Weekly Report N°20/2015

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N째20, 12-18 LUGLIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 19 luglio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°20/2015 (12-18 luglio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net

Photo credits: Reuters; Associated Press; BBC; Reuters/Rodi Said; ANSA; AFP.


FOCUS GRECIA ↴

Dopo 17 ore di negoziati, il 13 luglio l’Eurogruppo ha raggiunto una nuova intesa per salvare la Grecia dall’imminente tracollo finanziario, scongiurando l’ipotesi di Grexit e aprendo alla possibilità di una nuova stagione negoziale. L’accordo sul tavolo di Bruxelles prevede la possibilità di concedere ad Atene un terzo pacchetto di aiuti (l’ultimo del 2010), del valore compreso tra 82 e 86 miliardi di euro finanziato dall’European Stability Mechanism (ESM). Nel documento si legge chiaramente, tuttavia, che l’avvio dei negoziati circa un terzo piano di aiuti alla Grecia sarebbe stato vincolato all’approvazione, entro mercoledì 15 luglio, di un nuovo piano di riforme da parte del Parlamento greco. Una “clausola di condizionalità” doverosa per poter almeno in parte ricostruire quella base di fiducia necessaria per un eventuale negoziato. In particolare, le riforme richieste nell’immediato ad Atene avrebbero dovuto portare all’aumento dell’IVA, dell’imposta sul reddito delle società e delle imposte su beni di lusso, all’abolizione delle c.d “baby pensioni” e alla riforma del sistema pensionistico entro il 2022. Bruxelles richiedeva inoltre di agire in modo da favorire l’indipendenza dell’Ufficio di Statistica, la creazione del Fiscal Council previsto dal Fiscal Compact per controllare i bilanci e l’adozione, entro il 22 luglio, di un Codice di procedura Civile e della direttiva che vieta l’intervento pubblico nel sistema bancario. Si richiedeva, inoltre, nel medio termine, l’adozione di misure più dure sul mercato del lavoro quali, ad esempio, l’introduzione dei licenziamenti collettivi e l’abolizione della contrattazione collettiva. Infine si prevedeva il ritorno delle istitu-

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zioni europee ad Atene, con il compito di monitorare tutte le riforme, e la creazione di un fondo dove sarebbero confluiti asset statali, da privatizzare o monetizzare in altro modo, per un valore complessivo di 50 miliardi – 25 dei quali sarebbero andati alla ricapitalizzazione delle banche e i restanti avrebbero costituito la garanzia dei futuri prestiti dell’ESM. Proprio quest’ultimo uno dei punti più controversi su cui Tsipras si è battuto fino alla fine riuscendo ad evitare la collocazione del fondo fuori dalla Grecia, in Lussemburgo, così come da proposta europea.

L’approvazione del progetto di legge dal titolo “Misure urgenti per la negoziazione e la conclusione di un accordo con l’ESM”, contenente in sostanza tutte le riforme richieste da Bruxelles, è arrivata dopo la mezzanotte di mercoledì 15 luglio dopo un duro scontro all’interno non tanto del Parlamento greco quanto del partito di governo. Il nuovo piano di riforme è passato in Parlamento con ampio margine (229 a favore, 64 contrari e 6 astenuti) dovuto però non al partito di Tsipras bensì ai partiti d’opposizione (Nuova Democrazia, socialisti di Pasok e centristi del To Potami). A conti fatti, il partito di governo, Syriza, conta ben 40 defezioni tra cui quella di Varoufakis, ex Ministro delle Finanze sostituito da Tsakalotos subito dopo il referendum del 5 luglio, e Kostantopoulu,

Presidente

del Parlamento. La spaccatura

del

partito di governo

sulle

nuove

misure di auste-

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rità imposte con il nuovo pacchetto di aiuti ha costretto Tsipras a procedere ad un rimpasto di governo: si registrano ben 9 movimenti o cambi al vertice nel governo ellenico, prospettando inoltre possibili elezioni in autunno. L’intesa del 13 luglio, per poter essere implementata, non doveva superare soltanto l’ostacolo di un voto favorevole del Parlamento greco al pacchetto di riforme imposto necessario affinché si potesse dare il via al negoziato sulla terza tranche di aiuti. Nella giornata del 17 luglio è arrivato infatti il via libera anche da parte dei due Parlamenti europei più contrari all’intesa: quello finlandese e quello tedesco. Nessun ulteriore ostacolo sembra dunque impedire perlomeno la riapertura di un tavolo negoziale tra Bruxelles e Atene.

Intanto, subito dopo l’approvazione del piano di riforme da parte del Parlamento greco, i Ministri delle Finanze dei 28 Paesi dell’UE si sono riuniti in una conference call per decidere come procedere. Il 16 luglio si è dato quindi il via libera, ufficializzato soltanto il 17 luglio, al prestito ponte di 7 miliardi di euro, da restituire in tre mesi (per allora la Grecia dovrebbe tuttavia iniziare a beneficiare delle rate del nuovo prestito ESM), con l’obiettivo di onorare i debiti già giunti a scadenza (la Grecia è ufficialmente insolvente nei confronti del FMI dal 30 giugno) e quelli in scadenza (entro il 20 luglio la Grecia dovrà restituire 4,2 miliardi, interessi compresi, alla BCE). Gli aiuti immediati sono stati sbloccati soltanto dopo aver superato le iniziali resistenze da parte soprattutto del Regno Unito, ma anche di altri Paesi non 3


dell’Eurozona, grazie alla garanzia data tramite i profitti sui bond greci detenuti dalla BCE. Dagli stessi Paesi provengono anche reticenze circa il piano di salvataggio a carico dell’ESM. Gli sviluppi del 16-17 luglio hanno permesso alla BCE di Draghi di portare a 900 milioni – sostanzialmente pari alla cifra che era stata richiesta dalla Banca centrale greca per mantenere funzionanti le banche elleniche – la liquidità di emergenza (ELA) che era stata congelata a 89 miliardi a seguito del referendum e dello stallo dei negoziati. In questo modo le banche greche, chiuse dal 29 giugno, tornano ad avere liquidità. Per lunedì 20 luglio è infatti prevista la riapertura delle banche sebbene pare rimarranno in vigore i limiti sui prelievi bancomat e il divieto di bonifici all’estero. La stessa BCE ha infatti chiarito la necessità di procedere ad una cessazione dei controlli sui capitali in maniera graduale così da poter scongiurare una nuova ondata di panico tra i correntisti. Da ultimo, Draghi ha parlato di una possibile ammissione della Grecia al programma di quantitative easing, partito a marzo per l’Eurozona; ciò potrà tuttavia avvenire soltanto successivamente all’entrata in vigore del sostegno dell’ESM nonché dopo almeno una prima revisione dei progressi fatti dal Paese sulla base dell’accordo di riforme. Nonostante l’ottimismo proveniente da più fronti, la vera questione aperta rimane quella del debito greco. I 320 miliardi, quasi il 200% del PIL, costituirebbero un fardello talmente pesante che, nonostante i prestiti internazionali e gli sforzi dei greci, rischierebbe di ipotecare a priori una ripresa del Paese stabile e duratura. Il reale dilemma che i prossimi negoziati dovranno affrontare è quindi quello della ristrutturazione del debito. Sembra potersi escludere, per opposizione ferma della Germania ma anche del FMI, una ristrutturazione in termini di haircut, cioè taglio del valore nominale dei debiti ellenici, in quanto contrario ai trattati europei. Molto più probabile, e del resto auspicata anche dal Direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, un’azione in termini di allungamento dei tempi di rimborso o del periodo di garanzia – periodo in cui il Paese non procede legittimamente al pagamento dei debiti – o tramite una compressione dei tassi di interesse. A prescindere dalle modalità, la ristrutturazione del debito dovrà essere profonda per poter sperare in un effetto realmente positivo sull’economia del piccolo Paese del Mediterraneo. Proprio le modalità della ristrutturazione, che pare ormai quasi scontata, saranno discusse nelle prossime settimane come parte integrante delle trattive per quel Memorandum of Understanding che provvederà a fissare il calendario delle riforme, da un lato, e dei prestiti, dall’altro; in ogni caso la discussione sulla ristrutturazione potrà svilupparsi concretamente solo dopo l’avvio del programma dell’ESM.

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IRAN ↴

Dopo anni di trattative e ventuno mesi di difficili negoziati, il 14 luglio a Vienna è stato siglato lo storico accordo sul nucleare fra i Paesi del 5+1 (Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) e l’Iran. La sua conclusione era inizialmente prevista per il 30 giugno, scadenza successivamente spostata al 7, al 10 e infine alla mezzanotte del 13 luglio. Le parti coinvolte hanno manifestato la propria soddisfazione per i risultati ottenuti e la notizia è stata accolta con festeggiamenti nelle strade di Teheran. L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, ha dichiarato: «Giornata storica, si apre un nuovo capitolo nelle relazioni internazionali. Non è solo un accordo, ma è un buon accordo per tutti, che contribuirà in modo positivo alla pace e sicurezza regionale e internazionale», mentre secondo il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, «l’accordo non è perfetto, ma il momento è storico: si apre il capitolo della speranza». Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha affermato che «grazie all’accordo, la comunità internazionale potrà verificare che l’Iran non sviluppi l’arma atomica. Teheran sarà privata del 98% delle sue attuali riserve di uranio arricchito. È un accordo che non si basa sulla fiducia ma sulla verifica. Se l’Iran violerà l’accordo tutte le sanzioni saranno ripristinate e ci saranno serie conseguenze. Nessun accordo avrebbe significato nessun limite al programma nucleare iraniano. Gli Stati Uniti manterranno le sanzioni contro l’Iran collegate alla violazione dei diritti umani». Il principale risultato ottenuto dall’Iran è la revoca delle sanzioni internazionali, prevedibilmente a partire dal 2016, in cambio di limitazioni allo sviluppo del suo programma nucleare per i prossimi 10-15 anni e dell’accettazione di un regime di ispezioni da parte dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Gli

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ispettori dell’AIEA potranno accedere ai siti ritenuti “sospetti” per un periodo diversificato a seconda dei settori, per alcuni aspetti in vigore per 25 anni e per altri a tempo indeterminato. L’Iran dovrà inoltre procedere al taglio delle proprie scorte di uranio arricchito dagli attuali 10.000 kg a circa 300, con la previsione di una moratoria di quindici anni sull’arricchimento dell’uranio al di sopra del 3,67% (l’uranio utile per una bomba è arricchito intorno al 90%). È prevista una riduzione delle centrifughe (che servono ad arricchire l’uranio, trasformandolo in combustibile nucleare) di due terzi, dalle oltre 19.000 attuali a 5.060 nella centrale di Natanz e 1.044, mantenute funzionanti ma non utilizzate, a Fordow. Oltre mille centrifughe saranno riconvertite per la produzione di isotopi per uso medico. L’embargo sulle armi resterà in vigore per altri cinque anni e sarà gradualmente allentato.

L’architettura dell’accordo mira verosimilmente a precludere all’Iran lo scenario di break out, cioè la possibilità di dotarsi in tempi brevi del materiale fissile necessario ad armare una bomba. Si stima che oggi Teheran, che ha materiale in teoria sufficiente per una decina di bombe, avrebbe bisogno di 2-3 mesi, mentre la notevole riduzione della dotazione iraniana di materiale fissile stabilita a Vienna porterebbe i tempi per un eventuale break out a un anno o più per un lasso temporale di dieci anni. In caso di violazione degli obblighi assunti si è introdotto un meccanismo di re-imposizione delle sanzioni. Il compromesso raggiunto, visto con favore da più parti, contiene tuttavia elementi controversi ed è stato aspramente criticato soprattutto da Israele, da alcune monarchie del Golfo (Arabia Saudita in primis) e dal Partito Repubblicano americano. L’Arabia Saudita vede l’Iran, suo principale rivale regionale e avversario nella grande partita religiosa e strategica tra sunniti e sciiti, come una minaccia esistenziale, mentre il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’accordo «un errore storico». Il patto, sottoposto a una nuova Risoluzione del Consiglio

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di Sicurezza dell’ONU e alla ratifica dei Parlamenti statunitense e iraniano, si scontrerà con l’ostilità del Congresso USA a maggioranza repubblicana. Obama ha già annunciato che porrà il veto a qualsiasi legge che si opporrà alla sua attuazione, il che comporterebbe il ritorno alle Camere per un’approvazione a maggioranza qualificata dei due terzi.

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BREVI GIAPPONE, 16 LUGLIO ↴ La

Camera

dei

Rappresentanti

del

Giappone,

nonostante la contrarietà dell’opinione pubblica, ha votato a favore della risoluzione che prevede la possibilità di intervenire militarmente in difesa dei propri alleati in scenari di guerra oltreconfine. Secondo i giuristi la risoluzione violerebbe la Costituzione del 1947 in cui è stabilito che il popolo giapponese rinuncia alla guerra, alla minaccia o all’uso della forza per risolvere le controversie internazionali. Dal canto suo, il Primo Ministro Shinzo Abe ha più volte sottolineato la necessità di modificare la Costituzione

a

causa

delle

nuove

minacce

rappresentate

dal

terrorismo

internazionale e dalla politica estera cinese nella regione, che metterebbero a rischio la sicurezza nazionale. Affinché la risoluzione diventi legge si dovrà comunque attendere l’approvazione della Camera Alta del Parlamento. La risposta cinese non si è fatta attendere: la portavoce del Ministro degli Affari Esteri ha tenuto a ribadire come la scelta giapponese stia minacciando la sovranità della Cina, mettendo a repentaglio l’intera stabilità della regione.

IRAQ/SIRIA, 16 LUGLIO ↴ I vertici militari iracheni hanno avviato una nuova offensiva

nell’Anbar

spostando

il

fulcro

delle

operazioni sul capoluogo Ramadi, dove il ritmo dei bombardamenti

statunitensi

è

aumentato

sensibilmente per sostenere l’avanzata delle truppe di terra, mentre le milizie sciite premono ad ovest di Falluja, nell’area di Saqlawiya, contro le postazioni dello Stato Islamico (IS). Allo scopo di distogliere risorse e attenzioni dei contrattaccanti da Ramadi e Falluja, i guerriglieri islamisti hanno messo a segno numerosi attentati nella capitale Baghdad e continuano a minacciare la diga di Haditha. Nel resto del Paese l’area petrolifera di Baiji è ancora terreno di scontro, mentre i miliziani dell’IS hanno scoccato un pesante attacco contro le forze curde a Tuz Khurmatu, a sud di Kirkuk. Intanto, gli Stati Uniti hanno consegnato nella base aerea di Balad il primo squadrone dei trentasei caccia F-16 commissionati da Baghdad. Il governo presieduto da Haider al-Abadi ha inoltre disposto la chiusura della frontiera con la Giordania nei pressi di Trebil; il provvedimento è anzitutto motivato dal proposito di incidere sulle fonti di finanziamento del gruppo terroristico, che impone dazi ai

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convogli in ingresso dal territorio giordano. In Siria, l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha documentato l’uccisione di novantaquattro civili (compresi anziani e bambini) da parte dei seguaci del Califfato nelle province di Aleppo, Raqqa e Deir Ezzor tra il 22 giugno e il 16 luglio a causa della presunta violazione dell’obbligo di digiunare durante il Ramadan. Nello scenario della guerra civile altrettanto cruento è l’uso indiscriminato di barili bomba da parte dell’aviazione siriana, che ha sferrato attacchi a tappeto sulle città di al-Bab (dove almeno sessantotto civili avrebbero perso la vita durante il bombardamento), Dael, Samlin e Inkhel – centri urbani controllati dalle fazioni ribelli e islamiste. Mentre l’interruzione da oltre tre settimane delle forniture di acqua potabile dall’impianto di Sulayman al-Halabi sta aggravando la crisi umanitaria ad Aleppo, nella provincia di Daara sono riportati scontri tra Jabhat al-Nusra, gruppo qaedista che ha assunto la leadership del fronte ribelle, e la brigata islamista Suhada’a al-Yarmouk, leale al Califfato. Nel frattempo, il regime di Bashar al-Assad si è accordato con Mosca per la vendita di 200 mila tonnellate annuali di gas naturale liquefatto attraverso il porto di Kerch in Crimea. Infine, un convoglio di cinquantaquattro combattenti siriani è entrato in Siria dal confine turco: si tratta del primo gruppo addestrato ed equipaggiato dagli Stati Uniti per coordinare sul campo le fazioni ribelli moderate che si oppongono al governo di Damasco e all’IS

ITALIA, 14-15 LUGLIO ↴ È iniziata con un giorno di ritardo, a causa dei difficili negoziati per la questione greca, la visita ufficiale di Matteo Renzi in Etiopia e in Kenya. Il 14 luglio, il Premier

ha

Conferenza Development,

partecipato delle la

ad

Nazioni terza

Addis

Unite

conferenza

Abeba

alla

Financing

for

dedicata

allo

sviluppo e alla cooperazione internazionale dopo quelle di Monterrey nel 2002 e di Doha nel 2008. Renzi ha poi incontrato il Primo Ministro etiope, Hailemariam Desalegn, e il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma. Prima di lasciare il Paese, il Premier ha quindi visitato la diga Gilgel Gibe III sul fiume Omo il cui appalto è stato vinto dall’italiana SalinaImpregilo. Il 15 luglio, il Presidente del Consiglio si è poi recato nel vicino Kenya dove, dopo aver incontrato il Presidente Uhuru Kenyatta, ha tenuto un discorso all’Università di Nairobi in cui ha ricordato la strage dell’aprile nel campus universitario di Garissa. Questa seconda missione nell’Africa Subsahariana – la prima ha avuto luogo esattamente un anno fa in Angola, Repubblica del Congo e Mozambico – ha visto come principale obiettivo il rilancio di una strategia di politica estera italiana che indubbiamente non può prescindere dal continente africano. Il governo italiano mira a favorire gli investimenti per la cooperazione internazionale 9


convinto che soltanto effettive manovre in questo senso potranno, nel lungo periodo, dare risposte concrete alle due grandi sfide dell’immigrazione e del terrorismo. La strategia del governo in Africa, tuttavia, si inserisce anche in un’ottica interna di rilancio dell’economia e soprattutto degli investimenti italiani all’estero, rafforzando, da un lato, la partnership economica, dall’altro aumentando le possibilità di penetrazione dell’export italiano.

MACEDONIA, 15 LUGLIO ↴ Il Primo Ministro Nikola Gruevski ha annunciato che lascerà il suo incarico a gennaio, facendo spazio ad un governo tecnico che dovrà condurre il Paese fino alle prossime elezioni politiche che si svolgeranno nell’aprile del 2016. L’annuncio di Gruevski è il risultato di una lunga trattativa, mediata dall’Unione Europea, tra il governo e le opposizioni, al fine di chiudere la crisi politica in cui il Paese si è ritrovato negli ultimi mesi a causa della rivelazione di alcune intercettazioni compromettenti di alcuni membri della maggioranza. A nulla è valsa la difesa di Gruevski, il quale ha sostenuto che le intercettazioni erano false ed erano state modificate dal leader dell’opposizione Zoran Zaev per far cadere il governo, con l’aiuto compiacente di governi stranieri. Oltre alle dimissioni di Gruevski e alle elezioni, l’accordo prevede anche che il Partito Socialdemocratico possa rientrare in Parlamento e nominare due importanti Ministeri, quello del Lavoro e quello degli Interni. Importante è stata la

mediazione

dell’Unione

Europea,

in

particolare

del

Commissario

UE

all’Allargamento Johannes Hahn, il quale è riuscito a far siglare l’accordo dopo dodici ore di negoziati e ha dichiarato che «il nuovo clima potrà tenere aperte le porte per una prospettiva euro atlantica del Paese, favorendo l’implementazione delle riforme necessarie». Il leader dell’opposizione Zaev ha espresso tutta la sua soddisfazione

per

il

raggiungimento

dell’accordo,

il

quale

permetterà

alle

opposizioni di prendere parte alle prossime elezioni, evitando i brogli verificatisi nelle precedenti tornate elettorali. L’accordo è stato fortemente voluto, oltre che dal Partito Socialdemocratico di Zoran Zaev, anche dall’Unione Democratica per l’integrazione, guidata da Ali Ahmeti, rappresentante della componente albanese della Macedonia, che costituisce il 18% della popolazione.

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UCRAINA, 16 LUGLIO ↴ Il Parlamento ucraino, insieme ad una serie di misure di austerità atte ad ottenere dal Fondo Monetario Internazionale 5 miliardi di dollari, ha approvato ad ampia maggioranza (288 a favore contro 57 contro) e trasmesso

alla

Corte

Costituzionale

la

bozza

di

riforma della Carta fondamentale relativa ad un maggior decentramento statale e alla concessione di uno status speciale per le regioni separatiste nel quadro degli accordi di Minsk-2. Gli emendamenti – salutati con favore dall’assistente segretario di Stato americano Victoria Nuland, in visita ufficiale nel Paese – sono stati tuttavia criticati da Mosca in quanto non concertati con i rappresentanti delle regioni del Donbass. A margine di una riunione del Consiglio di Sicurezza e Difesa (14 luglio), il Presidente Petro Poroshenko ha inoltre chiesto il disarmo del gruppo ultranazionalista Pravy Sektor, i cui membri si sono resi responsabili di una sparatoria (11 luglio) con le forze dell’ordine a Mukachevo, nella regione occidentale della Transcarpazia, in cui sono rimaste uccise 4 persone. L’incidente è stato ascritto come una faccenda legata al fenomeno del contrabbando che in quella zona di frontiera sarebbe gestito da bande criminali sospettate di essere colluse con alcuni reparti della polizia. L’incidente ha innescato manifestazioni anti-governative in diverse parti del Paese (a Kharkiv, a Lviv, a Dnipropetrovsk e a Kiev) da parte di Pravy Sektor, la cui ala militare ha avuto un ruolo attivo anche se non ufficiale nelle operazioni delle autorità ucraine nel Donbass. Questo fatto, insieme con una serie di presunti attentati ai danni dell’entourage del leader della DNR Alexandr Zakharchenko – che secondo alcuni rumors il Cremlino avrebbe intenzione di rimpiazzare –, indica il rischio di un generale aggravamento della situazione di conflitto e insicurezza.

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ALTRE DAL MONDO EGITTO, 16-17 LUGLIO ↴ Il Wilayat Sinai (Provincia del Sinai, WS), branca locale dello Stato Islamico (IS), ha rivendicato un attentato contro una nave vascello della Marina egiziana al largo delle acque territoriali tra il nord Sinai e la Striscia di Gaza. L’attacco sarebbe avvenuto attraverso il lancio di un missile guidato a lunga gittata e anti-tank Kornet, un’arma di fabbricazione russa ampiamente disponibile sul mercato nero tra Siria e Libia. Secondo ricostruzioni non ancora ufficiali, non vi sarebbero state vittime. L’attacco apre un nuovo inquietante scenario sulle reali capacità operative e militari di WS, riconosciuto dal Cairo sempre più come una minaccia alla propria sicurezza nazionale. Intanto nella capitale egiziana proseguono le indagini sui possibili attentatori al Consolato italiano. Al momento sono stati fermati tre soggetti, ritenuti affiliati all’IS e con alle spalle già importanti esperienze pregresse. Proprio il clima di instabilità e di insicurezza che pervade gran parte del Paese ha convinto, infine, il Ministro degli Interni, Magdi Abdel-Ghaffar, ad ordinare la rimozione del Capo della Polizia nazionale, Generale Osama Bedair. Quest’ultimo è stato sostituito dal suo vice, Generale Khaled Abdel-Aal.

ITALIA/INDIA, 13 LUGLIO ↴ La Corte Suprema indiana ha accettato la proposta italiana di arbitrato internazionale sul caso dei due marò italiani accusati di aver ucciso, al largo della costa del Kerala, due pescatori indiani il 15 febbraio 2012. Oltre ad aver esteso di altri sei mesi il permesso a Latorre per proseguire la sua convalescenza in Italia, la stessa Corte ha dunque fissato al prossimo 26 agosto l’udienza per ricevere il rapporto ufficiale del governo Modi sulla questione.

LIBIA, 12 LUGLIO ↴ Stante l’assenza del Congresso Nazionale Generale di Tripoli dai firmatari dell’accordo di pace sottoscritto a Shkirat (Marocco) dal governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk e da alcune fazioni minori, saranno avviati i negoziati per la formazione di un governo ad interim. Intanto gli USA vagliano l’ipotesi di alloggiare droni e personale americano nel Maghreb per contrastare la minaccia islamista, ma ad oggi nessuno Stato dell’area ha offerto l’accesso alle proprie basi militari.

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NIGERIA, 13 LUGLIO ↴ Il Presidente Muhammadu Buhari ha ridisegnato l’architettura di sicurezza del Paese sollevando dal loro incarico il Capo di Stato Maggiore della Difesa ed i comandanti di Esercito, Marina e Aeronautica, rei di non aver saputo affrontare e risolvere la minaccia terroristica di Boko Haram. Il cambio è avvenuto due settimane dopo la rimozione di Ita Ekpenyong, Direttore Generale dei Servizi Segreti, e a seguito dell’incrementarsi dell’offensiva terroristica di Boko Haram nel nord est della Nigeria.

PALESTINA, 17 LUGLIO ↴ Il leader spirituale di Hamas, rifugiato attualmente in Qatar, Khaled Meshaal, si è recato in una visita ufficiale in Arabia Saudita dove ha incontrato Re Salman. Nel raro incontro tra i due leader arabi si è discusso di nucleare iraniano e della volontà, da ambo le parti, di rilanciare il ruolo e l’influenza di Riyadh nella Striscia di Gaza, soprattutto alla luce della sempre più defilata posizione iraniana rispetto all’ex alleato Hamas (storico sovvenzionato di Teheran in funzione anti-israeliana durante questi ultimi vent’anni). La visita di Meshaal si inserisce in un doppio percorso ufficiale sia di un riavvicinamento di comodo di Hamas all’Egitto e a Israele in merito alle tensioni politiche e di sicurezza a Gaza, nel Sinai, in Cisgiordania e nel Negev, sia di forte sponsorship all’asse sunnita Egitto-Arabia Saudita in Medio Oriente.

ROMANIA, 13 LUGLIO ↴ Il Premier Victor Ponta è stato incriminato per corruzione ed è accusato di frode, conflitto d’interessi, evasione fiscale e riciclaggio di denaro. I presunti reati sarebbero stati commessi nel 2007 e 2008, prima del suo arrivo alla guida del governo. In precedenza Ponta aveva già annunciato le sue dimissioni dal Partito Socialdemocratico (PSD). I giudici hanno dichiarato che i suoi beni saranno temporaneamente congelati in attesa della fine del processo.

STATI UNITI, 16 LUGLIO ↴ Muhammad Youssef Abdelazeez, un kuwaitiano di origine giordana ma con regolare residenza e passaporto statunitense, ha aperto il fuoco contro una base dei marines a Chattanooga, in Tennessee, uccidendo 5 soldati e ferendone almeno una decina. L’uomo, ucciso dopo un lungo inseguimento in auto dalle forze di sicurezza locali, avrebbe sofferto di recente di gravi forme di depressione. Le autorità non escludono nessuna pista, ritenendo più plausibile tuttavia quella che porta al terrorismo domestico slegata però da aggravanti di matrice religiosa.

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YEMEN, 16-17 LUGLIO ↴ Il governo yemenita riparato a Riyadh ha annunciato la ripresa della città di Aden, principale scalo portuale e seconda città dello Yemen, dall’occupazione dei ribelli Houthi. La liberazione, avvenuta dopo quattro mesi di intensi combattimenti, è però contestata dagli stessi Houthi, i quali rivelano, invece, che gli scontri sono tuttora in corso. L’offensiva dei filo-governativi verso Aden è ripresa dopo il fallimento dei tentativi delle Nazioni Unite di raggiungere un cessate il fuoco umanitario.

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ANALISI E COMMENTI LIBIA, IL REBUS DELLE MILIZIE MINACCIA I NEGOZIATI LORENZO MARINONE ↴ L’11 luglio i rappresentanti del Parlamento internazionalmente riconosciuto di Tobruk, alcuni indipendenti di Tripoli e diversi esponenti locali di Misurata hanno siglato l’accordo di pace proposto dall’inviato speciale dell’ONU, lo spagnolo Bernardino Leon. Il testo prevede la formazione di un governo di unità nazionale (guidato da un Primo Ministro e due vice, che decidono all’unanimità); un esercito unificato in conseguenza del disarmo delle milizie; la creazione di un Consiglio di Stato con vasti ma bilanciati poteri, fra cui la nomina dei vertici della Banca Centrale e la supervisione dei lavori per la nuova Costituzione. Tuttavia, la delegazione del General National Council (GNC) di Tripoli ha disertato la seduta, benché avesse partecipato attivamente alla precedente fase di revisione del testo. Questa decisione pare dipendere dal peso rilevante che alcune fazioni più radicali e contrarie al piano di pace, fra cui parte delle milizie di Misurata ed esponenti legati all’ex Gruppo dei Combattenti Islamici Libici, esercitano sull’intera assemblea. Il loro rifiuto, che mette in luce l’estrema fragilità dell’accordo, e la crescente diffidenza rispetto all’esito dei negoziati, sono il prodotto più appariscente dell’atteggiamento assertivo adottato nell’ultimo periodo da Leon. Infatti, per riportare i due governi libici al tavolo delle trattative, l’inviato dell’ONU ha perseguito una strategia volta a isolare le voci più critiche nei confronti dell’accordo. Il 4 giugno è approdata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la proposta di congelare gli asset e vietare ogni viaggio all’estero per Othman Maliqta, comandante della brigata al-Qaqaa vicina alle milizie di Zintan (alleate del governo di Tobruk), e per il politico tripolino Abdulrahman Swehli. Le pressioni diplomatiche di Leon, inoltre, hanno contribuito anche ad accentuare le divisioni presenti in seno ad entrambi gli schieramenti (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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