OPI Weekly Report N°7/2016

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N°7, 21 FEBBRAIO – 5 MARZO 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 6 marzo 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo Credits: AFP; AP; Middle East News Agency; Reuters; Reuters/Khalil Ashawi; ANSA; May9.ru/Kremlin.


FOCUS IMMIGRAZIONE ↴

Continua a mantenersi molto alta la tensione nella penisola balcanica a causa del continuo afflusso di migranti lungo le frontiere esterne dell’Unione Europea. Una situazione critica ed emergenziale, che ha indotto l’Austria, uno dei Paesi destinatari del flusso e allo stesso tempo di passaggio nella tratta migratoria verso il nord del Continente, a convocare a Vienna un Vertice sul tema del controllo del flusso migratorio (24 febbraio), al quale hanno preso parte 10 Paesi (Slovenia, Croazia, Bulgaria, Albania, Bosnia, Kosovo, Serbia, Macedonia e Montenegro). La decisione di non invitare al summit in questione i rappresentanti di Unione Europea e Grecia, che ha provocato dure reazioni critiche da Bruxelles e Atene, ha convinto, il governo ellenico a ritirare il proprio Ambasciatore a Vienna e a far pronunciare affermazioni molto dure al Ministro degli Interni con delega all’immigrazione, Yannis Mouzalas: la Grecia «non diventerà il Libano europeo, né sarà un magazzino di anime». Mouzalas ha poi aggiunto che Atene sta esercitando numerose pressioni sulla Commissione europea affinché possa limitare, se non proprio bloccare, azioni unilaterali e sensazionalistiche da parte degli Stati membri dell’UE. I riferimenti erano alla proposta del Premier ungherese Viktor Orbán di voler indire un referendum sulle quote dei migranti nel suo Paese e alla proposta del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) di voler costruire una barriera anti-migranti lungo il confine condiviso tra Macedonia e Grecia. Parallelamente Atene ha reiterato alla NATO la richiesta di rendere il più efficace possibile le operazioni di pattugliamento nell’Egeo per tamponare il passaggio di immigrati e rifugiati dalle coste turche, e da Bodrum in particolare, principale base di partenza 1


dei migranti verso l’Europa. Sebbene il summit di Vienna non abbia partorito nessuna misura significativa oltre a quelle già in essere (vale a dire il tetto agli ingressi – sono 580 gli ingressi autorizzati giornalieri), se non una sottoscrizione a collaborare per l’allontanamento dei migranti che non rientrino sotto “protezione internazionale”, l’Unione Europea, per voce del Commissario per le Migrazioni, Dimitris Avramopoulos, ha richiamato tutte le parti ad un maggiore rispetto della condizione umana dei soggetti in fuga dalle guerre e ad una più cauta consapevolezza rispetto al fatto che non si può bloccare un fenomeno di tali proporzioni. Avramopoulos ha poi lanciato un allarme all’intera Europa, spiegando che se non si trova a breve un accordo sui migranti, almeno entro il prossimo 7 marzo, data del Vertice straordinario UE-Turchia a Bruxelles, si rischia un collasso del sistema di accoglienza.

ROTTA BALCANICA DEI MIGRANTI – FONTE: THE INDEPENDENT

I blocchi posti lungo la direttrice balcanica non hanno comunque mancato di sortire episodi di tensione, in particolare nei pressi di Idomeni, località al confine tra Grecia e Macedonia, dove si sono registrati i principali scontri tra migranti e forze 2


dell’ordine macedoni, impegnate nel tentativo di respingere gli ingressi, e in cui sono rimaste ferite decine di persone. Nelle stesse ore a Calais, all’estremo nord della Francia poco distante dal confine belga, le autorità francesi avevano dato l’ordine alle forze di sicurezza di sgomberare la cosiddetta “Giungla”, una sorta di accampamento di fortuna dove soggiornano all’incirca 3.500 migranti diretti verso il Regno Unito. Le operazioni di smantellamento sono tuttavia degenerate in scontri tra gli attivisti no-border, i migranti e gli agenti incaricati di presidiare le squadre di operai in attività. Nel tentativo di affrontare l’emergenza migratoria, la diplomazia europea si sta adoperando nella ricerca di misure temporanee utili ad aiutare soprattutto i Paesi coinvolti in prima istanza nel fenomeno. Il 2 marzo, la Commissione europea ha proposto un nuovo piano per permettere la mobilitazione rapida di finanziamenti comunitari in favore di alcuni Stati membri, come Grecia e Italia. La proposta prevede maggiori spese per 700 milioni di euro nei prossimi tre anni per rispondere alle esigenze di prima assistenza dei migranti. La proposta avrà bisogno del via libera sia del Parlamento europeo sia del Consiglio europeo. Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, ha poi auspicato un ritorno allo spirito autentico di Schengen e ad una maggiore cooperazione intra- ed extra-Unione Europea con i Paesi dei Balcani e la Turchia, nello sforzo comune di applicare pienamente le norme vigenti e quelle utili a debellare le derive criminali dell’emergenza umanitaria. Rientrerebbe in quest’ottica anche la proposta dei Ministri dell’Interno di Italia e Germania, Angelino Alfano e Thomas De Maiziere, di riformare l’impianto legislativo di Dublino III attraverso la creazione di un meccanismo di registrazione, che includa controlli di sicurezza da allestire con l’aiuto di FRONTEX, e di un maggiore impegno degli Stati membri nella messa a disposizione di risorse umane e finanziamenti all’Ufficio Europeo di sostegno per l’Asilo. La proposta di Alfano e De Maiziere si inserisce in una strategia di identificazione dei migranti che hanno bisogno di protezione internazionale nei loro Paesi di origine o nei Paesi di transito prima di arrivare in Europa – approccio attualmente usato anche nella cooperazione con la Turchia – con l’obiettivo finale di definire un sistema istituzionalizzato di ricollocamento o quote degli stessi migranti nei singoli Paesi dell’UE.

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LIBIA ↴

Sono rientrati all’alba del 6 marzo i due dipendenti italiani della ditta Bonatti, Filippo Calcagno e Gino Pollicardo, sopravvissuti probabilmente ad uno scontro a fuoco avvenuto nei giorni precedenti a Sabratha, ad ovest di Tripoli, nel quale hanno trovato la morte i due colleghi, Salvatore Failla e Fausto Piano. Le ricostruzioni finora conosciute dagli investigatori italiani sarebbero contrastanti e i dettagli non del tutto collimanti tra loro, lasciando quindi trasparire numerose incongruenze e punti oscuri. Non sarebbe chiaro, infatti, se i quattro dipendenti della società di ingegneria di Parma fossero ostaggi degli stessi rapitori; le modalità secondo cui si sono svolti i fatti relativi alla sparatoria che ha portato alla morte di Failla e Piano; chi siano i loro assassini; come è avvenuta la liberazione di Calcagno e Pollicardo; nonché, infine, i tempi tecnici per il rientro delle salme in Italia. Secondo alcune ricostruzioni, i due italiani sarebbero rimasti uccisi durante l’offensiva delle milizie del Consiglio Militare di Sabratha (CMS) contro un acquartieramento di sospetti miliziani legati alla cellula locale dello Stato Islamico (IS). Altre ricostruzioni, invece, riferirebbero che i due tecnici italiani sarebbero rimasti uccisi in seguito ad una imboscata subita dal gruppo che li teneva in ostaggio, probabilmente uomini legati a milizie locali o alla criminalità comune, mentre era in corso il loro trasferimento da Sabratha verso un’altra località non meglio identificata. Allo stesso modo, non è chiaro se i due italiani sopravvissuti siano stati liberati dietro pagamento di una richiesta di riscatto o siano fuggiti – ma anche in questo caso non è ben chiara la modalità della fuga – dal controllo dei loro aguzzini, prima di essere recuperati dal CMS e consegnati alle autorità italiane. Il caso degli ostaggi di Sabratha ha confermato inevitabilmente non solo il grado di instabilità e insicurezza che caratterizza il Paese a cinque anni dalla caduta del regime 4


gheddafiano, ma anche l’estrema frammentazione ed eterogeneità delle milizie libiche – secondo ultimi report sarebbero oltre 200 – e il graduale attecchimento del network jihadista dell’IS e di altre cellule salafite di ritorno dal teatro siriano in Libia. Tale contesto preoccupa in particolar modo i vicini (Tunisia, Algeria, Egitto, Sudan e Ciad), impegnati a tamponare da tempo possibili infiltrazioni di miliziani all’interno dei loro territori e ad evitare possibili saldature delle violenze su entrambi i fronti (interno ed esterno) dei propri rispettivi confini al fine di evitare un rafforzamento del fronte jihadista glocale attraverso un continuum territoriale e spaziale.

LE MILIZIE ATTIVE IN LIBIA – RIELABORAZIONE GRAFICA: ISPI

A destare maggiore preoccupazione è al momento l’area di Sabratha, già colpita da numerosi raid americani e, presumibilmente, francesi, che pare essere divenuta la principale enclave di IS nell’ovest del Paese. La strategicità e l’importanza di Sabratha è data in particolar modo dal suo essere diventato un hub logistico per la raccolta, il passaggio e l’addestramento dei combattenti provenienti, soprattutto, dalla Tunisia ma anche da e verso il Nord Africa e il Sahel. 5


Sul fronte politico-diplomatico, il governo italiano continua a subire il pressing internazionale degli alleati (USA, Regno e Francia su tutti), che chiedono un’assunzione di responsabilità piena e in prima linea nella guida di una coalizione militare internazionale in Libia. Pur condividendo i timori e le preoccupazioni dei partner alleati, l’esecutivo italiano per voce del Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha spiegato, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, che «occorre evitare che la Libia sprofondi nel caos […]. Il governo è consapevole degli errori del passato e sta lavorando per creare le condizioni di stabilizzazione [nel Paese]. È un'operazione politica prima che militare ed è questa la grande sfida della comunità internazionale che vede l'Italia in prima fila». Roma ha ribadito che qualsiasi intervento potrà avvenire solo ed esclusivamente dietro ad una richiesta esplicita del neo insediato governo di unità nazionale a Tripoli. Il governo italiano starebbe valutando inoltre l’ipotesi di un intervento militare ridotto attraverso l’invio di non oltre 100 unità tra forze speciali e uomini dei servizi segreti, che avrebbero principalmente compiti di intelligence e di formazione delle milizie, anche islamiste, reputate affidabili nella lotta alle cellule dell’IS in Libia. Non sarebbe tuttavia ancora chiaro in che modo l’Italia concederà l’uso delle proprie basi militari o l’utilizzo del proprio spazio aereo per le azioni mirate condotte dai droni USA, come quelli decollati dalla base di Sigonella (Catania) che hanno attaccato un centro di IS a Sabratha. Nel frattempo, dopo l’ennesimo rinvio al prossimo 7 marzo del voto di fiducia del Parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto internazionalmente, all’istituzione dell’esecutivo proposto dalla Risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non si è fatta attendere la risposta di Tripoli in merito ad un possibile intervento militare internazionale in territorio libico. Il Ministro degli Esteri, Aly Abuzaakouk, ha fatto sapere che il suo governo non accetterà mai un’azione militare straniera nel Paese. Abuzaakouk ha poi aggiunto che la Libia è in grado «di combattere questi gruppi e respingere qualsiasi intervento militare nel Paese».

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SIRIA-IRAQ ↴

La cessazione delle ostilità concordata da Russia e Stati Uniti ed entrata in vigore alla mezzanotte del 27 febbraio ha ridotto significativamente l’estensione e l’intensità dei combattimenti in Siria. L’aviazione russa e le forze governative hanno continuato a colpire le milizie dello Stato Islamico (IS) e di Jabhat al-Nusra (JaN), ai quali la tregua non è applicata. Il cessate il fuoco è un passo necessario per propiziare la ripresa dei negoziati di pace, che l’Inviato Speciale ONU Staffan de Mistura ha convocato per il 9 marzo. Tuttavia si continua a combattere in alcune zone del Paese, in particolare attorno e all’interno l’area di Aleppo, dove l’IS ha consolidato la propria presenza intaccando la continuità delle linee di rifornimento governative a Khanaser, mentre l’artiglieria turca non ha interrotto i bombardamenti da oltre confine contro le milizie curdo-siriane, a Tal Abyad e Monbahteh. A questo riguardo, il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha precisato che la Turchia non è condizionata al cessate il fuoco e deciderà unilateralmente le misure necessarie a contrastare sia le forze curde sia l’IS, poiché queste attentano direttamente alla sicurezza nazionale. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan già aveva sollecitato gli alleati occidentali a equiparare il Partito curdo d’Unione Democratica (PYD) e il suo braccio armato (YPG, Unità di Protezione Popolare) a DAESH, in virtù della loro vicinanza al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), riconosciuto organizzazione terroristica dagli stessi Stati Uniti e con cui Ankara ha ripreso un violento conflitto civile, laddove tuttavia le milizie curdosiriane rispondono indirettamente a Washington nell’ambito delle operazioni contro l’IS. Per contro, Mosca insiste sulla necessità di coinvolgere i curdi siriani nei colloqui di pace e rivolge contro Ankara l’accusa di inviare armi nel teatro siriano avvalendosi dei convogli umanitari.

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FRONTI DI COMBATTIMENTO NEL NORD DELLA SIRIA – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

I distinguo delle parti in conflitto sulla qualificazione dei gruppi “terroristi” dunque espongono la tregua a forti contraddizioni, ancor più in considerazione di una situazione sul terreno che pregiudica l’effettiva possibilità di attacchi selettivi. Se il Comitato delle opposizioni siriane patrocinato dall’Arabia Saudita condiziona il rispetto dell’accordo mediato dalla comunità internazionale alla sospensione degli attacchi governativi e russo-iraniani, alla liberazione dei prigionieri di guerra e alla rottura degli assedi sulle (diciotto) località in controllo delle formazioni ribelli, il governo siriano presieduto da Bashar al-Assad ha esplicitato chiaramente la continuazione degli attacchi contro le fazioni islamiste (IS e JaN) e “le altre organizzazioni terroristiche” a queste legate – un’aggiunta sotto cui possono ricadere, potenzialmente, tutti i gruppi di opposizione. A questo riguardo, il Ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha evidenziato che, nonostante la tregua, l’esercito siriano ha fatto uso di armi chimiche, anche contro civili. Intanto, Assad offre un’amnistia illimitata ai ribelli che deporranno le armi e annuncia per aprile nuove elezioni parlamentari. Malgrado le inevitabili falle dell’accordo, de Mistura ha espresso una valutazione positiva sulla tenuta della tregua in un confronto a Ginevra con il Gruppo internazionale di supporto che dietro la co-presidenza russa e americana ne sta monitorando l’implementazione. La Casa Bianca ha invece sposato una posizione di maggiore prudenza: in un’audizione alla Commissione Esteri del Senato, il Segretario di Stato John Kerry ha accennato all’ipotesi di una frammentazione della Siria, qualora la 8


sospensione degli scontri armati si riveli effimera e la transizione politica impraticabile. La possibilità di un “piano B” per la spartizione del Paese, che in realtà da mesi è parte integrante delle opzioni discusse dalle potenze estere, è stata tuttavia risolutamente respinta dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Con lentezza e difficoltà procede anche il secondo obiettivo di fornire assistenza umanitaria alla popolazione civile intrappolata nelle località sotto assedio. Secondo le stime dell’ONU, gli aiuti hanno raggiunto 110.000 persone, ma almeno 370.000 attendono l’invio di generi alimentari e medicinali. Il coordinatore ONU, Yacoub al-Hillo, ha fatto presente che le aree in cui operano l’IS e JaN non possono essere raggiunte via terra, mentre il ponte aereo allestito per paracadutare gli aiuti a Dair az-Zor (dove 200.000 civili si trovano stretti nella morsa dei guerriglieri islamisti) è stato sinora fallimentare. Sul risultato parziale e insufficiente delle operazioni di assistenza umanitaria contribuisce inoltre la reticenza del governo siriano a concedere libero ingresso ai convogli. La denuncia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è rappresentativa: nel 2015 solo 30 delle 102 richieste inoltrate a Damasco per il transito di forniture mediche verso le aree di conflitto sono state approvate. Inoltre, le autorità siriane hanno sistematicamente bloccato al confine antibiotici, strumenti chirurgici, kit per ustioni e traumi – così privando migliaia di persone di trattamenti sanitari salvavita. Dopo tre mesi d’interruzione degli approvvigionamenti idrici, l’acqua corrente è tornata a scorrere nella città di Aleppo, dove la riduzione degli scontri armati è stata corrisposta da dimostrazioni di piazza contro il regime alawita. Le manifestazioni hanno interessato anche i quartieri in mano alle opposizioni a Damasco, Dara’a e Homs – in quella che è sembrata un ritorno alle insurrezioni che nel 2011 anticiparono l’esplosione della guerra civile. In Iraq, le forze di sicurezza sono ancora impegnate nella lotta contro le sacche di resistenza dell’IS nella provincia di Ramadi. Il 25 febbraio i guerriglieri del Califfato sono stati estromessi da Albu Daji, a nord di Amiriyat al-Fallujah. Tuttavia, tra il 25 e il 29 febbraio, il gruppo jihadista ha ordito una serie di attentati suicidi su larga scala in tutto il Paese – a Baghdad, Sadr City, Haditha, Muqdadiyah e Abu Ghraib. L’ondata di attacchi s’inscrive in un contesto di crescenti tensioni settarie e di diffuse proteste che hanno indotto il Primo Ministro Haider al-Abadi a tentare la strada di una ricomposizione della squadra di governo. Il 26 febbraio migliaia di sostenitori del Movimento sadrista si sono raccolti nella capitale per manifestare contro la corruzione endemica dell’amministrazione pubblica – questione quanto mai reale, ma che esprime in prima istanza la competizione tra le fazioni politiche irachene. Il leader del movimento, Muqtada al-Sadr, ha posto il termine di quarantacinque giorni per la definizione di un nuovo esecutivo, minacciando di assaltare il complesso militarizzato che raccoglie le sedi istituzionali e le ambasciate straniere (la cosiddetta “Green Zone”) qualora la richiesta non venga accolta. In questo clima di accresciuta contrapposizione, il persistente crollo del prezzo del greggio compromette il pagamento dei dipendenti pubblici, laddove più del 90% delle entrate statali deriva dalla produzione petrolifera. 9


BREVI ARABIA SAUDITA-LIBANO, 2 MARZO ↴ Non accenna a rientrare la crisi diplomatica aperta alcune settimane fa dall’Arabia Saudita nei confronti del Libano. Le tensioni erano divenute ufficialmente manifeste il 20 febbraio scorso quando Riyadh aveva deciso di cancellare parte degli aiuti militari forniti a Beirut, a causa della mancata condanna da parte di quest’ultima degli attacchi degli sciiti iraniani alle rappresentanze diplomatiche saudite a Teheran e Mashhad, avvenuti all’indomani dell’esecuzione del religioso sciita e oppositore saudita Nimr Baqer al-Nimr, il 2 gennaio scorso. Gli aiuti militari cancellati dai sauditi riguardano un contratto a tripla firma franco-saudita-libanese, stipulato dopo una lunga trattativa nell’ottobre 2014, riguardante un doppio pacchetto da un miliardo di dollari (mld US$) diretto alle forze di sicurezza interne – quello appunto cancellato da Riyadh – e da 3 mld US$, legato a un contratto di fornitura militare venduto dalla Francia all’Arabia Saudita per essere poi donato all’esercito libanese, che sarebbe per il momento ancora in vigore. I sauditi avevano appunto provato a far leva sui libanesi reiterando la minaccia di cancellazione di questi aiuti fin dal gennaio 2016, dopo che il Ministro degli Esteri di Beirut, Gibran Bassil – leader cristiano e alleato di governo di Hezbollah – aveva rifiutato in due occasioni ufficiali di firmare sia la risoluzione di condanna della Lega Araba (10 gennaio), sia quella dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (22 gennaio) degli attacchi iraniani alle rappresentanze diplomatiche saudite. Infatti, alla base della frattura tra Arabia Saudita e Libano vi sono, soprattutto, le tensioni riguardanti il ruolo politico e militare di Hezbollah in Libano e in Siria, la sua alleanza con l’Iran, nonché la diversa sensibilità delle varie forze politiche e settarie libanesi ai richiami panislamici di Riyadh. Questa situazione ha di fatto accelerato la crisi tanto da costringere Riyadh, con l’aiuto delle monarchie alleate del Golfo, ad indire una vera e propria offensiva diplomatica contro il Paese dei Cedri e «tutti coloro che sembrano aver dimenticato le proprie radici arabe». L’azione partita inzialmente con la cancellazione, appunto, degli aiuti militari è poi proseguita con il rimpatrio dei cittadini sauditi dal Libano – ufficialmente per motivi di sicurezza –, seguita a stretto giro da una medesima azione anche da parte di Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrain e Qatar, e poi culminata il 2 marzo scorso con la Risoluzione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che ha votato per l’inclusione di Hezbollah nella black list del terrorismo internazionale. Sebbene Beirut abbia chiesto a Riyadh un incontro chiarificatore, il Regno saudita pare non voler arretrare dalla propria posizione in modo da costringere Beirut a prendere una netta e definitiva posizione nel campo delle alleanze regionali. Questo fattore aveva altresì spinto il governo libanese a mostrare, seppur con toni moderati, le proprie rimostranze nei confronti dell’Arabia Saudita per aver incluso

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Beirut senza alcuna previa consultazione nella cosiddetta Coalizione islamica antiterrorismo, lo scorso 15 dicembre. Quest’ultima, infatti, è ritenuta da molti esperti come una piattaforma militare e politica islamico-sunnita, guidata da Riyadh, in funzione puramente anti-sciita e anti-iraniana, più che anti-Stato Islamico. Una situazione che esponerrebbe Beirut ad una scelta di campo (Riyadh o Teheran) con il rischio di aggravare ulteriormente il già precario quadro politico e religioso domestico.

ARMENIA, 19-24 FEBBRAIO ↴ Il 24 febbraio il Presidente armeno Serž Sargsyan ha invitato l’Armenian Revolutionary Federation (ARF) ad entrare nel Governo, assegnando ad esponenti del noto partito anti-turco i tre Ministeri dell’Economia, dell’Istruzione, dell’Amministrazione territoriale e dello Sviluppo. L’ARF è una forza politica di ispirazione socialista da sempre ostile alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Turchia, che già aveva osteggiato il percorso di pace inaugurato dai Protocolli di Zurigo del 2009, mai ratificati dai due Paesi. Il decreto sulla coalizione di governo segue di cinque giorni la sottoscrizione di un contratto di finanziamento con la Russia finalizzato alla fornitura di attrezzature militari alla Repubblica ex sovietica (missili contraerei portatili, missili anticarro e sistemi lanciarazzi multipli), nel quadro di un accordo di circa 200 milioni di dolla-ri. Già negli ultimi sei mesi Mosca aveva dotato Yerevan

di avanzati aeromobili a pilotaggio remoto Na-vodchik-2, droni Takhion,

elicotteri bimotore d’assalto Mi-24 e missili balistici Iskander-M. L’intesa, siglata dai rispettivi Ministri della Difesa, risponde all’intento di creare un sistema di difesa contraereo congiunto e di potenziare il personale militare (finora 5.000 unità) delle due basi russe in Armenia e si aggiunge al Piano di Cooperazione dei Ministeri della Difesa per il 2016, già discusso a dicembre, in occasione della creazione di un sistema regionale comune di difesa aerea nel Caucaso. In questo contesto, si ipotizza che la politica militare di Putin nel Caucaso – motivata dal deterioramento delle relazioni bilaterali con Ankara, all’ombra della questione siriana e dei rischi per la Russia connessi al salafismo armato di matrice islamica nella stessa regione caucasica – possa influenzare le direttrici di politica estera della Turchia, quale mem-bro del Patto Atlantico, come anche gli equilibri di Georgia e Azerbaijan. Per ciò che riguarda l’Armenia, il passato sovietico connesso all’attuale fragilità economica sembra indurre Yerevan all’alleanza obbligata con Mosca, sebbene le relazioni con quest’ultima restino complesse a causa delle proteste popolari in Armenia per il rincaro dei prezzi dell’elettricità. La distribuzione dell’energia elettrica in Armenia è infatti totalmente controllata dalla russa Inter RUO UES, che sembra aver esercitato pressioni affinché fossero innalzate le tariffe principalmente per recuperare la bassa redditività dell’azienda e il crescente debito. È lecito supporre, dunque, che la decisione del Cremlino di rafforzare la cooperazione militare sia dettata anche dall’intenzione di evitare una nuova stagione di manifestazioni anti-governative, motivate dalla ri11


chiesta di alleggerimento della dipendenza dalla Russia, con conseguenze sul piano della stabilità interna armena. Tale situazione pone dunque Yerevan nella difficile condizione di equilibrare la propria politica estera nei confronti della Turchia con le relazioni con la Russia: sebbene la presenza di truppe russe al di qua del confine turco possa comportare un inasprimento dei rapporti con Ankara, anche il rifiuto dell’assistenza tecnico-militare russa potrebbe generare una situazione non dissimile, con possibili ricadute sulla situazione di conflitto congelato nel Nagorno Karabakh.

BRASILE, 4 MARZO ↴ Dopo la mancata comparizione a testimoniare delle passate settimane, la polizia federale brasiliana ha effettuato su ordine della procura di Curitiba una perquisizione nella villa dell’ex Presidente Luiz Inacio Lula da Silva a San Bernardo do Campo, nella periferia di San Paolo, e ha proceduto a porre Lula e i suoi familiari in uno stato di fermo temporaneo. Immediatamente dopo, le forze dell’ordine hanno condotto l’ex Capo di Stato a testimoniare coattivamente nel processo in cui è indagato con l’accusa di corruzione. La testimonianza, avvenuta presso l’aeroporto di Congonhas e allargata anche alla moglie e ai figli, si inserisce nell’ambito della maxi inchiesta di corruzione e tangenti denominata “Operação Lava Jato”, che ha coinvolto non i solo i vertici della società petrolifera statale Petrobras, ma anche alcuni membri del partito di maggioranza del Partido do Trabalhadores (PT), nonché diversi politici dello stesso governo di Dilma Rousseff. La decisione di procedere con la deposizione coatta della famiglia Lula si era resa necessaria dopo le rivelazioni fatte agli inquirenti dal Senatore Delcidio Amaral, alto esponente del PT, importante collaboratore dello stesso ex Presidente e già in arresto da alcune settimane, che ha accusato Lula di aver intascato tangenti per un valore complessivo di 7,4 milioni di dollari. Altri dieci fermi e 32 perquisizioni sono avvenute in altri tre Stati del Paese (Bahia, Rio de Janeiro e San Paolo). Oltre all’ex leader socialista, sono finiti sotto la lente degli inquirenti tutti i suoi più stretti collaboratori, tra cui la moglie e i figli, il Direttore dell’Istituto Lula, Paulo Okamotto, la direttrice Clara Ant, e il segretario del prefetto paulista Fernando Haddad e membro del PT, José de Filippi junior. Sebbene contro Lula non sia stato spiccato alcun mandato di arresto, il giudice titolare dell’inchiesta, Sergio Moro, starebbe valutando l’ipotesi di un nuovo interrogatorio. Intanto mentre a San Paolo sono scoppiati tafferugli e manifestazioni pro- e anti-Lula, a Brasilia Dilma Rousseff ha convocato una riunione d’emergenza dell’esecutivo. Secondo molti analisti di affari brasiliani, la decisione sarebbe stata dettata dal timore che le nuove rivelazioni nell’inchiesta Lava Jato possano toccare direttamente l’attuale Presidente, la quale già nei mesi scorsi era stata accusata di falso in bilancio e aveva rischiato di subire una procedura di impeachment da parte del Parlamento. 12


IRAN, 26 FEBBRAIO ↴ Le

elezioni

generali

iraniane,

le

prime

dopo

il

raggiungimento dell’intesa sul nucleare e la rimozione delle sanzioni della comunità internazionale, hanno visto una netta affermazione dei candidati riformisti, più o meno afferenti alla stessa sfera politica del Presidente Hassan Rouhani. Oltre le attese anche il dato relativo all’affluenza, che si è dimostrata molto alta rispetto alle precedenti consultazioni: la partecipazione alle urne ha riguardato circa 34 milioni di cittadini iraniani, ovvero il 60% dei 55 milioni aventi diritto di voto. I risultati finali ufficiali forniti dal Ministero degli Interni mostrano che i riformisti hanno ottenuto 95 seggi, mentre i conservatori moderati ne hanno ottenuti 14. Gli ultra-conservatori hanno, invece, ottenuto soltanto 103 seggi, in flessione rispetto ai 195 che detenevano in precedenza, mentre le minoranze religiose hanno raccolto 5 seggi e gli indipendenti 14.

I

rimanenti

69

seggi

andranno

al

ballotaggio tra 138 contendenti nel secondo turno, che si terrà probabilmente a fine aprile. Benché nessuno degli schieramenti opposti abbia ottenuto la maggioranza, il Parlamento che

ne

deriverà

sarà

chiaramente

più

favorevole a Rouhani di quanto lo fosse in precedenza: riformisti e conservatori moderati non molto distanti politicamente e potrebbero decidere di costituire, insieme, la maggioranza dei 290 seggi del Majles iraniano. I moderati hanno

ottenuto

anche

il

59%

dei

seggi

dell’Assemblea degli Esperti, ovvero l’organo composto da 88 membri che si occuperà di trovare

il

successore

dell’Ayatollah

Ali

Khamenei, laddove questi dovesse morire o dimettersi. Un’ultima nota estremamente positiva è rappresentata dalle donne: sono 15 le donne che entrano in Parlamento, un record da quando esiste la Repubblica Islamica, ed altre 5 sono in lizza nel secondo turno. I risultati delle elezioni sono stati accolti molto favorevolmente dalla comunità internazionale che li vede come un ulteriore passo verso la distensione. Si segnala tuttavia che i giorni antecedenti le votazioni erano stati segnati dalle numerose candidature rifiutate dal Consiglio dei Guardiani: a fronte delle 12.000 candidature, poco più di 6.000 sono risultate idonee a fronteggiarsi per ottenere un seggio nel Majles, con molti riformisti esclusi dal voto. Infine, sono stati rieletti anche molti leader più vicini ad una linea massimalista e più radicale, come l’Ayatollah Ahmad Jannati, attualmente a capo del Consiglio dei Guardiani, l’assemblea non elettiva che ha il compito di verificare le candidature.

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STATI UNITI, 1° MARZO ↴ Negli Stati Uniti quella appena trascorsa è stata la settimana

dell’importante

Super

Tuesday,

ossia

l’evento clou nelle primarie USA, in quanto fornisce un’indicazione piuttosto chiara su chi sarà il candidato dei due partiti in vista delle presidenziali di novembre. La grande tornata elettorale – si votava in 13 Stati tra primarie e caucus – ha decretato la vittoria dei due frontrunner da lungo tempo identificati dai sondaggi: per i Repubblicani, l’outsider Donald Trump; per i Democratici, l’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton. Trump ha ottenuto la vittoria in sette Stati su undici, ottenendo così 247 delegati che voteranno per lui alla convention del prossimo luglio (il totale è 329). Al secondo posto si è classificato il Senatore del Texas, Ted Cruz, che ha vinto in tre Stati, tra cui proprio il Texas, ossia quello che assegnava il maggior numero di delegati in questa tornata. A Cruz sono stati così assegnati 214 delegati, poco meno di Trump, ma il distacco complessivo è pari a circa cento: sono difatti 231 in totale quelli del texano. Al terzo posto, il Senatore della Florida Marco Rubio, che ha ottenuto un risultato al di sotto delle attese, arrivando primo nel solo Minnesota. Rubio ha così guadagnato solo 94 delegati e il suo gap dal duo di testa è piuttosto elevato: 110 contro i 231 di Cruz e i 329 di Trump. Tiene duro invece il moderato John Kasich, prima scelta dell’Economist, che però non ha vinto in nessuno Stato e si è classificato molto dietro ai tre di testa. Finisce qui la corsa di un altro candidato repubblicano, Ben Carson, dopo il fallimentare esito (ultimo) del Super Tuesday. Nel campo democratico, la Clinton ha raggiunto la prima posizione in sette Stati su undici, come Trump. L’unico suo avversario, il senatore del Vermont Bernie Sanders, ha vinto tra le mura di casa, in Oklahoma, Minnesota e Colorado. La Clinton si conferma così come la favorita per la leadership del partito: ad oggi, ha ottenuto, infatti, più del doppio dei delegati rispetto a Sanders e si avvia trionfalmente verso la nomination. Prossimo appunto decisivo, soprattutto per il Grand Old Party, dovrebbero essere le primarie in Florida e Ohio del 15 marzo.

RISULTATI FINALE DEL SUPER TUESDAY – FONTE: BBC

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ALTRE DAL MONDO ARABIA SAUDITA, 28 FEBBRAIO ↴ Gli eserciti, la marina e l’aviazione di 20 Paesi alleati e facenti parte della Coalizione Islamica anti-terrorismo a guida saudita si sono riuniti nel nord del Paese per condurre le più importanti esercitazioni militari mai tenute nella regione. Hanno preso parte alle esercitazioni le forze armate di Ciad, Egitto, Giordania, Malaysia, Marocco, Pakistan, Senegal, Tunisia, più i cinque membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Come recita il comunicato finale di “Thunder of the North” – questo il nome dell’operazione –, le esercitazioni sono state ideate con l’intenzione da parte dei principali attori (trans)regionali «di dare prova di unità politica e militare alle sfide del mondo attuale e di preservare la pace e la stabilità in Medio Oriente». Fine ultimo del dispositivo in questione è quello di fornire le basi per l’istituzione di uno strumento militare efficace ed efficiente – la Coalizione Islamica anti-terrorismo, appunto –, pronto ad intervenire in tempi rapidi nei principali teatri di crisi regionali (Siria e Yemen in primis).

BOLIVIA, 21 FEBBRAIO ↴ È stata bocciata la proposta di riforma costituzionale avanzata dal Presidente Evo Morales che gli avrebbe permesso di candidarsi per un quarto mandato consecutivo alla guida del Paese andino. Con un affluenza di circa l’85% degli aventi diritto, il risultato del referendum è stato in linea con le previsioni delle ultime ore, con uno scarto minimo in favore del “NO” (51,3%). Il primo Presidente indigeno della storia boliviana, in carica dal 2006, è stato recentemente criticato per l’insuccesso nella lotta alla corruzione e le tendenze autoritarie che il suo governo ha iniziato ad assumere. Nonostante la sconfitta, secondo numerosi osservatori Morales è destinato a rimanere la principale figura politica del Paese anche dopo la scadenza del suo mandato. La scelta di un successore fedele alla piattaforma populista di sinistra del Presidente, sarà infatti fondamentale per il futuro dello stesso Morales e del suo Movimento per il Socialismo.

CIAD, 29 FEBBRAIO ↴ L’aggressione sessuale nei confronti di una studentessa da parte di presunti figli di dignitari di Stato (tra cui alcuni Ministri e Generali) ha scosso profondamente la popolazione ciadiana, tanto da provocare violente manifestazioni di protesta in tutto il Paese. Il Presidente Idriss Déby Itno ha immediatamente condannato l’atto e la polizia locale ha arrestato cinque sospetti. La misura tuttavia non ha placato la rabbia popolare. Nel tentativo di disperdere i manifestanti nella capitale N’Djamena, dove si sono concentrate le maggiori proteste, la polizia anti-sommossa è intervenuta in modo violento uccidendo un giovane.

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CINA, 1° MARZO ↴ Secondo recenti immagini satellitari, la Cina avrebbe posizionato nuove batterie missilistiche nelle Isole Spratly. Aumenta così la tensione tra Pechino e gli altri Stati – tra cui Taiwan, Vietnam, Brunei, Filippine e Malaysia – che rivendicano la tutela dei propri interessi nel Mar Cinese Meridionale. Anche gli USA, dal canto loro, hanno manifestato una seria preoccupazione per la continua espansione militare cinese, il cui comportamento ostile potrebbe mettere a repentaglio le relazioni con Washington. Ciononostante, il portavoce del Ministero degli Affari Esteri Cinese, Hong Lei, ha tenuto a sottolineare che il dispiegamento di materiale di difesa, all’interno del proprio territorio è legittimo ed appropriato, non avendo nulla a che fare con il processo di militarizzazione ribadito costantemente dal Pentagono. Per ora la rivendicazione di Pechino di questi territori ammonta a circa 2.000 acri ricavati da operazioni di drenaggio, trasformando cordoni litorali in vere e proprie isole munite di porti, aeroporti e fari.

COREA DEL NORD, 2-3 MARZO ↴ Dopo sette settimane di negoziati con la Cina, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato con la Risoluzione 2270 un nuovo pacchetto di misure che inasprisce le sanzioni già in vigore dal 2006 contro la Corea del Nord in risposta ai test nucleari e balistici condotti nelle ultime settimane. In particolare, il nuovo regime sanzionatorio, accanto al divieto di esportazioni di alcuni particolari materiali e a sanzioni di carattere finanziario, prevede ispezioni obbligatorie dei carichi in entrata e in uscita dal territorio nordcoreano; estende alle armi leggere o di piccolo calibro il divieto di vendita o di trasferimento delle stesse a favore di Pyongyang; richiede l’espulsione dei diplomatici nordcoreani coinvolti in “attività illecite”. La Risoluzione aggiunge poi 16 individui e 12 organizzazioni alla black list del Consiglio di Sicurezza relativa al congelamento dei beni e al divieto di espatrio. All’inasprimento del regime sanzionatorio votato all’unanimità dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza, Pyongyang ha risposto con il lancio di una raffica di missili a corto raggio in mare al largo della costa orientale della Penisola coreana e ha nuovamente minacciato l’uso di armi nucleari in un possibile intervento militare da scatenare in qualsiasi momento.

EGITTO, 28 FEBBRAIO - 3 MARZO ↴ Dopo la firma di un memorandum di cooperazione energetica bilaterale, Egitto e Cipro hanno rinforzato le proprie relazioni firmando un’intesa in materia di sicurezza. Al Cairo infatti si sono incontrati il Ministro della Difesa egiziano Sedki Sobhi e quello cipriota Christophoros Fokaides per discutere delle più importanti questioni che interessano i due Paesi, tra cui lotta contro il terrorismo e crisi migratoria. Negli stessi giorni, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi si è recato in visita ufficiale in Giappone e in Corea del Sud per stipulare alcuni accordi economici utili a risollevare le esanimi casse egiziane. Nell’incontro a Tokyo, il Premier giapponese Shinzo Abe e alSisi hanno stipulato un’intesa per la realizzazione di alcuni progetti infrastrutturali, in 16


particolare nel settore dell’energia elettrica, per l’equivalente di quasi 18 miliardi di dollari.

GIORDANIA, 1-2 MARZO ↴ Si sono verificati a Irbid, città nel nord della Giordania al confine con la Siria, violenti scontri tra le forze di sicurezza e bande di militanti islamisti. Il centro di intelligence nazionale (GID) ha riferito che nell’imponente blitz condotto da polizia e forze speciali sono morti un militare giordano e sette sospetti miliziani jihadisti che sarebbero stati pronti a colpire obiettivi militari e civili nel Paese. In precedenza erano state arrestate almeno 13 persone legate ad una non meglio identificata cellula jihadista presente nel Regno hashemita. La Giordania è parte della coalizione internazionale a guida statunitense e ha condotto alcuni raid aerei contro lo Stato Islamico (IS) in Siria, dopo che alcuni miliziani dell’IS avevano ucciso il pilota dell’aviazione giordana Muath al-Kasasbeh.

KOSOVO, 26 FEBBRAIO ↴ Al termine di una giornata segnata dalle proteste dei deputati d’opposizione e di centinaia di cittadini che hanno chiesto le dimissioni dell’Esecutivo e le elezioni anticipate – in continuità con le manifestazioni anti-governative degli ultimi mesi –, il Parlamento di Priština ha eletto il nuovo Presidente della Repubblica. Hashim Thaçi, leader del Partito Democratico del Kosovo (PDK), ex Primo Ministro e attuale Ministro degli Esteri, con un passato nell’Esercito di Liberazione, eletto alla massima carica dello Stato al terzo round di votazione conquistando la maggioranza semplice dei voti (71 a favore su 120), si insedierà ufficialmente il 7 aprile al posto di Atifete Jahjaga. L’elezione di una figura controversa come Thaçi non sembra tuttavia capace di porre fine nel beve periodo alla crisi politica e istituzionale kosovara sorta a seguito dagli accordi di agosto con Serbia (sulla creazione dell’Associazione delle Municipalità del nord del Kosovo) e Montenegro (sulla demarcazione dei confini). La nomina di Thaçi sembra piuttosto capace di rinvigorire il fronte delle opposizioni, indebolendo ulteriormente il processo di democratizzazione del Kosovo e, indirettamente, quello di normalizzazione delle relazioni con Belgrado.

ITALIA, 24-26 FEBBRAIO ↴ Tensioni tra Italia e Stati Uniti dopo le rivelazioni di Wikileaks secondo cui nel 2011 l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sarebbe stato intercettato telefonicamente dalla National Security Agency americana nel pieno della crisi del debito europeo. Ulteriori attriti sono nati all’indomani delle parole dell’Ambasciatore statunitense a Roma, John Phillips, che, secondo fonti della Farnesina, avrebbe esercitato pressioni indebite per mezzo della stampa in vista di un possibile intervento italiano

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in Libia. Buone notizie, invece, sul fronte europeo con la riappacificazione tra il Premier Matteo Renzi e il Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, sul tema della flessibilità e della crescita economica.

SPAGNA, 2-4 MARZO ↴ Il Congresso, la Camera Bassa del Parlamento spagnolo, ha bocciato con due voti consecutivi la candidatura di Pedro Sanchez alla carica di Primo Ministro e la possibile istituzione di un governo di minoranza insieme ai centristi di Ciudadanos. A decretare la doppia bocciatura nei confronti del Premier in pectore è stato il definitivo “NO” dei radicali di Podemos alla proposta di un governo di coalizione delle opposizioni. Ora la parola torna al Re, Filippo VI, che dovrà decidere se riaffidare il compito di formare un esecutivo a un altro candidato o se sciogliere le Camere e indire nuove elezioni anticipate. Se entro il 2 maggio non si uscirà dallo stallo politico, le prossime consultazioni saranno annunciate con molta probabilità per il 26 giugno.

SLOVACCHIA, 5 MARZO ↴ Lo SMER, il partito socialista slovacco guidato dal Primo Ministro in carica Robert Fico, ha vinto le elezioni politiche, ottenendo la maggioranza relativa dei consensi con il 28,7%, molto al di sotto delle previsioni. Distaccato il partito liberale SAS con l’11,5% dei voti. Altrettanto rilevanti sono stati i risultati di altri due schieramenti: il Partito Popolare Nostra Slovacchia, guidato dal leader di estrema destra Marián Kotleba, ha ottenuto l’8,2% dei voti, mentre il partito anti-immigrazione “Noi siamo una famiglia” dell’uomo d’affari Boris Kollár ha superato a sorpresa la soglia di sbarramento del 5%, necessaria per l’accesso in Parlamento. Nonostante la netta affermazione sugli altri partiti, lo SMER dovrà cercare una difficile coalizione di governo per garantire a Fico un terzo mandato.

TUNISIA, 3 MARZO ↴ Scontri armati si sono verificati tra forze di sicurezza tunisine (esercito e guardia nazionale) e miliziani islamisti sospettati di appartenere allo Stato Islamico (IS) nei pressi della città di Ben Guerdane, vicino al confine con Libia. Durante gli scontri sono rimasti uccisi 5 jihadisti e un civile. Al fine di evitare uno spill-over delle violenze libiche in Tunisia, alcuni rilevanti attori della comunità internazionale hanno deciso di rafforzare la cooperazione di sicurezza con il governo locale. Tra i Paesi più attivi vi è il Regno Unito, che, attraverso il Ministro della Difesa, Michael Fallon, ha annunciato l’invio di alcune truppe di élite in Tunisia per contrastare le infiltrazioni dell’IS. Anche la Germania ha offerto il proprio aiuto, mettendo a disposizione personale qualificato in funzione di mentoring e training per addestrare i soldati dell’esercito libico nel territorio tunisino. Berlino ha già inviato equipaggiamenti avanzati a Tunisi, come fuoristrada, binocoli, divise da combattimento e sistemi anti-esplosivo.

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TURCHIA-NIGERIA, 2 MARZO ↴ Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato in visita ufficiale in Nigeria, dove ha incontrato i principali esponenti politici del Paese, nonché il Capo di Stato nigeriano Muhammadu Buhari. Oltre ad aver firmato numerosi accordi commerciali, Erdoğan ha riaffermato la volontà della Turchia di fornire aiuto concreto al governo di Abuja nella lotta al terrorismo, in particolare contro i miliziani islamisti di Boko Haram. La visita del Presidente turco in Nigeria è inserita un tour africano di quattro giorni in cui Erdoğan ha visitato anche Costa d’Avorio, Ghana e Guinea, con il preciso intento di riaffermare la presenza commerciale turca nell’Africa occidentale.

UCRAINA, 28 FEBBRAIO – 3 MARZO ↴ Continuano gli scontri in Ucraina orientale lungo la linea di demarcazione tra i territori controllati da Kiev e quelli dalle autoproclamate repubbliche indipendenti. Negli ultimi giorni si è registrata la morte di 3 militari, mentre alti 15 sono rimasti feriti. Secondo numerose fonti, l’intensificazione dell’attività militare è avvenuta principalmente in direzione della città portuale di Mariupol, con duri scontri armati nei pressi del villaggio di Shirokino, zona di contatto tra le forze ucraine e i ribelli. L’aumento della tensione lungo le zone grigie dove le parti si trovano a poche centinaia di metri di distanza, sembra essere correlata con l’ennesimo incontro dei Ministri degli Esteri di Francia, Germania, Ucraina e Russia in quello che è stato definito il “formato Normandia”. Il recente summit a Parigi non ha portato risultati significativi per il futuro del Donbass, mentre il dialogo si è arenato sulle possibili elezioni a Donetsk e Lugansk. Nonostante una certa pressione da parte occidentale, la posizione di Kiev rimane rigidamente legata ai protocolli di Minsk che, prima di possibili elezioni locali, prevedono la totale cessazione degli scontri armati, lo scambio di tutti i prigionieri e, soprattutto, il controllo di Kiev sulla parte ucraina del confine con la Russia. L’aumento delle tensioni in Donbass gioca anche un ruolo importante nella politica interna. La strumentalizzazione del conflitto occupa un ruolo cruciale nella strategia di diverse forze politiche impegnate nella lotta per il potere scoppiata in seguito alla recente crisi di governo.

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ANALISI E COMMENTI TRANS ADRIATIC PIPELINE: LA VIA EUROPEA AL GAS DELL’ASIA CENTRALE FEDERICA DE PAOLA ↴ La Trans Adriatic Pipeline (TAP) è uno dei progetti di innovazione infrastrutturale più rilevanti che siano stati proposti nel panorama europeo degli ultimi anni. L’importanza strategica risiede nella sicurezza delle forniture, nella loro disponibilità e nella diversificazione delle rotte e delle fonti. Del resto, questi temi sono particolarmente sentiti dall’Unione Europea, che, a fronte di una produzione interna nettamente insufficiente, importa oltre metà del proprio fabbisogno energetico ed è dunque largamente dipendente dal mercato estero, con l’unica eccezione della Danimarca. Stando alle stime della stessa Commissione, oltre la metà dell’energia consumata entro i confini europei è di provenienza extra-UE e questa quota ha registrato una generale tendenza al rialzo nel corso degli ultimi dieci anni. Una maggiore diversificazione nelle forniture appare tanto più rilevante nel contesto geopolitico attuale, in cui due delle tradizionali rotte di approvvigionamento europeo, quella nordafricana e quella russa, sembrano esposte ad una lunga serie di incognite (…) SEGUE >>>

LA CYBERSPACE ADMINISTRATION OF CHINA, PROFILI ISTITUZIONALI E CAMBIAMENTO DELLA SICUREZZA INFORMATICA IN CHIAVE CINESE

MATTEO ANTONIO NAPOLITANO ↴ Grazie all’impulso dato dalla National Online Propaganda Work Conference [1], i cui lavori si sono svolti il 5 e il 6 gennaio, il nuovo anno è stato inaugurato a Pechino sotto il segno dell’internet policy e, volgendo lo sguardo alle aspettative, promette di essere «[...] a “year of innovation”». Sebbene non esclusivamente, le concrete prospettive di innovazione in questo specifico settore sono riposte nell’operato e nei valori di base della Cyberspace Administration of China (CAC), un’istituzione che, all’interno delle complesse dinamiche relative ai legami tra il Partito Comunista Cinese e l’organizzazione statale, rappresenta adeguatamente l’idea di lealtà promossa da Xi Jinping. Si pone dunque la necessità di comprendere meglio la struttura e la caratura della CAC divenuta, nella variegata articolazione istituzionale cinese, punto di riferimento e di convergenza delle posizioni ufficiali sulla governance dei contenuti online (…) SEGUE >>>

IRAN E OMAN: CONVERGENZA LOGISTICA E GEOPOLITICA STEFANO LUPO ↴ Per poter comprendere maggiormente l’unicità specifica che contraddistingue sia l’Iran sia l’Oman nel contesto mediorientale e del Golfo Persico, è utile approfondire i correnti legami politico-economici che uniscono Mascate e Teheran. È fuor di dubbio che un consolidamento del rapporto tra l’Iran, una delle principali potenze regionali e baluardo sciita, circondata interamente da attori sunniti più o meno ostili, e l’Oman,

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che aspira a divenire un punto focale d’intermediazione, sia politica sia logistica-commerciale, possa influire notevolmente nell’evoluzione del contesto non solo regionale ma anche internazionale (soprattutto nell’Oceano Indiano, nell’Asia Centrale e lungo la costa orientale dell’Africa). L’interrelazione tra Oman e Iran è complessa ed elaborata, soprattutto per quanto riguarda il panorama energetico, petrolio e gas, in cui assume toni quasi contradditori [negativi in campo petrolifero, ottimi sul piano del gas naturale]. Infine, sul legame politico e di sicurezza, è un dato di fatto che la posizione defilata dell’Oman nel contesto del Gulf Cooperation Council (GCC), abbia favorito una buona convergenza di interessi, che divengono realmente complementari se si considera la partnership logistica in corso d’opera (…) SEGUE >>>

CRISI ECONOMICHE E TRASFORMAZIONI POLITICHE: L’AMERICA LATINA IN DECLINO? FRANCESCO TRUPIA ↴ Rispetto alle previsioni degli anni passati che indicavano una continua ed esponenziale crescita dell’intera America Latina, quelle diffuse alla vigilia del 2016 hanno evidenziato un forte cambio di tendenza. Una regione, quella del sub-Continente latinoamericano che, nonostante le grandi opportunità e possibilità, rimane tutt’oggi incapace di fuoriuscire dalle soglie terzomondiste in modo regionalmente omogeneo e, soprattutto, economicamente sostenibile attraverso programmi nazionali di prevenzione sociale e di welfare applicabili in totale sintonia con le proprie caratteristiche interne. L’esponenziale crescita brasiliana, ad esempio, appare oggi essere stata conseguenza di un fenomeno schizofrenico, legato alla crisi dei subprime del 2007 piuttosto che ad un solido progetto di crescita. Anche i suoi piani di lotta alla povertà, capaci di far fuoriuscire oltre 30 milioni di brasiliani dalla fasce più indigenti, hanno trasformato il Paese in uno “Stato assistenzialista” e appaiono incapaci di salvaguardare le nuovi “classe medie” da un ritorno alle soglie terzomondiste (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 21


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