppe di Damasco, con equipaggiamento e armamenti statunitensi, contro i gruppi di opposizione siriani, appoggiati (finanziariamente e militarmente) dagli stessi Stati Uniti. Secondo il rapporto del Dipartimento della Difesa americano, le 3


fazioni irachene (in particolare la Brigata Badr, Kata’ib Hezbollah e Asa’ib Ahl al-Haq) stanno contribuendo in modo determinante alla campagna governativa su Aleppo. In Iraq, i guerriglieri tribali sunniti hanno ingaggiato violenti scontri con i miliziani dell’IS a Falluja, mentre l’esercito regolare sta risalendo lentamente verso Mosul con l’apporto dei Peshmerga curdi. Secondo fonti locali, l’operazione ha indotto decine di combattenti jihadisti a lasciare la città, bastione del Califfato. Tuttavia, a tenere banco sono i fragili equilibri interni alle istituzioni centrali. L’annuncio di un rimpasto di governo ha sollecitato le parti politiche a mettere in dubbio la stessa permanenza del Premier Haider al-Abadi.

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UNIONE EUROPEA ↴

Al termine della cena di lavoro del 19 febbraio, a margine del Consiglio Europeo di Bruxelles, i Ventotto membri dell’Unione Europea hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per evitare l’uscita del Regno Unito dall’UE. «Ho negoziato un accordo per dare al Regno Unito uno status speciale all’interno della UE», ha commentato il Premier britannico David Cameron, «ora posso raccomandare di votare per la nostra permanenza all’interno delle istituzioni europee». Il Consiglio Europeo era stato convocato dal Presidente Donald Tusk principalmente per trovare un accordo con il Regno Unito che potesse convincere gli elettori britannici a votare – in occasione del referendum in merito, programmato dal Premier entro in 2017 – per la permanenza all’interno dello spazio comunitario. Con tale intesa, il Regno Unito ha ottenuto due importanti concessioni. La prima riguarda la possibilità di attivare per 7 anni il cosiddetto “freno d’emergenza” per l’accesso dei benefici al welfare da parte dei lavoratori nuovi arrivati dagli altri Paesi dell’Unione Europea; tale accesso sarà inoltre graduale nell’arco di quattro anni. Si tratta di una misura fortemente voluta a Londra – che, pur accettando il principio dell’inviolabilità del mercato interno, puntava all’attivazione del dispositivo per sette anni rinnovabili per due periodi di 3 anni ciascuno – al fine di alleggerire il peso che grava sulle strutture assistenziali britanniche. In secondo luogo Cameron ha ottenuto che al momento della prossima revisione dei Trattati verrà inserito un paragrafo in cui si esonererà il Regno Unito dal concetto di “ever closer Union” (“Unione sempre più stretta”): ciò consentirà di non far mai parte di un esercito europeo, di non partecipare ai salvataggi finanziari, di non adottare la moneta unica e di mantenere i controlli alle proprie frontiere, tuttavia concedendo al Paese il diritto di discutere delle materie comunitarie e dunque di influire su tutte le decisioni che potrebbero riguardarlo. L’accordo del 19 febbraio è legalmente vincolante e 5


sarà depositato alle Nazioni Unite, ma entrerà in vigore solo dopo l’esito del referendum sulla permanenza nell’Unione Europea che, secondo alcuni, potrebbe svolgersi già nel prossimo giugno. Il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha espresso soddisfazione per questo compromesso, sostenendo che è «meglio avere un Regno Unito che fa chiarezza piuttosto che un Regno Unito ondivago», aggiungendo di aspettarsi ora che l’UE si impegni maggiormente su tutte le maggiori questioni. In effetti l’accordo per evitare la cosiddetta “Brexit” ha rischiato di saltare a causa della difficoltà nelle trattative sulla questione relativa alla gestione dei flussi migratori: il Premier greco Alexis Tsipras aveva minacciato di porre il veto all’accordo con il Regno Unito qualora fosse stata concessa la possibilità di chiudere le frontiere settentrionali della Grecia – una misura paventata dalla Macedonia e a cui altri Paesi europei (tra cui in particolare Ungheria e Austria) guardavano con particolare favore.

ROTTA BALCANICA DEI MIGRANTI – RIELABORAZIONE GRAFICA: THE WASHINGTON POST

Le rassicurazioni giunte da Angela Merkel e François Hollande circa il fatto che tale situazione non si verificherà fino al prossimo Vertice sul tema (che dovrebbe avere luogo il 6 marzo), hanno spinto il leader di Syriza ad ammorbidire la propria posizione. 6


Sul tema immigrazione, ad ogni modo, i Paesi dell’UE continuano a correre in maniera autonoma: nonostante l’approvazione di un testo di conclusioni in merito – che quantunque dovrà essere discusso entro i primi di marzo con il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu –, l’Austria ha approvato l’introduzione di misure sui tetti giornalieri all’accoglienza e sul transito dei richiedenti asilo, ovvero saranno ammessi soltanto 80 richiedenti asilo al giorno, dopodiché le frontiere saranno chiuse. Tale normativa contrasta apertamente con le decisioni della Commissione europea che, infatti, le ha bollate come “incompatibili” con le norme europee ed il diritto internazionale; il Cancelliere austriaco Werner Faymann ha confermato il provvedimento dichiarando che in questo modo il Paese accoglierebbe circa 37.000 richiedenti asilo, una quota proporzionata alle proprie possibilità. Un provvedimento analogo sarà intrapreso anche dall’Ungheria che a partire dal 21 febbraio chiuderà tre passaggi ferroviari di frontiera con la Croazia (quelli di Murakeresztur-Kotoriba, Gyekenyes-Koprivnica e Magyarboly-Beli Manastir), attraverso i quali sono passati, sinora, i migranti diretti in Germania. Il Ministro degli Interni ungherese, Sandor Pinter, ha comunicato che la misura avrà validità per 30 giorni e servirà a salvaguardare la sicurezza pubblica, con particolare riferimento al confine con la Croazia, Paese che non fa parte dell’area Schengen. Lo scenario potrebbe complicarsi ulteriormente poiché anche Slovenia, Serbia e Macedonia hanno fatto sapere l’intenzione di voler adottare misure restrittive per gli accessi, provvedimenti che potrebbero provocare una forte crisi umanitaria in Grecia, principale Paese di approdo dei migranti. Proprio sul tema dei migranti si segnala infine uno scontro aperto tra Mattero Renzi ed alcuni leader dei Paesi dell’Est Europa, con il Premier italiano che – ricordando l’imminente avvio della programmazione dei fondi 2020 – ha minacciato la sospensione degli stanziamenti a loro favore nel caso in cui si conformino ai principi della solidarietà europea e si protragga ancora a lungo la loro indisponibilità ad accettare il sistema dei ricollocamenti. La posizione del Presidente del Consiglio italiano è stata particolarmente apprezzata da Francia e, soprattutto Germania, e sembra presagire una distensione dei toni tra Roma e Berlino per ciò che riguarda i temi relativi alla flessibilità.

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BREVI CINA, 17 FEBBRAIO ↴ Secondo alcune immagini satellitari, sembrerebbe che la Cina abbia installato due batterie di missili terra-aria in una delle isole contese nel Mar Cinese Meridionale. Questa mossa ha aumentato la già nota tensione nella regione marittima tra la Cina, che rivendica la sovranità su questi territori, gli USA e gli alleati asiatici. Il portavoce del Ministro della Difesa taiwanese, David Lo, ha affermato che i missili sono stati schierati nell’Isola Woody che fa parte della catena delle Isole Paracel sotto il controllo cinese da più di 40 anni, ma rivendicate anche da Taiwan e dal Vietnam. Lo schieramento dei missili avviene alla fine di un incontro tra il Presidente Barack Obama e i leader dell’ASEAN, tenutosi in California il 15-16 febbraio, dove si è sottolineata la necessità di ridurre le tensioni nella regione del Mar Cinese Meridionale, senza naturalmente far riferimento alle rivendicazioni cinesi nell’area. Gli USA, dal canto loro, non riconoscono le rivendicazioni da parte di Pechino, tanto che in tempi recenti navi ed aerei da guerra hanno rispettivamente navigato e sorvolato le aree circostanti gli avamposti cinesi per rivendicare la propria libertà di navigazione. Lo stesso Obama ha tenuto a sottolineare che gli USA continueranno a navigare, sorvolare ed operare nell’area nel rispetto delle norme di diritto internazionale ed appoggeranno e consiglieranno gli altri Paesi alleati a fare lo stesso. Mentre quest’azione è stata percepita da molti come un tentativo di militarizzazione dell’area da parte della Cina, quest’ultima

si

rivendicando

è la

difesa propria

sovranità e quindi la propria legittimità di schierare i missili in questione a protezione dei territori contesi. Il Giappone, seriamente preoccupato dalle azioni

cinesi,

ha

deciso

di

schierare batterie di missili in alcuni isolotti nel Mare Cinese Orientale, principale

con di

lo

scopo

controllare

le

attività militari di Pechino, e ha intensificato la cooperazione di sicurezza con l’Australia nella discussione di vari temi delicati che riguardano la regione.

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RUSSIA, 15-17 FEBBRAIO ↴ Si è svolto a Budapest il 17 febbraio l’incontro bilaterale tra il Presidente russo Vladimir Putin e il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán. La visita si inserisce nel percorso dei buoni rapporti politico-economici tra i due Paesi, sebbene il volume di scambi commerciali tra Mosca e Budapest sia crollato nel 2015 del 40%. Nella varietà dei temi trattati, l’energia ha rivestito una posizione prioritaria, in quanto l’Ungheria importa dalla Russia l’80% del greggio e, nonostante una leggera inversione del trend negli ultimi anni, circa l’85% del gas. Come puntualizzato dallo stesso Putin, lo scorso dicembre Gazprom procedeva al rinnovo, fino alla fine del 2019, degli accordi di fornitura di gas ai partners ungheresi, tenuti a versare solo per la quota di gas effettivamente consumato. Inoltre, sulla base delle intese intercorse nel febbraio 2015, l’impresa statale russa Rosatom sarà incaricata dell’upgrade della centrale nucleare di Paks, che produce circa il 40% dell’elettricità ungherese, nonché della costruzione di due nuovi reattori, oltre ai quattro esistenti. Ciò avverrebbe nonostante l’ampliamento di tale impianto abbia provocato nello scorso mese di novembre l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti del governo ungherese per la mancanza di conformità alle norme sugli appalti pubblici nell’UE, oltre che per la presunta concessione di aiuti di Stato. Se la cooperazione russo-magiara è supportata da ragioni prioritariamente economiche – sullo sfondo di una crescente distanza tra Budapest e Bruxelles e di un tentativo

diplomatico

del

Cremlino

di

approfondire

i

rapporti

con

partner

geopoliticamente tradizionali – un valore diverso assume l’accordo tra Mosca e Teheran. Ha avuto inizio lunedì 15 febbraio la visita nella capitale russa del Ministro della Difesa iraniano Hossein Dehghan, che ha incontrato il suo omologo Sergej Shoigu e lo stesso Presidente Putin. Al centro dei colloqui l’implementazione dell’accordo di cooperazione militare, sottoscritto a Teheran il 20 gennaio 2015: l’intesa prevedeva infatti un impegno di lungo termine contro il terrorismo, la formazione del personale e la cooperazione per la Marina Militare. Inoltre, la Russia è in procinto di inviare all’Iran la prima batteria di missili S-300 – sul cui rallentamento della consegna peserebbe, come dichiarato dal portavoce del Cremlino, Dmitri Psekov, il mancato pagamento da parte di Teheran. Al contratto in questione, dal valore di 800 milioni di dollari, risalente al 2007 e rispolverato all’indomani della disponibilità del regime iraniano di interrompere il programma nucleare, dovrebbe seguirne uno sulla fornitura di un lotto di caccia multiruolo Sukhoi Su-30. Sul piano della politica estera, Russia e Iran sostengono fermamente il regime di Bashar alAssad in Siria. Tuttavia, sebbene lo stesso Shoigu abbia affermato che solo con l’impegno bilaterale sarà possibile sostenere le sfide comuni in Medio Oriente, è lecito supporre che il programma di riarmo dell’Iran possa contribuire ad alimentare le tensioni regionali.

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TURCHIA, 17 FEBBRAIO ↴ È di 28 morti e oltre 60 feriti il bilancio di un attentato avvenuto ad Ankara nei pressi del Parlamento e del quartier

generale

dell’Aeronautica.

L’attentatore,

identificato dalle forze di sicurezza in Saleh Nejar – ritenuto vicino alle Unità di Protezione del Popolo (YPG), ala militare del principale partito curdo siriano Partito dell’Unione Democratica (PYD) –, si è fatto esplodere a bordo di un’auto nelle vicinanze di due autobus di militari turchi. Sebbene anche il Presidente Recep Tayyip Erdoğan e il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu avessero individuato nell’YPG la responsabilità dell’attacco (avviando immediatamente nella capitale una retata antiterrorismo che ha portato all’arresto di 14 persone), l’azione è stata nelle ore successive ufficialmente rivendicata dal Kurdistan Freedom Hawks (TAK) – gruppo militare curdo fuoriuscito dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in aperto dissenso per la disponibilità di quest’ultimo al compromesso con la Turchia. TAK, che ha giustificato l’attacco come una risposta ai bombardamenti nel sud-est del Paese e in particolare a Cizre, è autore di alcuni attentati negli ultimi anni contro strutture turistiche a Istanbul, ad Ankara e ad Izmir. Nonostante ciò, alla luce di quelle che sono state finora le capacità logistiche e operative del gruppo, sembra difficile che l’attentato di Ankara possa essere ricondotto in toto a TAK. Più verosimilmente legato alla questione curda è invece l’attentato del 18 febbraio a Diyarbakir, dove da mesi sono in corso scontri tra esercito e milizie più o meno legate al PKK, contro un convoglio militare e in cui avrebbero perso la vita 6 soldati turchi. Restano da verificare invece i collegamenti tra i due attentati in Turchia e l’esplosione avvenuta alla sede di un’associazione culturale curda di Botkyrka, a ovest di Stoccolma; alcuni giorni prima spari su un corteo pro-curdo a Fitta, a sud della capitale svedese, avevano portato al ferimento di un uomo, confermando il crescente clima di tensioni tra le comunità turche e curde nel Paese scandinavo.

UCRAINA, 16 FEBBRAIO ↴ La mozione di sfiducia contro il governo di Arseniy Yatsenyuk, mossa da parte del Blocco di Petro Poroshenko

(BPP)

nel

Parlamento

ucraino,

ha

segnalato la crisi non solo della coalizione “Ucraina europea”, ma del sistema di alleanze politiche del Paese. Nonostante i parlamentari si siano trovati concordi

con

Poroshenko

circa

le

inadempienze/incapacità

dell’esecutivo

stagnazione delle riforme e mancanza di risultati concreti nel processo politico –, il voto di sfiducia è fallito. Questo sorprendente risultato è stato attribuito sia alle 10


pressioni esercitate sui deputati dagli oligarchi, come Rinat Akhmetov, Ihor Kolomoiskiy e Victor Pinchuk, sia alla scarsa disciplina dei membri dei partiti. Se le pressioni politiche esercitate da parte di alcuni influenti attori extra-parlamentari – appunto gli oligarchi – sono difficili da valutare, data anche l’ambiguità nelle relazioni tra i partiti maggiori e gli inner circle oligarchici, non suscita, invece, dubbi la scarsa disciplina parlamentare e partitica dei soggetti in questione. Soltanto 94 deputati su 136 appartenenti al BPP, che secondo RBC Information Systems è stata la forza politica più disciplinata in questa votazione, si sono espressi a favore della caduta del governo. Appare dunque evidente che diverse forze politiche minori stiano strumentalizzando il conflitto tra il Presidente e il Premier al fine di perseguire un proprio vantaggio politico. Il 18 febbraio inoltre è giunta la notizia ufficiale della dissoluzione della coalizione “Ucraina europea” a causa dell’abbandono di alcuni alleati minori come Batkivshchyna (Patria) di Yulia Tymoshenko, di Samopomich e del Partito Radicale. Nel caso in cui non si formi entro un mese una nuova coalizione all’interno

della

maggioranza

parlamentare,

si

terranno

elezioni

legislative

straordinarie. La crisi politica rischia di bloccare completamente il lavoro del governo e di rallentare inesorabilmente le riforme promesse da Kiev alla comunità internazionale, come la riforma del sistema giudiziario e la lotta alla corruzione.

UGANDA, 18 FEBBRAIO ↴ Più di 15 milioni di persone si sono recate alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali e per il rinnovo del Parlamento. Nonostante gli ugandesi siano chiamati a scegliere tra sette candidati alla presidenza, le elezioni dovrebbero riconfermare il leader incontrastato della scena politica nazionale, il Presidente uscente Yoweri Museveni, in carica dal 1986 e alla ricerca del suo quinto mandato consecutivo. Per il secondo Paese più giovane al mondo, in cui l’80% della popolazione ha meno di trenta anni, l’attuale Presidente ha rappresentato di fatto l’unica alternativa politica degli ultimi decenni e ha rivendicato il suo ruolo di garante della pace e della stabilità, dopo gli anni della feroce dittatura di Idi Amin Dada. Oltre a presentarsi come il promotore di un certo miglioramento delle condizioni economiche, l’anziano Presidente è riuscito a farsi considerare come un alleato chiave per gli Stati Uniti nella lotta al terrorismo nella regione. Tuttavia, le tensioni, le intimidazioni e le repressioni del dissenso che hanno accompagnato tutta la campagna elettorale hanno raggiunto il loro apice quando nelle stesse ore delle votazioni si è avuto il doppio arresto (e rilascio) di Kizza Besigye, leader dell’opposizione e principale sfidante di Museveni. Ad aumentare i sospetti di brogli ed irregolarità da parte del regime hanno contribuito le lunghe ore di ritardo nell’apertura dei seggi ed il contemporaneo oscuramento dei mezzi di comunicazione, soprattutto dei social network. In alcuni seggi, la polizia è intervenuta con i gas lacrimogeni per disperdere la folla inferocita per la lunga attesa alle urne chiuse. Si 11


teme sempre più che il risultato dello scrutinio possa essere accolto dallo scoppio di aspre violenze e dure repressioni da parte delle forze di polizia, soprattutto nel caso in cui l’attuale Presidente raggiunga il 51% dei voti già al primo turno, eliminando quindi ogni possibilità per l’opposizione.

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ALTRE DAL MONDO AUSTRIA-CROAZIA, 16 FEBBRAIO ↴ La notizia della creazione di un sistema di controlli con l’Italia ai valichi di Tarvisio, Brennero e Resia, per limitare il flusso dei migranti, è stata annunciata dal Ministro degli Interni austriaco Johanna Mikl Leitner e da quello della Difesa Hans Peter Doskozil. La necessità dell’implementazione di questa misura è stata dettata dal raggiungimento del limite della capacità di ricezione dei migranti in varie aree del Paese. L’iniziativa austriaca ha avuto dei riscontri nei Paesi confinanti. La Slovenia ha annunciato l’invio delle forze armate al confine con la Croazia per controllare il flusso dei migranti, mentre Zagabria ha costretto oltre 200 “migranti economici” a far ritorno in Serbia, preparandosi a chiudere il confine anche con la Bosnia-Erzegovina.

BELGIO, 16 FEBBRAIO ↴ Forze di sicurezza e reparti speciali nazionali hanno lanciato una vasta operazione anti-terrorismo nella capitale, che ha portato all’arresto di 10 persone. La maxi operazione è stata organizzata dalla procura federale anti-terrorismo di Liegi, la quale da tempo stava investigando su una rete di reclutatori di combattenti diretti in Siria, presumibilmente legati allo Stato Islamico. Diverse perquisizioni sono state effettuate anche a Molenbeek-Saint-Jean, Koekelberg, Schaerbeek ed Etterbeek, comuni dell’area metropolitana di Bruxelles e luoghi di provenienza della gran parte dei miliziani invischiati negli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre.

BOSNIA-ERZEGOVINA, 15 FEBBRAIO ↴ Come anticipato lo scorso autunno sulla scia dell’entrata in vigore dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (1° giugno 2015), il Presidente della presidenza tripartita bosniaca Dragan Čović ha presentato al Ministro degli Esteri olandese Bert Koenders la domanda di adesione all’Unione Europea. Spetterà ora al Consiglio dell’UE avviare la procedura per la valutazione della candidatura, il cui verdetto potrebbe essere atteso entro la fine del 2017. Nonostante la presentazione della domanda possa esser ritenuta un’azione di facciata – restano infatti numerosi e complessi i nodi politici, economici e sociali che le autorità bosniache si trovano ad affrontare –, tale atto costituisce certamente un buon segnale per lo sblocco dell’impasse istituzionale in cui si trova il Paese a vent’anni di distanza da Dayton, nonché per le prospettive di integrazione europea per l’intera regione balcanica.

BRASILE, 17 FEBBRAIO ↴ Numerosi incidenti si sono registrati a San Paolo durante alcune manifestazioni a sostegno e contro l’ex Presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Nelle stesse ore infatti si 13


sarebbe dovuto tenere il primo interrogatorio – prima della decisione della Corte locale di decidere un rinvio – all’ex Capo di Stato brasiliano accusato di corruzione nell’ambito di un’inchiesta secondaria nel processo Petrobras. Le accuse riguardanti Lula si inscrivono nell’ambito della vicenda legata alla compagnia petrolifera statale Petrobras ad alle presunte tangenti che alcuni membri del governo Rousseff avrebbero ricevuto.

CAMERUN-NIGERIA, 16 FEBBRAIO ↴ In risposta agli attacchi del gruppo terroristico di Boko Haram, il Camerun ha lanciato un’operazione militare nella località nigeriana di Goshi a cavallo del confine tra i due Paesi. Goshi è stata riconquistata dopo alcuni giorni dalle forze speciali camerunesi, liberando altresì un centinaio di persone che erano state catturate dagli estremisti. Negli scontri sono rimasti uccisi 162 miliziani di Boko Haram e sono stati distrutti vari siti per la produzione di bombe, due campi di addestramento e sono stati sequestrati veicoli, armi e munizioni.

ITALIA-ARGENTINA, 15-16 FEBBRAIO ↴ Per la prima volta in 18 anni, un Presidente del Consiglio italiano ha effettuato un viaggio ufficiale in Argentina. Al centro dell’incontro tra Matteo Renzi e il Presidente Mauricio Macri vi è stato il chiaro intento di rilanciare i rapporti politici e, soprattutto, quelli economici, dopo circa un decennio di “congelamento” delle relazioni bilaterali. Quella di Renzi è la anche prima visita di un Premier europeo da quando Macri si è insediato, precedendo di circa dieci giorni quella del Presidente francese François Hollande. La nuova politica di Macri, che si presenta come maggiormente liberista e meno latino-centrica rispetto a quella passata kirchnerista, offre grandi possibilità per le imprese italiane, soprattutto nei settori chiave dall’energia e delle infrastrutture.

KOSOVO, 17 FEBBRAIO ↴ Nel giorno dell’ottavo anniversario dell’indipendenza del Kosovo, ha avuto luogo a Priština la più grande manifestazione nella storia recente del Paese, organizzata dall’opposizione nazionalista (Vetëvendosje, Alleanza per il Futuro del Kosovo e Iniziativa per il Kosovo) per richiedere le dimissioni immediate del Primo Ministro e del Ministro degli Esteri, rispettivamente Isa Mustafa e Hashim Thaçi, ed elezioni anticipate entro l’anno. L’opposizione, inoltre, continua a richiedere la revoca dell’accordo concluso nell’agosto 2015 con Belgrado per la creazione di una Associazione delle comunità serbe in Kosovo e di quello del novembre dello stesso anno con Podgorica relativo alla linea di demarcazione dei confini con il Montenegro.

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LIBIA, 19 FEBBRAIO ↴ Un raid aereo statunitense contro alcune postazioni militari a Sabratha, nell’ovest della Libia, ha ucciso 41 miliziani presunti affiliati allo Stato Islamico. Nell’attacco hanno perso la vita 38 tunisini, 2 algerini e 1 giordano, tutti o quasi aderenti alla cellula terroristica responsabile degli attentati al museo del Bardo di Tunisi (18 marzo) e ai resort di Sousse (24 giugno). Nel raid sarebbe stato ucciso anche la mente delle stragi, Noureddine Chouchane. Il Pentagono ha spiegato che l’intervento aereo è stato dettato dalla possibile nuova iniziativa stragista dei miliziani contro alcune località turistiche della Tunisia.

PALESTINA, 19 FEBBRAIO ↴ Almeno nove palestinesi sono stati feriti ed uno è stato arrestato al termine di alcuni scontri con le forze di sicurezza israeliane, verificatisi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, per protestare contro la decisione di istituire nuovi insediamenti di coloni. Nei giorni scorsi, invece, scontri si erano verificati a Ramallah, dopo la decisione delle autorità israeliane di non permettere al giornalista palestinese Mohammed al-Qiq, sospettato di legami con Hamas, di essere trasferito in una struttura palestinese.

QATAR, 16 FEBBRAIO ↴ I Ministri del Petrolio di Arabia Saudita e Russia hanno raggiunto un accordo provvisorio sul congelamento della produzione del greggio ai livelli dell’11 gennaio 2016: l’impegno, assunto alla presenza degli omologhi di Venezuela e Qatar, ha ricevuto il supporto di Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. L’intesa tra i membri dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) e la Russia potrebbe offrire, con il consenso di altri produttori, una strategia efficace nel medio periodo. L’Iran – membro OPEC e quarto Paese al mondo per riserve provate di petrolio – dichiarava il mese scorso di voler aumentare il proprio export fino a 500.000 barili al giorno, così provocando un crollo dei prezzi al di sotto dei 30 dollari a barile. Il 17 febbraio, il Ministro del Petrolio iraniano Bijan Namdar Zangeneh, al termine dell’incontro a Teheran con le controparti di Venezuela, Iraq e Qatar, ha accolto con favore la fissazione di un tetto alla produzione, pur non confermando il livello di output di gennaio. Se Teheran riconquistasse la propria quota del mercato globale, i prezzi dell’oro nero subirebbero un ulteriore crollo e, per effetto, sarebbe meno conveniente l’estrazione di petrolio di scisto statunitense. Al contrario, se la quotazione tornasse a salire, potrebbe ipotizzarsi una ripresa dell’estrazione di shale oil, alimentando ancora l’idea dell’autosufficienza energetica di Washington.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 16 FEBBRAIO ↴ I leader dell’opposizione Mosè Katumbi e Etienne Tshisekedi hanno espresso il proprio sostegno alle proteste organizzate in tutto il Paese per reclamare lo svolgimento di 15


elezioni presidenziali entro i termini stabiliti dalla Costituzione o, comunque, entro la fine del 2016. Nelle ultime settimane sono infatti aumentati i timori di una loro nuova procrastinazione. La minoranza teme che le autorità di Kinshasa stiano cercando di ritardare il più possibile il voto – che era previsto per il 27 novembre scorso – per consentire all’attuale Presidente Joseph Kabila di modificare per via parlamentare i termini dei mandati presidenziali fino ad ora previsti in due rielezioni da quattro anni l’uno. Qualche giorno prima della manifestazione, uno dei promotori, il deputato Martin Fayulu, era stato arrestato ma rilasciato alcune ore dopo a Kinshasa a seguito delle forti pressioni esercitate dalla comunità internazionale. L’Inviato Speciale degli Stati Uniti per la regione dei Grandi Laghi, Tom Perriello, aveva infatti espresso su Twitter la propria preoccupazione per l’arresto del deputato, mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha condannato l’arresto definendolo «un passo molto grave che conferma che lo spazio politico [in RDC] continua a ridursi, così come i diritti e le libertà dei cittadini». Secondo il Capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo, Josè Maria Aranaz, ci sarebbero stati più di una trentina di arresti in tutto il Paese legati alle manifestazioni anti-governative, nonostante le smentite ufficiali del capo della polizia congolese Célestin Kanyama.

SOMALIA-KENYA, 18 FEBBRAIO ↴ Un raid dell’aviazione keniana ha ucciso il capo dell’intelligence militare di al-Shabaab, Mahad Mohammed Karatey. Noto anche come Abdirahim Mohamed Warsame, Karatey è stato ucciso insieme ad altri 52 membri del gruppo in un raid avvenuto a Nadris, nel sud della Somalia, lo scorso 8 febbraio. Karatey era considerato una delle menti degli attacchi alla base AMISOM di al-Ade dello scorso 15 gennaio (nel quale morirono circa un centinaio di militari keniani) e al campus universitario di Garissa dell’aprile 2015 (dove furono uccisi almeno 150 giovani). Nonostante il gruppo somalo abbia smentito l’uccisione del loro leader, l’esercito e il Ministero dell’Interno del Kenya hanno confermato la notizia della morte del militante islamista.

VENEZUELA, 18 FEBBRAIO ↴ Con un prodotto interno lordo in caduta libera del 5,7% e un’inflazione pari a più del 180%, il Presidente Nicolàs Maduro, uscito vincitore da un braccio di ferro con il Parlamento controllato dall’opposizione, ha annunciato una serie di provvedimenti che, negli auspici, dovrebbe ridare fiato alle casse dello Stato sempre più vuote a causa del crollo del prezzo del petrolio. Ha fatto scalpore, in questo senso, l’annuncio di Maduro dell’imminente rialzo dei prezzi della benzina, che saliranno dal simbolico 1 centesimo al litro a 95 centesimi. In media, ora serviranno 6 dollari per un pieno rispetto ai precedenti 10 centesimi. A fronte della difficile situazione, il capo dell’opposizione e già candidato alla presidenza, Henrique Capriles, ha affermato di volere indire un referendum per destituire Maduro.

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YEMEN, 17 FEBBRAIO ↴ Almeno 14 soldati sono rimasti vittime di un attacco suicida contro una caserma dell’esercito yemenita ad Aden, località interessata negli ultimi mesi da una serie di attentati delle milizie ribelli sciite Houthi e di quelle jihadiste di al-Qaeda nella Penisola Arabica ai danni di esponenti del governo Hadi. L’emittente televisiva panaraba al-Arabiya ha riportato che un terrorista suicida, vestito da soldato, si sarebbe fatto esplodere in mezzo ad un gruppo di nuove reclute che attendevano di entrare nella caserma di Ras Abbas. Il ramo locale dello Stato Islamico (IS), Wilayat Yaman, ha rivendicato l’attentato, sostenendo di aver ucciso almeno 20 soldati “apostati”. Da ottobre 2015 la città di Aden è teatro di azioni di IS che hanno avuto come bersaglio le strutture di governo del Paese, di cui Aden è stata indicata come capitale provvisoria.

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ANALISI E COMMENTI IL FENOMENO DELL’OIL BUNKERING: IL CASO DELLA NIGERIA SARAH WAFIQ ↴ Il termine “oil bunkering” è oggi usato per indicare l’appropriazione indebita e il commercio illegale del petrolio, un fenomeno che comporta ogni anno la perdita di miliardi di dollari da parte delle compagnie petrolifere colpite. Nel caso quest’ultime siano sotto il controllo totale o parziale del proprio governo, il danno va ben oltre i meri interessi corporativi: viene sottratto denaro destinato alle casse pubbliche per offrire servizi alla collettività, finanziare iniziative sociali e umanitarie, costruire infrastrutture quali scuole ed ospedali, etc. In teoria, non dovrebbe essere complicato arginare questi furti illeciti: basti pensare alla difficoltà nel nascondere un’autocisterna, nonché alla facilità con cui identificarne il proprietario. Tuttavia, la pratica mostra uno scenario differente: dietro alle attività di oil bunkering si cela spesso un sistema estremamente ben organizzato, alimentato da interessi economici e/o politici. Casi di oil bunkering sono oggi riscontrabili in Messico, Indonesia, Iraq e Russia, ma l’area più colpita al mondo rimane da molti anni la Nigeria (…) SEGUE >>>

AMBIZIONI E INCOGNITE DELLA POLITICA ESTERA SAUDITA IN MEDIO ORIENTE GIUSEPPE DENTICE ↴ Durante l’annuale appuntamento della Conferenza internazionale sulla Sicurezza di Monaco di Baviera (10-12 febbraio), Stati Uniti e Russia hanno annunciato di aver raggiunto una tregua umanitaria di sette giorni per le aree del nord della Siria: un impegno concreto utile a rafforzare e a dar forza alla ripresa dei colloqui di Ginevra III del prossimo 25 febbraio. Poche ore dopo l’annuncio, Arabia Saudita e Turchia hanno dichiarato di esser pronte a intensificare i raid aerei contro lo Stato Islamico e di valutare, se necessario, un’eventuale operazione congiunta terrestre in Siria sotto la bandiera della neo costituenda coalizione sunnita anti-terrorismo. Sebbene dopo una mediazione statunitense la possibilità dell’invio di truppe sembri essere stata al momento accantonata, la situazione resta molto tesa. In questo quadro di piena mutevolezza e complessità, la proposta di Riyadh conferma tuttavia il suo rinnovato impegno diplomatico e militare nella regione (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 18


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