N째29, 1-7 NOVEMBRE 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 8 novembre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Vittorio Giorgetti Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: Sara Barakat/Jeune Afrique; NATO; Ansa/AP; News.com; AFP; Maxim Grigoryev/AFP/Getty Images; Kua Chee-siong.
FOCUS SIRIA/IRAQ ↴
Procedono i colloqui tra Russia, Stati Uniti e Turchia per la composizione di un accordo sulla crisi siriana. Il 4 novembre il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha ricevuto a Mosca l’inviato speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura: al centro dell’incontro l’individuazione dei gruppi di opposizione che saranno invitati, assieme ai rappresentati del governo di Damasco, alla prossima sessione negoziale che darà seguito alla Conferenza di Vienna del 30 ottobre scorso. A questo riguardo, il quotidiano Asharq al-Awsat ha diffuso la notizia che la Russia si renderà promotrice il prossimo 13 novembre a Ginevra di un piano di pace incentrato sulla proposta di un’amnistia generale, l’indizione di nuove elezioni presidenziali e la formazione di un governo di unità nazionale. In questa prospettiva, la garanzia offerta da Vladimir Putin assicurerebbe l’uscita di scena di Bashar al-Assad, ma il Cremlino non si opporrebbe alla candidatura presidenziale di un membro della famiglia regnante. Intanto, nello scenario delle operazioni militari l’aviazione russa continua a colpire nelle aree controllate dai gruppi ribelli nel nord-ovest del Paese le postazioni dello Stato Islamico (IS) tra Raqqa e Dair az-Zor. Dall’avvio dei bombardamenti il 30 settembre il contingente russo è raddoppiato, toccando quasi 4.000 unità, mentre è degno di nota registrare un primo episodio di coordinamento tra gli aerei da combattimento russi e statunitensi, che hanno scambiato comunicazioni in volo. Nell’ambito della coalizione internazionale guidata da Washington, gli F-16 turchi hanno condotto un’operazione contro i miliziani dell’IS al confine settentrionale della Siria, in prossimità della provincia turca di Kilis. La Commissione Esteri della Camera dei Comuni britannica ha invece espresso un parere negativo rispetto 1
all’estensione dei raid al teatro siriano proposta dall’esecutivo Cameron. Il Ministro della Difesa Michael Fallon ha criticamente commentato che sia “moralmente indifendibile” non bombardare il Califfato islamico anche in Siria, lasciando il peso dell’offensiva alle potenze alleate e in particolare agli Stati Uniti, che stanno reggendo in modo preponderante la campagna bellica e sono pronti a intensificare gli attacchi e l’esposizione armata nello scenario siro-iracheno.
RAID AEREI RUSSI IN SIRIA - FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
Intanto, il SITE Intelligence Group ha riferito che al-Qaeda avrebbe inviato un suo emissario – Saif al-Adel, tra i massimi dirigenti dell’organizzazione terroristica – allo scopo di riavvicinare Jahbat al-Nusra e l’IS. Il 2 novembre il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha esortato i “mujaheddin” impegnati in Siria a riporre le divisioni intestine e a unirsi nella lotta comune contro le potenze occidentali, la Russia, il governo alawita di Assad e le forze sciite. In Iraq, mentre l’offensiva su Ramadi resta il principale fronte di combattimento, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani – la massima autorità religiosa sciita del Paese – è nuovamente intervenuto a sostegno dell’esecutivo presieduto da al-Abadi e del processo riformistico da questi avviato.
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TURCHIA ↴
A soli 5 mesi dalle elezioni del 7 giugno, a seguito dalle quali non era scaturita né un maggioranza di governo né era stata trovata un’intesa per un esecutivo di coalizione, il 1° novembre la Turchia è tornata al voto. Le nuove elezioni si sono tenute in un clima molto diverso da quello di giugno: in particolare l’interruzione del processo di pace con il PKK e le minacce alla Turchia che arrivano da più fronti sembrano aver condizionato non solo la campagna elettorale ma anche la scelta degli elettori. I dati relativi all’affluenza alle urne, pari all’87% degli aventi diritto al voto, sottolineano proprio l’importanza cruciale di queste elezioni per il futuro della Turchia stessa. Le elezioni hanno registrato la netta vittoria del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) di Recep Tayyp Erdoğan, che ha raggiunto il 49,46% dei voti, corrispondenti a 315 seggi su 550, incrementando di quasi 10 punti percentuali il proprio risultato rispetto a quello di giugno; un recupero che in termini assoluti significa quasi 5 milioni in più di voti. La seconda forza del Paese si è riconfermata il Partito Popolare Repubblicano (CHP), partito kemalista laico, che ha raggiunto il 25,4% dei voti, pari a 134 seggi, ricalcando sostanzialmente il risultato di giugno. Per quanto riguarda invece le altre due forze entrate in Parlamento, il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) e il Partito Democratico del Popolo (HDP), si sono registrati in entrambi i casi risultati in calo rispetto a quelli ottenuti in giugno. Il primo, l’MHP, si è fermato al 12%, guadagnando così 41 seggi e perdendo circa 2 milioni di voti rispetto al risultato delle precedenti elezioni. L’HDP, invece, il partito filo-curdo guidato da Selahattin Demirtaş, si è fermato al 10,4%, perdendo dunque quasi il 3% dei voti rispetto alle elezioni di giugno (in valore assoluto circa 1 milione di voti) superando quindi soltanto in extremis la soglia di sbarramento del 10% prevista dalla legge turca per entrare in Parlamento. I voti persi dall’HDP e dall’MHP sono confluiti nel bacino elettorale dell’AKP permettendo così al partito di Erdoğan di raggiungere 3
la maggioranza assoluta e segnando, di conseguenza, la vittoria della strategia messa in campo dal Presidente nei 5 mesi che hanno separato queste elezioni da quelle estive. Sebbene siano stati paventati brogli elettorali, ciò che queste elezioni sembrano aver comunque sottolineato è la richiesta da parte del popolo turco di sicurezza, stabilità e concreta capacità di formare un governo in tempi rapidi; a tale richiesta è sembrato poter rispondere soltanto l’AKP. Gli stessi mercati sembrano aver inteso la vittoria del partito di Erdoğan come importate fattore di stabilità: non a caso subito dopo la vittoria dell’AKP la lira turca ha subito un forte rialzo.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEL VOTO - FONTE: HÜRRIYET DAILY NEWS
DISTRIBUZIONE DEL VOTO IN PARLAMENTO - FONTE: WIKIMEDIA COMMONS TÜRKIYE
Erdoğan ha dunque annunciato di voler spingere l’acceleratore proprio sulla riforma costituzionale che nell’impostazione data dal Presidente mirerebbe a trasformare la Repubblica parlamentare turca in un sistema presidenzialista forte. A tal
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riguardo, Haydarali Yildiz, dirigente dell’AKP, ha parlato di un “modello presidenzialista turco” che non prenderà spunto dai sistemi presidenziali di altri Paesi, ma che sarà un sistema disegnato su misura per la Turchia. La questione della riforma costituzionale è altra cosa rispetto alla vittoria ottenuta dall’AKP: sebbene quest’ultimo abbia infatti ottenuto ben 40 seggi più del necessario per dirigere il Paese con un governo monocolore, non è invece riuscito a raggiungere la maggioranza necessaria per poter procedere ad una modifica della Costituzione. Il sistema turco prevede infatti due diverse ipotesi per poter procedere a tale modifica: la riforma costituzionale può essere votata a maggioranza dei 2/3 del Parlamento o essa può essere votata da almeno 330 parlamentari per poi essere sottoposta a referendum popolare. Lontano l’obiettivo dei 2/3, sembra invece più realistico quello del referendum popolare per raggiungere il quale a Erdoğan occorrerebbero soltanto 15 voti. In questo senso l’AKP potrebbe essere spinto ad un’alleanza politica con gli ultranazionalisti dell’MHP. Il Presidente dell’HDP, Demirtaş, ha ribadito la contrarietà del suo Partito a qualsiasi riforma in senso presidenzialista della Costituzione e dell’assetto politico turco. Demirtaş riconosce la necessità per la Turchia di modificare la propria Costituzione ma ripudia l’idea di farlo in senso presidenzialista così come, invece, voluto da Erdoğan. Secondo il leader dell’HDP, infatti, la riforma costituzionale dovrebbe incentrarsi in particolare sulla questione dei diritti umani e delle libertà fondamentali; un discorso, quello dei diritti umani, che non sembra del tutto infondato soprattutto considerando, ad esempio, i provvedimenti presi durante la campagna elettorale contro due giornali e due canali televisivi antagonisti di Erdoğan.
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BREVI CINA-GIAPPONE-COREA DEL SUD, 2 NOVEMBRE ↴ Dopo
una
sospensione
di
tre
anni
del
dialogo
informale, si è tenuto a Seul il Vertice trilaterale CinaGiappone-Corea del Sud. Il summit è stato di grande importanza
e ha
trattato
questioni
di
rilevanza
regionale come il mantenimento della pace e della stabilità nell’area e lo sviluppo economico e sociale asiatico. A rappresentare la Cina c’era il Premier Li Keqiang, il quale ha dato principalmente il suo contributo in ambito economico, garantendo alla Corea del Sud la possibilità di esportare più facilmente alcuni dei suoi piatti tradizionali in Cina, in virtù dell’accordo bilaterale di libero scambio firmato agli inizi del 2015. Tra i progetti cinesi, inoltre, c’è l’intenzione di collegare le proprie strategie di sviluppo “One Belt-One Road”, “Innovazione e imprenditorialità di massa”, “Made in China 2025” con le rispettive coreane “Eurasia Initiative”, “Economia creativa” e “Manufacturing Innovation 3.0”. Su richiesta del Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe, Cina e Giappone si sono incontrati per discutere della delicata situazione delle isole Senkaku/Diaoyu, che sin dal
2012
rappresentano una
materia
controversa
a
causa delle
rispettive
rivendicazioni territoriali. Dal canto suo, Shinzo Abe ha espresso preoccupazione in merito allo sviluppo cinese di giacimenti di gas naturale nel Mar Cinese Orientale.
CINA-TAIWAN, 7 NOVEMBRE ↴ I Presidenti di Cina e Taiwan, Xi Jinping e Ma Ying-jeou, si sono incontrati a Singapore. L’incontro, il primo tra i leader dei due Paesi dal 1949 – quando a seguito della guerra civile Mao Tse-tung proclamò a Pechino la Repubblica Popolare Cinese e Chiang Kai-shek installò sull’isola
il
simbolicamente
governo le
nazionalista
relazioni
bilaterali,
–,
ricuce
sebbene
il
Vertice fosse stato largamente annunciato dall’approfondimento del dialogo reciproco negli ultimi anni. Il riavvicinamento diplomatico tra Pechino e Taipei si è infatti intensificato dal 2008 con l’elezione dello stesso leader del Kuomintang (KMT) Ma Ying-jeou – il quale, accettando implicitamente il cosiddetto “Consenso del 1992”, che riconosceva l’esistenza di una sola Cina, ha favorito il dialogo tra le parti – e si è sviluppato in particolare intorno al settore economico, commerciale e culturale. Nonostante i due Presidenti abbiano asserito che «nessuna forza può separare» i due Paesi, il prosieguo del dialogo non sembra privo di difficoltà. La maggior parte 6
dell’opinione pubblica taiwanese, scesa in piazza nelle ultime ore, resta difatti fortemente contraria alla politica governativa e un’eventuale vittoria della principale formazione di opposizione, il Partito Progressista Democratico (DPP), alle elezioni presidenziali in programma il 16 gennaio del 2016 potrebbe compromettere la normalizzazione dei rapporti.
EGITTO, 1° NOVEMBRE ↴ Non accennano a placarsi le tensioni e le fughe di notizie intorno al presunto abbattimento nel Sinai centrale
dell’Airbus
321
della
compagnia
russa
Metrojet da parte della branca locale egiziana dello Stato Islamico (IS), il Wilayat Sinai (WS). Al momento non si registrano certezze al di là della morte dei 224 passeggeri (la quasi totalità russi, eccezion fatta per poche decine di ucraini) e dell’apertura di un’inchiesta congiunta da parte delle autorità russe ed egiziane. Senza tralasciare nessuna ipotesi, dall’incidente meccanico all’esplosione di una bomba a bordo, passando per il lancio di un missile, le indagini degli investigatori sembrerebbero vertere sull’azione di terrorismo, forti anche della convizione emersa dalle prime analisi su corpi e relitti del velivolo che la causa dell’atto sarebbe da accreditare all’esistenza di «un fattore esterno». Al di là di ipotesi finora avanzate, le uniche rivendicazioni certe sono quelle di WS e di IS, i quali in differenti videomessaggi hanno rivendicato la paternità del presunto attentato, motivando l’azione come un effetto dell’intervento russo nel teatro siriano. Nonostante le rivendicazioni, gli esperti non ritengono questi messaggi del tutto attendibili, ritenendoli invece più inclini ad atti di propaganda interna ed esterna, volta a legittimare l’azione e a cavalcare
l’onda
emotiva
dell’evento.
Tuttavia
alcuni
leader
internazionali
sembrerebbero appoggiare l’ipotesi terroristica: sia Barack Obama, sia David Cameron (impegnato dal 4-6 novembre in un importante bilaterale con il Presidente Abdel Fattah al-Sisi, volto a rafforzare la cooperazione economica tra i due Paesi) hanno optato pubblicamente per tale ipotesi, generando una nervosa reazione da parte di Mosca e del Cairo, le quali hanno chiesto a Washington e a Londra una maggiore collaborazione nelle indagini. In attesa di evoluzioni dell’inchiesta, nel nord della Penisola del Sinai, ad al-Arish per la precisione, il WS ha attaccato e rivendicato un attacco contro un posto di blocco militare nel quale hanno perso la vita 6 persone e altre 10 sono rimaste ferite. L’ennesimo attentato contro le autorità civili e militari egiziane nel Sinai rappresenta un nuovo duro colpo nei confronti delle stesse che sono impegnate fin dall’insorgere delle Primavere Arabe del 2011 in azioni di counterterrorism e di messa in sicurezza della regione.
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NATO, 4 NOVEMBRE ↴ Ha avuto luogo a Bucarest, capitale della Romania, un mini Vertice della NATO, presieduto dal vice Presidente dell’organizzazione
del
Patto
Atlantico
Alexander
Vershbow, a cui hanno partecipato i Capi di Stato di nove Paesi dell’Europa centro-orientale: Klaus Iohannis (Romania),
Andrzej
Duda
(Polonia),
János
Áder
(Ungheria),
Andrej
Kiska
(Slovacchia), Rosen Plevneliev (Bulgaria), Toomas Hendrik Ilves (Finlandia), Raimond Vejonis (Lettonia), Dalia Grybauskaité (Lituania), Jan Hamáček (Repubblica Ceca, Presidente della Camera). Il Vertice, fortemente voluto dai Iohannis e Duda, è servito soprattutto per delineare una strategia comune dei Paesi del fronte orientale, in vista del vertice NATO del 2016, che si svolgerà a Varsavia. I nove Stati dell’ex orbita sovietica, preoccupati dalla ritrovata aggressività della Russia di Vladimir Putin, hanno chiesto una maggior cooperazione sia in ambito NATO che in ambito Unione Europea e hanno reclamato la necessità di una presenza militare «robusta, credibile e sostenibile» nell’area dal Mar Nero al Mar Baltico. La Germania, attenta anche ai risvolti commerciali, ha sempre frenato su questa proposta, sostenendo che una scelta del genere non rispetterebbe gli accordi con la Russia, ed in questa valutazione ha ricevuto l’appoggio di molte forze politiche trasversali dei vari Paesi, tra cui quello del Presidente ceco Zeman. Intanto la NATO ha trovato un escamotage per far sentire la sua voce ad est: è stata approvata la realizzazione di otto piccole basi nella regione, tutte dotate di depositi di armi e munizioni, che nel 2016 potrebbero vedere lo stanziamento di una forza multinazionale di 5.000 militari, con l’appoggio di aerei e navi, sotto il comando spagnolo. Tale forza costituirebbe, in caso di necessità, la punta di lancia di una forza di reazione ancora più rapida che potrebbe raggiungere le 40mila unità.
TUNISIA, 1-4 NOVEMBRE ↴ Da settimane continuano i contrasti interni al partito di maggioranza tunisino, di matrice laico-conservatrice, Nidàa Tounes, che vedono contrapposte, da una parte, la fazione che sostiene il Segretario Generale Mohsen Marzouk e, dell’altra, i sostenitori di Hafedh Caid Essebsi, figlio dell’attuale Presidente della Repubblica e fondatore del partito, Beij Caid Essebsi. Le tensioni sono sfociate il 1° novembre scorso in una rissa tra le opposte fazioni durante la riunione di partito tenutasi ad Hammamet. I deputati delle opposte fazioni hanno declinato l’invito del Presidente della Repubblica, Beij Caid Essebsi, per un colloquio chiarificatore nella sede della presidenza sulla crisi interna alla formazione politica. Il 4 novembre, trenta dissidenti fedeli a Mohsen Marzouk hanno lanciato un ultimatum, minacciando di formare un nuovo gruppo parlamentare 8
(che modificherà
l’assetto dell’Assemblea
dei
Rappresentanti
del
Popolo, il
Parlamento unicamerale tunisino e l’esecutivo guidato dal Premier Habib Essid) nel caso in cui le loro richieste non venissero accolte entro martedì 10 novembre. Tuttavia, Marzouk ha già annunciato la propria intenzione di non lasciare il partito e di dare vita ad un altro movimento. Per il momento, i deputati dissidenti hanno deciso di sospendersi temporaneamente dal partito, che avrebbe dovuto tenere un Congresso costituente il 19 e il 20 dicembre, ma a causa di queste divisioni l’appuntamento è stato prima rimandato e poi annullato. Il Primo Ministro tunisino Habib Essid ha dichiarato che la situazione del partito Nidàa Tounes è tesa. Tale crisi interna infatti potrebbe portare alle elezioni anticipate, durante le quali si assisterebbe ad una più ampia partecipazione di Ennahda, il movimento islamista guidato da Rachid Ghannouchi.
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ALTRE DAL MONDO AZERBAIJAN, 1° NOVEMBRE ↴ Nuovo Azerbaijan (YA), il partito del Presidente Ilham Aliyev, ha vinto le elezioni parlamentari guadagnando 70 seggi sui 125 disponibili. Il resto dei seggi è stato spartito tra tredici micro-partiti (molti di recente formazione), dichiaratisi apertamente vicini a YA e allo stesso Aliyev. Tale risultato è stato possibile anche a causa del boicottaggio del voto da parte di tutte le principali forze d’opposizione – riunitesi nel gruppo “Consiglio Nazionale delle Forze Democratiche” – in segno di protesta contro il clima intimidatorio e le più volte denunciate misure anti-democratiche promosse dal Presidente durante le settimane antecedenti il voto. Anche l’OSCE, tradizionale osservatore dei processi elettorali in Azerbaijan, ha rinunciato alla missione di monitoraggio a causa delle restrizioni impostele: il numero degli osservatori ammessi ad entrare nel Paese non sarebbe riuscito a svolgere adeguatamente il proprio compito.
BOSNIA ERZEGOVINA-SERBIA, 4 NOVEMBRE ↴ Si è svolta a Sarajevo la seduta congiunta tra i governi di Bosnia e Serbia, la prima dalla conclusione del conflitto nel 1995. Uniti nell’intento di rafforzare le relazioni bilaterali, di contribuire alla stabilizzazione dei Balcani (anche in relazione alla questione immigrazione) e di puntare all’ingresso nell’Unione Europea, i Primi Ministri Aleksandar Vučić e Denis Zvizdić hanno siglato alcuni accordi di cooperazione, relativi in particolare alle ricerche dei dispersi durante in conflitto, allo sviluppo delle telecomunicazioni, alla tutela ambientale, alla Difesa e all’ammodernamento dei collegamenti infrastrutturali.
COLOMBIA, 4 NOVEMBRE ↴ Il governo colombiano e le FARC hanno ripreso i colloqui di pace per raggiungere la tregua bilaterale e porre fine ad oltre cinquant’anni di conflitti. Negli incontri che il Presidente Juan Manuel Santos ed il leader delle FARC Timoleon “Timochenko” Jimenez hanno avuto nei mesi precedenti è stato definito il 23 marzo come termine ultimo per arrivare ad un accordo definitivo di pace. Durante questa nuova tornata di incontri, che proseguirà fino al 13 novembre, si discuterà anche di come dovrà avvenire tecnicamente la smobilitazione delle FARC e del reinserimento nella vita civile degli ex-guerriglieri.
INDIA-PAKISTAN, 2 NOVEMBRE ↴ Alcune truppe pachistane hanno aperto il fuoco contro una trentina di avamposti indiani e villaggi al confine internazionale con il Jammu e il distretto di Samba e Kathua 10
nel Kashmir, ferendo quattro civili. La Border Security Force ha risposto agli attacchi innescando un conflitto a fuoco durato tutta la notte. Nonostante la creazione di una hot line in caso di emergenze, la situazione sembra gradualmente peggiorata, tanto che molti civili emigrano in altre zone del Paese.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 1° NOVEMBRE ↴ Continuano gli scontri tra gruppi cristiani e musulmani a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Uomini musulmani armati hanno attaccato i quartieri nella capitale di Fatima e Kin, a maggioranza cristiana. Almeno dodici persone hanno perso la vita e molte hanno lasciato le loro abitazioni. Le violenze sarebbero state innescate dall’assassinio di due membri di una delegazione di miliziani dell’ex coalizione ribelle Séléka, avvenuto il 29 ottobre. L’attuale Presidente centrafricano, Catherine Samba Panza, ha affermato che nella capitale sono state uccise almeno 90 persone dalla fine di settembre. Nonostante l’intensificarsi delle violenze, Papa Francesco non sembra intenzionato ad annullare la visita apostolica nel Paese africano prevista per fine novembre.
ROMANIA, 4 NOVEMBRE ↴ A seguito dell’incendio divampato all’interno del “Club Colectiv” di Bucarest, che ha provocato la morte di 32 persone e il ferimento di altre 180, il Primo Ministro socialdemocratico Victor Ponta, in carica dal 2012, ha rassegnato le proprie dimissioni. Quello del “Club Colectiv” – discoteca munita di licenza ma priva di adeguate norme di sicurezza – rappresenta l’ennesimo episodio di malcostume della pubblica amministrazione che, sommato all’alto livello di corruzione della classe politica (9.111 casi solo nel 2014, secondo la Direzione Nazionale Antimafia), ha portato decine di migliaia di cittadini romeni a scendere in piazza nella capitale e a protestare per più notti consecutive. Lo stesso Ponta risulta attualmente indagato con le accuse di evasione, riciclaggio e falso in scrittura privata, riguardo a fatti risalenti al 2007-2008, quando non ricopriva alcuna carica pubblica. Il Presidente Klaus Iohannis, esponente del Partito Nazionale Liberale e diretto avversario di Ponta durante le ultime elezioni presidenziali, ha avviato le consultazioni per costituire un governo tecnico di unità nazionale.
SUDAN-ARABIA SAUDITA, 3 NOVEMBRE ↴ Il Presidente sudanese Omar al-Bashir si è recato in Arabia Saudita per una visita di Stato, durante la quale ha incontrato il Re Salman bin Abdulaziz al-Saud. Al termine dei colloqui sono stati siglati alcuni accordi relativi a quattro aree specifiche: agricoltura, elettricità, acque potabili e dighe. Di particolare importanza l’accordo relativo alla costruzione di tre dighe sudanesi, per le quali il Re saudita ha deciso di investire 1,7 miliardi di dollari.
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UCRAINA, 7 NOVEMBRE ↴ Nonostante le forze armate ucraine e i separatisti dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk abbiano annunciato il ritiro completo degli armamenti leggeri dalla linea di contatto, secondo l’Anti-Terrorist Operation (ATO) si sono registrati almeno 13 episodi di scontro in prossimità delle postazioni dell’esercito di Kiev. Il Presidente Petro Poroshenko ha nel frattempo firmato il disegno di legge approvato dalla Rada lo scorso 6 ottobre che consente ai soldati stranieri di prestare servizio come “private soldiers” o “non-commissioned officers” delle Forze Armate ucraine.
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ANALISI E COMMENTI CORRUZIONE E CRISI ECONOMICA: LA NUOVA SINTESI DEL SOGNO BRASILIANO
FRANCESCO TRUPIA ↴ In America Latina le prolungate crisi economiche hanno storicamente anticipato il fallimento di governi, esperimenti politici e interi regimi nazionali. Come dimostrato anche da Transparency International, che classifica i Paesi della regione latino-americana tra i più corrotti tra i 175 monitorati su scala globale, l’endemico fattore della corruzione del sistema brasiliano continua a influire sull’intero settore pubblico e privato del Paese. In tal caso, appare evidente che lo scandalo legato al falso in bilancio attualmente sottoposto al vaglio della Corte dei Conti di Brasilia rappresenti una conferma di ciò che l’istituto tedesco denuncia da anni. Le maggiori accuse della Corte dei Corti brasiliana contro l’attuale governo centrale e la stessa Presidente Dilma Rousseff, sono quelle di aver alterato i conti del bilancio statale 2014 attraverso una lunga serie di atti illegali (…) SEGUE >>>
L’EVOLUZIONE DELLA MINACCIA TERRORISTICA NEL SINAI GIUSEPPE DENTICE ↴ Il prossimo 10 novembre il gruppo terroristico noto come Wilayat Sinai (WS, Provincia islamica del Sinai), la branca locale dello Stato Islamico, compirà un anno di attività. Dodici mesi nei quali il gruppo islamista ha definito nuovi livelli di intervento armato nell’intero Paese e, allo stesso tempo, ha messo a nudo le debolezze delle strutture di contro-terrorismo dell’intelligence egiziana. Un anniversario, dunque, importante e non scevro di nuovi interrogativi circa le reali capacità operative di destabilizzazione del gruppo e le sfide future in termini politici e di sicurezza per l’Egitto e il suo vicinato. Il Wilayat Sinai è nato e si è sviluppato sulle fondamenta di una precedente organizzazione terroristica nota come Ansar Bayt al-Maqdis (ABM, altresì nota come Paladini di Gerusalemme) (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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