OPI Weekly Report N°9/2016

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N째9, 13-19 MARZO 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 20 marzo 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Georgiy Bogdanov Oleksiy Bondarenko Davide Borsani Luttine Ilenia Buioni Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo Credits: Luc Gnago, Reuters/Contrasto; Reuters; Gokhan Tan/Getty Images; Getty Images; La Repubblica; AFP;


FOCUS IMMIGRAZIONE-UNIONE EUROPEA ↴

Al termine di un lungo negoziato condotto all’interno del Consiglio Europeo del 17-18 marzo, è stato raggiunto l’accordo tra i Ventotto e Turchia in merito alla gestione della crisi migratoria. L’intesa, imbastita nei suoi principi di massima nel precedente Vertice del 7 marzo, e a latere della quale è previsto un rafforzamento delle attività di controllo contro i trafficanti nel Mar Egeo da parte della NATO, si fonda sui seguenti punti di azione: 1. tutti i migranti irregolari che dal 20 marzo giungeranno da Turchia in Grecia verranno rispediti in Turchia. Ciò avverrà nel pieno rispetto delle norme europee ed internazionali di tutela dei diritti umani, garantendo il principio di non respingimento, escludendo perciò qualsiasi tipo di espulsione collettiva. I migranti che giungeranno nelle isole greche saranno debitamente registrati e le domande di asilo saranno processate dalle autorità greche in conformità con la direttiva sulle procedure di asilo e in collaborazione con l’UNHCR. I migranti non richiedenti asilo o la cui domanda è stata trovata infondata o inammissibile secondo la citata direttiva, saranno rimandati in Turchia. Grecia e Turchia, con l’assistenza delle Istituzioni e della Agenzie UE, potranno adottare ulteriori misure e concordare eventuali accordi bilaterali necessari per il corretto funzionamento dell’accordo. I Ventotto hanno inoltre precisato che si tratta di una misura temporanea e straordinaria e che i costi delle operazioni di rimpatrio dei migranti irregolari saranno coperti dall’UE;

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2. applicazione del principio “one in, one out”: per ogni siriano rimandato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà ricollocato dalla Turchia nell’Unione Europea in accordo ai Criteri di Vulnerabilità individuati dalle Nazioni Unite. La priorità sarà accordata ai migranti che precedentemente non siano entrati o che non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare. Il meccanismo di ricollocamento avverrà innanzitutto in ottemperanza agli impegni definiti nel Consiglio del 22 luglio 2015, in base ai quali restano 18.000 posti destinati al reinsediamento. A qualsiasi ulteriore bisogno di reinsediamento si provvederà mediante un analogo accordo volontario fino a un limite di 54.000 persone aggiuntive. I membri del Coniglio Europeo si sono comunque detti disponibili a rivedere le decisioni prese durante il Vertice del 22 settembre o qualora i nuovi accordi non riescano a contenere il fenomeno dell’immigrazione irregolare; 3. la Turchia adotterà qualsiasi misura necessaria per evitare l’apertura di nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare dalla Turchia verso l’UE; 4. una volta terminati, o per lo meno drasticamente ridotti, gli attraversamenti irregolari fra la Turchia e l’UE, verrà attivato un programma volontario di ammissione umanitaria al quale gli Stati UE contribuiranno su base volontaria; 5. l’UE e i suoi Stati membri collaboreranno con la Turchia per migliorare la situazione umanitaria in Sira, in particolare in alcune zone limitrofe della frontiera turca, nel quadro di uno sforzo congiunto che possa consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure. L’attuazione di tali misure resta pertanto finalizzata al reinserimento della Turchia all’interno di un framework di più forte cooperazione con l’UE in vista, in particolare, dello sblocco dei negoziati di adesione. Oltre all’erogazione entro il 2018 di 3 miliardi aggiuntivi ai 3 già precedentemente accordati per il finanziamento dei progetti di identificazione e di assistenza per i rifugiati (stanziamenti che non verranno quindi destinati direttamente al governo turco), Bruxelles ha infatti accolto con favore la ripresa delle discussioni per il miglioramento dell’unione doganale e per il rilancio del processo di adesione – enunciato nella dichiarazione congiunta del 29 novembre 2015 – già sotto l’attuale semestre di presidenza dei Paesi Bassi. È attesa in questo senso entro aprile una proposta della Commissione europea per l’apertura del capitolo 33 sulle politiche fiscali, dopo l’intesa di dicembre sull’apertura del capitolo 17 concernente l’economia e le politiche monetarie. Secondo il documento operativo pubblicato dalla Commissione il 19 marzo, l’attuazione dell’accordo richiederà enormi sforzi operativi e, in particolare, della Grecia, dove si stima che verranno impiegate almeno 4mila persone (messe a disposizione da Atene, Stati membri, FRONTEX ed EASO) nelle procedure di asilo, appello e ritorno. Per ciò che riguarda l’assistenza materiale, FRONTEX metterà a disposizione 8 navi (con una capacità di 300-400 passeggeri per nave) e 28 autobus, mentre sulle 2


isole greche verranno creati campi capaci di accogliere fino a 20.000 persone (la capacità è attualmente stimata in 6.000 posti). I costi attuazione del piano dovrebbero aggirarsi intorno ai 280 milioni di euro per i prossimi sei mesi.

SBARCHI NEL MEDITERRANEO DI MIGRANTI E RIFUGIATI – PANORAMICA REGIONALE FONTE: UNHCR

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SIRIA-IRAQ ↴

Il 14 marzo il Presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il rientro parziale del contingente militare inviato in Siria lo scorso autunno. Ribaltati i rapporti di forza a favore dell’esercito regolare «nella lotta contro il terrorismo internazionale», Putin ha espresso l’auspicio che la decisione possa incoraggiare la risoluzione pacifica della guerra civile. Tuttavia, Mosca manterrà la presenza militare nel Paese, nel porto di Tartous e nella base aerea di Hmeymim a Latakia, e continuerà a sostenere il contestato governo alawita. In questo senso, Putin ha avvertito che in caso di necessità la Russia potrà intervenire massicciamente e in poche ore nello scenario. Ufficialmente, la notizia ha colto di sorpresa tanto gli Stati Uniti e le potenze occidentali, quanto Iran e Hezbollah anch’essi alleati di Assad. Il Cremlino sembra aver colto l’opportunità di ridurre la scala e il costo delle operazioni militari, riportando il successo d’immagine di un intervento rapido e decisivo nel riaprire la partita su Damasco. Tuttavia, il ritmo del ritiro è al momento moderato e la decisione russa può leggersi tanto quale un atto concordato con Washington (con cui Mosca collabora nei gruppi di contatto per il monitoraggio del cessate il fuoco e l’implementazione del soccorso umanitario alla popolazione civile) per affrettare i tempi di un’intesa sulla transizione politica siriana, quanto come un invito alle cancellerie occidentali a limare l’attrito sullo scenario ucraino. Ciononostante, i caccia militari russi continuano a sorvolare lo spazio aereo siriano a favore delle forze lealiste e hanno incrementato i bombardamenti contro lo Stato Islamico (IS) nell’area di Palmyra, dove è in stallo la controffensiva governativa e dove i guerriglieri jihadisti hanno rivendicato l’uccisione di cinque soldati russi negli scontri degli ultimi giorni.

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Allo scoccare del quinto anniversario del conflitto, sono intanto ripresi lo stesso 14 marzo i colloqui di pace mediati dalle Nazioni Unite tra il governo di Damasco e i rappresentanti delle opposizioni siriane. Una nuova battuta di arresto del processo negoziale riaprirebbe inevitabilmente i combattimenti tra le parti, ridotti dalla tregua ancora in vigore e dall’annunciato ritiro del contingente russo. Mentre meno del 20% dei civili è stato raggiunto dai convogli umanitari, è questo dunque il «momento della verità» come lo ha definito l’Inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, il quale ha reso noto che questo primo round si prolungherà sino al 24 marzo. Tuttavia, un accordo sui termini della transizione appare lontano se nelle parole di Muhammad Alloush, negoziatore delle opposizioni filo-saudite e leader della brigata salafita Jaysh al-Islam, l’inizio del processo politico è condizionato «alla caduta o alla morte» del Presidente Bashar al-Assad. Il rappresentante del regime alawita a Ginevra, Bashar al-Jaafari, ha replicato che non discuterà direttamente con l’Alto Comitato delle Negoziazioni trattandosi di una «delegazione terrorista guidata da un assassino».

TERRITORIALI RICONQUISTATI DAI LEALISTI DOPO L’INTERVENTO ARMATO RUSSO – FONTE: THE NEW YORK TIMES

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A scuotere il tavolo negoziale di Ginevra è la proclamazione di autonomia federale del Rojava, ossia dei tre cantoni curdi di Jazira, Kobane e Afrin nel nord della Siria. Non ammessi ai colloqui di pace malgrado il rilevante ruolo politico e militare, le autorità curde unitamente a delegati arabi, assiri e turcomanni hanno approvato il 16 marzo a Rmelian un accordo per la costituzione di un sistema di governo federale e democratico, che reclama il riconoscimento dell’autonomia di fatto del Kurdistan siriano e propone un modello di autogoverno multietnico e multiconfessionale. Se la condanna di Damasco e di Ankara era attesa, anche Washington ha espresso risentimento per il passo in avanti. Nonostante la stretta cooperazione nel contrasto dell’IS, il Dipartimento di Stato ha chiarito che la potenza statunitense non riconoscerà alcun accordo unilaterale e che un modello federale dovrà necessariamente emergere nei colloqui di pace, cui tuttavia gli esponenti politici curdi tuttora non sono invitati a fronte del perentorio veto turco. Paradossalmente, in una parallela audizione al Senato, il Generale Joseph Dunford, Capo di Stato Maggiore statunitense, lodava i successi militari curdi e il crescente arruolamento di combattenti arabi nelle milizie (denominate Forze Democratiche Siriane). Indiscrezioni riportate dai media russi (Mosca preme per l’inserimento curdo nei colloqui di pace) riferiscono che rappresentanti del Partito curdo di Unione Democratica (PYD) potrebbero essere convocati a Ginevra alla fine dell’odierna sessione negoziale. Intanto, l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha documentato scontri a Qamishli tra le forze di polizia curde e soldati governativi. Malgrado sporadiche violazioni, la sospensione delle ostilità tra governo e formazioni ribelli ha dato nuovo slancio alle manifestazioni di dissenso in numerose città siriane. Significativamente, la tregua evidenzia i limiti della supremazia militare di Jabhat al-Nusra (JaN), gruppo affiliato ad al-Qaeda e perciò escluso dalla tregua, e del vessillo ideologico jihadista nel fronte eterogeneo delle opposizioni. Il 13 marzo i miliziani di JaN e di Jund al-Aqsa (altra sigla islamista) hanno attaccato il quartier generale della Tredicesima Divisione, importante brigata afferente all’Esercito Libero Siriano, a Maarat al-Numaan. Nei giorni precedenti gli esponenti di JaN avevano mostrato insofferenza verso la riemersione delle bandiere e degli slogan della rivoluzione nei cortei popolari. In Iraq, il rilancio dell’offensiva dell’esercito regolare nell’Anbar (12 marzo) è corrisposto dal ripiegamento dei guerriglieri dell’IS dai distretti di Hit e Kubaisa, a ovest di Ramadi. L’avanzata lungo l’Eufrate è d’importante valore strategico data la prossimità della base di al-Asad. L’operazione, tuttavia, ha comportato lo sfollamento di circa 35.000 civili. Intanto, Baghdad sta spostando uomini e armamenti a nord, dove le forze di sicurezza irachene, i Peshmerga curdi e le milizie sciite si apprestano a colpire i bastioni del Califfato islamico nella provincia petrolifera di Kirkuk. Intanto il governo centrale ha deciso l’interruzione delle esportazioni di greggio dal Kurdistan iracheno verso il porto turco di Ceyhan al fine di sollecitare le autorità regionali di Erbil a riprendere le discussioni sul delicato accordo di gestione 6


e allocazione dei proventi petroliferi. Non accennano invece a spegnersi le proteste incalzate dal leader sciita Muqtada al-Sadr. Il 13 marzo migliaia di sostenitori sadristi hanno lambito l’ingresso della “Green Zone” di Baghdad per chiedere al Primo Ministro al-Abadi l’adozione di riforme strutturali contro la corruzione endemica. Le manifestazioni dilaganti in tutto l’Iraq meridionale, riflesse dalle tensioni nel Kurdistan, esplicitano la pericolosa frammentazione settaria del Paese.

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TURCHIA ↴

Cinque persone hanno perso la vita nell’attacco suicida che il 19 marzo ha colpito l’arteria pedonale di Istiklal Caddesi, a Istanbul: tra queste l’attentatore, che le forze di sicurezza turche hanno inizialmente identificato come Savaş Yıldız, un uomo originario di Adana, e che l’agenzia di stampa Anadolu ha spiegato essere un sospettato militante turco dello Stato Islamico (IS) – presumibilmente legato alla cellula di Adıyaman, i cui vertici operano in Siria, nella zona di Raqqa – già incluso nella lista dei potenziali kamikaze. Sebbene non vi siano state finora rivendicazioni ufficiali, il Ministro degli Interni Efkan Ala, ha successivamente dichiarato che l’attentatore potrebbe essere Mehmet Öztürk, un giovane originario di Gaziantep e verosimilmente vicino all’IS, e che cinque uomini sono stati arrestati nell’ambito delle indagini sull’attentato. CNN Türk riporta che il progetto originario dell’attacco prevedeva probabilmente la deflagrazione nella vicina Piazza Taksim, in un momento di maggiore traffico. Un comunicato sul sito dell’Ambasciata degli Stati Uniti ad Ankara, diramato il 17 marzo, confermava l’allerta terrorismo in Turchia ed informava i cittadini americani circa potenziali episodi a questo legati e connessi alla celebrazione del Capodanno curdo, il Nevruz, i cui festeggiamenti sono stati anticipati in alcune città, ma vietati in buona parte del Paese. La presenza di tre israeliani tra le vittime alimenta sospetti, non comprovati, sulla natura del target dell’attacco. L’atto terroristico di Istanbul segue di una settimana quello avvenuto nel quartiere centrale di Kizilay, ad Ankara (13 marzo), ancora una volta a distanza di due giorni dall’avvertimento dell’Ambasciata USA, che informava i suoi cittadini di un possibile attacco contro edifici istituzionali nel centro della capitale. L’esplosione dell’automobile, avvenuta nei pressi di Güvenpark a ridosso di una fermata del bus, che ha causato la morte di 37 persone e il ferimento di oltre 100, è stata rivendicata dai Falchi per la Libertà del Kurdistan (TAK) quale atto di ritorsione contro la 8


«Repubblica fascista turca» in conseguenza delle operazioni militari condotte dalle forze di sicurezza nell’Anatolia sud-orientale, in particolare nella città di Cizre, a maggioranza curda. Creato nel 2004 dalla scissione di alcuni militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), il gruppo radicale TAK è anche responsabile dell’attentato kamikaze compiuto ad Ankara il 17 febbraio scorso, ai danni di un convoglio militare turco. Come riportato da Al Monitor, i combattenti del TAK agirebbero in maniera semi-autonoma sotto l’ombrello del PKK, che fornirebbe loro supporto ideologico e materiale, pur disapprovando ufficialmente le azioni terroristiche condotte contro civili. Tra gli attentatori è stata identificata una studentessa di 24 anni, Seher Çağla Demir, già processata perché vicina al PKK, mentre non v’è certezza sul coinvolgimento del presunto secondo attentatore, individuato da fonti turche in Özgür Ünsal ma non menzionato dal comunicato diffuso dal TAK. Immediata la reazione del governo di Ankara che, prima ancora della rivendicazione ufficiale, ha ordinato l’intensificazione dei raid aerei contro le postazioni del PKK nel nord dell’Iraq, impiegando caccia F-16 e F-4 2020. Inoltre, il Presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha manifestato al Parlamento (16 marzo) l’urgenza di procedere penalmente contro gli esponenti politici filo-curdi accusati di intrattenere rapporti con i ribelli. Non può sottovalutarsi il timore che il governo nutre nei confronti delle aspirazioni della comunità curda, specialmente a seguito di quanto accaduto in Siria, dove il 17 marzo tre regioni settentrionali controllate dai curdi hanno votato per la creazione di un sistema federale autonomo. Ma le pulsioni separatiste che animano il popolo curdo rappresentano solo una delle sfide che il Presidente Erdoğan è chiamato ad affrontare. In questo momento risulta essere altrettanto prioritaria l’esigenza di contrastare la propaganda e la strategia del terrore attuata dallo Stato Islamico. Del resto, l’allarme sicurezza – elevato dopo la serie di cinque attentati che da luglio dello scorso anno hanno provocato oltre 200 vittime – ha motivato anche le misure precauzionali adottate dalla Germania, che il 17 marzo ha ordinato la chiusura delle sedi diplomatiche ad Ankara e ad Istanbul e di due scuole tedesche in Turchia. Gli attentati che hanno recentemente coinvolto i due principali centri turchi e le misure preventive di Berlino dimostrano che il terrorismo rappresenta una concreta minaccia per l’ordine pubblico interno: il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha definito l’atto di Istanbul come «inumano» ed ha dichiarato che il Paese proseguirà la sua battaglia contro il terrorismo. A questo punto, nell’attuale contesto di instabilità, appare probabile che il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), prima forza politica in Parlamento, possa accentuare la propria tendenza conservatrice, in un momento in cui sul Paese già pesano i limiti alla libertà di espressione delle forze di opposizione.

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BREVI BELGIO-FRANCIA, 15-17 MARZO ↴ Dopo cinque mesi di affannose ricerche tra Europa (in particolar modo tra Francia e Belgio) e Siria, l’uomo più ricercato al mondo, il belga di origini maghrebine Salah

Abdeslam,

è

stato

arrestato

attraverso

un’operazione di polizia congiunta da parte di forze belghe e francesi. Abdeslam è stato arrestato nella serata del 17 marzo in Rue des Quatre-vents a Molenbeek, dopo che le forze di sicurezza e di polizia franco-belghe avevano lanciato una maxi operazione il 15 marzo a Forest, sobborgo di Bruxelles, in cui erano stati arrestati due uomini di origini maghrebine, coinvolti nella logistica degli attentati di Parigi del 13 novembre scorso, mentre uno, il sospetto terrorista Mohamed Belkaid – probabilmente una falsa identità –, è morto in seguito allo scontro a fuoco. Abdeslam era ricercato in qualità di esecutore e ideatore degli attacchi di Parigi al Bataclan e allo Stade de France, nel quale morirono 132 persone. Nell’operazione a Molenbeek, la polizia ha arrestato anche Amine Choukri e tre componenti della sua famigla, rei di aver ospitato i terroristi durante la loro fuga. Sebbene la dinamica non sia stata ancora del tutto chiarita dagli inquirenti, secondo le prime indiscrezioni di stampa la cattura di Abdeslam – ferito durante il raid della polizia – e dei suoi complici sarebbe avvenuta in circostanze del tutto fortuite. Inoltre, le forze di sicurezza belghe hanno spiegato che Abdeslam è rimastro probabilmente in tutti questi mesi nascosto sempre a Bruxelles e che la pista che conduceva al ricercato maghrebino è sorta con evidenza dopo la perquisizione in un’abitazione di Forest, nella quale gli inquirenti avevano trovato tracce di DNA e impronte digitali del sospetto. Immediatamente informati degli sviluppi dell’operazione, il Premier belga Charles Michel e il Presidente francese François Hollande hanno lasciato il Vertice UETurchia sulla questione migratoria, che si teneva nelle stesse ore a Bruxelles, e in serata hanno tenuto una conferenza stampa congiunta nella quale si sono complimentati con polizia e con gli agenti di sicurezza per la cattura di Abdeslam. Nel corso della conferenza stampa, Hollande ha avanzato ufficialmente una richiesta di estradizione di Salah Abdeslam al Belgio, alla quale, almeno formalmente il Premier belga non si è opposto. I fatti di Molenbeek e Forest si inseriscono all’interno delle operazioni di sicurezza – alcune delle quali molto mediatiche – lanciate dal governo belga in risposta alle critiche ricevute e alla tensione diplomatica sorta con la Francia a seguito delle vicende di Parigi. Infatti nel corso dei mesi sono state eseguite numerose perquisizioni e raid anti-terrorismo tra i sobborghi cittadini di Bruxelles (Molenbeek-Saint-Jean e Forest), Charleroi e Liegi (Verviers), che hanno portato all’arresto di 16 persone di origine maghrebina, più o meno direttamente coinvolte con il network jihadista europeo – che potrebbe essere molto più esteso di quel che le indagini hanno portato a conoscenza –, all’uccisione della mente delle stragi di

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Parigi, Abdelhamid Abaaoud, e alla scoperta nella capitale belga della base logistica degli attentatori di Parigi.

COSTA D’AVORIO, 13 MARZO ↴ Un commando di uomini a volto coperto e armati di kalashnikov e granate ha preso d’assalto la zona turistica di Grand Bassam, lungo le spiagge ivoriane, a circa venticinque chilometri da Abidjan, sparando sulla popolazione civile. Secondo i testimoni, i terroristi sono arrivati dalla spiaggia per poi dirigersi verso i tre hotel della zona. Gli spari sono durati un paio d’ore. Sono intervenute unità delle forze speciali e della polizia francese e ivoriana, che hanno isolato la zona ed evacuato i feriti, lo staff e i clienti degli alberghi colpiti. L’attacco, che ricorda il modo di operare degli assaltatori di Sousse in Tunisia, è stato rivendicato dal gruppo di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) con un messaggio in inglese su Twitter e Telegram: «Per grazia di Allah onnipotente, tre eroi dai cavalieri di Qaedat al Jihad nel Maghreb islamico sono stati in grado di fare irruzione nel resort turistico di Grand Bassam, ad est della città di Abidjan in Costa d’Avorio». Sebbene ufficialmente non rivendicato, dietro agli attacchi in Costa d’Avorio potrebbe aver avuto un ruolo determinante anche al-Mourabitoun, gruppo islamista guidato da Mokhtar Belmokhtar e attivo tra Algeria e Mali. Da tempo la formazione del leader islamista è impegnata su un doppio fronte: da un lato fagocitare quel che rimane di AQIM nel Sahel per affermare definitivamente la sua leadership nel fronte africano qaedista, dall’altro nell’ergersi a chiaro antagonista di Boko Haram in Africa occidentale. AQIM e al-Mourabitoun sono stati infatti gli stessi gruppi che hanno rivendicato gli attacchi a Bamako, in Mali (novembre 2015), e a Ouagadougou, in Burkina Faso (gennaio 2016). Secondo il bilancio riportato dal Ministro dell’Interno della Costa d’Avorio, Hamed Bakayoko, si contano 18 vittime – tra cui 15 civili e 3 ufficiali – e 33 feriti. Tre degli attentatori sono stati uccisi, mentre i quattro italiani che si trovavano nel Paese per motivi di lavoro sono scampati al massacro. Il Presidente della Repubblica Alassane Ouattara ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale e ha sottolineato che la sicurezza sarebbe stata rafforzata nei luoghi strategici e in quelli aperti al pubblico come scuole, ambasciate, uffici internazionali, residenze diplomatiche e zone di confine. Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, si è impegnato a dare il pieno sostegno nel portare i responsabili davanti alla giustizia. È la prima volta che la Costa d’Avorio viene colpita in un attacco con queste caratteristiche, anche se il Paese era già stato in allerta dopo gli attentati jihadisti contro gli hotel burkinabè e maliani. Stando a quanto riportato dalla stampa, le forze di sicurezza ivoriane hanno finora sventato 5 attacchi nel Paese grazie all’aiuto della Francia, che ha già una presenza militare in loco risalente ai tempi dell’operazione Licorne (2007) e che nel corso dei mesi ha

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inviato esperti anti-terrorismo impegnati in esercitazioni congiunte franco-ivoriane di simulazione di un attacco terroristico.

MAPPA DEGLI ATTENTATI CONTRO TURISTI E STRANIERI IN AFRICA – FONTE: AFP

GERMANIA, 13 MARZO ↴ Si sono svolte in Germania le elezioni locali per il rinnovo

dei

Parlamenti

dei

Länder

di

Baden-

Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt. A livello generale, i risultati hanno rappresentato una sconfitta per i partiti tradizionali, CDU e SPD, mentre hanno mostrato una forte affermazione di Alternative für Deutschland (AfD), il partito nato nel 2013 dalla volontà di un gruppo di economisti e giornalisti, che ha impostato la sua campagna elettorale su alcuni temi: “no” alla politica di accoglienza dei rifugiati, “si” al ripristino dei controlli alle frontiere, referendum sull’accordo commerciale TTIP e alla ripresa dei rapporti commerciali con la Russia. Nel BadenWürttemberg, una delle regioni più ricche del Paese, i Grünen, il Partito dei Verdi, hanno ottenuto oltre il 30% dei voti, mentre la CDU soltanto il 27% e AfD il 15,1%, con la SPD scesa al 12,7% dei consensi. L’ambientalista Winfried Kretschmann, attuale governatore della regione, ha parlato di una vittoria storica del suo partito, ma nessuna formazione ha ottenuto la maggioranza per governare da solo e sarà necessario ricorrere a delle coalizioni. Nello stato occidentale della Renania-palatinato la SPD si è confermata come primo partito della regione ottenendo il 36,2% dei 12


consensi, seguita dalla CDU, ferma al 31,8%, mentre AfD ha avuto il 12,6% dei voti. La candidata vincitrice della SPD, Malu Drayer, dovrebbe essere confermata alla guida della regione e, in questo caso, potrebbe riproporsi a livello locale la coalizione già attuata a livello nazionale con la CDU. Pe quanto riguarda la Sassonia-Anhalt, una delle aree più povere del Paese, ha vinto la CDU con il 29,8% dei voti, ma l’AfD ha ottenuto un sorpendente 24,2%, diventando il secondo partito della regione, mentre Linke e SPD hanno avuto rispettivamente il 16,3% e il 10,6% dei consensi. In questo caso la coalizione CDU/SPD non sarà sufficiente a garantire la maggioranza, perché le due formazioni insieme non raggiungono i 44 seggi necessari a governare. Benchè non decisivi per la politica nazionale, queste elezioni regionali erano considerate da molti come un test sulle politiche intraprese dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, con particolare riferimento alle decisioni riguardanti l’accoglienza dei rifugiati. Il vicecancelliere tedesco, Sigmar Gabriel della SPD, ha precisato che il risultato non cambierà l’atteggiamento dell’esecutivo nei confronti del tema immigrazione.

RISULTATI ELETTORALI NEI LÄNDER TEDESCHI – FONTE: DIE WELT

RUSSIA, 14-16 MARZO ↴ Il Ministro degli Esteri tunisino, Khemaies Jhinaoui, ha incontrato a Mosca il suo omologo russo, Sergej Lavrov. Gli argomenti principali dell’incontro sono stati la lotta al terrorismo, la situazione in Nord Africa e quella in Medio Oriente. Il Ministro degli Esteri russo ha sottolineato il proprio sostegno alla Tunisia nella 13


sua azione contro il terrorismo; a tal riguardo si è affermata la volontà di coordinare gli sforzi sia a livello bilaterale sia internazionale e la volontà di innalzare le relazioni tra i due Paesi a livello di partenariato strategico, che possa comprendere non soltanto la materia della lotta al terrorismo ma che tocchi anche temi quali l’economia, gli scambi commerciali e gli investimenti. Durante l’incontro il Ministro russo ha ancora una volta confermato l’indisponibilità della Russia ad intervenire militarmente in Libia senza mandato delle Nazioni Unite. Il 16 marzo il Presidente russo Vladimir Putin ha invece ricevuto il suo omologo israeliano Reuven Rivlin: un incontro considerato rilevante poiché avvenuto all’indomani dell’annuncio di Mosca di un ritiro – seppur parziale – dalla Siria. L’incontro è infatti servito a fare il punto della situazione sulla questione siriana, sulle trattative di pace tra Israele e i palestinesi e in generale sulla situazione mediorientale in vista, secondo quanto emerso, di un prossimo incontro tra Putin e Netanyahu. Il Presidente israeliano ha ribadito la posizione di Israele volta ad impedire che la doverosa lotta contro Stato Islamico possa avere come conseguenza un rafforzamento dell’Iran e soprattutto di Hezbollah; dal canto suo Putin ha invece ribadito il proprio impegno a garantire la sicurezza di Israele dagli attacchi islamisti.

STATI UNITI, 15 MARZO ↴ Negli Stati Uniti, Paese in piena campagna elettorale per individuare i candidati Presidenti dei due partiti in vista delle presidenziali di novembre, quella appena trascorsa è stata la settimana dell’importante “Mega Tuesday”. Martedì 15 marzo si sono pronunciati infatti sei Stati sul versante repubblicano e cinque su quello democratico. I vincitori assoluti sono stati i due frontrunner da lungo tempo identificati dai sondaggi: per i repubblicani, l’outsider Donald Trump; per i democratici, l’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton. Trump ha ottenuto la vittoria in cinque Stati su sei ottenendo così 213 delegati che voteranno per lui alla convention del prossimo luglio. Al secondo posto complessivo si è classificato il moderato John Kasich, governatore dell’Ohio e vincitore nel suo Stato di appartenenza, che assegnava il maggior numero di delegati al singolo candidato in questa tornata dopo la Florida (66 vs 99). Al terzo posto, il Senatore del Texas Ted Cruz, che ha ottenuto un risultato al di sotto delle attese senza conquistare vittorie in alcuno Stato. Finisce inoltre qui la corsa di un altro candidato repubblicano, il Senatore della Florida Marco Rubio, dopo il fallimentare esito nello Stato di “casa”, dove non è riuscito a imporsi su Trump. Nel campo democratico, Hillary Clinton ha raggiunto la prima posizione in cinque Stati su cinque, ottenendo una larga vittoria. L’unico suo avversario, il Senatore del Vermont Bernie Sanders, non ha vinto in alcuno Stato vedendo affievolirsi sempre più le sue chance di presentarsi a luglio alla convention con possibilità di ottenere la nomination. La Clinton si conferma così come la grande

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favorita per la leadership del partito: ad oggi, ha infatti ottenuto circa il doppio dei delegati rispetto a Sanders e si avvia trionfalmente verso la nomination democratica.

NUMERO DI DELEGATI CONQUISTATI PER PARTITO – FONTE: THE NEW YORK TIMES

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 15 MARZO ↴ Negli stessi giorni della visita a Kabul del Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, i Talebani hanno proseguito la loro avanzata in territorio afghano ottenendo il controllo del distretto di Khanashin, nella provincia di Helmand, a 100 miglia dalla capitale provinciale Lashkar Gah. Secondo la testimonianza di un funzionario locale riportata dal Washington Post i Talebani, che hanno conquistato il distretto dopo ore di combattimenti con la polizia e le forze di sicurezza, stavano concentrando da giorni le proprie forze intorno a questa località. Poche settimane prima i Talebani avevano già conquistato i distretti di Musa Qala e Now Zad.

BRASILE, 17 MARZO ↴ Rimane in bilico il futuro politico e giudiziario Luiz Inácio Lula da Silva. La notizia dell’assegnazione del incarico di Ministro della Casa Civil, una posizione simile a quella di capo di gabinetto, all’ex Presidente del Brasile ha provocato una serie di proteste contro l’iniziativa promossa dalla sua erede politica e attuale Presidente, Dilma Rousseff. A causare la reazione violenta è stato il fatto che l’assunzione di quest’incarico lo renderebbe immune all’arresto preventivo con l’accusa di corruzione, richiesto dal giudice Sergio Moro nei giorni scorsi. La divulgazione del colloquio telefonico tra Lula e la Rousseff, registrato poche ore prima della nomina, ha reso di fatto la situazione ancora più tesa. Nelle ore successive, mentre numerosi manifestanti scendevano in piazza in diverse città del Paese, la nomina di Lula è stata sospesa prima dal giudice di Brasilia e poi da quello di Rio de Janeiro. Entrambi i provvedimenti, però, sono stati annullati in appello, causando forti tensioni tra le diverse procure brasiliane. La terza sospensione della nomina è arrivata nella giornata del 19 marzo dal giudice federale di San Paolo, ma la partita sembra tutt’altro che chiusa.

LIBIA, 17-19 MARZO ↴ Dopo la proclamazione dell’entrata in vigore del governo di unità nazionale appoggiato dalla comunità internazionale da parte del Consiglio Presidenziale libico, i rappresentati di Tripoli e Tobruk hanno disconosciuto la legittimità del neo insediato esecutivo guidato dal Primo Ministro in pectore Fajez al-Serraj. Il Premier del governo di Tripoli, Khalifa al-Ghwell, ha minacciato di arrestare il collega al-Sarraj qualora avesse provato a spostare e insediare da Tunisi a Tripoli la sede del nuovo esecutivo. Sulla stessa linea politica anche Tobruk, che, per voce del suo massimo rappresentante Nouri Abusahmain, Presidente del Congresso Nazionale, ha rifiutato di riconoscere l’autorità di al-Sarraj minacciando «una lunga guerra contro chiunque tenterà di far entrare il governo di unità nazionale a Tripoli». Nel tentativo di uscire dall’impasse politico-istituzionale, le milizie di Misurata, le più importanti per numero di uomini e le meglio organizzate del Paese, avrebbero avviato un’operazione militare, 16


al momento allo scopo intimidatorio, contro tutte le fazioni ostili al nuovo governo di unità nazionale, per mettere in sicurezza Tripoli e per permettere ad al-Sarraj di insediarsi nella capitale libica e dare avvio definitivamente alla transizione politica.

MYANMAR, 15 MARZO ↴ L’economista Htin Kyaw, braccio destro del Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è stato eletto nuovo Presidente del Myanmar con il voto di 360 parlamentari a favore su un totale di 652 votanti. Per la prima volta dal 1954 il Presidente della Repubblica non è stato designato dalle forze armate del Paese. La candidatura di Htin Kyaw è stata proposta dalla Lega Nazionale per la Democrazia in quanto il suo leader, Aung San Suu Kyi, non avrebbe potuto accedere alla carica a causa del divieto costituzionale che le impedisce di guidare il Paese perché i suoi figli hanno passaporto straniero. Superato questo ostacolo, Aung San Suu Kyi potrebbe entrare attivamente a far parte del nuovo governo – che sarà in carica dal prossimo 30 marzo – rivestendo la carica di Ministero degli Esteri. La notizia dell’elezione di Htin Kyaw ha suscitato un ampio riscontro a livello internazionale con molte cancellerie occidentali, su tutte quella statunitense, che si sono congratulate con il nuovo Presidente, evidenziando nella sua nomina un passo importante sulla via della crescita democratica del Paese. Speranza per un continuo miglioramento delle relazioni bilaterali sono state espresse anche da Pechino, uno dei principali partner regionali del Myanmar.

NIGERIA, 16 MARZO ↴ Ancora un attentato di Boko Haram ha colpito Maiduguri, capoluogo dello Stato del Borno. Due donne kamikaze si sono fatte esplodere in una moschea nella periferia della città, uccidendo almeno 22 persone. Maiduguri è una delle città roccaforte di Boko Haram, movimento jihadista legato all’IS, che dal 2009 sta conducendo un conflitto contro le autorità locali e centrali nigeriane al fine di implementare la sharia e introdurre un califfato islamico negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa. Il Presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha fatto della lotta a Boko Haram uno dei pilastri della propria campagna elettorale e ha promosso, insieme a Camerun, Niger, Benin e Ciad, una coalizione militare che ha ridotto sensibilmente le capacità del gruppo terrorista. Ciononostante, la battaglia non sembra destina a concludersi rapidamente.

PAKISTAN, 16 MARZO ↴ É di 20 vittime e 30 feriti il bilancio dell’attentato avvenuto il 16 marzo nella città nord-occidentale di Peshawar, quando una bomba posizionata sotto un sedile ha provocato l’esplosione di un autobus privato che trasportava impiegati del governo pakistano. L’attentato è stato rivendicato dai miliziani di Lashkar-e-Islam, gruppo affiliato ai Talebani pachistani come vendetta per la recente conferma da parte del Tribunale militare della condanna a morte di 13 terroristi legati al gruppo. L’esplosione rappresenta il terzo attentato dello stesso genere dal 2012 ed interessa una regione 17


contigua alla frontiera con l’Afghanistan, che nell’ultimo decennio è stata bersaglio di frequenti attacchi di matrice talebana e jihadista. Tuttavia, negli ultimi due anni si è registrata una diminuzione degli episodi connessi con l’estremismo religioso, anche per merito della campagna antiterrorismo promossa dal governo di Islamabad all’indomani della strage del 16 dicembre 2014 alla scuola pubblica militare di Peshawar. Infatti, al massiccio intervento delle forze di sicurezza, hanno fatto seguito l’adozione di severe norme anti-terrorismo, tra cui la rimozione della moratoria sulla pena di morte e l’attribuzione di poteri speciali ai magistrati militari, competenti a giudicare anche civili.

UCRAINA, 17 MARZO ↴ Il Presidente ucraino Petro Poroshenko è arrivato a Bruxelles per prendere parte ad una serie di incontri con i vertici dell’Unione Europea e i leader di Germania e Francia. Il sottofondo che ha fortemente influenzato i temi di questi incontri è stato il conflitto nel Donbass e il futuro delle relazioni con la Russia. Il Presidente francese François Hollande e il Cancelliere tedesco Angela Merkel hanno constatato un peggioramento della situazione lungo la linea di demarcazione tra l’Ucraina e i territori ribelli nelle ultime settimane, attribuendone la responsabilità agli insorti filo-russi. Inoltre, le parti hanno sottolineato la centralità del rispetto degli accordi di Minsk per la normalizzazione della situazione nella regione, sostenendo l’impossibilità anche di una parziale cancellazione delle sanzioni economiche nei confronti di Mosca. Con Martin Schultz e Jean Claude Juncker si è parlato anche della liberalizzazione dei visti per i cittadini ucraini e della cosiddetta “lista Savchenko”. Kiev, infatti, ha divulgato un elenco di nomi, tra cui anche quello di Vladimir Putin, che Poroshenko vorrebbe fossero sanzionati dall’Unione Europea a causa della detenzione in Russia dell’aviatrice militare ucraina, Nadia Savchenko.

YEMEN, 13-15 MARZO ↴ Ad un anno dall’inizio delle ostilità, il conflitto yemenita assume sempre più le proporzioni di una guerra senza vie di uscita. Almeno 41 persone sono morte in un raid aereo saudita su un affollato mercato di Mastaba, nella provincia di Hajja, da mesi controllata dai ribelli Houthi. Ad un giorno dalla strage, Ali Ajlan, amministratore di uno degli ospedali in cui sono stati ricoverati i feriti, aveva dichiarato che a causa dei pochi corpi rimasti intatti il bilancio della strage fosse da ritenersi ancora provvisorio. Da mesi è teatro di scontri con i ribelli sciiti Houthi anche la città di Taiz, recentemente riconquistata quasi interamente dalle forze pro-governative fedeli al Presidente Hadi. Nella notte tra il 12 e il 13 marzo un raid aereo ha ucciso almeno 17 militanti di alQaeda nella Penisola Arabica (AQAP) nel distretto di al-Mansoura ad Aden, un’area oggetto di numerosi attacchi ai danni delle forze di sicurezza locali in seguito alla sua riconquista da parte della coalizione a guida saudita lo scorso luglio.

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ANALISI E COMMENTI MERCATO E SHARIA: ECONOMIA E FINANZA ISLAMICA VIOLETTA ORBAN ↴ Negli ultimi decenni l’analisi delle dinamiche interne ai Paesi islamici, dei loro rapporti con il mondo occidentale e degli elementi di frizione che caratterizzano tali relazioni si è concentrata prevalentemente sui fattori di tipo politico e religioso, trascurando la dimensione economica. In conseguenza della crisi e della conseguente recessione che ha interessato l’economia globale negli ultimi anni, si è tuttavia manifestato un crescente interesse per il modello economico-finanziario di stampo islamico, talvolta citato quale esempio di maggiore stabilità, solidità e responsabilità sociale. Malgrado si tratti di tematiche poco conosciute al di fuori di un’audience specializzata nel settore, l’economia e la finanza islamica rappresentano una realtà di importanti proporzioni nel panorama globale. Il tasso di crescita attuale del fenomeno della finanza islamica è stimato intorno al 10-15% all’anno e le banche islamiche operative sono circa 500 in 75 Paesi (…) SEGUE >>>

LA PROPOSTA RUSSO-CINESE PER LA PREVENZIONE DELLA CORSA AGLI ARMAMENTI SPAZIALI

STEFANO DOSSI ↴ Il lancio del satellite sovietico Sputnik I, nell’ottobre del 1957, e dell’Explorer statunitense poco tempo dopo, diedero il via a una vera e propria corsa allo spazio extraatmosferico. Il potenziale militare dell’ambiente spaziale fu subito intuito e temuto. È infatti importante notare come la rivoluzione dello Sputnik fu considerata non tanto una scoperta in campo scientifico, quanto in campo militare-strategico. Lo spazio era, e tuttora è, la quintessenza della regola aurea della strategia poiché nessun ambiente meglio di questo rappresenta l’high ground tanto necessario in qualsiasi calcolo strategico dall’antichità sino ai nostri tempi. La preoccupazione delle due superpotenze durante la Guerra Fredda consisteva nel fatto che gli sviluppi tecnologici in campo spaziale potessero portare alla creazione di sistemi d’arma basati nello spazio e caricati con testate nucleari. Il terrore derivante dalla possibilità di avere una ‘spada di Damocle’ nucleare pendente sopra le loro teste portò Stati Uniti e Unione Sovietica ad iniziare una corsa allo sviluppo di tecnologie spaziali (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 19


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