N째25, 20-26 SETTEMBRE 2015 ISSN: 2284-1024
I
www.bloglobal.net
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 27 settembre 2015 ISSN: 2284-1024
A cura di: Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°25/2015 (20-26 settembre 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: Michalis Karagiannis; AFP; AFP; CNN; AFP; Wyn Mcnamee/Getty Images; Al Arabiya.
FOCUS GRECIA ↴
Le elezioni legislative di domenica 20 settembre hanno sancito una nuova vittoria del premier Alexis Tsipras, il cui partito Syriza ha ottenuto il 35,5% dei consensi, superando di circa sette punti percentuali gli avversari conservatori di Nea Dimokratia attestatisi al 28,1%. Syriza, non avendo raggiunto la maggioranza assoluta dei voti, si prepara a un nuovo governo di coalizione con il partito nazionalista Greci indipendenti (Anel), che ha raggiunto il 3,7% delle preferenze. L’estrema destra di Alba Dorata si conferma terzo partito con il 7% dei consensi, mentre Unità popolare, la formazione nata dalla scissione di alcuni parlamentari di Syriza guidata dall’ex ministro dell’Industria Panagiotis Lafazanis, non è riuscita a superare la soglia di sbarramento del 3% necessaria ad entrare in Parlamento. Il partito di Tsipras ottiene 145 seggi su 300, quattro in meno rispetto al voto del gennaio scorso quando ne aveva conquistati 149 con il 36,6% dei voti, ma potrà contare anche sui dieci seggi dei Greci indipendenti di Panos Kammenos. Nea Dimokratia ottiene 75 seggi, Alba Dorata 18, i comunisti di Kke 15, To Potami 11, l’Unione dei centristi 9. L’affluenza alle urne è stata del 56% rispetto al 64% del gennaio 2015, sintomo di disaffezione e difficoltà di un Paese interessato da una profonda crisi economica, che è andato complessivamente al voto cinque volte negli ultimi sei anni e tre negli ultimi otto mesi. Tsipras ha commentato i risultati affermando: «È una grande 1
vittoria del nostro popolo, che ci ha dato mandato di lottare dentro e fuori il nostro Paese. Continueremo la lotta cominciata sette mesi fa. Il popolo greco è sinonimo di lotta e dignità. Questo è un mandato per i prossimi quattro anni». La nuova coalizione dovrà attuare prima della fine dell’anno le riforme previste dal piano di accordi con l’Eurozona, tra cui l’abolizione delle agevolazioni fiscali per gli agricoltori, l’aumento dell’IVA e la fine delle pensioni anticipate per poter ottenere 86 miliardi di euro di crediti, e la ricapitalizzazione delle banche per 25 miliardi di euro. Vi è inoltre la questione della ristrutturazione del debito pubblico che ha raggiunto circa il 170% del PIL. La portavoce di Syriza ha reso noto che «l’accordo con i creditori verrà applicato e i duri negoziati continueranno». Il nuovo esecutivo vede la conferma di Euclides Tsakalotos, firmatario del memorandum tra la Grecia e i creditori internazionali, al ministero delle Finanze e la nomina di Yannis Dragassakis a vice premier. Nikos Kotzias andrà agli Esteri, Panos Kammenos resta alla Difesa, Giorgos Stathakis andrà all'Economia e Panagiotis Kouroumblis agli Interni. Ministro alla Presidenza del Consiglio sarà Nikos Pappas, mentre Ioannis Mouzalas resta ministro dell'Immigrazione. Syriza è alla guida della Grecia dal 25 gennaio 2015, sull’onda della promessa di Alexis Tsipras di rimettere in discussione le dure misure di austerità imposte al Paese dai creditori internazionali per scongiurarne il fallimento. Il 5 luglio il premier ha indetto un referendum popolare in merito all’accettazione delle proposte dei creditori, che avrebbero garantito al Paese i prestiti d’emergenza necessari per evitare il tracollo in cambio dell’implementazione di un pacchetto di riforme concordato con l’Unione europea, conclusosi con la vittoria del “no” con il 61,3% dei voti. Successivamente, il 13 luglio, Tsipras ha raggiunto un accordo con l’Unione per permettere alla Grecia di incassare un primo prestito di sette miliardi di euro che avrebbe consentito, tra l’altro, la riapertura delle banche che avevano sospeso il servizio da tre settimane per mancanza di liquidità. Il 14 agosto l’Eurogruppo ha approvato un ulteriore prestito di 86 miliardi di euro. Le profonde divergenze su questi temi hanno condotto a una rottura interna a Syriza, causando una scissione di alcuni suoi esponenti e la creazione di Unità Popolare, sostenuta anche dall’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. La spaccatura interna ha privato il primo ministro della maggioranza in Parlamento, portando all’annuncio delle sue dimissioni il 20 agosto e all’indizione di elezioni anticipate.
2
IMMIGRAZIONE ↴
A seguito del mancato raggiungimento nella riunione del 14 settembre del consenso in relazione ad un secondo piano d’emergenza per il ricollocamento dei rifugiati, la presidenza lussemburghese del Consiglio dell’Unione Europea ha convocato un nuovo vertice straordinario del Consiglio europeo, nella formazione Giustizia a Affari Interni, che si è tenuto il 22 settembre. Quest’ultimo si è concentrato proprio sulla discussione della proposta avanzata dalla Commissione in relazione al ricollocamento di emergenza di 120.000 persone bisognose di protezione internazionale già presenti su suolo italiano e greco. La ricollocazione dei 120.000 richiedenti asilo si aggiungerebbe a quella di 40.000 già approvata il 14 settembre, raggiungendo così la cifra totale di 160.000 ricollocamenti. La decisione del Consiglio è stata approvata, sfruttando le possibilità lasciate aperte dai Trattati, a maggioranza qualificata e non all’unanimità, restando ancora fortemente contrario al meccanismo della redistribuzione il cosiddetto “Blocco dell’Est” (Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria; la Polonia ha, invece, votato a favore). Il Consiglio ha sostanzialmente rispettato nella forma e nella sostanza la proposta della Commissione in riferimento ai numeri dei ricollocamenti da Italia e Grecia, rispettivamente 15.600 e 50.400. Tuttavia da un lato si è eliminato qualsivoglia riferimento esplicito ai criteri relativi alla chiave di ripartizione dei rifugiati e, dall’altro, si è dovuta affrontare la ferma opposizione dell’Ungheria a partecipare al meccanismo. Budapest ha rifiutato di far ricollocare in altri Stati membri i 54.000 rifugiati previsti dal piano della Commissione in quanto ciò avrebbe comportato l’obbligo, che si accompagna alla redistribuzione, di attrezzare gli hotspot necessari alla ricezione e 3
all’identificazione dei richiedenti asilo. I 54.000 richiedenti asilo calcolati per l’ Ungheria e previsti nel numero totale dei 120.000 rifugiati ricollocati resteranno come una sorta di riserva da attivare in futuro per Italia e Grecia. In merito al meccanismo previsto per la redistribuzione dei ricollocati si è abbandonato l’approccio su base volontaristica usato nella decisione del 14 settembre. Sebbene non compaia alcun riferimento esplicito all’obbligatorietà della ripartizione, gli allegati con le cifre precise relative all’impegno preso dai singoli Stati sono stati adottati contestualmente alla decisione del Consiglio. Avendo pertanto la medesima base giuridica della decisione, l’impegno relativo alle cifre da redistribuire risulta, de facto, obbligatorio. Ciò ha due fondamentali conseguenze: da un lato anche gli Stati che hanno votato contro la decisione dovranno adeguarsi alle quote previste nel documento e, dall’altro, qualora i Paesi dovessero violare l’obbligo numerico previsto dalla decisione, la Commissione potrà avviare una procedura di infrazione contro tali Stati. Rimane, in ogni caso, la possibilità per ciascuno Stato membro di non farsi carico temporaneamente e per periodi limitati della propria quota così come prevista nella decisione; tuttavia ciò risulta possibile esclusivamente nel limitato caso in cui vi siano «motivi debitamente giustificati e compatibili con i valori fondamentali dell’Unione» e comunque soltanto fino ad un massimo del 30% della quota di ricollocamenti assegnati.
4
Alla riunione del Consiglio europeo è seguita, il giorno successivo, la riunione informale dei capi di Stato e di Governo con l’intento, ancora una volta, di discutere l’attuale crisi dei rifugiati e l’approccio dell’attuale politica europea in materia di migrazione. L’intento europeo è quello di garantire una risposta sufficiente ed adeguata all’attuale crisi dei rifugiati e di definire una politica migratoria credibile. Il Consiglio ha indicato una serie di priorità imminenti che vanno da un maggiore sostegno puramente economico ai diversi fondi esistenti a livello europeo ed internazionale relativi al supporto dei rifugiati, ad una intensificazione del dialogo con gli attori regionali (prima fra tutti la Turchia) implementando contemporaneamente, soprattutto nel quadro delle Nazioni Unite, gli sforzi per porre fine alla guerra in Siria e per risolvere la situazione in Libia.
In attesa del vertice dell’8 ottobre e fuori dalle stanze di Bruxelles, continuano invece le tensioni relative all’immigrazione tra quei Paesi toccati dalla cosiddetta rotta balcanica. Ad Est la situazione rimane tesa e non sembra migliorare nonostante la riapertura il 20 settembre del principale passaggio di frontiera, il valico di Horgos, tra Serbia e Ungheria e l’eliminazione il 25 settembre delle restrizioni in vigore al confine tra la Croazia e la Serbia, che avevano tra l’altro causato il blocco del traffico pesante con importanti contraccolpi a livello di commercio. L’Ungheria del Premier nazionalista Viktor Orban, dopo aver chiuso il confine con la Serbia e aver ap5
provato norme stringenti in materia di controllo dell’immigrazione, ha annunciato di voler costruire un’altra barriera al confine con la Croazia. Secondo alcuni media croati e serbi, inoltre, anche la Slovenia sarebbe intenzionata a costruire una barriera intorno al valico di frontiera con la Croazia. Nonostante i proclami europei inneggianti ai principi della solidarietà e della responsabilità l’Europa degli Stati nazionali sembra essere maggiormente propensa a seguire la strada dei muri e del filo spinato.
6
BREVI BURKINA FASO, 21-26 SETTEMBRE ↴ Gli sforzi della comunità internazionale, in particolare delle
organizzazioni
regionali
come
la
Comunità
Economica degli Stati dell’Africa Ovest (ECOWAS), hanno permesso la soluzione politica della crisi burkinabé. I
membri
del
Regiment
de Securitè
Presidentielle (RSP), guidati dal generale Dienderè, fautori del colpo di Stato che aveva estromesso dal potere il Presidente ad interim Michel Kafando, mercoledì hanno accettato le condizioni proposte dall’ECOWAS e hanno deposto le armi. Venerdì mattina si è svolta la prima riunione di governo del restaurato Presidente Michel Kafando e del primo ministro Isaac Zida, che dovranno, da subito, occuparsi di importanti problematiche. La questione più difficile da affrontare riguardava i provvedimenti da prendere nei confronti dei putschisti: mentre alcuni sostenevano la necessità di un’amnistia per gli uomini del RSP, molti uomini politici ed una parte della popolazione civile erano favorevoli ad una punizione esemplare nei loro confronti, anche a causa dei numerosi morti provocati dalla loro offensiva militare. Il primo atto del premier Isaac Zida è stato proprio quello di decidere, per decreto, la dissoluzione delle guardie presidenziali: in effetti, l’RSP era stato sotto accusa sin dalla cacciata di Compaorè, in quanto ritenuto troppo legato all’ex Presidente. L’altro punto dolente da affrontare, che potrebbe
rientrare
tra
quelli
sottoscritti
da
Dienderè
con
i
capi
di
stato
dell’ECOWAS, riguarda la possibilità dei sostenitori dell’ex Presidente Compaorè di presentarsi alle prossime elezioni politiche, eventualità non ammessa dal Consiglio Costituzionale,
instauratosi
subito
dopo
la
cacciata
del
vecchio
Presidente
burkinabè. Un’eventualità che potrebbe verificarsi, e che potrebbe essere foriera di nuove tensioni, è il rinvio delle elezioni presidenziali previste per il prossimo 11 ottobre, possibilità evocata dal primo ministro Isaac Zida, in attesa di restaurare la tranquillità sociale perduta. Nel frattempo il ritorno alla normalità ha permesso alle principali radio locali, Ouaga Fm e Radio Savane, fortemente minacciate dagli uomini di Dienderè, di riprendere le trasmissioni.
CINA/STATI UNITI, 22-25 SETTEMBRE ↴ Il Presidente cinese Xi Jinping ha scelto Seattle per inaugurare il primo viaggio ufficiale negli Stati Uniti. Nell’ambito dell’ottava edizione del US-China Internet Industry Forum, Xi Jinping ha incontrato i rappresentanti delle aziende statunitensi di punta
7
nei
settori
dell’alta
tecnologia
e
dell’informatica,
rassicurando
l’apertura
dell’economia cinese ad investimenti stranieri. Nel corso dell’evento la compagnia statunitense Boeing ha firmato un contratto per la vendita di 300 aerei alla Commercial Aircraft Corporation of China, ottenendo anche il consenso per la costruzione di un impianto di assemblaggio in territorio cinese. È stata però la sicurezza informatica uno dei temi cardine attorno al quale hanno ruotato i colloqui con la dirigenza americana. Se già a Seattle il leader cinese aveva lanciato l’offerta di una collaborazione in materia, durante l’incontro a Washington con il Presidente Barack Obama le due parti si sono impegnate a non condurre e non sostenere attività di cyber-spionaggio e crimini informatici. Inoltre, i due capi di Stato hanno ribadito l’iniziativa congiunta nella lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, Xi Jinping ha annunciato un piano nazionale per ridurre e tassare le emissioni di gas serra entro il 2017 allo scopo di alleggerire l’impatto ambientale dell’industria pesante. All’importante passo avanti della dirigenza di Pechino ha fatto eco il successivo annuncio al Palazzo di Vetro ONU del finanziamento, con un esborso iniziale di 2 miliardi di dollari, di un fondo di aiuti per lo sviluppo sostenibile.
IRAQ/SIRIA, 21-26 SETTEMBRE ↴ Il
Cremlino
ha
comunicato
all’amministrazione
Obama la proposta per la conduzione di azioni militari congiunte in Siria. Secondo indiscrezioni raccolte dal New York Times, la diplomazia russa avrebbe aperto all’ipotesi di una soluzione politica che contempli l’allontanamento di Bashar al-Assad. Tuttavia, il rafforzamento della presenza armata lungo la costa siriana - dove quattro caccia Su-25 e otto elicotteri da combattimento sono giunti nella base a sud di Latakia - lascia intendere che le operazioni russe contro lo Stato Islamico non sono vincolate al consenso statunitense rispetto al coordinamento nel teatro siriano. Al fine di scongiurare incidenti, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invece raggiunto il Presidente Vladimir Putin a Mosca, dove il leader israeliano ha espresso preoccupazione rispetto al trasferimento di armi ad Hezbollah - gruppo armato libanese che assiste militarmente il regime di Damasco. Intanto, in prossimità dell’intervento di Putin all’Assemblea Generale ONU lunedì 28 settembre, il Presidente statunitense Barak Obama ha incaricato la squadra di governo democratica di impostare un dialogo con le controparti russe sulla questione siriana. In questo senso, il vertice del Pentagono Ashton Carter ha avviato i colloqui con il Ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, mentre il Segretario di Stato John Kerry ha addolcito la ferma posizione sulla destituzione di Bashar al-Assad chiamando Russia e Iran - primi garanti del governo di Damasco - a far valere la propria influenza per convincere la dirigenza alawita a negoziare le condizioni della transizione politica. A seguito di un incontro con il Ministro degli Esteri iraniano 8
Mohammad Javad Zarif, Kerry ha rinnovato l’urgenza di perseguire una soluzione diplomatica nell’ambito dei negoziati condotti a Ginevra. La sessione dell’Assemblea Generale al Palazzo di Vetro di New York sta dunque offrendo all’amministrazione Obama la possibilità di recuperare terreno dopo essere stata messa alle corde dal dispiegamento armato russo e dall’insuccesso dell’indeterminato approccio alla crisi siriana. Nel frattempo, l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha riportato che settantacinque combattenti siriani addestrati ed equipaggiati dagli Stati Uniti hanno fatto ingresso nel Paese dal confine turco. Nelle ultime settimane l’invio di unità ribelli si era presto rivelato fallimentare. A incrinare negativamente il giudizio sulla campagna statunitense nello scenario siro-iracheno convergono tuttavia più elementi. Se gli alti ufficiali delle Forze Armate non nascondono lo stallo operativo e strategico della missione, il Pentagono ha aperto un’inchiesta interna per verificare l’attendibilità dei rapporti d’intelligence dietro al pesante sospetto che in più di un’occasione l’analisi dei progressi sul campo sia stata gonfiata strumentalmente. Inoltre, il Generale John Allen, nominato un anno addietro inviato speciale della coalizione internazionale in Siria e Iraq, ha annunciato che rimetterà il proprio incarico entro novembre, a ulteriore conferma dei numerosi passi falsi del governo Obama nella gestione della crisi innescata dalla radicalizzazione della minaccia del Califfato.
VATICANO/CUBA/STATI UNITI, 20-25 SETTEMBRE ↴ È un viaggio dai forti contenuti politici quello appena compiuto da Papa Francesco in
terra americana.
Giunto all’Avana il 20 settembre, Bergoglio ha salutato il riavvicinamento diplomatico tra Cuba e Stati Uniti quale un “esempio di riconciliazione”. Durante la visita il Pontefice ha incontrato l’anziano leader Fidel Castro e l’attuale Presidente Raul Castro prima di ripartire alla volta degli Stati Uniti. Accolto alla Casa Bianca da Barack Obama, Bergoglio è stato il primo pontefice a pronunciare un discorso al Congresso degli Stati Uniti. Nei passaggi principali del suo intervento, Papa Francesco ha rinnovato gli appelli per l’abolizione della pena di morte e la cessazione del commercio di armi, questioni entrambe controverse e divisive nell’opinione pubblica statunitense. Inoltre, il Pontefice ha ricordato il dovere dell’accoglienza dei migranti e ha lodato gli importanti accenni di dialogo e apertura verso Cuba e Iran. Il 25 settembre Bergoglio
è
poi
intervenuto
all’Assemblea
Generale
delle
Nazioni
Unite,
soffermandosi sui temi intrecciati della protezione ambientale e dell’esclusione sociale, nonché insistendo sulla necessità di riformare i meccanismi decisionali dell’organismo internazionale al fine di assicurare equità e partecipazione. A questo riguardo il Pontefice ha affermato
che “la riforma e l'adattamento ai tempi sono
sempre necessari, progredendo verso l'obiettivo finale di concedere a tutti i Paesi, 9
senza eccezione, una partecipazione e un'incidenza reale ed equa nelle decisioni”. L’appuntamento dell’incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia ha chiuso oggi il viaggio del Pontefice.
YEMEN, 21-24 SETTEMBRE ↴ Un gruppo di miliziani legati allo Stato Islamico ha rivendicato la paternità dell’attacco terroristico che ha colpito la moschea di al-Bolayli, a Sana’a, la capitale yemenita da un anno nelle mani dei ribelli sciiti Houthi, dopo la cacciata del Presidente Abd Rabbu Mansour Hadi. La doppia esplosione, avvenuta giovedì mattina mentre erano in corso i festeggiamenti per la ricorrenza musulmana dell’Eid al-Adha, ha provocato la morte di 25 persone ed il ferimento di decine di attendenti. La moschea si trova in un quartiere della capitale a maggioranza sciita, quindi favorevole all’offensiva dei ribelli Houthi, ai quali si contrappongono sia alcuni gruppi di fede sunnita, legati allo Stato Islamico, sia la coalizione internazionale a guida saudita. Durante l’ultima settimana si sono intensificati i bombardamenti dell’aviazione saudita nei dintorni della capitale dove sono situate numerose postazioni Houthi, ai quali è già stato sottratto il controllo di alcune aree del sud del Paese. La riconquista del sud del Paese ha permesso al deposto Presidente Hadi, sinora in esilio in Arabia Saudita, di far rientro ad Aden, seconda città del Paese e principale porto yemenita. Il ritorno nel Paese del Presidente yemenita era stato preceduto da quelli dell’ex premier Khaled Bahah e di sette ministri del suo governo, giunti ad Aden per ristabilire i contatti dopo circa un anno dall’inizio dell’offensiva sciita. Hadi si è recato ad Aden per festeggiare l’Eid al-Adha, poi si recherà a New York dove presiederà, in rappresentanza dello Yemen, all’annuale riunione plenaria dell’ONU. Ad inizio settimana si è risolta in maniera positiva la vicenda di alcuni ostaggi stranieri detenuti dai ribelli: lunedì mattina due cittadini statunitensi, uno britannico e tre sauditi sono stati liberati, dopo mesi nelle mani degli Houthi, e sono stati trasferiti in Oman. La liberazione è stata giudicata come un gesto di buona volontà, in attesa dell’inizio di colloqui tra gli Houthi e l’inviato ONU nello Yemen, per porre fine a mesi di conflitto che stanno causando gravi danni soprattutto alla popolazione civile.
10
ALTRE DAL MONDO CAMERUN, 25 SETTEMBRE ↴ Un nuovo doppio attentato suicida è avvenuto domenica mattina nel nord del Camerun, in un quartiere periferico della città di Mora. Le due esplosioni, entrambe avvenute nei pressi dell’area del mercato, hanno causato la morte di cinque persone, tra cui le due attentatrici ed il poliziotto che ha cercato di fermarle. L’attacco non è stato ancora rivendicato, ma le modalità esecutive richiamano alla mente i terroristi islamici di Boko Haram. COLOMBIA, 24 SETTEMBRE ↴ Con la mediazione di Cuba e Norvegia, il governo colombiano e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno siglato una storica intesa che esprime il proposito di raggiungere entro il 23 marzo 2016 un accordo di conciliazione nazionale per porre fine ad un conflitto civile che si trascina dal 1964. Le condizioni fissate dal Presidente Juan Manuel Santos e dal comandante Rodrigo Londoño Echeverri prevedono il disarmo dei guerriglieri, l’amnistia dei reati politici, l’istituzione di un organismo giurisdizionale speciale per le altre tipologie di reato, la trasformazione delle FARC in partito politico e l’indizione di un referendum per la sottoscrizione popolare del trattato di pace. NEPAL, 21 SETTEMBRE ↴ L’entrata in vigore della Costituzione, che disegna una repubblica laica e federale contro la precedente organizzazione monarchica e centralizzata, è stata accompagnata da violente manifestazioni di protesta. A Nirgunj, capoluogo del distretto di Parsa, un manifestante ha perso la vita negli scontri con le forze di polizia. Nelle settimane che hanno portato a conclusione il lungo iter costituzionale i partiti di opposizione e le minoranze etniche tharu e madhesi hanno ripetutamente denunciato il carattere discriminatorio del documento. Nelle proteste esplose nell’estate sono morte quarantaquattro persone. NIGERIA, 21 SETTEMBRE ↴ Una serie di esplosioni consecutive hanno colpito lunedì l’importante città di Maiduguri, nel nord-est della Nigeria. Le esplosioni, secondo la polizia causate da dispositivi elettronici, anche se non è esclusa la presenza di una kamikaze donna, hanno provocato la morte di 54 persone ed il ferimento di altre 90, suddivise tra frequentatori di una moschea e spettatori di una partita di calcio. L’attacco rappresenta
11
l’ennesima strage causata da Boko Haram, il cui leader Abubakar Shekau ha negato che il suo gruppo sia in difficoltà.
TURCHIA, 22 SETTEMBRE ↴ Di fronte all’inasprimento degli scontri armati con i militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), i due ministri curdi del governo Davutoğlu, Ali Haydar (Affari Europei) e Muslum Dogan (Sviluppo), hanno rassegnato le dimissioni. Secondo le stime del Ministero della Difesa, dalla rottura della tregua alla fine del luglio scorso le operazioni militari condotte dalle forze di sicurezza turche nelle provincie sudorientali della Turchia e nel nord dell’Iraq hanno provocato la morte di circa 1200 combattenti del PKK. UCRAINA, 22 SETTEMBRE ↴ Il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato, a margine di un incontro a Kiev con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, che sarà indetto un referendum popolare per decidere l’eventuale ingresso del Paese nell’organizzazione del Patto Atlantico. L’adesione, ha affermato Poroshenko, dovrà essere preceduta da una serie di riforme strutturali che permettano all’Ucraina di adeguarsi agli standard previsti, nonostante siano già in corso forme avanzate di collaborazione.
12
ANALISI E COMMENTI IL GIAPPONE NELL’ERA DIGITALE: ATTACCO INFORMATICO AL SERVIZIO PENSIONI
AGNESE CARLINI↴ Nel ventunesimo secolo si è assistito a un’escalation della minaccia cibernetica. Molti sono gli Stati colpiti, tra questi il Giappone. Un attacco cibernetico può essere condotto in diversi modi, ciononostante lo scopo ultimo rimane quello di ottenere illegalmente delle informazioni e utilizzarle per sabotare il “nemico”, recare danni al sistema informatico di un Paese o di un’azienda per motivi prettamente economici o politici. Negli ultimi anni sono stati numerosi gli attacchi cibernetici che hanno provocato danni a enti governativi, a multinazionali, eccetera; tra i più importanti si possono elencare: Estonia 2007, Stuxnet 2010, Saudi Aramco 2012, i recenti attacchi ai database del Federal Investigative Service statunitense e al Servizio Pensioni giapponese. Questi ultimi due episodi hanno visto la perdita di milioni di informazioni sensibili che potrebbero mettere a repentaglio, rispettivamente, l’incolumità degli agenti federali americani e dei cittadini giapponesi (…) SEGUE >>>
TTIP: L’ACCORDO COMMERCIALE NEL SOLCO DELL’«ATLANTISMO» CLAUDIO GIOVANNICO
↴
All’interno dell’attuale scenario di progressiva trasformazione dell’ordinamento globale assume sempre maggiore rilevanza geostrategica la costituzione di vaste aree di libero scambio commerciale (free trade areas, FTA). Alla luce degli insuccessi del Doha Round, si registra la tendenza nel superare gli esperimenti di respiro globale finora condotti, al fine di approdare verso modelli di tipo “regionale”. Nel caso in cui le trattative dovessero concludersi con successo, il TTIP, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, potrebbe diventare il più grande patto di libero commercio al mondo. Si tratta di un accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, il quale ha lo scopo di rimuovere il maggior numero di ostacoli, tariffari e non, agli scambi e agli investimenti, al fine di creare uno spazio economico unico tra le due sponde dell’oceano Atlantico. L’idea di una zona di libero scambio comune a Usa e Europa nasce già verso la metà degli anni ’90, quando gli Stati Uniti intuirono che, se avessero voluto mantenere la propria posizione di leadership mondiale di fronte all’imminente ascesa dell’Asia, avrebbero dovuto aumentare la cooperazione economica con il Vecchio Continente (…) SEGUE >>>
13
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
14