N째23, 6-12 SETTEMBRE 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 13 settembre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Agnese Carlini Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Alessandro Tinti
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FOCUS IMMIGRAZIONE ↴
I mesi estivi hanno riportato al centro dell’attenzione mediatica e politica internazionale la crisi legata all’imponente flusso migratorio che sta interessando l’Europa negli ultimi anni. Il fenomeno ha suscitato reazioni diversificate e alimentato il disaccordo tra alcuni Paesi europei in merito alla gestione dell’arrivo e dell’accoglienza dei migranti. Oltre ai massicci sbarchi sulle coste del Continente dal mar Mediterraneo, in tempi recenti si è registrato un crescente afflusso dalla cosiddetta “rotta balcanica” che segue il tragitto Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. Il ministro degli Interni serbo Nebojsa Stefanovic ha affermato che dall’inizio dell’anno circa 130mila migranti e profughi hanno attraversato il territorio del suo Paese diretti verso l’Ungheria e da lì in Austria, Germania, Svezia e altri Paesi del nord Europa. Nelle ultime settimane di agosto si sono verificati momenti di tensione alla frontiera macedone; migliaia di profughi, soprattutto siriani, hanno cercato di attraversare il confine di Gevgelija, tra Grecia e Macedonia, chiuso dalle autorità di Skopje. La polizia li avrebbe respinti facendo uso di lacrimogeni e granate stordenti. Nei giorni seguenti i profughi sono riusciti a superare il confine, transitando successivamente in Serbia e giungendo in Ungheria con l’obiettivo di proseguire verso altri Paesi europei. Le misure adottate dal governo ungherese di Viktor Orbán per tentare di contenere l’ondata di migranti in transito sul territorio magiaro e la decisione di costruire una barriera di filo spinato alta quattro metri e lunga 175 chi1
lometri al confine con la Serbia sono state fortemente criticate e ritenute illiberali e violente. Si stima che dall’inizio del 2015 in Ungheria siano entrate 140mila persone, più del doppio del totale del 2014, con un picco di 3.241 ingressi, di cui 700 bambini, verificatosi il 26 agosto. Al termine di una riunione sull’emergenza immigrazione tenutasi l’11 settembre a Praga tra i Paesi del gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia), il ministro degli Esteri Peter Szijjarto ha affermato che «Budapest sarebbe contenta di ospitare una conferenza sulla cooperazione fra l’Unione Europea e i Paesi dei Balcani occidentali, la Serbia e la Macedonia, sulla crisi migratoria» e ha anche annunciato che a partire dalla settimana prossima
«i
migranti
illegali
che
entreranno
in
Ungheria
forzando
l’infrastruttura alla frontiera saranno arrestati o deportati». In relazione alle forti pressioni ai propri confini delle ultime settimane, Austria e Ungheria hanno anche accusato la Germania di aver alimentato l’arrivo dei profughi con l’annuncio della sospensione del regolamento Dublino II e dell’accoglienza di tutti i richiedenti asilo provenienti dalla Siria. Angela Merkel ha però precisato che il regolamento non è sospeso, ma che «i cittadini siriani in fuga dalla guerra civile hanno un’alta probabilità di ottenere lo status di rifugiati». Il 9 settembre il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha presentato davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo un nuovo piano per affrontare l’emergenza rifugiati, affermando che «in Europa è arrivato il momento della sincerità e non dei discorsi vuoti. L’Unione non versa in buone condizioni. Manca l’unione e manca anche l’Europa». La proposta prevede, tra le diverse misure, un meccanismo per il ricollocamento di 120mila rifugiati oltre ai 40mila già previsti con il piano di luglio da ripartirsi in quote obbligatorie tra gli Stati membri. La Commissione auspica la creazione di un sistema di ricollocamento permanente che agirebbe automaticamente nel momento in cui si verificassero aumenti improvvisi e ingenti degli arrivi. Tali regole dovrebbero consentire di ricollocare parte dei richiedenti asilo in Italia, Grecia e Ungheria negli altri Paesi, soprattutto in Germania, Francia e Spagna. La quota assegnata a ogni Paese dipenderà dal PIL, dal livello di disoccupazione, dal numero di abitanti e dalle domande di asilo già processate. Le nazioni che si rifiuteranno di accogliere i migranti dovranno pagare delle sanzioni economiche. Riferendosi alla prossima riunione dei ministri degli Interni degli Stati membri il 14 settembre in Lussemburgo, Juncker ha affermato: «Mi auguro veramente che lunedì prossimo i ministri degli Interni dei paesi UE decidano senza esitazioni la ripartizione di 160mila persone, ognuno deve fare la sua parte. Non parliamo di numeri, ma di esseri umani che vengono da Siria e Libia e quello che stanno passando potrebbe accadere a chi oggi vive in Ucraina: non si può fare distinzione di credo, etnia o di altro tipo». Il premier britannico David Cameron ha ribadito che il Regno Unito non parteciperà ai piani della Commissione per la redistribuzione di 160mila rifugiati da Italia, Grecia e Ungheria, sostenendo che le azioni nei confronti dei mi2
granti che già sono in Europa finiranno per attirarne altri. Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria sono contrari alla ripartizione obbligatoria dei 120mila. Intanto il ministro degli Esteri macedone Nikola Poposki ha reso noto che la Macedonia sta esaminando la possibilità di erigere una “barriera difensiva” alla frontiera con la Grecia sull’esempio di quella ungherese; in alternativa verrà dispiegato l’esercito al confine. Nonostante le divergenze e l’opposizione di alcuni Paesi, è molto probabile che la riunione del 14 settembre dia il via libera al ricollocamento deciso a giugno dei primi 40mila migranti sbarcati in Italia (24mila) e Grecia (16mila), che partirebbe già mercoledì 16 settembre. Per la ripartizione di altre 120mila persone e l’adozione delle altre misure proposte da Bruxelles, tra cui l’emendamento al regolamento di Dublino che renda possibile l’introduzione di quote vincolanti, saranno verosimilmente necessari tempi più lunghi. Nel frattempo il Presidente Barack Obama ha espresso l’intenzione di accogliere 10mila siriani negli Stati Uniti nel 2016.
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IRAQ/SIRIA ↴
Dopo le indiscrezioni su un marcato intervento armato russo a sostegno di Bashar al-Assad, il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha confermato l’invio di rifornimenti ed esperti militari in Siria. Lavrov ha però precisato che l’assistenza verso l’alleato arabo è in linea con le precedenti intese bilaterali, smentendo l’ampliamento della presenza militare nella zona costiera di Latakia, dove a Tartus la Russia mantiene un’importante base navale. Secondo il diplomatico russo lo schieramento di uomini sul campo sarebbe infatti motivato dalla manutenzione degli equipaggiamenti inviati e dalla formazione delle truppe siriane già concertata con la dirigenza alawita. Sia il Presidente statunitense Barack Obama, che il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg avevano espresso preoccupazione in merito alle manovre russe, ammonendo il Cremlino di ostacolare il raggiungimento di una soluzione politica alla crisi siriana. Dietro pressioni americane, l’8 settembre la Bulgaria aveva interdetto lo spazio aereo ai cargo russi diretti in Siria, che hanno poi raggiunto destinazione passando attraverso il territorio iraniano. Lavrov ha sottolineato che Mosca continuerà a sorreggere ed armare l’esercito siriano allo scopo di respingere lo Stato Islamico (IS) poiché i soli bombardamenti aerei non sono sufficienti a sradicare la minaccia islamista. L’invito di collaborare con il governo di Damasco, delegittimato dal sanguinoso conflitto civile e incalzato dall’offensiva dei fronti ribelli e dell’IS, non può tuttavia compiacere le cancellerie occidentali che, come le potenze sunnite coinvolte nelle operazioni militari contro il Califfato, non arretrano dalla richiesta di un allontanamento di Bashar alAssad - le cui forze sono da tempo fiancheggiate dai miliziani libanesi di Hezbollah e dai soldati iraniani.
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Non è il solo ingresso russo a muovere la complessa partita siriana. Il Presidente francese François Hollande ha annunciato l’avvio di operazioni di ricognizione sui cieli siriani in vista di lanciare attacchi contro obiettivi jihadisti. La Francia ha sinora circoscritto il contributo militare allo scenario iracheno, dove i caccia francesi hanno condotto raid nell’ambito della missione internazionale patrocinata dagli Stati Uniti. Se la proposta è stata rilanciata dal Primo Ministro inglese David Cameron, il governo tedesco è intervenuto criticamente rispetto alle mosse dei partner europei. Il Ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier ha biasimato il ricorso alla carta militare, che rischia di pregiudicare, dopo il raggiungimento dello storico accordo sul nucleare iraniano, l’avvio di nuovi negoziati in seno all’ONU per perseguire una risoluzione politica del conflitto in Siria. Intanto, i guerriglieri dell’IS hanno intensificato le azioni nel nord del Paese con l’obiettivo di strappare alle fazioni ribelli la cittadina di Marea, snodo strategico a ridosso del confine siro-turco, mentre le difese islamiste tengono a Ramadi contro l’urto delle forze di sicurezza irachene. Continuano invece le incursioni turche contro le postazioni del PKK nel nord dell’Iraq: in risposta all’intensificarsi degli scontri in Turchia, tra il 6 e il 9 settembre i caccia turchi hanno ripetutamente attraversato il confine per colpire i rifugi dei militanti curdi.
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A richiamare tuttavia le attenzioni dell’esecutivo di Haider al-Abadi è l’acutizzarsi del confronto con le milizie sciite, che il disegno di legge per la costituzione di una Guardia Nazionale irachena intende sottoporre a rigido controllo governativo. Gli influenti gruppi paramilitari di estrazione sciita, che a lungo hanno arginato l’offensiva a tratti irresistibile dei combattenti jihadisti, hanno pubblicamente rigettato il provvedimento. La recente ondata di proteste di piazza che ha infiammato il Paese anche nelle province meridionali non interessate dal conflitto con il Califfato ha offerto alle milizie sciite l’occasione per rafforzare la posizione di intransigenza nei confronti del governo centrale, che l’8 settembre ha preventivamente vietato una dimostrazione a Basra in virtù degli scontri verificatesi cinque giorni prima tra alcuni affiliati al gruppo Kata’ib Hezbollah e l’esercito regolare. Sempre nella giornata dell’8 degli uomini armati non identificati hanno rapito nella capitale il vice Ministro della Giustizia, Abdul Karim al-Faris, ed un alto funzionario, assieme ad altre quattro persone poi rilasciate. Si sospetta che dietro l’atto si nasconda la responsabilità di una milizia sciita. È degli ultimi giorni infatti la rivendicazione da parte di un gruppo sciita non riconoscibile del sequestro di diciotto operai e ingegneri turchi avvenuto lo scorso 18 agosto a Sadr City: i rapitori hanno indirizzato al governo di Ankara la richiesta di interrompere il flusso di miliziani dalla Turchia e di approvvigionamenti petroliferi dal Kurdistan iracheno. Nella vicenda è intervenuto il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, che ha richiamato duramente i sequestratori affinché rilascino gli ostaggi. Nonostante le tensioni interne, il Primo Ministro al-Abadi non depone la bandiera delle riforme. Il vertice del governo iracheno ha infatti annunciato la rimozione di 123 funzionari di alto livello. La decisione s’inserisce nella campagna contro corruzione e clientelismo che al-Abadi ha impugnato con determinazione per ristrutturare l’inefficiente pubblica amministrazione.
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YEMEN ↴
Venerdì 4 settembre i ribelli sciiti Houthi hanno condotto un attacco contro un deposito di armi della coalizione internazionale a guida saudita con un missile sovietico di tipo Tochka nell’area di Marib nella parte centro-occidentale dello Yemen, uccidendo oltre 60 soldati. Di questi, 45 appartenenti alle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, 10 a quelle saudite, 5 dell’esercito del Bahrein e 4 yemeniti facenti parte delle truppe rimaste leali al Presidente Abdrabbuh Mansour Hadi, esiliato in gennaio. In ritorsione alla perdita più consistente che l’esercito emiratino abbia mai subito fin dalla sua istituzione nel 1971, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e comandante supremo delle forze armate, ha condotto, nei due giorni successivi all’attentato, dei raid aerei tra i più duri che la capitale yemenita abbia subito fin dall’inizio dell’attuale conflitto, colpendo le postazioni degli Houthi a Sanaa e nelle zone circostanti di Nahdain, Fajj Attan e Ibb. Altri raid aerei della coalizione internazionale sono stati condotti nel corso di tutta la settimana. Nelle giornate di mercoledì 9 e giovedì 10 sono state colpite le postazioni dei ribelli nella capitale, incluse le abitazioni dei leader politici Houthi, basi di addestramento militare e depositi di armi a nord della città. Martedì 8, nel corso delle operazioni aeree da parte dei velivoli della coalizione contro trafficanti di armi nella zona del porto di al-Hodeidah nel est dello Yemen, si è registrata anche l’uccisione di 22 pescatori indiani. Inoltre, in seguito all’attentato del 4 settembre, sia il Qatar che l’Egitto hanno inviato per la prima volta dei contingenti a sostegno della coalizione. Doha 7
ha inviato in Yemen circa 1.000 uomini, 200 veicoli corazzati e 30 elicotteri Apache, che si sono diretti verso le zone di Marib e Jawf, aree di importanza strategica data la ingente produzione petrolifera. Mentre dal Cairo sono arrivate, nella sera di martedì 8, quattro unità di 150/200 soldati, per un totale di circa 800
uomini.
L’arrivo
di
questi
nuovi
contingenti,
unito
all’intensificarsi
dell’offensiva contro i filo-iraniani Houthi, sembra far prevedere una volontà della coalizione di dare una svolta decisiva al conflitto; in particolare procedendo verso una ripresa della capitale Sanaa attraverso un più consistente intervento militare via terra, rimasto finora alquanto esiguo. L’attuale conflitto in Yemen è sorto con le proteste, inizialmente pacifiche, del gruppo Houthi nell’estate dello scorso anno. Questo movimento, che prende il nome dal primo leader Hussein al-Houthi, è in conflitto con il governo centrale dal 2004 con lo scopo di rivendicare una maggiore autonomia per la popolazione di religione zaydita – una setta musulmana sciita - nell’area settentrionale del Paese, precisamente nella provincia di Saada. Nell’estate 2014 l’opposizione Houthi ha potuto godere di un rafforzamento grazie alla nuova alleanza con l’ex Presidente Ali Abdullah Saleh. Per merito di tale potenziamento i ribelli sciiti hanno potuto conquistare, nel settembre 2014, la capitale Sanaa e successivamente, in gennaio 2015, arrestare il Presidente Hadi, accusato di volere ridurre il potere sciita nel nord del Paese attraverso una riforma per l’istituzione di un sistema federale composto da sei divisioni territoriali. Successivamente Hadi ha dovuto abbandonare lo Yemen recandosi in Arabia Saudita – Paese sunnita - a causa della caduta anche della città portuale di Aden, dove si era rifugiato. In seguito a tali avvenimenti è arrivata la decisione di Riyadh di formare una coalizione militare con altri Paesi arabi per contrastare l’avanzata degli Houthi, presumibilmente supportati dall’Iran in un conflitto che sembrerebbe pertanto rispecchiare il confronto tra Paesi sunniti e sciiti nella regione mediorientale. Grazie all’intervento dei raid aerei della coalizione a guida saudita, nel corso dell’estate gli Houthi sono stati respinti dalle province meridionali e da Aden, ma mantengono salde le loro posizioni al nord, in alcune zone del centro e nella capitale.
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BREVI LIBIA, 10 SETTEMBRE ↴ Il 3 settembre la delegazione del governo di Tripoli ha deciso di sedersi nuovamente al tavolo negoziale dopo la pausa di un mese in segno di ritorsione per il rifiuto di apportare alcune modifiche richieste alla bozza di accordo presentata a luglio. Tuttavia, nonostante questo segnale incoraggiante Tripoli sembra non avere alcuna intenzione di cedere in riferimento a tali richieste soprattutto per ciò che concerne la previsione di un unico parlamento. Con queste premesse il 10 settembre sono ripresi a Skhirat, in Marocco, i negoziati fra le varie fazioni libiche con l’obiettivo di formare un governo di unità nazionale. L’inviato speciale delle Nazioni Unite, il diplomatico spagnolo Bernardino León, sotto la cui egida si stanno svolgendo i negoziati, ha ricordato che il termine ultimo per trovare un’intesa tra le fazioni in campo resta il 20 settembre. Rimane tuttavia da chiarire cosa potrebbe accadere qualora non si riuscisse a raggiungere un compromesso sulla bozza di accordo. Sullo sfondo della nuova tornata di negoziati si fa sempre più preoccupante la minaccia dello Stato Islamico che ormai controlla Sirte e punta ad allargarsi verso Tripoli. Il giorno stesso della ripresa dei colloqui in Marocco si è inoltre registrata l’esplosione di una mina in una scuola di Bengasi; resta da chiarire, tuttavia, se si sia trattato di un attacco terroristico deliberato o di un ordigno che si trovava già da tempo nel cortile della scuola. L’unico dato positivo nel difficile contesto libico è la riapertura il 9 settembre dell’Università di Bengasi chiusa da circa un anno.
TURCHIA, 8 SETTEMBRE ↴ Non
ha
tardato
ad
arrivare
la
risposta
turca
all’attentato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK)
di
domenica
6
settembre
a
Daglica,
nell’estremo sud-est del Paese in prossimità del confine tra Iran e Iraq, in cui hanno perso la vita 16 soldati turchi. Circa 50 caccia turchi, 35 jet F-16 e 18 F14 hanno colpito senza tregua per sei ore le basi curde in territorio iracheno, concentrandosi in particolare nelle zone di Qandil, Hakurk, Zap, Metina, Gare e Basyan e uccidendo circa un centinaio di guerriglieri. L’escalation di violenza è continuata con una serie di ulteriori azioni di guerriglia da parte del Pkk contro l’esercito turco ed è sfociata, l’8 settembre, nell’operazione lampo condotta dalle forze speciali e dalla gendarmeria turca in territorio iracheno con l’obiettivo dichiarato di estirpare le basi del Pkk nel Nord del Paese. La delicata situazione militare ha condotto ad un innalzamento della violenza sociale riaccen9
dendo il nazionalismo turco: dal 7 settembre circa 400 sedi dell’HDP, il partito filocurdo che ha superato la soglia di sbarramento del 10% nelle elezioni di luglio, sono state prese di mira dai nazionalisti turchi. L’escalation di violenza rischia di far degenerare la situazione prima che si possa arrivare al prossimo appuntamento elettorale del 1° novembre, giorno in cui sono state convocate dal Presidente Erdoğan le nuove elezioni parlamentari. UCRAINA, 9 SETTEMBRE ↴ Sembra ancora reggere, nonostante alcune limitate violazioni, il regime di cessate il fuoco previsto dagli accordi di pace di Minsk del 12 febbraio scorso tra le autorità ucraine e i separatisti del Donbass in relazione alle regioni di Donetsk e Lugansk. Con questo segnale incoraggiante il 9 settembre, in una conversazione telefonica, i leader di Russia, Francia, Germania e Ucraina, i Paesi del cosiddetto “Quartetto di Normandia”, hanno concordato un nuovo vertice per il 2 ottobre a Parigi nel quale si discuterà in particolare dell’attuazione degli accordi di Minsk e della pace nella regione del Donbass. In previsione della riunione del 2 ottobre, il 12 settembre i ministri degli Esteri dei quattro Paesi si sono riuniti a Berlino. Sul fronte interno il 9 settembre è iniziata la campagna di raccolta firme, giunta a quasi 30.000 consensi, per proporre la nomina come premier di Mikheil Saakashvili. L’ex presidente georgiano, da maggio già governatore della regione di Odessa nell’Ucraina meridionale, è noto per essere uno dei più forti e tenaci oppositori di Putin ma si è anche distinto per aver accusato l’attuale premier ucraino, Arseni Yatseniuk, di frenare le riforme economiche e di rispondere soltanto agli interessi degli oligarchi e non del suo Paese. Infine si registra la decisione del 10 settembre da parte proprio di Yatseniuk di chiudere lo spazio aereo ai velivoli russi diretti in Siria
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ALTRE DAL MONDO ARMENIA/AZERBAIGIAN, 3 SETTEMBRE ↴ Soldati dell’esercito azero hanno ucciso un soldato armeno a nordest del tormentato confine tra i due Stati ex-sovietici. Armenia ed Azerbaigian sono da decenni in conflitto a causa del Nagorno-Karabakh, una regione etnicamente armena situata in territorio azero. Gli scontri tra i due contendenti si sono intensificati a partire dalla metà di agosto quando un gruppo di soldati armeni ha attaccato alcune postazioni azere nei pressi dei villaggi di Agdam e Khojavand. BURUNDI, 7 SETTEMBRE ↴ Sono ancora molti i punti da chiarire in merito all’uccisione del portavoce del partito Union for Peace and Development (UPD), Patrice Gahungu. L’UPD si era opposto alla rielezione del Presidente Nkurunziza, attualmente al suo terzo mandato. È l’ultimo di una serie di omicidi nella capitale del Burundi. Secondo alcuni, tra cui anche la vedova Gahungu, l’omicidio è stato orchestrato dall’attuale governo. Le lotte politiche e le proteste hanno causato la morte di un centinaio di persone e costretto alla fuga molte migliaia. COLOMBIA, 5 SETTEMBRE ↴ Quattro membri del Fronte 27 delle FARC-EP sono stati uccisi in uno scontro a fuoco durante un’operazione anti-estorsione condotta dall’esercito nazionale della Colombia nella città di La Libertad, nel dipartimento di Meta. Le vittime sono “Duvan Flaco”, capo della finanza del gruppo armato, la sua fidanzata “Yinet” e altri due esponenti noti come “Mico Viejo” e “Geovany”. Il Fronte 27 è accusato del rapimento di 5 imprenditori della società Petrominerales nel marzo del 2014, di numerose estorsioni ai danni di allevatori, commercianti, agricoltori e aziende di trasporto e dei frequenti attacchi armati contro gli autobus sull’asse stradale Meta-Guaviare. Nell’operazione sono stati anche sequestrati materiale bellico, armi e apparecchi per le comunicazioni. CUBA/STATI UNITI, 11 SETTEMBRE ↴ La commissione bilaterale Cuba-Stati Uniti si è riunita per la prima volta a L’Avana dopo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi per poter concordare un programma comune. La commissione, annunciata il 14 agosto scorso dal Segretario di Stato John Kerry e dal ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez Parrilla, si è occupata di tematiche relative alle nuove aree di cooperazione e al dialogo sugli affari bilaterali e multilaterali. Si sono affrontati anche temi controversi che vedono i partecipanti schierati su fronti opposti. Alla guida delle due delegazioni Edward Alex Lee, vice segretario aggiunto per i temi dell’Emisfero Occidentale del 11
Dipartimento di Stato statunitense, e Josefina Vidal, Direttore Generale per gli Stati Uniti al Ministero degli Esteri cubano. EGITTO, 8-12 SETTEMBRE ↴ L’esercito egiziano ha annunciato l’avvio di un’azione militare contro i gruppi terroristi attivi nella penisola del Sinai tra Rafah, al-Arish e Sheikh Zuweid, affermando di aver ucciso 56 miliziani e averne arrestati 154. Negli stessi giorni è stata riaperta l’ambasciata di Israele al Cairo dopo quattro anni di chiusura. Il personale era stato evacuato nel settembre 2011 in seguito all’assalto di migliaia di manifestanti alla sede diplomatica. A capo della rappresentanza vi sarà l’ambasciatore Haim Koren. Il 12 settembre il primo ministro Ibrahim Mahlab ha presentato le dimissioni del suo governo al Presidente Abdel Fattah al-Sisi, che ha chiesto al premier dimissionario di restare in carica per gli affari correnti fino alla formazione di un nuovo esecutivo. GUATEMALA, 6 SETTEMBRE ↴ Lo spoglio dei voti espressi al primo turno delle consultazioni elettorali ha consegnato la vittoria al comico Jimmy Morales che però, avendo ottenuto circa il 25% delle preferenze, dovrà affrontare il ballottaggio del prossimo 25 ottobre. A sfidarlo sarà uno tra Manuel Baldizón, avvocato e uomo d’affari dato inizialmente come favorito, e Sandra Torres, moglie dell’ex capo di Stato Álvaro Colom e già candidata nel 2011. Nel frattempo, è stato rinchiuso in un carcere militare l’ex presidente Otto Perez Molina, accusato di corruzione per aver favorito alcune compagnie che volevano importare prodotti nel Paese centramericano. ISRAELE, 6 SETTEMBRE ↴ Il Presidente Netanyahu ha annunciato la costruzione di 30 chilometri di barriera lungo il confine con la Giordania, che andranno ad aggiungersi ai 240 chilometri già presenti al confine con l’Egitto. La dichiarazione arriva in seguito alla richiesta del leader dell’opposizione Isaac Herzog di accogliere i rifugiati siriani. La risposta di Netanyahu non si è fatta attendere; il Presidente ha tenuto ad evidenziare che Israele non è indifferente alla tragedia siriana, ma il Paese è troppo piccolo per poter accogliere ulteriori persone, dunque è indispensabile un rigido controllo dei confini. MOLDAVIA, 6-11 SETTEMBRE ↴ Continuano le proteste popolari a Chisinau, dopo la grande manifestazione di domenica 6 settembre che ha visto sfilare più di 40mila persone per le strade della capitale. A scatenare la rabbia popolare le rivelazioni in merito ad una frode finanziaria del valore di circa un miliardo di euro – pari a un terzo del PIL dello Stato - a carico del sistema bancario. Già nel maggio scorso migliaia di persone avevano protestato per la scomparsa di 900 milioni di euro da tre importanti banche del Paese. I dimostranti hanno deciso di accamparsi in strada, chiedendo le dimissioni del presidente Nicolae Timofti e del governatore della Banca Centrale. 12
REGNO UNITO, 12 SETTEMBRE ↴ Jeremy Corbyn è il nuovo leader del Partito Laburista. Corbyn, che rappresenta la corrente più a sinistra del partito, ha vinto le elezioni al primo turno con il 59,5% dei consensi. L’affluenza è stata del 76,3% degli iscritti. SOMALIA, 9 SETTEMBRE ↴ I miliziani di al-Shabaab hanno dichiarato di aver catturato alcuni soldati ugandesi del contingente AMISOM, a seguito di un attacco ad una base del contingente dell’Unione Africana in Somalia. L’annuncio del rapimento, ancora da verificare, e i recenti attacchi diretti alle truppe dell’AMISOM, tra cui quello alla base di Janale che ha causato 50 morti, dimostrano il cambio di strategia di al-Shabaab che vuole evitare che le truppe dell’Unione Africana si impiantino stabilmente nelle aree di suo interesse. THAILANDIA, 6 SETTEMBRE ↴ Il National Reform Council (NRC), controllato dalla giunta militare al potere dal maggio 2014, ha respinto la bozza di una nuova Costituzione. La bocciatura del documento prevede l’istituzione di un nuovo comitato per la stesura del testo costituzionale, la cui tempistica richiede circa sei mesi, con la conseguente probabile posticipazione delle elezioni al 2017. Uno degli elementi maggiormente controversi si è rivelato l’istituzione di un Comitato Nazionale sulla riforma e strategia di conciliazione, dominato dai militari, che in “situazioni di crisi" non specificate avrebbe esautorato dal potere governo e Parlamento.
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ANALISI E COMMENTI LE CONSEGUENZE DI UNA
“SAFE ZONE” NEL NORD DELLA SIRIA LORENZO MARINONE ↴
Il nodo più controverso nell’accordo raggiunto alla fine di luglio fra Stati Uniti e Turchia sulla lotta allo Stato Islamico (IS) riguarda l’istituzione di una “safe zone” lungo parte del confine turco-siriano. L’area in oggetto dovrebbe verosimilmente essere compresa fra Azaz e Jarablus, per una profondità di circa 30 chilometri, arrivando quindi fino alle porte di Aleppo. Questa zona cuscinetto è stata annunciata ufficialmente più volte da Ankara e altrettante volte è stata smentita dagli Stati Uniti. Tali dichiarazioni contrastanti non negano, ad ogni modo, un impegno sul campo oltre che attraverso raid aerei. Infatti, entrambi i Paesi stanno fornendo supporto militare di vario tipo a diverse formazioni ribelli, con lo scopo specifico di liberare l’area dallo Stato Islamico. Gli Stati Uniti hanno definito l’impegno della Turchia come un game-changer. In effetti la disponibilità della base militare turca di Incirlik, distante circa 500 chilometri in linea d’aria da Raqqa, l’autoproclamata capitale dell’IS, permetterà agli americani e agli altri membri della coalizione internazionale di condurre in modo più efficace i raid aerei contro il Califfato (…) SEGUE >>>
L’IDENTITÀ NAZIONALE RUSSA AL CROCEVIA TRA PERCEZIONE DI SÉ E POLITICA ESTERA NICOLÒ FASOLA
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ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA
In termini generali, l’identità di un popolo è il risultato di una serie di fattori culturali, politici e persino psicologici che affondano le proprie radici nel succedersi della storia. Ciononostante, il dibattito intellettuale e teoretico che si forma intorno alla natura che una certa identità nazionale dovrebbe far propria non si costituisce come il semplice riflesso di forze “oggettive”, riducendo in se stesso la propria utilità; al contrario, esso si costituisce come una forza attiva e indipendente che contribuisce a sua volta a formare la coscienza di una nazione, fornendole un filtro (o una pluralità di filtri) attraverso il quale interpretare gli avvenimenti del mondo. L’appropriata comprensione dell’auto-percezione di un popolo e, dunque la capacità di coglierne i tratti peculiari e i fondamenti comportamentali, si costituiscono pertanto come validi strumenti per la conduzione delle relazioni internazionali, in grado di gettare qualche luce sul “velo di nebbia” delle intenzioni altrui. Per tali motivi e tenendo sullo sfondo l’attuale contesto di ostilità tra la Russia e lo spazio politico ad ovest, in questo Research Paper di analisi si introdurranno alcune tra le maggiori questioni riguardanti la formazione dell’identità nazionale russa (…) SEGUE >>>
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A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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