N°18, 21 GIUGNO – 4 LUGLIO 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 5 luglio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: Reuters/Rodi Said; Reuters; Xinhua; FP Photo; AP; ITAR-TASS/Maxim Nikitin; AFP/Jalaa Marey; RIA Novosti/PAN Photo/Hrant Khachatryan.
FOCUS EGITTO ↴
Nella settimana del secondo anniversario della destituzione dell’ex Presidente Mohammed Mursi (29 giugno-3 luglio), l’Egitto è stato colpito da una serie di violenti attentati che hanno nuovamente messo in discussione il ruolo del governo e delle sue istituzioni, politiche e militari, nel percorso guidato di transizione e pacificazione del Paese. Ad essere colpiti sono stati obiettivi di alto livello e simboli del potere centrale. Il 29 giugno al Cairo, più precisamente nel quartiere residenziale di Heliopolis – dove sorge anche il palazzo presidenziale – è stato attaccato un convoglio di sicurezza che scortava il procuratore generale della capitale Hisham Barakat e la sua scorta. Nell’esplosione sono morte un numero indefinito di guardie di Barakat e, poche ore più tardi, lo stesso procuratore generale, ucciso da un’emorragia interna provocata dalle gravi ferite subite. Oltre ad essere un personaggio di spicco della scena politica nazionale, Barakat è stato un avversario della Fratellanza Musulmana, tanto da aver condannato a morte durante l’esercizio delle funzioni numerosi membri dell’Ikhwan e lo stesso ex Presidente Mursi. L’attentato è stato rivendicato poche ore più tardi dal Gruppo di Resistenza Popolare, una formazione sorta da poco tempo, probabilmente nel periodo postrepressioni del 2013, costituito da diversi ex affiliati della Fratellanza Musulmana. L’attacco contro Barakat non rappresenta il primo attentato ai danni di alti funzionari dello Stato egiziano. Infatti il 16 maggio scorso, nel giorno in cui a Mursi fu inflitta la prima sentenza di condanna a morte per evasione da un carcere egiziano nel 2011, un gruppo di uomini armati legati alla Provincia del Sinai (o Wilayat Sinai, 1
il gruppo precedentemente noto come Ansar Bayt al-Maqdis e così rinominatosi dopo la bayah al califfo al-Baghdadi del novembre 2014) uccise tre giudici nel Sinai settentrionale. Un attentato di cui i terroristi hanno diffuso le immagini, solo dopo aver ricevuto conferma della morte di Barakat.
Appena 48 ore più tardi, il 1° luglio, il WS ha lanciato tra al-Arish, Sheikh Zuweid e il valico di Rafah, 15 attacchi contemporanei, con annesse azioni diversive, contro postazioni militari, installazioni della polizia locale e checkpoint delle forze di sicurezza, uccidendo oltre una settantina di soldati, di cui almeno 17 ufficiali. Nelle azioni di rappresaglia immediata e ancora in corso, guidate dall’aviazione egiziana con i caccia F-16 appena consegnati dagli Stati Uniti, sarebbero morti oltre un centinaio di miliziani e insorti. Gli attentati rappresentato i più gravi attacchi nella storia dell’Egitto.
OPERAZIONI SUL CAMPO NEL NORD SINAI - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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Gli attacchi nel nord del Sinai hanno dimostrato ancora una volta l’impreparazione e l’incapacità, politica e militare, dello Stato egiziano nel contenere adeguatamente la minaccia jihadista nel Paese. Allo stesso tempo, questi eventi hanno evidenziato come il gruppo maggiormente letale e pericoloso egiziano, il WS sia ormai strettamente connesso non solo da un punto di vista ideologico con IS, ma anche da quello militare, come dimostrato anche dall’alta capacità di replicare in loco tattiche di combattimento altamente complesse utilizzate dal gruppo di al-Baghdadi tra Siria e Iraq. Oltre che dal punto di vista militare la risposta egiziana è arrivata immediata. Nella serata del 1° luglio, il Presidente Abdel Fatah al-Sisi ha riunito d’urgenza il Gabinetto di Sicurezza Nazionale, durante il quale sono state approvate l’introduzione di nuove misure, ancor più rigide, di contrasto al terrorismo. Il governo egiziano ha approvato dunque un nuovo pacchetto di misure per la lotta al terrorismo, che consentirà di rendere i processi più rapidi. Approvato, infine, il disegno di legge sulla riforma della legge elettorale, in modo da fissare la data per le parlamentari, a lungo rinviate.
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GRECIA ↴
Dopo più di 4 mesi di trattative, la Grecia e le principali istituzioni coinvolte nel piano di aiuti internazionali sono arrivate ad una resa dei conti finale. La spasmodica corsa contro il tempo è iniziata il 25 giugno e, a suon di riunioni quasi quotidiane dei principali protagonisti europei e internazionali, si dovrebbe concludere, in un modo o nell’altro, soltanto con il referendum greco del 5 luglio. In un clima di innegabile frenesia si è riunito, il 25 e il 26 giugno, l’Eurogruppo, il centro informale di coordinamento europeo che riunisce i Ministri delle Finanze dei Paesi dell’Eurozona. La riunione è stata aperta con la speranza, rimasta invece vana, di sbloccare le trattative fra la Grecia e il Gruppo di Bruxelles (già nota come troika, ossia Commissione europea, BCE e FMI) proprio in vista della doppia scadenza di fine giugno: da un lato il pagamento all’FMI della rata del prestito di 1,6 miliardi e dall’altro l’erogazione dell’ultima tranche da 7,2 miliardi del secondo programma di aiuti, senza la quale del resto Atene non avrebbe potuto pagare la rata del FMI. Il piano presentato all’Eurogruppo dai creditori di Atene il 25 giugno, sostanzialmente identico a quello già presentato l’8, il 14 e il 22 giugno, si fonda sulla realizzazione graduale di un avanzo primario di 1, 2, 3 e 3,5% del PIL nel quadriennio 2015-2018. Il pacchetto proposto dai creditori affinché tale obiettivo possa essere raggiunto, comprende principalmente: misure di politica fiscale, riforma delle pensioni, riforma della pubblica amministrazione, riforma del mercato del lavoro, interventi volti a combattere la dilagante corruzione e riforme volte a sanare le carenze evidenti nel sistema di riscossione delle imposte. Come già in passato, l’erogazione degli aiuti alla Grecia viene vincolato all’accettazione del pacchetto di riforme appena considerato.
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Il 26 giugno, alla ripresa del Vertice dopo la sospensione momentanea del 25 giugno volta a dare la possibilità al governo Tsipras di presentare un nuovo piano di proposte, i negoziati potevano dirsi sostanzialmente falliti. Rimaneva tuttavia la speranza di poter continuare sulla strada di una trattativa senza ulteriori irrigidimenti delle parti. L’annuncio il 27 giugno del Premier Tsipras di voler indire un referendum in merito alla proposta fatta dai creditori alla Grecia il 25 giugno, richiesta approvata il 28 giugno dal Parlamento di Atene, ha definitivamente frantumato anche l’ormai flebile speranza di giungere ad un accordo prima della fine di giugno. Con questa mossa il governo greco ha nei fatti optato per una chiusura unilaterale delle avviate negoziazioni con i creditori. Da un lato il governo Tsipras ha fortemente condannato il piano proposto dall’Eurogruppo giudicandolo nella sostanza un diktat in contrasto con i valori stessi dell’Europa; dall’altro i vertici decisionali di Atene hanno precisato non essere in loro diritto prendere una simile decisione senza un avallo popolare in quanto questa avrebbe comportato nel concreto nuovi insopportabili sacrifici per un popolo già profondamente segnato da anni di misure di austerity. Dal canto suo l’Europa ha visto nel referendum greco il guanto di sfida lanciato ai creditori, un’imposizione forzosa di un braccio di ferro tra debitore e creditore. Mentre il 30 giugno Atene diventava de facto il primo Paese europeo insolvente nei confronti dell’FMI, l’Europa chiudeva tutti i canali negoziali con Atene annunciando di restare in attesa del referendum del 5 luglio. Intanto sul piano interno il referendum ha significato la presa di coscienza di uno sviluppo ormai non più controllato e controllabile della nuova crisi greca. È dunque iniziata la lunga fila agli sportelli per poter ritirare i risparmi depositati negli istituti bancari greci. Proprio per evitare gli effetti catastrofici di un Bank Run di immane proporzioni, il 28 giugno il governo greco ha annunciato l’adozione di un decreto sulla chiusura delle banche a breve termine, cioè fino a lunedì 6 luglio, il giorno dopo il referendum. È stato garantito comunque in questo periodo di tempo il pagamento di stipendi e pensioni. Dopo la decisione del 3 luglio del Consiglio di Stato greco, la Suprema corte amministrativa del Paese, circa l’ammissibilità del referendum del 5 luglio, la situazione sembra ormai inevitabilmente in mano al popolo greco. A questo punto due gli scenari possibili: la vittoria dei “Si” implicherebbe, come è logico pensare, le dimissioni del Premier Tsipras e l’avvento di un governo maggiormente predisposto ad accettare quanto proposto dall’Eurogruppo. Qualora, al contrario, a vincere fossero i “NO” lo scenario più probabile sarebbe quello che può riassumersi nel neo-coniato Grexit. A quel punto, però, le conseguenze non sarebbero pagate soltanto dalla Grecia ma dall’Europa intera non tanto con un effetto immediato sull’economia reale quanto piuttosto con conseguenze incontrollabili sul mercato dei capitali a livello di reintroduzione di un premio legato al rischio valutario. L’appartenenza all’Eurozona non sarebbe più percepita dai mercati come un qualcosa di irreversibile e il prezzo di tale nuova consapevolezza sarebbe pagato prima di tutto da quelle economie considerate ancora come le più vulnerabili: Spagna, Portogallo e probabilmente Italia. 5
IRAQ/SIRIA ↴
Pur sotto controllo dei Peshmerga curdi, che per oltre sei mesi dall’ottobre 2014 hanno resistito contro l’assedio dello Stato Islamico (IS), Kobane è tornata a essere terreno di rappresaglia dei miliziani islamisti. Nella notte del 25 giugno decine di guerriglieri jihadisti, che vestivano le uniformi dell’Esercito Libero Siriano e dei combattenti curdi arruolati sotto le insegne del YPG (Unità di Difesa del Popolo), si sono infiltrate nella città sulla frontiera siro-turca e hanno aperto fuoco contro i residenti. Secondo Human Rights Watch l’assalto, tamponato dai Peshmerga dopo due giorni di intensa guerriglia urbana, ha provocato la morte di oltre 260 civili e il ferimento di altre centinaia, risultando uno dei più cruenti massacri compiuto dai seguaci del Califfato. L’attacco jihadista sopraggiunge a seguito della grave sconfitta di Tal Abyad, cittadina che guarda verso la capitale islamista di Raqqa e che i Peshmerga hanno conquistato lo scorso 16 giugno. Analogamente, il gruppo radicale è stato messo alle corde nella provincia nordorientale di Hasaka dalla sinergia delle forze curde e governative. Seppur in difficoltà negli altri fronti di conflitto nel Paese, le truppe di Damasco hanno infatti espulso i combattenti dell’IS dai quartieri di Hasaka e in particolare dall’area residenziale di Nashwa. Il 23 giugno i media nazionali hanno inoltre riportato che l’esercito siriano ha messo in sicurezza il giacimento petrolifero di Jazal nei pressi di Palmira, che alla fine di maggio il Califfato ha annesso ai propri domini e da cui giungono le immagini della distruzione del patrimonio archeologico. Contestualmente all’incursione su Kobane, i jihadisti sono entrati nuovamente a Tal Abyad ma l’attacco è stato circoscritto al distretto di Mashor Foqani nella periferia orientale della città. I successi militari curdi, che con la copertura aerea della coalizione internazionale il 23 giugno hanno riconquistato l’avamposto islamista di Ain Issa a sud di Tal Abyad, sono fonte di grande preoccupazione per la vicina Turchia. Il governo di 6
Ankara teme che il vuoto di sovranità possa portare al consolidamento della presenza politico-militare dei curdi siriani, così rafforzando le rivendicazioni autonomiste dei nazionalisti curdi nelle regioni meridionali. Il YPG siriano è infatti alleato all’ala armata del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), tutt’oggi considerato un’organizzazione terroristica dalla dirigenza turca. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato con fermezza che la Turchia non permetterà la costituzione di uno Stato curdo nel nord della Siria e la convocazione dei consiglieri per la sicurezza nazionale a seguito dei combattimenti di Tal Abyad ha destato le voci di un imminente e preventivo intervento turco per la costituzione di una zona cuscinetto, già invocata in autunno dal governo Erdoğan con l’escalation della violenza islamista su Kobane. Nonostante le smentite del Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, è ragionevole ritenere che l’opzione di un ingresso armato della Turchia, membro NATO sempre più insofferente nei riguardi della collaborazione operativa tra le forze statunitensi e quelle curde, sia al vaglio dei vertici militari turchi.
OPERAZIONI SUL CAMPO IN IRAQ - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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Intanto, il Ministro degli Esteri siriano Walid al-Muallem in visita a Mosca ha nuovamente incassato la vicinanza e l’assistenza del Presidente russo Vladimir Putin. Il Ministro degli Interni iraniano Abdolreza Rahmani Fazeli ha invece annunciato la costituzione a Baghdad di un forum trilaterale in cui Iran, Iraq e Siria discuteranno le misure di coordinamento per affrontare le comuni minacce della violenza estremista, del terrorismo e della politica estera israeliana. La visita a Teheran il 21 giugno di una delegazione di capi tribali della provincia sunnita dell’Anbar, guidata dallo sceicco Ashour al-Hammadi, dimostra quanto sia pregnante l’influenza iraniana nelle vicende e nelle prospettive irachene e come, per converso, Baghdad non sia in grado di armare e integrare i combattenti tribali sunniti (alla stregua delle ben organizzate milizie sciite) all’interno delle forze di sicurezza. Lo sceicco al-Hammadi ha reso nota la disponibilità iraniana a fornire armamenti alle tribù dell’Anbar attraverso il governo federale iracheno. Analogamente, alcuni parlamentari sunniti hanno intavolato dei colloqui con le controparti giordane per studiare la possibilità di equipaggiare e sostenere finanziariamente i combattenti sunniti. Per quanto concerne l’andamento dei combattimenti, la polizia federale, i reparti di élite dell’esercito regolare e le milizie sciite hanno stretto l’offensiva su Baiji, dal cui centro urbano ancora una volta sono arretrate le avanguardie dell’IS, che tuttavia mantengono una forte e mobile presenza nelle aree limitrofe e nell’importante raffineria petrolifera verso la quale sono ora dirette le manovre delle forze di sicurezza. Alla precarietà degli equilibri bellici si accompagna il dato della frammentarietà del quadro politico, segnato da aperte tensioni tra le componenti etniche e confessionali. Il 20 giugno i membri del Consiglio Provinciale di Diyala di estrazione sunnita hanno annunciato che non prenderanno parte alle riunioni dell’organo decisionale per protesta contro la nomina a Governatore di Muthanna al-Tamimi, dirigente della milizia sciita Organizzazione Badr, che ha ricevuto l’incarico dopo lo scioglimento lo scorso 31 marzo del precedente esecutivo, presieduto da un esponente sunnita. Il boicottaggio della rappresentanza sunnita è motivato dalla scelta controversa di alTamimi, politico sciita vicino a Teheran, in una provincia demograficamente eterogenea in cui sono le minoranze curda e sunnita sono ben radicate. Ammar al-Juburi, leader del partito sunnita Iraqiyat Diyala, ha condizionato la partecipazione alle riunioni consiliari all’apertura di negoziati con le altre parti politiche, ma l’episodio – che ha avuto risonanza nazionale – testimonia le difficoltà nell’applicare soluzioni inclusive e largamente condivise. Peraltro, l’esplosione di alcuni ordigni suggerisce una ripresa degli attacchi dell’IS nella provincia, che in gennaio era stata messa in sicurezza dall’esercito e dai gruppi paramilitari sciiti. A denunciare la debolezza delle intese politiche è inoltre lo stallo dell’accordo sottoscritto a dicembre dal governo centrale con le autorità del Kurdistan iracheno che ha concesso al governo regionale curdo di vendere greggio alla Turchia e sbloccato il pagamento degli arretrati ai dipendenti pubblici curdi in cambio della condivisione dei proventi petroliferi. 8
Tuttavia, il passivo di bilancio ha compresso il previsto trasferimento di risorse federali, mentre Erbil ha progressivamente ridotto la quota di petrolio commercializzata attraverso la compagnia statale SOMO (State Organization for Marketing of Oil) e parimenti incrementato le vendite indipendenti.
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TERRORISMO ↴
La giornata del 26 giugno ha conosciuto ben tre episodi ascrivibili al terrorismo in diverse parti del mondo: Francia, Tunisia e Kuwait. Sebbene le indagini iniziate immediatamente dopo i fatti abbiano evidenziato che quanto accaduto in Francia sembra essere esclusivamente il gesto singolo di un folle, gli attentati in Tunisia e Kuwait sono stati entrambi rivendicati dallo Stato Islamico (IS). La mattina del 26 giugno, infatti, in un impianto di gas industriale dell’Isère, a 30 chilometri da Lione, in Francia, nella regione del Rodano-Alpi, un uomo, successivamente identificato come Yassin Sahli è entrato nel sito industriale e ha decapitato Hervè Cornara, suo capo e manager di una compagnia di trasporti. L’assalitore faceva regolarmente visita alla fabbrica della Air Products e, quella mattina, insieme alla vittima, doveva recarsi sul luogo per una consegna: una volta arrivato sul posto ha prima varcato il cancello di ingresso, mostrando il suo badge personale, poi si è recato verso le bombole di gas deposito, causandone l’esplosione. Successivamente Sahli ha cercato di esporre la testa della vittima sulla recinzione della struttura, dopo aver inviato una foto con il corpo mutilato ad un numero telefonico canadese, prima di essere bloccato dai vigili del fuoco che erano accorsi a seguito del divampare dell’incendio. Gli investigatori stanno ancora indagando sulle reali motivazioni che hanno portato a compire un simile gesto, ma l’assalitore ha confessato di aver agito per motivi personali e ha negato che ci sia la matrice islamista dietro l’attacco. In Kuwait i terroristi hanno attaccato la moschea sciita dell’Imam Sadiq, situata nel quartiere al-Sawaber, zona molto frequentata dell’area orientale della capitale, mentre era affollata di credenti in preghiera. Il bilancio finale dell’attacco è di 27 morti e più di 220 feriti, alcuni in modo grave. Secondo le prime ricostruzioni, derivanti anche dall’analisi dei filmati della videocamera posta all’ingresso, un giovane, probabilmente sui vent’anni, vestito di bianco, è entrato nell’area di preghiera, 10
dove vi erano circa 2000 persone in ginocchio, e si è fatto esplodere. Il Primo Ministro kuwaitiano Sheikh Jaber al-Mubarak al-Sabah ha affermato che l’attacco rappresenta un tentativo di minacciare l’unità nazionale, ma ha assicurato che «i kuwaitiani, adesso, sono più forti che mai». L’attacco è stato rivendicato da un gruppo affiliato allo Stato Islamico, autodefinitosi Wilayat Najd (Provincia del Najd), lo stesso che avrebbe compiuto una serie di attentati ai danni di moschee sciite nel Qatif, una provincia orientale dell’Arabia Saudita. La strage della moschea dell’imam Sadiq potrebbe rappresentare l’apertura di un nuovo fronte, il Kuwait per l’appunto, da parte dell’IS, essendo questo il primo attentato ai danni del piccolo Stato del Golfo, in un tentativo di accerchiamento dell’Arabia Saudita, al pari di Israele tra gli obiettivi principali dell’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi.
ATTACCO A KUWAIT CITY - FONTE: BBC
Il terzo attacco della giornata è avvenuto nella località di Sousse, in Tunisia, dove alcuni uomini armati di Kalashnikov sono arrivati sulla spiaggia di due popolari resort turistici e hanno fatto fuoco sui bagnanti, uccidendo 38 persone e ferendone almeno un’altra trentina. Tra le vittime ci sono turisti francesi, britannici, irlandesi, tedeschi, belgi e tunisini. Uno dei due responsabili dell’attacco è stato ucciso, mentre il secondo è stato catturato dalle forze di sicurezza intervenute poco dopo l’accaduto. L’attacco è stato rivendicato dall’IS con una dichiarazione sul proprio profilo Twitter e la pubblicazione di alcune foto degli attentatori. Questo è il 11
secondo attacco di una certa rilevanza avvenuto in Tunisia, dopo quello del museo del Bardo lo scorso 18 marzo, rivendicato dai miliziani dello Stato Islamico. L’assedio dell’IS alla Tunisia ha convinto il Presidente Beji Caid Essebsi a dichiarare lo stato di emergenza in tutto il Paese. Il periodo di emergenza durerà 30 giorni, con possibilità di proroga: «Il Paese non è al sicuro perché abbiamo l’IS alle porte» ha dichiarato Essebsi e pertanto a «situazioni straordinarie si risponde con misure eccezionali». Contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza è stato nominato un nuovo governatore a Sousse, Fethi Bdira.
ATTACCO A SOUSSE - FONTE: BBC
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BREVI AFGHANISTAN, 22 GIUGNO ↴ I talebani afghani hanno lanciato un attacco contro il Parlamento senza tuttavia causare vittime, grazie al pronto intervento delle forze di sicurezza che hanno ucciso tutti e sette i miliziani. Secondo le prime ricostruzioni
fornite
dal
portavoce
del
Ministro
dell’Interno, Sediq Sediqqi, l’attacco è iniziato con l’esplosione di un’autobomba nei pressi dell’entrata del Parlamento; successivamente i miliziani hanno assaltato il compound, ma sono stati respinti dalle forze di sicurezza e si sono rifugiati in un palazzo vicino in costruzione. L’attacco sarebbe avvenuto, secondo alcune indiscrezioni, subito dopo l’arrivo al Parlamento di Masoom Stanekzai, nominato nuovo Ministro della Difesa, una posizione rimasta vacante per circa nove mesi. Nell’attacco nessun membro della Loya Jirga ha riportato serie conseguenze fisiche, se non lievi escoriazioni a seguito dell’esplosione. Nonostante l’insuccesso, l’offensiva talebana non si è fermata: i miliziani hanno successivamente attaccato un posto di polizia nel distretto di Khwaja Ghar e si sono opposti alla riconquista del distretto di Waygal da parte delle truppe afghane. Inoltre, 11 soldati afghani sono morti a seguito di un’imboscata dei talebani nell’Afghanistan occidentale, proprio mentre l’esercito afghano si appresta ad affrontare, per la prima volta senza il supporto diretto delle truppe NATO, l’offensiva talebana. Nel frattempo si fa sempre più pressante la minaccia dello Stato Islamico che, secondo quanto rivelato da alcuni testimoni, starebbe imponendo la propria presenza in alcuni distretti della provincia di Nangarhar, bruciando i campi di oppio, principale fonte di finanziamento dei talebani. Nel frattempo, sul piano politico è stata raggiunta l’intesa con l’ONU per il trasferimento alle autorità di Kabul di un controverso milionario programma di assistenza per rafforzare la polizia e pagare gli stipendi. Il nuovo programma prevede la valutazione sul raggiungimento di alcuni obiettivi,
a
periodicità
semestrale,
per
ottenere
le
successive
tranches
di
finanziamento.
ARGENTINA/FALKLAND, 27 GIUGNO ↴ Non conoscono sosta le tensioni tra Londra e Buenos Aires per l’annosa questione dell’arcipelago conteso delle Falkland/Malvinas. L’ultimo episodio riconducibile alle frizioni anglo-argentine sul tema è relativo alle trivellazioni
petrolifere
nell’arcipelago,
che
hanno
avuto inizio nel 2010 malgrado l’opposizione del 13
governo di Buenos Aires. Lilian Herraez, giudice federale di Rìo Grande, nella Terra del Fuoco, ha disposto il blocco di 156,4 milioni di dollari sui conti bancari, oltre al sequestro di navi e altri beni appartenenti alle imprese petrolifere operanti nella zona. Tra le aziende interessate dal provvedimento rientrano le britanniche Falkland Oil and Gas, Premier Oil e Rockhopper, l’italiana Edison International e la statunitense Noble Energy. In aprile il Sottosegretario agli Esteri per le isole Malvinas, Daniel Filmus, aveva annunciato possibili azioni legali contro tali aziende, accusandole di «portare avanti azioni illegali in territorio argentino». Il procedimento, duramente contestato dalle società internazionali coinvolte, implicherebbe la cessazione immediata di ogni attività esplorativa ed estrattiva. L’arcipelago delle Falkland è oggetto da lungo tempo di una disputa tra Regno Unito e Argentina. Territorio d’oltremare del Regno Unito, che ne rivendica la sovranità in virtù della propria presenza politico-amministrativa risalente al XIX secolo, le isole (con la denominazione di Malvinas) sono tuttavia considerate dall’Argentina come parte integrante del proprio territorio nazionale. Le tensioni bilaterali sulla questione hanno raggiunto il culmine in occasione del breve conflitto, da aprile a giugno del 1982, per il controllo e il possesso delle Falkland conclusosi con la vittoria del governo britannico di Margaret Thatcher.
ARMENIA, 27 GIUGNO ↴ Dopo una settimana di proteste di piazza e di disordini tra manifestanti e forze di polizia armene a Yerevan, il Presidente sospensione
Serzh dei
Sargsyan rincari
delle
ha
annunciato
tariffe
la
dell’energia
elettrica. Le manifestazioni erano infatti scoppiate dopo l’approvazione da parte del Parlamento (19 giugno) di un aumento del costo dell’elettricità dal prossimo mese di agosto del 16% – il terzo in due anni. Alla base di “Electric Yerevan” – così è stato definito dai media il movimento, per lo più condotto da giovani che si sono dichiarati non affiliati ad alcun partito politico armeno o estero – è aggravato dalla generale difficile situazione economica nazionale (corruzione, bassi salari e una disoccupazione che ha superato il 20%) che risente della crisi economica russa – dalla quale il piccolo Paese caucasico è strettamente dipendente – e in particolare dell’indebolimento del rublo. La distribuzione dell’energia elettrica, infatti, è gestita dall’Electric Networks of Armenia (ENA), società totalmente controllata dalla russa Inter RAO UES, che sembrerebbe abbia fatto pressioni sulla stessa ENA affinchè alzasse le tariffe (finanche al 40%) per compensare non solo la svalutazione della valuta nazionale ma anche il fatto che la compagnia armena abbia pagato forniture e servizi ben al di sopra del prezzo del mercato – favorendo in particolare le aziende degli oligarchi filo-governativi – senza ricevere un’adeguata corresponsione da parte dei cittadini. Mentre la Commissione regolatoria per i Servizi pubblici armeni (PRSC) si è affrettata a respingere le accuse del CEO della Inter RAO, Boris Kovalchuk, spiegando che la regolazione tariffaria è in 14
piena conformità della prassi internazionale, c’è già chi in Armenia reclama la nazionalizzazione della compagnia energetica e, in particolare, un sostanziale alleggerimento della dipendenza dalla Russia. Nonostante il Paese abbia deciso di aderire all’Unione Doganale, negli ultimi mesi si sono registrati attriti con Mosca, come dimostrano le proteste popolari seguite al caso dell’uccisione di un’intera famiglia armena da parte di un soldato russo della base di Gyumri non processato da un tribunale armeno.
ISRAELE, 29 GIUGNO ↴ A causa della costante instabilità della Striscia di Gaza e della Penisola del Sinai e nel timore di possibili infiltrazioni jihadiste dai confini egiziano e giordano nel Negev e in Csigiordania, Israele ha deciso di avviare i lavori
di
costruzione
di
una
barriera
difensiva
elettrificata su modello di quella che separa lo Stato ebraico dall’Egitto. La barriera, che dovrebbe impedire l’ingresso dei migranti irregolari africani (soprattutto eritrei e etiopi) o di attacchi sul suo territorio, sarà eretta lungo i trenta chilometri del confine con la Giordania nei pressi dell’aeroporto di Timna, vicino Eilat, unica località israeliana che si affaccia sul Mar Rosso, di fronte alla città giordana di Aqaba.
La
misura,
approvata
all’unanimità in seduta comune dal Gabinetto di dovrebbe
Sicurezza Nazionale,
andare
precedente
muro
a
sostituire
difensivo
il
eretto
intorno alla città nel 2013. L’intera opera costerà all’incirca un miliardo di dollari e sarà completata entro il dicembre
2016.
Questo
progetto
rappresenta il quarto muro difensivo a protezione dei confini israeliani dopo quelli edificati lungo le frontiere con Siria, Libano ed Egitto. La misura è
stata
israeliano
giustificata come
dall’esecutivo una
risposta
necessaria alle continue intimidazioni che giungono dal Sinai da parte del Wilayat Sinai che, nelle stesse ore degli attacchi del 1° luglio scorso, avevano lanciato tre razzi Grad a lunga gittata diretti verso Ashdod. Sebbene
non
abbiano
provocato 15
danni, la continuita minaccia rappresentata dal gruppo sinaitico ha spinto Tel Aviv a rilanciare una più stretta collaborazione di intelligence con l’Egitto e a mantenere, almeno non ufficialmente, un canale di dialogo aperto con la dirigenza di Hamas a Gaza proprio per scongiurare una fusione delle violenze gazawi con quelle sinaitiche, esponendo dunque lo Stato ebraico ad una nuova sfida da affrontare nel suo confine meridionale. Intanto sempre nello spazio di mare tra Gaza e Ashdod, la marina israeliana ha intercettato e bloccato la nave svedese “Gothenburg Marianne” diretta verso la Striscia e parte della Freedom Flotilla III, una flotta di navi cariche di aiuti internazionali in favore della popolazione locale afflitta dall’embargo israeliano in vigore dal 2007.
MYANMAR, 25 GIUGNO ↴ Il Parlamento del Myanmar ha votato contro diversi emendamenti costituzionali dimostrando ancora una volta il potere di veto da parte dei militari. In questo modo ha impedito alla leader dell’opposizione e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi di poter concorrere alle prossime elezioni presidenziali, che dovrebbero tenersi nel novembre 2015. Il voto, infatti, ha messo fine a tre giorni di dibattito su alcune modifiche da apportare alla Costituzione del 2008, che avrebbero reso accessibile la Presidenza del Paese a San Suu Kyi. Secondo la Lega Nazionale per la Democrazia un cambiamento della Costituzione è necessario per avere future elezioni democratiche. Il pugno di ferro da parte dei militari ha causato un forte mal contento tra i sostenitori di un Myanmar più liberale in mano ad un’amministrazione civile. Dal canto loro, i rappresentanti delle forze armate in Parlamento hanno constatato che il Paese, essendo ancora in una fase di transizione, non sarebbe pronto per la democrazia.
STATI UNITI, 1° LUGLIO ↴ Prosegue speditamente lo storico rapprochement tra Cuba e gli Stati Uniti dopo decenni di ostilità. Il Presidente americano, Barack Obama, e il Capo di Stato
cubano,
Raùl
Castro,
hanno
annunciato
pubblicamente la riapertura delle rispettive ambasciate nei reciproci Paesi a distanza di oltre cinquant’anni dalla rottura dei rapporti diplomatici. «Più di 54 anni fa gli Stati Uniti chiudevano la loro ambasciata a L’Avana», ha affermato Obama, «oggi ristabiliamo le nostre relazioni diplomatiche con Cuba»: «un passo storico, non un passo simbolico», ha continuato, «inizia un nuovo capitolo. Ora il Congresso deve agire su quell’embargo che non ha funzionato per oltre 50 anni». Se il Presidente ha avuto il potere di 16
ristabilire i rapporti diplomatici, è infatti compito esclusivo del Congresso abrogare l’embargo proclamato da John F. Kennedy ad inizio anni Sessanta. Un Congresso controllato dai Repubblicani che, però, non paiono inclini ad assecondare il passo storico compiuto da Obama. È il caso anzitutto del Senatore Marco Rubio, di origini cubane, e dell’ex Governatore della Florida, Jeb Bush, entrambi candidati presidenti in vista delle primarie repubblicane per le elezioni del 2016, che si sono detti scettici sul riavvicinamento in quanto non terrebbe conto né della inaccettabile natura autoritaria del governo di L’Avana né dell’assenza di una vera tutela dei diritti umani per i cittadini cubani. Una tesi che Castro ha voluto confutare nel discorso televisivo in cui ha annunciato la riapertura delle Ambasciate: «Cuba si ispira ai principi della Carta delle Nazioni Unite», ha annunciato, «compresa la promozione del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti». I cubani, intanto, si sono mostrati entusiasti del riavvicinamento diplomatico tra i due Paesi vedendovi la concreta possibilità di un miglioramento delle proprie condizioni socio-economiche. Intanto sul piano interno la presidenza Obama incassa due importanti successi su due battaglie che l’attuale amministrazione sta conducendo fin dal 2009: la tutela dei diritti delle comunità LGBT e la riforma sanitaria. Il 25 giugno la Corte Suprema statunitense ha infatti deciso che Obamacare – come è stato denominato informalmente l’Affordable Care Act – non risulta incostituzionale nel suo meccanismo di aiuti pubblici, che consente ai cittadini americani con redditi bassi di acquistare polizze assicurative erogate dal settore privato appoggiandosi sui sussidi forniti dal settore pubblico. Il giorno successivo, il 26 giugno, la Corte Suprema si è pronunciata sul matrimonio tra persone omosessuali stabilendo che ciò costituisce una possibilità garantita dalla Costituzione e che dunque risulta illegale qualsiasi normativa statale contraria. Viene quindi cancellata una parte della legge del 1996 promulgata dall’amministrazione Clinton, il Defense of Marriage Act, che indicava come unica forma legale di matrimonio quella tra due persone di sesso diverso.
STATI UNITI/CINA, 23-24 GIUGNO ↴ Si è svolto a Washington il 7° Dialogo Strategico ed Economico tra Cina ed USA. L’incontro è avvenuto in un momento di particolare tensione tra le due superpotenze
a
causa
dell’attacco
hacker,
presumibilmente sponsorizzato dalla Cina, contro gli USA, il quale ha causato la divulgazione di informazioni sensibili riguardanti gli agenti federali. Ciononostante l’incontro è risultato molto produttivo ed avrà sicuramente un forte impatto nelle relazioni sino-americane. Come previsto, la questione maggiormente discussa dai due Paesi è stata quella del cambiamento climatico. Le due superpotenze hanno rinnovato il proprio impegno nel rispettare le promesse fatte lo scorso novembre in merito alla riduzione delle emissioni, incentivando la produzione di energia pulita. In ambito economico si è menzionato, senza alcun risultato rilevante, il Trattato bilaterale per gli Investimenti. 17
Per quanto riguarda il tema della sicurezza, si è discusso principalmente di spazio cibernetico e della difficile cooperazione al suo interno, a causa – come evidenziato dal Ministro degli Esteri Lu Kang – dell’approccio statunitense. Infine nessun riferimento esplicito è stato fatto in merito alle questioni nel Mar Cinese Meridionale. John Kerry si è limitato ad affermare che «quei Paesi con determinate rivendicazioni nell’area si astengano quanto più possibile da azioni unilaterali e risolvano le proprie controversie nel rispetto del diritto internazionale».
UCRAINA, 1° LUGLIO ↴ Il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha presentato al Parlamento un progetto di modifica costituzionale che mira a conferire alcuni poteri fiscali ai governi regionali e locali. La normativa, che secondo il Presidente dimostra la chiara volontà di Kiev di rispettare quanto sancito dagli accordi di Minsk-2 dello scorso febbraio con riferimento alle riforme relative al decentramento e alla concessione di alcune disposizioni speciali per le regioni del Donbass, è stata tuttavia considerata dal Cremlino e dagli stessi separatisti filo-russi dell’est lesiva degli accordi di cessate il fuoco in quanto escluderebbe la questione dell’autonomia e non sarebbe stata concertata con i rappresentanti delle auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. È in ragione di ciò che il leader della DNR, Alexandr Zakharchenko ha indetto nuove elezioni locali per il prossimo 18 ottobre. Questo atteggiamento, insieme con il progressivo ammassamento di forze ribelli intorno alla città di Horlivka – a nord della direttrice Donetsk-Mariupol (dove immagini satellitari avrebbero registrato una nuova base ribelle diretta secondo Kiev dalla Russia) a giustificazione di una possibile operazione anti-terrorismo da parte dell’ATO – lascia suggerire che i separatisti stiano abbandonando i negoziati politici e stiano cercando di sfruttare una narrativa secondo cui sarebbero le forze di Kiev a violare il cessate il fuoco. A riprova della buona volontà, la DNR ha peraltro annunciato la creazione di una zona demilitarizzata intorno al contestato villaggio di Shyrokyne. L’allarme delle autorità centrali per una possibile imminente offensiva dei separatisti (tanto verso Artemivsk tanto verso Mariupol), come tra l’altro dimostrerebbero nuovi attacchi contro le prime linee di sicurezza ucraine, fa inoltre seguito alla decisione del Cremlino di interrompere le forniture di gas destinate a Kiev come fallimento dell’incontro (30 giugno) tra Russia e Ucraina a Vienna (mediato dall’UE) sulla negoziazione del pacchetto estivo di forniture energetiche. Naftogaz, l’azienda statale ucraina, ha infatti rifiutato il prezzo proposto da Gazprom, ma ha comunque dichiarato che assicurerà il flusso di oro blu destinato agli altri clienti europei.
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UNIONE EUROPEA, 22 GIUGNO ↴ Il Consiglio dell’Unione Europea nella sua formazione Affari Esteri ha ufficialmente dato il via libera alla prima fase della missione militare EUNavfor Med così come approvata il 18 maggio scorso. Il primo step della missione militare prevede il dispiegamento di navi e velivoli di 14 Paesi europei nelle acque internazionali a largo della Libia e la raccolta di informazioni di intelligence sulla rete di traffico organizzata dagli scafisti. La flotta europea, la quale avrà come nave ammiraglia la portaerei italiana Cavour, sarà composta da 5 navi da guerra, 2 sottomarini, 3 aerei da pattugliamento marittimo, 2 droni e 3 elicotteri per un totale di circa 1.000 uomini. La missione EUNavfor Med sarà condotta in collaborazione con la NATO, diverse agenzie delle Nazioni Unite e ovviamente l’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne Frontex. L’importanza dell’avvio di questa prima fase, che dovrebbe servire da trampolino di lancio per le fasi due e tre della missione una volta giunta l’attesa risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata sottolineata anche nelle conclusioni finali del Consiglio europeo del 25 e 26 giungo. Proprio durante quest’ultimo Vertice si è inoltre giunti ad un compromesso limitato, basato non sul criterio dell’obbligatorietà ma su quello del “consenso”, circa la questione delle quote relative alla redistribuzione dei 40.000 richiedenti asilo già su suolo italiano e greco. Accanto a ricollocamento e reinsediamento, si continua inoltre a sottolineare nei vari forum europei la necessità di implementare il sistema dei rimpatri per coloro che non hanno diritto alla protezione.
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ALTRE DAL MONDO ARABIA SAUDITA/FRANCIA, 25 GIUGNO ↴ I Ministri degli Esteri e della Difesa di Francia e Arabia Saudita hanno firmato a Parigi una serie di importanti accordi del valore di 12 miliardi di dollari in diversi settori di cooperazione (in particolare sicurezza ed energia). Laurent Fabius ha specificato che gli accordi includono l’acquisto di 23 elicotteri Airbus H145, nonché la possibilità di lanciare uno studio di fattibilità per la costruzione di due reattori nucleari nel regno saudita in collaborazione con la Francia. Dopo gli accordi firmati con Libano, Qatar ed Egitto, questa nuova intesa rappresenta un’ennesima conferma dell’ascesa e del rafforzamento della diplomazia militare francese in Medio Oriente.
ITALIA/INDIA, 26 GIUGNO ↴ A seguito dell’ennesimo rinvio da parte della Corte Suprema indiana dell’udienza sul ricorso presentato dai due fucilieri della Marina italiana contro l’affidamento delle indagini all’agenzia anti-terrorismo (NIA) di New Delhi, il Ministero degli Esteri italiano ha annunciato l’avvio delle procedure per l’attivazione di un arbitrato internazionale che stabilisca – a tre anni di distanza dall’inizio della vicenda – a quale organo giuridico spetti l’istituzione del processo sul caso. Sono tuttavia incerti i tempi di realizzazione, in quanto non sembra sia stato ancora presentato il ricorso presso il Tribunale del Mare né che l’Italia abbia nominato il giudice per quanto di competenza.
IRAN, 30 GIUGNO ↴ L’Iran e i Paesi del P5+1 hanno optato per estendere la deadline dei negoziati sul dossier nucleare di Teheran al 7 luglio. La precedente scadenza per i dettagli dell’accordo, dopo aver già raggiunto un framework agreement, era fissata per il 30 giugno. I lavori tra le due delegazioni quindi proseguono, circondate da un cauto ottimismo. Benché l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ribadisca che serva ancora molto lavoro, il vice Ministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, afferma che «tutte le parti sono del parere che la questione sarà risolta nei prossimi giorni».
MALI, 20 GIUGNO ↴ La coalizione dei movimenti per l’Azawad (CMA) ha firmato l’accordo di pace per il Nord del Mali. Il testo dell’intesa, già approvata lo scorso 15 maggio, ma mancante della firma del CMA, mira a ristabilire una pace duratura nel Nord del Paese e a fermare l’avanzata dei gruppi jihadisti. Il Ministro degli Esteri algerino Ramtane Lamamra, capo del team di mediazione internazionale, ha salutato con soddisfazione il raggiungimento dell’accordo, ritenendolo «un nuovo inizio per il Mali». 20
SOMALIA, 26 GIUGNO ↴ Nello stesso giorno dei sanguinosi attentati in Francia, Tunisia e Kuwait i militanti di al-Shabaab hanno lanciato un’autobomba contro una base delle truppe di peacekeeping dell’Unione Africana AMISOM a Leego, 130 km dalla capitale Mogadiscio, causando numerose vittime. Secondo il portavoce di al-Shabaab per le operazioni militari, Sheikh Abdiasis Abu Musab, 6 miliziani sarebbero rimasti uccisi mentre le vittime tra i soldati burundesi sarebbero oltre 50. Secondo le ricostruzioni dei testimoni, un attentatore suicida si sarebbe fatto saltare in aria a bordo di un’autobomba e successivamente si sarebbe verificato un lungo scontro a fuoco tra i militanti della formazione islamista e i soldati dell’UA. Già nelle scorse settimane la lunga serie di violenze di al-Shabaab aveva incluso un’azione contro un convoglio dell’Unione Africana con a bordo soldati etiopi e due attacchi nella capitale. Obiettivo del primo di essi è stato un centro di addestramento dell’Agenzia Nazionale di Intelligence, mentre nel secondo episodio i bersagli sono stati istruttori militari degli Emirati Arabi Uniti; nessun cittadino emiratino ha perso la vita, ma vi sono state almeno 3 vittime tra i soldati somali.
SUD SUDAN, 28 GIUGNO ↴ Duri scontri sono avvenuti tra forze ribelli e truppe governative per il controllo di Malakal, capitale dello Stato dell’Alto Nilo nel nord del Sud Sudan. L’attacco dei ribelli, che per bocca del loro comandante Johnson Olony hanno dichiarato di controllare la città, è avvenuto subito dopo il fallimento dei colloqui di pace che si stavano svolgendo a Nairobi, in Kenya. Le delegazioni avevano deciso di incontrarsi separatamente con il Presidente kenyano Uhuru Kenyatta. Ma al termine dei colloqui il portavoce dei ribelli Mabior Garag ha dichiarato che ancora una volta non si è arrivati ad un accordo tangibile. Durante gli scontri è stato attaccato anche un compound delle Nazioni Unite, situato poco fuori la città di Malakal, a seguito del quale un cooperante è stato ucciso.
VATICANO/PALESTINA, 26 GIUGNO ↴ I rappresentanti accreditati della Santa Sede e dello Stato palestinese hanno siglato un accordo globale relativo agli aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina. L’accordo non ancora pubblicato e che fa seguito all’intesa del 15 febbraio 2000 tra Santa Sede e l’allora OLP, si compone, secondo quanto emerge dal comunicato congiunto, di un preambolo e di 32 articoli divisi in 8 capitoli. Con l’accordo il Vaticano procede de facto al riconoscimento dello Stato di Palestina e del suo diritto all’autodeterminazione, ribadendo ancora una volta la propria propensione per la soluzione dei “due popoli, due Stati”. Immediata la risposta di Israele che ha espresso rincrescimento e ha annunciato possibili conseguenze nei rapporti con la Santa Sede.
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ANALISI E COMMENTI TRA MILIZIE E DIVISIONI SETTARIE, QUALE FUTURO PER LA GUARDIA NAZIONALE IRACHENA? LORENZO MARINONE ↴ Gli scarsi risultati ottenuti dalla recente offensiva contro lo Stato Islamico in Iraq mettono in luce la preoccupante inconsistenza dell’esercito regolare iracheno. Nonostante il supporto aereo garantito dalla coalizione internazionale a guida statunitense e la presenza sul terreno di numerose milizie prevalentemente sciite, le forze di Baghdad hanno dimostrato in più occasioni di essere del tutto impreparate ad affrontare i miliziani del Califfato. L’episodio più recente è avvenuto il 17 maggio, quando la “Golden Division” delle forze speciali irachene, il reparto migliore per addestramento e capacità operativa, è fuggita da Ramadi abbandonando mezzi e armi. L’esercito iracheno stazionava nelle retrovie anche durante la riconquista di Tikrit ad aprile, lasciando combattere in prima linea le Forze di Mobilitazione Popolare (FMP, in arabo Hashd Shabi), milizie sciite appoggiate dalla Forza al-Qods iraniana (…) SEGUE >>>
ANALISI D’INTELLIGENCE: CRITICITÀ E BENEFICI DEL SISTEMA DI SPIONAGGIO E CONTRO-SPIONAGGIO
ALESSANDRO CONTINIELLO ↴ In questo periodo storico, alla luce dei tragici accadimenti francesi, i sistemi d’informazione e sicurezza di tutti i Paesi sono particolarmente in fibrillazione. La presente analisi cercherà, quindi, di focalizzare l’attenzione sugli obiettivi (rectius: target) della nostra e delle altre intelligence, senza omettere di evidenziare quelle che possano essere le criticità di un sistema così complesso e, in re ipsa, segreto. Ciclicamente i rappresentanti politici di una nazione europea o extra-europea enunciano la necessità, per il settore sicurezza, di lavorare in sinergia attraverso la “condivisione delle informazioni”. Niente è più falso di tale propalazione se si richiama, ab origine, un noto monito: “In momenti critici potrebbe effettivamente essere utile condividere informazioni tra servizi. Ma esiste anche una sacra regola: condividere può anche risultare un’operazione pericolosa. Un amico oggi potrebbe divenire un terribile nemico domani” (…) SEGUE >>>
TURCHIA, LA QUESTIONE CURDA DOPO IL VOTO FILIPPO URBINATI ↴ Come sempre accade le elezioni politiche di un Paese non si giocano su una sola tematica ma ruotano attorno ad una complessa rete di questioni. Le consultazioni che si sono svolte lo scorso 7 giugno in Turchia non hanno costituito in questo senso un’eccezione: oltre ai temi economici – che non hanno tuttavia avuto la stessa rilevanza dello scorso decennio –, a quello relativo alla proposta di modifica della Costituzione in senso presidenziale da parte del Partito Giustizia e Sviluppo (Adalet ve 22
Kalkınma Partisi – AKP) e dunque a quello riguardante le tendenze autoritarie del Presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha assunto una rilevanza particolare la tradizionale questione curda. Il problema curdo gioca certamente una parte rilevante all’interno della politica turca sin dalla nascita della Moderna Repubblica di Turchia avvenuta ad opera di Mustafa Kemal, detto Atatürk, nel 1923 (…) SEGUE >>>
LA GRECIA AL BIVIO GIUSEPPE CONSIGLIO ↴ La schiacciante vittoria di Tsipras alle politiche del 25 gennaio costituisce, come oramai ampiamente assodato, una limpida bocciatura del programma “lacrime e sangue” imposto alla Grecia dalla cosiddetta Troika e un chiaro mandato al nuovo governo eletto dal popolo ellenico: interrompere le politiche di austerità e ridiscutere gli accordi con i creditori internazionali attraverso una riduzione dei tassi di interesse e una ristrutturazione del debito. Quella che ha portato SYRIZA al governo è una proposta quanto mai ambiziosa che a più riprese si è scontrata con la dura realtà dei negoziati che Atene conduce a denti stretti oramai da sei mesi. Abbandonati i toni accomodanti – salvo sprazzi di insofferenza più dettati da esigenze propagandistiche e di consenso interno che da una reale visione di lungo periodo – dell’esecutivo guidato da Antonis Samaras, per trascinare la Grecia fuori dalla crisi il governo Tsipras ha elaborato una tattica che si sviluppa su due fondamentali direttrici: da un lato le trattative con l’Eurogruppo dove il Primo Ministro ed il suo Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, adottando plasticamente l’approccio Mutt and Jeff con il professore nel ruolo del “poliziotto cattivo”, cercano di convincere Banca Centrale Europea (BC), Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale (FMI), dell’efficacia delle riforme strutturali proposte per garantire un maggiore controllo della spesa ed una sostanziale salubrità dei conti pubblici (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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