Weekly Report N°19/2015

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N째19, 5-11 LUGLIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 12 luglio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: Reuters; Department of Defense; Alamy; US Pacific Fleet/US Navy; Prime Minister of India; AFP; Thomas Hartwell/AP; Capital.


FOCUS EGITTO ↴

Alle 6,30 dell’11 luglio, un’auto parcheggiata nei pressi del Consolato italiano al Cairo in Gala’a Street – una zona centrale della capitale – e carica di 450 chilogrammi di esplosivo è stata fatta esplodere distruggendo tutta una fiancata esterna della sede diplomatica e danneggiando gran parte dell’edificio. Secondo i dati del Ministero della Salute pubblica egiziana, nell’attentato è morto un poliziotto di guardia alla struttura e vi sarebbero all’incirca una decina di feriti, soprattutto passanti. Dopo l’esplosione due giornalisti freelance stranieri, David Degner e Alessandro Accorsi, giunti per primi sul posto sono stati brevemente fermati e poi rilasciati dalla polizia. In base alle notizie diffuse dal portale di intelligence statunitense SITE, l’attacco sarebbe stato rivendicato dal Wilayat Egypt (Provincia d’Egitto), una presunta organizzazione affiliata allo Stato Islamico (IS). La rivendicazione ha scatenato una serie di supposizioni sui motivi dell’attacco e sulla reale identità/esistenza della supposta cellula, salita alle cronache per la prima volta nel panorama terroristico egiziano. A differenza degli altri attacchi rivendicati da IS e in particolare dalla sua principale branca, ossia il Wilayat Sinai (Provincia del Sinai, WS) – gruppo già noto come Ansar Bayt al-Maqdis –, la paternità dell’attentato al Consolato italiano si discosta dai precedenti anche per il lessico usato nel testo diramato su internet dal gruppo: i “Soldati del Califfo” sarebbero i responsabili dell’atto. Una formula, questa, inconsueta che rappresenterebbe tuttavia una novità non solo linguistica, ma che lascerebbe trasparire, almeno, una tripla ipotesi sul soggetto in questione: 1) nuova

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sigla jihadista interessata all’affiliazione al Califfato; 2) soggetto che è già stato affiliato, ma che inizia a muoversi indipendentemente da WS, come una sorta di filiale continentale egiziana rispetto al Sinai; 3) gruppo egiziano addestrato e formato in Libia e ritornato nel Paese in funzione destabilizzatrice. Oltre alla questione della rivendicazione permangono numerosi interrogativi anche sulla reale volontà del gruppo di voler colpire l’Italia, lanciando così un preciso segnale di avvertimento. Infatti, sebbene l’asse italo-egiziano sia molto forte su diverse questioni regionali e mediterranee (in primis Libia, contrasto al terrorismo jihadista e migrazione clandestina), non è certo che il target finale dell’attacco fosse necessariamente il Consolato italiano. Al vaglio degli inquirenti vi sono altre ipotesi, come anche quella che l’edificio diplomatico italiano si trovi nei pressi di un obiettivo ritenuto sensibile dai terroristi (un tribunale o un’altra Ambasciata di primaria importanza). Ad ogni modo, dopo aver annunciato il rafforzamento dell’alleanza italo-egiziana e il fatto che «il nostro Paese non si farà intimidire dagli attentati», il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha immediatamente programmato un viaggio al Cairo per il 13 luglio dove incontrerà tutto il personale diplomatico italiano in loco e dove terrà probabilmente un incontro privato anche con il Presidente Abdel Fattah al-Sisi. Proprio l’ex Feldmaresciallo e il governo retto dal Premier Ibrahim Mahlab in questi giorni sono stati al centro di numerose polemiche per la loro volontà di dare un nuovo duro colpo alle libertà civili inasprendo maggiormente la legge anti-terrorismo. Un nuovo aggravio del dispositivo giuridico dovrebbe restringere maggiormente le libertà di associazione e manifestazione oltre che aumentare anche le difficoltà per i giornalisti nel loro lavoro di documentazione e di riscontro delle fonti. Nel frattempo nel Sinai continua l’operazione di counter-terrorism lanciata su più fronti dal governo centrale per stanare e porre in sicurezza il nord della Penisola vicino al confine israelo-gazawi. Da un lato sono stati intensificati i raid aerei contro i miliziani (uccisi oltre duecento terroristi in pochi giorni), dall’altro si è operata una nuova fase di sviluppo della buffer zone lungo il confine. Con una misura d’urgenza, Il Cairo ha deciso di isolare e chiudere da qualsiasi tipo di comunicazione da e verso l’esterno le città di al-Arish, Rafah e Sheikh Zuweid, nonché i loro immediati villaggi nelle vicinanze. Sempre le autorità cairote nel tentativo di contenere l’insorgenza islamista-beduina nella regione hanno chiesto aiuto agli Stati Uniti per acquistare tecnologia militare e civile USA per i sistemi di sicurezza e di sorveglianza da applicare lungo i confini con Israele. In sostanza, Il Cairo vorrebbe utilizzare nel Sinai le medesime tecnologie statunitensi poiché ritenute le misure più adatte per contenere l’afflusso di terroristi nella Penisola.

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GRECIA ↴

A meno di 48 ore dai risultati del referendum greco del 5 luglio, che ha decretato la vittoria del “No” (61%) al progetto di accordo presentato da Commissione europea, BCE e FMI nell'Eurogruppo del 25 giugno, l’Eurogruppo si è riunito a Bruxelles per procedere ad uno scambio di opinioni sulla via da seguire. Al termine della riunione del 7 luglio, il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha annunciato che il governo ellenico avrebbe presentato un nuovo piano di riforme e una conseguente nuova richiesta di assistenza finanziaria da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). La richiesta sarebbe dovuta pervenire entro l’8 luglio. A sole due ore dalla scadenza dei termini annunciati, Tsipras ha presentato il suo pacchetto di riforme di 13 pagine, intitolato “Azioni prioritarie e impegni”, per un valore complessivo di 12 miliardi di euro (ben 4 miliardi di euro di tagli in più rispetto a quanto richiesto dall’Eurogruppo con il piano proposto il 25 giugno). Dalle prime indiscrezioni, gli impegni presi sembrano essere quelli già richiesti dall’Eurogruppo con la proposta del 25 giugno. Prima di tutto la cornice in cui si muoveranno le specifiche riforme sarà quella di un risanamento del bilancio: la Grecia si impegna a rispettare gli obiettivi in merito all’avanzo primario così come previsti nel piano del 25 giugno (dall’1% al 3,5% nel triennio 2015-2018). In riferimento alle riforme specifiche, il piano greco sembra prevedere: abolizione degli sconti del 30% sull’IVA per le isole più ricche e turistiche entro il 2016, aumento dell’aliquota al 23% per ristoranti e catering, al 13% per gli alberghi e al 6% per medicine, libri e i biglietti teatrali; salgono a 300 milioni di euro i tagli alla difesa da concludersi gradualmente entro il 2016; deregolamentazione di certe professioni (ingegneri, notai, ecc.) e del settore del turismo; immediato aumento dal 10% al 13% delle tasse sui beni di lusso e sulla pubblicità in televisione, passano poi dal 16% al 28% le tasse sulle imprese e per gli armatori; aumento del contributo di solidarietà sul reddito e se necessario 3


della tassa sugli immobili dopo la revisione catastale; rilancio del programma di privatizzazioni, che lo stesso Tsipras aveva bloccato appena arrivato al governo, compresi gli aeroporti e i porti del Pireo e di Tessalonica; riforma delle pensioni entro il 2022 che comprende sia un taglio progressivo delle cosiddette “baby pensioni”, soprattutto tramite la creazione di un sistema di disincentivi, sia l’aumento dell’età pensionabile da portare a 67 anni o a 61 anni con 40 anni di contributi; ridimensionamento degli stipendi entro il 2019 sulla base delle responsabilità e delle prestazioni del lavoratore e infine un sistema maggiormente strutturato ed efficiente di lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Sembra sia previsto, inoltre, anche una ristrutturazione del debito greco ma non si sa ancora nulla sulla forma assunta da tale ristrutturazione, se sia stato previsto un allungamento delle scadenze o un taglio del valore nominale del debito greco. In cambio dell’implementazione di questo pacchetto di riforme la Grecia chiede ai creditori 53,5 miliardi per poter onorare i prestiti fino a giugno del 2018 anche se secondo le prime stime nelle ultime settimane la situazione greca si è aggravata a tal punto che il piano di Tsipras richiederebbe un prestito di almeno 74 miliardi di euro per poter essere realmente implementato.

Affinché il governo potesse negoziare con i creditori, il pacchetto di riforme è stato presentato in Parlamento di Atene, il quale nella notte del 10 luglio ha votato parere favorevole. Tuttavia, proprio un’analisi della votazione in seno al Parlamento può spiegare il reale valore del referendum del 5 luglio: dai primi conteggi pare che due deputati del partito di governo Syriza abbiano votato contro la mozione, sette si 4


siano astenuti e otto abbiamo votato “presente” invece di “si”, il che equivale ad una forma di astensione. Tra i deputati astenuti l’ex Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, dimessosi poche ore dopo l’esito del referendum e poi sostituito da Euclide Tsakalotos, già capo negoziatore della missione greca con il Gruppo di Bruxelles (già nota come troika). Pare dunque che Tsipras abbia giocato la carta del referendum non tanto per una volontà di sfida nei confronti dei creditori quanto per una necessità di rafforzare le proprie posizioni interne sia nei confronti dei partiti di opposizione ma probabilmente anche nei confronti del proprio partito. Tuttavia il colpo di mano di Tsipras non è rimasto senza conseguenze in quanto ha sollevato innegabilmente un problema di fiducia e di credibilità nei confronti di Atene che ha senza dubbio reso maggiormente rigide le posizioni europee. Il cauto ottimismo dei giorni successivi alla presentazione del piano di riforme, emerso sia dalle parole di Dijsselboem, sia da quelle dei Paesi “amici” della Grecia, (Italia, Francia, Cipro e Malta), ha lasciato il posto nuovamente all’incertezza e a possibili conferme dello scenario più temuto, quello del Grexit. Nessun accordo, infatti, è stato raggiunto durante la riunione dell’Eurogruppo di sabato 11 luglio tanto che l’Eurogruppo si è riunito nuovamente domenica mattina 12 per cercare di raggiungere un compromesso. Dalle riunioni è emersa soprattutto la netta indisponibilità tedesca e in particolare del suo Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, ad accettare un piano di ristrutturazione del debito greco così come proposto da Tsipras. Dei 286 miliardi di euro che la Grecia deve ai creditori pubblici (Stati dell’Eurozona, BCE e FMI), la quota più alta del debito greco, 57,23 miliardi, è detenuta proprio dalla Germania, seguita dalla Francia con 42,98 miliardi di euro e poi da Italia con poco meno di 40 miliardi di euro. Secondo alcune indiscrezioni di stampa, Schäuble ha proposto un Grexit limitato a 5 anni, periodo nel quale Atene dovrebbe procedere autonomamente ad una ristrutturazione del debito. Da più parti si è sostenuta l’impraticabilità di una simile soluzione in quanto non prevista in alcun modo dai trattati. Altra proposta che sembra essere stata avanzata dalla Germania è quella di una garanzia di un prestito europeo tramite i beni immobili greci. A sostenere la posizione tedesca vi sono numerosi Paesi come la Finlandia – il Parlamento nazionale ha negato l’autorizzazione al governo a negoziare un nuovo salvataggio per la Grecia –, la Slovacchia, i Paesi Bassi e infine il Portogallo. Oltre a non voler farsi carico dei debiti di Atene, Lisbona si è fatta portavoce del malcontento di quei Paesi come l’Irlanda e Cipro che nel recente passato hanno subito una diverso trattamento nelle loro crisi economiche. Assolutamente contrario ad una ristrutturazione del debito anche il FMI. I lavori dell’Eurogruppo continueranno fin quando non si sarà giunti ad un compromesso che possa, in termini economici, rispondere alla sfida della liquidità, dell’aumento non più sostenibile del debito pubblico, delle scadenze (il 20 luglio la Grecia dovrà rimborsare 4,2 miliardi di euro alla BCE) e dei nuovi prestiti e, sul piano politico, possa perlomeno ricostruire un livello di fiducia tale da costituire la premessa per un successivo negoziato con Atene. Intanto, il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha cancellato il summit straordinario a 28 originariamente convocato 5


per il pomeriggio di domenica 12 luglio. Rimane invece in calendario l’Eurosummit dei Capi di Stato e di Governo dell’Eurozona. La cancellazione significa, da un lato, che non si giungerà ad una decisione drastica e definitiva sulla Grecia perlomeno nella giornata di domenica dato che tale decisione spetta al vertice politico a 28; ma significa anche che il vertice dell’Eurogruppo sarà molto più lungo del previsto e che dunque i tempi decisionali saranno fortemente dilatati. A questo punto è logico presumere che l’Europa chiederà ad Atene di approvare e avviare immediatamente, entro una settimana, almeno alcune riforme (tra cui soprattutto aumento dell’IVA, riforma delle pensioni e privatizzazioni) per dare qualcosa di concreto all’Europa su cui lavorare e su cui, soprattutto, ricostruire la fiducia persa. Nel frattempo sul piano interno ellenico, dopo aver annunciato inizialmente la riapertura delle banche nella giornata di lunedì 13, Tsakalotos ha posticipato ancora una volta l’apertura senza indicare una data precisa. Del resto l’ipotesi è che, anche qualora le banche dovessero riaprire in settimana, si continuerebbe a mantenere uno stretto controllo sui prelievi probabilmente anche per i prossimi 6 mesi. Le banche greche sembrano ormai prossime al fallimento ma la crisi di liquidità verso cui si sta avviando la Grecia non farebbe altro che aggravare irrimediabilmente la crisi dell’economia reale. Da tutto questo il governo Tsipras difficilmente potrà uscirne indenne: la crisi ormai ingestibile sembra verosimilmente poter portare ad un rimpasto del governo.

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RUSSIA ↴

La città russa di Ufa, capitale della Repubblica di Baschiria, ha ospitato dall’8 al 10 luglio il VI Vertice dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e quello dei Paesi appartenenti alla Shanghai Cooperation Organization (SCO). Si è trattato di due appuntamenti importanti a cui hanno partecipato diversi importanti attori mondiali, ad esclusione dei Paesi occidentali, come l’Iran – già osservatore della SCO e interessata all’ingresso nella stessa –, l’India e il Pakistan. I vertici sono stati organizzati in maniera consequenziale perché la Russia, al momento, è Presidente di turno di entrambe le organizzazioni. I BRICS hanno adottato, nella giornata del 9 luglio, la “Dichiarazione di Ufa”, in cui hanno delineato una posizione comune su una vasta gamma di questioni politiche ed economiche internazionali. In particolare, gli Stati membri hanno sostenuto una politica e una soluzione diplomatica al conflitto in Siria «attraverso un ampio dialogo tra le parti che rifletta le aspirazioni di tutti i settori della società siriana e garantisca i diritti di tutti i siriani [...] senza precondizioni e interferenze esterne». I BRICS quindi si impegnano a rafforzare la cooperazione nella lotta al terrorismo internazionale, dando un ruolo centrale in questa azione alle Nazioni Unite, sottolineando che qualsiasi azione intrapresa contro il terrorismo dovrà essere condotta nel quadro del diritto internazionale. Uno dei punti chiave è in questo senso la dichiarazione contro lo Stato Islamico (IS) e gli altri gruppi terroristi, che vengono condannati «in tutte le forme e manifestazioni, nei continui, diffusi e gravi abusi di diritti umani e violazioni del diritto umanitario internazionale». 7


Per quanto riguarda il Medio Oriente, vengono sollecitate Israele e Palestina a raggiungere una soluzione a due Stati per risolvere il conflitto, condannando Israele per la costruzione di insediamenti in Cisgiordania. Dai BRICS è giunta una proposta di road map degli investimenti che prevede la realizzazione di 37 progetti in vari settori, con la creazione di una Associazione dell’energia, nel cui ambito creare anche una Banca di riserva dei combustibili e un Istituto BRICS per la politica energetica. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Putin al termine del Vertice BRICS, i Paesi partecipanti hanno trovato un accordo su molte delle questioni riguardanti la politica mondiale, in particolare vi è stato l’appoggio dei Paesi BRICS alla Russia per quanto riguarda la questione ucraina, che deve trovare soluzione nella piena attuazione degli accordi di Minsk.

Per quanto riguarda il vertice SCO, iniziato subito dopo la conclusione di quello dei BRICS, la maggiore novità riguarda certamente l’ingresso di Pakistan e India nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Per la prima volta la SCO accoglie nuovi membri, un allargamento strategico d’importanza fondamentale per i piani futuri. Pur partendo da due obiettivi diversi, l’integrazione di New Delhi e Islamabad si rende necessaria nell’affrontare questioni fondamentali inerenti sicurezza e sfide strategiche comuni. Il persistere dell’instabilità afghana rappresenta un problema di primaria importanza per l’Asia Centrale e pertanto necessita di una stabilizzazione interna direttamente collegata alle vicissitudini indo-pachistane. Putin ha 8


criticato il lavoro fatto dalla NATO in Afghanistan che ha ufficialmente terminato la sua missione lo scorso anno senza risolvere appieno i problemi del Paese centroasiatico. In tal senso il trattato sulla cooperazione dei confini (Border Cooperation Agreement), firmato da tutti i membri SCO, mira ad indebolire gli estremismi religiosi presenti nel Paese e a ridurre drasticamente i ricavati dal traffico della droga: indirettamente punta a combattere in maniera efficace tutti i tipi di estremismi, in particolare il potenziale pericolo derivante da un’espansione dell’IS nelle regioni dell’Asia Centrale e del Caucaso. Al termine del Vertice, i leader della SCO hanno siglato una dichiarazione, in cui sottolineano la necessità di lavorare per la creazione di una Banca per lo Sviluppo e di un fondo di stabilità all’interno dell’organizzazione di Shanghai. Inoltre è stato fornito pieno appoggio alla Cina per la sua proposta di creare una nuova Via della Seta economica.

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BREVI CINA, 8 LUGLIO ↴ Dopo una crescita del 150% in un anno a partire dal giugno 2014, il 12 giugno 2015 è iniziato nelle borse di Shanghai e Shenzhen un rapido crollo che ha interessato soprattutto i piccoli investitori e quelli entrati nel mercato negli ultimi mesi. In un solo giorno la borsa di Shanghai ha perso l’8% (il 25% nell’ultimo mese) a causa del rallentamento congiunturale e dello scoppio della bolla speculativa. Il crollo cinese ha avuto immediate ripercussioni sugli altri listini asiatici, con un calo del 5,8% di quello di Hong Kong e del 3,14% di quello di Tokyo. L’instabilità sulle piazze asiatiche crea apprensione a livello internazionale, in un contesto di interdipendenza e volatilità dei mercati finanziari e di incertezza sull’evoluzione della crisi greca. La Banca Centrale cinese (People’s Bank of China) ha annunciato nuovi impegni per la stabilità e l’iniezione di ampia liquidità al mercato, mentre il governo ha promesso interventi per contenere la situazione. Alcuni analisti osservano la cattiva allocazione di capitali nel settore immobiliare cinese, che ha condotto alla creazione di intere città fantasma e alla costruzione di in eccessivo numero di case e appartamenti, portando a una diminuzione dei prezzi degli immobili. La conseguente fuga di molti piccoli azionisti dal mercato immobiliare verso gli investimenti finanziari si sta verosimilmente rivelando insostenibile.

IRAQ/SIRIA, 5 LUGLIO ↴ Lo Stato Islamico (IS) insiste in azioni offensive di grande intensità nei molteplici fronti iracheni. I guerriglieri islamisti sono tornati a imperversare nell’area contesa di Baiji, riprendendo possesso dei quartieri di Asri e Tamim e costringendo le forze di sicurezza irachene a ripiegare dal centro urbano. La pressione jihadista e l’estensione dei combattimenti hanno sollecitato l’invio di rinforzi da Tikrit, mentre i caccia statunitensi e iracheni hanno aumentato la frequenza dei passaggi su Baiji. Contestualmente, l’IS è tornata a ingaggiare i Peshmerga curdi muovendo un importante attacco di terra su Kirkuk. Secondo le autorità di Erbil, circa seicento miliziani islamisti hanno preso parte all’azione. Sostenuti dai combattenti curdi del YPG siriano e del PKK turco, i Peshmerga iracheni sono stati impegnati dai miliziani jihadisti in una serie di scontri anche nel Sinjar, a ovest di Mosul. Infine, il Califfato ha mobilitato i propri effettivi verso Haditha, ossia l’unica città nel deserto dell’Anbar che resta in pieno controllo delle forze di sicurezza irachene. Per questa 10


ragione, il governo presieduto da Haider al-Abadi ha disposto l’integrazione dei corpi speciali nei ranghi dell’esercito regolare e delle milizie volontarie sunnite impegnate nella repressione dei ripetuti assalti dinamitardi lanciati dai guerriglieri islamisti. Dalla radicalizzazione dell’insorgenza jihadista la protezione della diga di Haditha rappresenta un obiettivo strategico primario per le parti in conflitto, ma la rinnovata attenzione estremista è pure motivata dal tentativo di distogliere le forze di sicurezza irachene dallo scenario di Falluja, dove il Comando operativo dell’Anbar dal 5 luglio ha moltiplicato gli sforzi nel quartiere di Saqlawiya allo scopo di interdire le linee di comunicazione con il capoluogo Ramadi – anch’esso sotto controllo degli estremisti. Anche la leadership del Fronte di Mobilitazione Popolare ha individuato in Falluja la chiave di volta della controffensiva nella provincia sunnita, ma i gruppi paramilitari sciiti sono in larga parte slegati dalla catena di comando di Baghdad. Intanto la Corte Suprema ha condannato alla pena capitale ventiquattro membri dell’IS sospettati di aver partecipato nel giugno 2014 al massacro dei soldati iracheni di stanza a Camp Speicher, nei pressi di Tikrit. Il Califfato allora denunciò e documentò l’esecuzione di circa 1700 individui, dei quali 470 sono stati poi recuperati in distinte fosse comuni dalle forze di sicurezza irachene. In Siria le truppe governative e le milizie di Hezbollah hanno intrapreso il 2 luglio una pesante offensiva su Zabadani, città in mano alle formazioni ribelli e di elevato valore strategico poiché prossima al confine libanese e in posizione intermedia tra Damasco e le retrovie di Hezbollah. Tutto il Paese è tuttavia interessato da violenti scontri tra le numerose fazioni che contendono il territorio siriano.

OPERAZIONI SUL CAMPO IN IRAQ - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

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PACIFICO, 7 LUGLIO ↴ Per la prima volta le forze armate di Giappone e Nuova Zelanda

hanno

partecipato

alla

più

grande

esercitazione militare congiunta tra USA ed Australia, la “Talisman Sabre”. Il vice Ammiraglio David Johnston ha tenuto a sottolineare come l’inclusione di questi due Paesi permetterà al sistema di difesa australiano di interagire con le controparti degli Stati vicini, senza intaccare la bilateralità dell’esercitazione. “Talisman Sabre”, condotta dalla 7° brigata australiana, ha coinvolto ventuno navi, tre sottomarini, duecento aerei e più di trentamila persone. La Nuova Zelanda ha partecipato con due navi da guerra e due elicotteri NH90, che non erano mai stati utilizzati al di fuori del territorio nazionale. Il Giappone dal canto suo ha inviato un contingente specializzato delle forze anfibie che già in precedenza avevano partecipato ad operazioni congiunte con la marina statunitense. L’esercitazione avviene in un momento delicato per la regione dell’AsiaPacifico, con lo scopo di mandare un segnale forte e chiaro di una solida ed efficiente collaborazione per il mantenimento della pace e della sicurezza. Alcuni esperti, tra cui il Professor Richard Tanter, del Nautilus Institute for Security and Sustainability, hanno fortemente criticato l’esercitazione constatando che tali azioni hanno mandato un messaggio provocatorio ai Paesi limitrofi.

STATI UNITI, 6 LUGLIO ↴ In attesa dell’ufficialità, funzionari del Pentagono hanno anticipato ad alcune agenzie di stampa che l’Esercito degli Stati Uniti verrà ridotto nell’arco dei prossimi due anni di circa 40.000 soldati arrivando, entro il 2017, a circa 450.000 effettivi; cifra più bassa di sempre dagli anni della Seconda Guerra Mondiale e inferiore di oltre 100.000 uomini rispetto a soli tre anni fa. A subire i tagli non saranno, però, solo i militari. Anche il personale civile, infatti, verrà ridotto tagliando circa 17.000 persone tra impiegati e funzionari. Nel frattempo, ad inizio luglio il Capo degli Stati Maggiori della Difesa, Martin Dempsey, e il Segretario alla Difesa, Ashton Carter, hanno presentato al pubblico la nuova edizione della National Military Strategy, la quale rivede e modifica quella precedente datata 2011. Secondo quanto scritto da Dempsey, l’aggiornamento è stato reso necessario non solo dal fatto che «il disordine nel mondo è considerevolmente aumentato», ma anche perché gli americani hanno iniziato «a perdere alcuni dei [loro] vantaggi in campo militare. L’America mantiene ancora la supremazia globale» rimanendo «la nazione più potente del mondo», ma «altri Stati stanno investendo molto nelle loro capacità militari» riducendo rapidamente il gap. I Paesi che minacciano oggi Washington sono ben indicati nella National Security Strategy (NSS): la Russia, 12


anzitutto,

che

viene

etichettata

come

“Stato

destabilizzatore”

dell’ordine

internazionale, ma anche l’Iran (nonostante il recente tentativo di rapprochement), la Corea del Nord e la Cina, mentre tra gli attori non statuali più pericolosi per gli USA compare naturalmente lo Stato Islamico. La NSS sottolinea, comunque, che una guerra convenzionale da parte degli Stati Uniti contro un’altra potenza rimane una possibilità remota, a differenza di quella più probabile rappresentata dai conflitti ibridi, che combinano strumenti asimmetrici con quelli simmetrici, e da quella totalmente asimmetrica contro organizzazioni di stampo terroristico.

TUNISIA, 8 LUGLIO ↴ A pochi giorni dalla strage di Sousse e dall’introduzione di uno stato di emergenza di 30 giorni esteso a tutto il territorio nazionale, il governo tunisino ha annunciato una nuova misura di contrasto al terrorismo jihadista ormai

imperante

in

gran

parte

dell’Africa

mediterranea. Durante una conferenza stampa il Premier Habib Essid ha comunicato che l’esercito tunisino costruirà una barriera difensiva di 168 chilometri lungo il confine condiviso con la Libia che sarà completata entro la fine dell’anno in corso. La misura è stata motivata dalle autorità come necessaria a proteggere il Paese dalle infiltrazioni jihadiste, tanto più alla luce dei recenti attentati contro il museo del Bardo a Tunisi e dei resort a Sousse, nei quali sono morte circa settanta persone. Secondo l’intelligence locale la maggior parte degli attentatori, di nazionalità tunisina, si sarebbero formati e addestrati militarmente nella vicina Tripolitania da dove, attraverso i checkpoint di frontiera, si sarebbero infiltrati nel Paese nordafricano. Sebbene il confine libico rappresenti uno dei principali motivi di insicurezza per la Tunisia, le maggiori minacce alla stabilità del Paese provengono soprattutto dall’ampia frontiera condivisa con l’Algeria, dove nell’area dei Monti Chaambi sarebbero operative alcune cellule islamiste, come Okba ibn Nafaa o Jund al-Khilafa – rispettivamente più o meno legate ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico e allo Stato Islamico –, già responsabili di numerosi attentati contro le forze dell’ordine e di sicurezza locali.

UNGHERIA, 6 LUGLIO ↴ Con 151 voti a favore contro i 41 negativi, il Parlamento ungherese ha approvato un pacchetto di leggi antiimmigrazione che prevede la realizzazione di un muro spinato alto 4 metri lungo i 175 Km di confini condivisi con la Serbia, già annunciato lo scorso mese dal Ministro degli Esteri Peter Szijjarto. La recinzione, che dovrebbe costare circa 10 miliardi di fiorini (32 milioni 13


di euro), è secondo il Premier Viktor Orban una misura temporanea in attesa che l’Unione Europea riesca a trovare una soluzione del problema immigrazione e a giungere ad una posizione comune sulla questione relativa alle quote di accoglienza. Più in generale la normativa, che modifica una già esistente sull’immigrazione, velocizzerà in particolare i tempi per lo screening delle domande di asilo e concederà la possibilità di respingere le domande di migranti provenienti da Afghanistan, Iraq e Siria che siano passati attraverso Paesi “sicuri” senza richiedere alloggio lì. La riforma prevede anche una disposizione che consentirà di revocare le richieste di asilo per i migranti che lasceranno il luogo di assegnazione dell’Ungheria per più di 48 ore senza autorizzazione, questo al fine di evitare il ripetersi di casi di rifugiati che, dopo aver ottenuto asilo, lascino il Paese per dirigersi verso l’Europa occidentale. Ciò dovrebbe di fatto accelerare le misure di espulsione degli immigrati dall’Ungheria in risposta al numero record di migranti e rifugiati giunti nei primi 6 mesi del 2015 (secondo le stime del governo sarebbero almeno 72mila gli ingressi illegali). In una lettera aperta ai legislatori ungheresi, Montserrat Feixas Vihe, Rappresentante regionale per l’Europa Centrale presso l’UNHCR, ha criticato gli emendamenti in quanto non garantirebbero sufficienti standard umanitari e morali, ma Orban – impegnato nella lotta all’immigrazione clandestina proveniente dal cosiddetto “corridoio balcanico” – ha respinto le accuse dichiarando che non sono state prese sufficienti misure in Europa per scoraggiare i fenomeni migratori.

VATICANO/AMERICA LATINA, 5-13 LUGLIO ↴ Con

l’ultima

tappa

in

Paraguay

(in

corso

di

svolgimento), Papa Bergoglio concluderà il suo viaggio apostolico in Sud America, il più lungo viaggio del suo pontificato, durato ben 8 giorni. Papa Francesco è partito alla volta di Quito, capitale dell’Ecuador, il 5 luglio e farà rientro a Roma il 13 luglio. Nella sua prima visita in Ecuador ha celebrato due messe, a Quito, nel 14


parco del bicentenario, e a Guayaquil, la capitale finanziaria del Paese, ed in entrambe le occasioni è stato seguito da una folla oceanica. Nel suo discorso, davanti al Presidente ecuadoriano Correa, il Papa ha chiesto equità e fine delle ineguaglianze, scagliandosi contro l’individualismo «che ci separa e ci pone l’uno contro l’altro». In Bolivia, davanti al Presidente Evo Morales e ad una folla di due milioni di persone, che lo accoglie calorosamente nella piazza del Cristo Redentore di Santa Cruz, il Pontefice si è scagliato nuovamente contro l’ingiustizia che «sembra non avere mai fine e che crea disillusione, tristezza e amarezza». Molto toccante è stata la visita che Bergoglio ha voluto fare al luogo in cui è stato ucciso, il 21 marzo del 1980, il gesuita Luis Espinal, difensore dei minatori, rapito il giorno prima dai paramilitari del sanguinoso dittatore Luis Garcia Meza. La mattina dell’11 luglio il Papa è giunto ad Asuncion, capitale del Paraguay: qui Bergoglio è stato accolto con gli onori militari e celebrazioni in lingua guaranì, la lingua indigena riconosciuto come idioma ufficiale al pari dello spagnolo. Il suo primo discorso pubblico lo ha tenuto, dopo una visita di cortesia al Presidente Horacio Cortes, dinanzi al corpo diplomatico riunitosi nel Palazzo presidenziale. Ha ricordato che il Paese ha superato periodi difficili, guerre e dittature, grazie all’esempio di semplici paraguayani e al sacrificio delle donne che «sulle loro spalle di madri, mogli e vedove hanno portato il peso più grande».

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ALTRE DAL MONDO ALGERIA, 5-8 LUGLIO ↴ Almeno 35 persone sono morte a seguito degli scontri avvenuti a Ghardaia, Guerrera e Berianne, nel sud del Paese, tra la comunità berbera mozabita e i gruppi arabofoni dell’area. Come riferisce l’agenzia di stampa nazionale APS, questo episodio rappresenta il dato più pesante dell’ultimo biennio, ossia da quando nel Paese è ripresa la lotta inter-etnica tra i gruppi berberi e quelli arabi, quest’ultimi accusati di occupare elitariamente tutti i gangli del potere ponendo le popolazioni Amazigh in una condizione di marginalizzazione politica ed economica. Nel tentativo di ristabilire l’ordine pubblico nelle città ribelli, il governo di Algeri ha deciso sia di inviare oltre 4.000 uomini delle forze di sicurezza (militari e poliziotti) sia di nominare una commissione d’inchiesta che faccia luce sull’escalation di incidenti tra le due comunità etniche.

ARABIA SAUDITA, 9 LUGLIO ↴ La famiglia reale ha annunciato la morte all’età di 75 anni dell’ex Ministro degli Esteri Saud al-Faisal. Figlio di Re Faisal, il Principe è stato a capo della diplomazia del Regno dal 1975 fino alla sostituzione nel dicastero con l’ex Ambasciatore saudita negli Stati Uniti, Adel al-Jubeir, in occasione dell’ultimo rimpasto di governo. Al-Faysal, da tempo malato, era stato nominato consigliere e inviato speciale del Re e supervisore per gli affari esteri.

BOSNIA ERZEGOVINA, 8 LUGLIO ↴ A nulla è servito posticipare di 24 ore la votazione in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite circa l’approvazione di una Risoluzione riguardante la qualificazione del massacro di Srebrenica quale crimine di genocidio proprio in occasione del ventesimo anniversario dei tragici fatti (11 luglio). Come annunciato, infatti, la Russia ha posto il veto, ex art. 27 dello Statuto delle Nazioni Unite, in qualità di membro permanente del CdS alla bozza di Risoluzione bloccandone definitivamente l’adozione nonostante i 10 voti a favore (4 invece gli astenuti: Cina, Nigeria, Angola e Venezuela). «Adottare questa risoluzione al Consiglio di Sicurezza sarebbe stato controproducente e avrebbe potuto portare a maggiori tensioni nella regione», questa la ratio del veto così come emerge dalle parole dell’Ambasciatore russo all’ONU, Vitaly Churkin, che ha definito la bozza «non costruttiva, aggressiva e politicamente motivata». Il governo serbo ha condannato le violenze commesse a Srebrenica arrivando nel 2010 ad adottare una dichiarazione di condanna, ma rifiuta tenacemente l’idea che si sia trattato di un genocidio. L’appoggio della Russia a Belgrado, del resto, si inserisce in una storia millenaria di amicizia tra i russi e i serbi ma anche probabilmente in una logica di contrapposizione al “blocco occidentale” in seno al Consiglio di Sicurezza.

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BURUNDI, 8 LUGLIO ↴ Una settimana dopo lo svolgimento delle elezioni legislative e comunali, la Commissione elettorale ha reso noti i risultati di questa votazione molto contestata. Data l’assenza dei partiti di opposizione, il partito del Presidente Pierre Nkurunziza, il CNDD-FDD, ha vinto le elezioni, ottenendo 77 seggi su 100 disponibili nell’Assemblea Nazionale. Il tasso di partecipazione è stato del 75%, un dato molto alto se si considera che le proteste nel Paese vanno avanti da mesi, ma più basso del dato delle elezioni comunali del 2010, dove si era raggiunto il 90%.

COLOMBIA, 7 LUGLIO ↴ Cambio ai vertici militari nel Paese andino: il generale Alberto Mejìa Ferrero ha sostituito il parigrado Jaime Alfondo Lasprilla; il comandante della marina, l’ammiraglio Hernando Wills è stato sostituito dal vice ammiraglio Leonardo Santamaria e infine, il capo dell’aeronautica, il generale Guillermo Leon è stato sostituito dal parigrado Carlos Bueno Vargas. Il cambio è stato voluto dal Presidente Juan Manuel Santos dopo la pubblicazione, il 24 giugno, del report dell’ONG Human Rights Watch dal titolo Evidence of Seniorn Army officers’ Responsibility for false positive killings in Colombia. Secondo quanto pubblicato dall’ONG, i militari colombiani hanno ucciso per anni migliaia di civili facendoli passare per guerriglieri così da gonfiare il numero dei ribelli uccisi e ottenere in questo modo promozioni e riconoscimenti. Nel rapporto, che prende in considerazione il periodo che va dal 2006 a oggi, sarebbero più di 200 le uccisioni extragiudiziali commesse dalla 4° e dalla 9° Brigata.

GERMANIA, 8-9 LUGLIO ↴ Il Cancelliere tedesco Angela Merkel si è recata in visita ufficiale in Albania, Serbia e Bosnia con lo scopo di rassicurare i partner balcanici sulla loro prospettiva di ingresso nell’Unione Europea. In un momento di incertezza politica dovuta alle vicende della Grecia – a cui peraltro i Paesi dell’area sono esposti –, oltre che ai crescenti investimenti stranieri nei principali asset economici di questi stessi e alle continue minacce per la sicurezza (dovute all’aumento dei toni nazionalistici, della corruzione e di fenomeni legati al terrorismo), la missione della Merkel – annunciata lo scorso anno nel corso della Conferenza di alto livello a Berlino sui Balcani Occidentali – ha assunto una particolare rilevanza per l’impegno europeo nella regione.

GUATEMALA, 7 LUGLIO ↴ Secondo la perizia del National Forensic Science Institute, ente pubblico autonomo guatemalteco, l’ex generale Efrain Rios Montt, 89 anni, non sarebbe in grado di poter assistere né fisicamente, né psicologamente ad alcuna seduta giudiziaria nel nuovo tentato processo contro la sua persona. Rios Montt, che ha governato il Guatemala tre il 1982 e il 1983, è stato riconosciuto colpevole di genocidio e crimini di guerra il 17


10 maggio 2013 e condannato a 80 anni di carcere, ma è tornato in libertà a sole due settimane dalla precedente sentenza annullata per vizi procedurali dalla Corte costituzionale. Un nuovo processo avrebbe dovuto avere luogo a luglio. Dopo la perizia proprio l’avvio del procedimento è messo in discussione: il tribunale che gestisce il caso dovrà preliminarmente decidere se accettare o meno la perizia della difesa. Soltanto in caso di rigetto della stessa il dibattito potrà, infatti, avere luogo.

KENYA, 7 LUGLIO ↴ Nel nord est del Paese, alcuni uomini armati hanno attaccato il villaggio di Soko Mbuzi, situato nei pressi della frontiera con la Somalia. L’attacco, come indicato da un responsabile della sicurezza kenyana sul suo profilo Twitter, è iniziato la mattina presto, con alcuni combattenti di al-Shabaab che hanno attaccato il villaggio, uccidendo 14 persone, principalmente lavoratori di una fabbrica locale.

KUWAIT, 9 LUGLIO ↴ Tre fratelli di nazionalità saudita sono stati arrestati per il coinvolgimento nell’attentato terroristico che lo scorso 26 giugno ha provocato la morte di ventisette persone nella moschea sciita di al-Imam al-Sadeq nella capitale. Le indagini condotte congiuntamente con le autorità saudite hanno portato all’identificazione di oltre 20 sospettati legati alla cellula saudita dello Stato Islamico, il Wilayat Najd (Provincia del Najd). Gli arrestati, un cui quarto fratello combatte in Siria sotto le insegne del Califfato, hanno confessato di aver ottenuto l’esplosivo dal Bahrain.

IRAN, 10 LUGLIO ↴ Proseguiranno fino al 13 luglio prossimo i negoziati sul dossier nucleare iraniano a Vienna tra i rappresentanti di Teheran e quelli del P5+1. Il nuovo nodo che impedisce di siglare l’accordo risulta essere quello dell’intera e immediata cancellazione delle sanzioni economiche e militari che gravano sull’Iran. «Le sanzioni militari devono essere abolite, questa è la posizione dell’Iran, della Russia e della Cina», ha affermato un diplomatico iraniano. I Paesi europei e gli Stati Uniti vi si oppongono. Una fonte europea ha espresso sorpresa per la richiesta di Teheran e ha dichiarato che «l’abolizione dell’embargo militare non è mai stata in agenda».

LIBIA, 8-9 GIUGNO ↴ I rappresentanti dei due governi libici sono tornati a riunirsi a Shkirat, in Marocco, nel tentativo di trovare una soluzione pacifica condivisa alla crisi politica e di sicurezza nel Paese nordafricano. Al quinto tentativo negoziale, i delegati di Tobruk avrebbero accettato la proposta del rappresentante speciale delle Nazioni Unite Bernardino Leon, mentre i rappresentanti di Tripoli avrebbero rifiutato il piano di pace. Intanto 18


sul campo la tensione rimane ancora molto alta in tutto il Paese. In Cirenaica e in particolare a Bengasi si sono registrati numerosi attentati e attacchi tra e contro le milizie legate ad Ansar al-Sharia, le fazioni di Derna del Mujahideen Shura Council e forze dell’ordine. In uno di questi, accaduto l’8 luglio scorso, sono morte 14 persone. Nelle stesse ore, lo Stato Islamico (IS) ha segnato due nuove importanti vittorie simboliche: da un lato l’annuncio della conquista completa della città di Sirte, dall’altro l’omicidio a Misurata del capo dei servizi segreti militari del governo di Tripoli, il Colonnello Taher al-Wish. L’attentato è stato rivendicato dal Wilayat Tarabulus (Provincia di Tripoli), gruppo locale legato ad IS.

MALI, 5 LUGLIO ↴ Un comunicato dell’esercito francese ha annunciato la cattura di due terroristi e l’uccisione di un terzo in un’operazione delle forze speciali a Kidal, nel nord est del Mali. La vittima sarebbe Ali Ag Wadossene, un cittadino francese convertito all’Islam e divenuto uno dei leader di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) nell’area, tra i presunti responsabili del rapimento del cittadino francese Serge Lazarevic nel 2011.

MESSICO, 11 LUGLIO ↴ Per la seconda volta in 14 anni, il leader del cartello di Sinaloa, Joaquín Guzmán Loera, meglio noto come El Chapo, è evaso dalla prigione federale di massima sicurezza di Altiplano, a un centinaio di chilometri da Città del Messico, dove era stato incarcerato nel febbraio 2014. Già fuggito dal carcere di Guadalajara nel 2001, Guzmán risulta essere uno degli uomini più ricercati e pericolosi al mondo. Nel 2009 la rivista specializzata Forbes lo ha posto tra le personalità più ricche del globo, grazie ad una fortuna personale stimata in oltre un miliardo di dollari.

NIGERIA, 7 LUGLIO ↴ Almeno 25 persone sono state uccise a Zaria, nel nord est della Nigeria, a seguito di un attentato attribuito a Boko Haram. L’esplosione ha riguardato gli uffici dell’amministrazione dove numerosi funzionari ed insegnanti si erano recati per farsi registrare. Da quando si è insediato nel maggio di quest’anno il Presidente Mohammad Buhari gli attacchi di Boko Haram si sono intensificati provocando almeno circa 500 vittime.

PAKISTAN, 10 LUGLIO ↴ Sette esponenti del gruppo terroristico Tehreek-i-Taliban Pakistan (TTP) sono stati arrestati a Karachi dalla polizia pachistana. Nell’arresto della cellula terroristica, che stava pianificando un attentato nella città, sono stati rinvenuti grandi quantitativi di armi ed esplosivi. Intanto, l’ex portavoce dei TTP, Shahidullah Shahid, è stato ucciso

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da un drone statunitense nella provincia afghana di Nangarhar nello stesso bombardamento in cui hanno perso la vita uno dei comandanti dello Stato Islamico in Afghanistan, Gul Zaman, e altri quarantanove miliziani.

THAILANDIA/TURCHIA, 9 LUGLIO ↴ Alcuni manifestanti hanno assaltato il Consolato thailandese ad Istanbul, distruggendo finestre e saccheggiando alcune parti dell’edificio in segno di protesta per la deportazione in Cina, da parte della Thailandia, di centinaia di musulmani uiguri. Lo riportano le agenzie di stampa Bangkok Post, Reuteurs e l’agenzia di stampa turca Dogan. Gli uiguri rappresentano all’incirca il 45% della popolazione nella regione autonoma dello Xinjiang ed accusano Pechino di reprimere le loro attività commerciali, culturali e religiose. La sorte della minoranza ha destato una certa preoccupazione, tanto che la Turchia ha voluto convocare l’Ambasciatore cinese per chiedere chiarimenti in merito.

UCRAINA, 7 LUGLIO ↴ Si è concluso senza significativi risultati il nuovo round di colloqui a Minsk, in Bielorussia, del cosiddetto Gruppo di contatto (Ucraina, Russia e rappresentanti delle regioni separatiste filo-russe con la mediazione dell’OSCE). In occasione della ripresa delle trattative sono momentaneamente cessati gli scontri nel villaggio di Shyrokyne, testa di ponte per un’eventuale offensiva verso Mariupol, da cui i ribelli si sono strategicamente ritirati e per la quale il leader della DNR, Aleksandr Zakharchenko, ha chiesto una demilitarizzazione. Mariupol resterebbe comunque obiettivo prioritario come confermerebbero i colpi di artiglieria e l’arroccamento delle posizioni separatiste a Pavlopil – a nord-ovest di Mariupol – e lungo l’autostrada H20 che congiunge il centro portuale sul Mar Nero con Donetsk.

YEMEN, 9-10 LUGLIO ↴ Dalla mezzanotte del 10 luglio fino alla fine del Ramadan, il prossimo 17 luglio, è entrato in vigore nel Paese un cessate il fuoco mirato a garantire un’assistenza umanitaria alle popolazioni locali sul campo. Dopo diverse tornate di trattative non ufficiali, il governo legittimo riparato a Riyadh del Presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi e i delegati delle milizie sciite Houthi a Sana’a hanno accettato la tregua umanitaria proposta dall’inviato speciale delle Nazioni Unite Ismail Ould Cheikh Ahmed. Dall’inizio della guerra il 26 marzo scorso sono morte oltre 3.000 persone, metà delle quali civili, e 14.000 sarebbero i feriti. Secondo l’ufficio per il coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, l’80% della popolazione (circa 21 milioni) sarebbe sulla soglia della povertà assoluta e dell’indigenza dettata dall’assenza di acqua e cibo, mentre oltre un milione sarebbero i rifugiati interni al Paese. Non è ancora chiaro se la tregua umanitaria sarà estesa anche all’est dello Yemen, sotto il controllo di alQaeda nella Penisola Arabica. 20


ANALISI E COMMENTI LA DIFFICILE COLLABORAZIONE TRA CINA E USA NELLO SPAZIO CIBERNETICO AGNESE CARLINI ↴ L’avvento dell’era digitale è alla base della creazione di un nuovo campo di battaglia. Le tecnologie moderne hanno consolidato nuovi metodi di scontro, tanto che le teorie classiche sulla guerra sono state aggiornate ed adattate alle peculiari caratteristiche del quinto dominio della conflittualità (5th domain of war). Gli attacchi cibernetici contro strutture d’interesse nazionale e private sono aumentati notevolmente nel corso degli ultimi anni accrescendo la volontà degli Stati ad investire maggiormente nelle strategie di sicurezza per le infrastrutture sensibili. Una mancanza di sicurezza nel cyber-spazio diminuisce la fiducia della società nel sistema informatico da cui ne deriva una delle principali fonte di prosperità (…) SEGUE >>>

RITORNO ALLA GUERRA FREDDA? RUSSIA E USA NELL’ATTUALE CONTESTO INTERNAZIONALE NICOLÒ FASOLA ↴ Negli ultimi mesi si dà sempre maggior voce nel dibattito pubblico al ritorno di uno scenario da Guerra Fredda, dipingendone lo spettro nel quadro delle crescenti tensioni tra l’Occidente – Stati Uniti in particolare – e la Russia di Putin, costellate di continui rimbecchi e reciproche prospettive di dispiegamenti nucleari. Di un tale ricorso alle chiavi di lettura storiche si può invero tracciare una lunga lista già nei confronti degli stessi rapporti con la Russia, partendo da quando Putin venne riconfermato alla presidenza della Repubblica nel 2004 – anno della cosiddetta Rivoluzione Arancione in Ucraina, oltre che dell’ingresso nella NATO di sette Paesi appartenenti al Patto di Varsavia –, passando per la prima crisi energetica tra Mosca e Kiev del 2006 e giungendo alla guerra russo-georgiana del 2008, fino ad oggi (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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