N째2, 10-16 GENNAIO 2016 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 17 gennaio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo Credits: AFP; Getty Images; Reuters/Parwiz; Reuters; AFP Photo/Bülent Kiliç.
FOCUS SIRIA-IRAQ ↴
In prossimità dei colloqui di pace patrocinati dalle Nazioni Unite e previsti a Ginevra per il 25 gennaio, l’esercito siriano ha amplificato le azioni militari nel nordovest della Siria. Sulla scia dei pesanti bombardamenti dell’aviazione russa, il 12 gennaio le truppe del Presidente Bashar al-Assad hanno conquistato il villaggio di Salma, da oltre tre anni in controllo delle opposizioni e situato sulle alture del Jabal al-Akrad che guardano verso la zona costiera di Latakia, ossia il cuore del regime alawita. La presa di Salma (e la conseguente caduta dei vicini villaggi di Mrouniyat e Marj Kawkah) rappresenta perciò un successo di fondamentale importanza per il governo di Damasco, che in vista del confronto negoziale può capitalizzare il rafforzamento nel governatorato di Latakia. Le forze governative stanno portando avanti una seconda offensiva a sud-ovest di Aleppo tra Khan al-Asal e Bab al-Hawa con lo scopo di isolare le brigate ribelli nella provincia di Idlib (in particolare, i gruppi islamisti Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham) dal confine turco. Il Cremlino ha diffuso un documento che dettaglia l’accordo stipulato lo scorso 26 agosto con la dirigenza siriana. Il contratto bilaterale concede a Mosca “per un periodo illimitato” piena discrezionalità per il dispiegamento di personale militare nel Paese, senza controllo preventivo da parte delle autorità di Damasco. Del resto i successi conseguiti dall’esercito lealista non sarebbero stati possibili senza il sostegno crescente dei raid russi, tuttavia aspramente criticati dalla comunità internazionale per l’indiscriminato ed elevato numero di morti civili. Fonti locali attestano che l’attacco portato il 9 gennaio contro una prigione in possesso di Jabhat al-Nusra a Ma’aret al-Nouman ha provocato la morte di ottantuno persone, tra le quali almeno 1
ventidue non combattenti. L’11 gennaio i caccia russi avrebbero inoltre colpito tre scuole ad Anjara, uccidendo trentacinque civili (tra cui diciassette bambini). Il Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha richiesto a Mosca e Damasco la cessazione degli “inammissibili” bombardamenti contro obiettivi civili. Il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha parimenti richiamato le parti belligeranti, in particolare il governo presieduto da Bashar al-Assad, al rispetto del diritto umanitario alla luce degli “atti atroci” e degli “abusi inconcepibili” commessi contro la popolazione civile, ostaggio di un conflitto che nel prossimo marzo toccherà il suo quinto anno. Lunedì 11 gennaio i convogli delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali umanitarie sono entrati a Madaya, da sei mesi sotto assedio delle truppe governative e dei miliziani di Hezbollah; al tempo stesso, gli aiuti hanno raggiunto i villaggi di Foah e Kefraya, circondati dalle formazioni ribelli. L’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite Bashar al-Ja’afari ha respinto l’accusa di affamare la popolazione civile rivolta contro Damasco e negato la veridicità delle immagini che denunciano le gravissime condizioni in cui versano le comunità imprigionate nelle linee di combattimento. Tuttavia, gli operatori umanitari accorsi a Madaya hanno riscontrato casi di estrema malnutrizione e lanciato un appello per l’evacuazione di almeno quattrocento abitanti che necessitano un immediato trattamento sanitario. Francia e Regno Unito hanno convocato il 15 gennaio una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza ONU, disertata dai diplomatici russi che hanno addebitato alle potenze occidentali la politicizzazione della crisi umanitaria in virtù dell’attenzione diseguale rivolta verso le aree in cui operano le opposizioni. Nella stessa giornata il Generale Sergei Rudskoy ha annunciato che le Forze Armate russe stanno provvedendo alla distribuzione di generi di prima necessità nel distretto di Deir ez-Zor. I principali gruppi di opposizione, tra cui il Jaish al-Islam di matrice islamista, hanno minacciato di non presentarsi all’appuntamento di Ginevra qualora le misure umanitarie previste dalla risoluzione ONU approvata il 18 dicembre (concernenti l’interruzione delle ostilità contro i civili e l’apertura di canali per assistere le comunità colpite) non saranno attivate tempestivamente. Inoltre, la sospensione dei bombardamenti aerei russi è stata segnalata quale precondizione per l’avvio di una trattativa negoziale con il regime. Riyad Farid Hijab, coordinatore delle opposizioni all’interno del processo negoziale che negli auspici dell’ONU dovrà guidare la transizione siriana, ha anch’egli messo in dubbio la partecipazione ai colloqui di Ginevra, lamentando l’apparente “retromarcia” degli Stati Uniti rispetto all’allontanamento di al-Assad e dei suoi più vicini collaboratori. A questo riguardo il Presidente francese François Hollande ha tuttavia rassicurato Hijab, promettendo che al-Assad «non avrà alcun ruolo nella Siria del domani». Intanto, non si è fatta attendere la risposta all’attentato di piazza Sultanahmet del 12 gennaio. La Turchia ha infatti lanciato una vasta rappresaglia contro le posizioni dello Stato Islamico (IS) lungo la frontiera siriana e nell’Iraq settentrionale. Giovedì 14 il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha reso noto che nel corso di due giorni sono stati eliminati circa duecento miliziani jihadisti e precisato che la 2
flotta aerea non ha preso parte all’operazione a causa dell’ostruzionismo russo. Tuttavia, Davutoğlu ha aggiunto che la Turchia non rinuncerà ai propri caccia da combattimento per difendere i confini meridionali dalle infiltrazioni dei guerriglieri del Califfato. Secondo indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, il Pentagono starebbe valutando la possibilità di addestrare ed equipaggiare dei gruppi arabi separatamente dalle forze curde al fine di venire incontro alle priorità strategiche dell’alleato turco, che osteggia l’espansione curda nel nord della Siria e il possibile congiungimento dei cantoni di Afrin e Kobane. A oggi gli Stati Uniti appoggiano una coalizione (le “Forze democratiche di Siria”) in cui sono confluite alcune fazioni dell’Esercito libero siriano ed i miliziani curdi delle Unità di Protezione Popolare (YPG), allineati quest’ultimi con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e dunque avversati da Ankara, che teme la saldatura dell’instabilità nelle regioni meridionali con l’evoluzione della crisi siriana.
LA SPINTA DELLO STATO ISLAMICO VERSO LA TURCHIA – FONTE: THE WASHINGTON INSTITUTE FOR THE NEAR EAST POLICY
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In visita a Fort Campbell, davanti ai circa 1.300 militari della 101ª Divisione aviotrasportata che in primavera raggiungeranno l’Iraq per assistere le forze di sicurezza irachene e i Peshmerga curdi nella preparazione dell’offensiva su Mosul, il Segretario della Difesa Ashton Carter ha richiamato l’attenzione sul ruolo delicato svolto dai reparti speciali statunitensi nello scenario siro-iracheno. Secondo il vertice del Pentagono diverse dozzine di commando stanno conducendo operazioni d’intelligence e di sostegno operativo alle forze locali che si frappongono al Califfato, come pure azioni di combattimento. Tra gli alleati di Washington nella campagna contro l’IS, il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha annunciato che la prossima settimana le controparti statunitensi, britanniche e tedesche s’incontreranno a Parigi per concertare e perfezionare la strategia contro i seguaci del “Califfo” al-Baghdadi. Le Drian ha aggiunto che, perduta Ramadi, i combattenti dell’IS stanno ormai arretrando sui vari fronti iracheni. Contro l’ottimismo di Le Drian, nell’ultima settimana l’IS ha scatenato una serie di gravi attacchi dinamitardi in tutto il Paese. Le uniformi nere hanno assestato colpi pesanti in prossimità della diga di Haditha, nel quartiere sciita di al-Jadidah e nell’area di Nahrawan a Baghdad, nel villaggio di Tal Kusaiba vicino Tikrit e a Muqdadiyah, dove l’esplosione di due ordigni ha provocato almeno quarantasei morti e sollevato la violenta ritorsione dei gruppi paramilitari sciiti contro moschee, negozi e abitazioni sunnite. Se l’IS fa dunque leva sulle accese rivalità settarie che infiammano l’Iraq, nondimeno le diatribe fiscali sui proventi petroliferi tra il governo centrale e le autorità regionali compromettono la solidità dell’ordine federale. Stante il braccio di ferro con il governo regionale del Kurdistan e il forte passivo di bilancio, anche la dirigenza sciita della provincia meridionale di Basra reclama una quota maggiore nella redistribuzione della rendita energetica. Peraltro, il decentramento dell’esercito regolare nelle zone sotto pressione jihadista ha contribuito all’esplosione della criminalità e della violenza tribale nella provincia - un ulteriore elemento di instabilità che si aggiunge alla competizione tra le milizie sciite e le istituzioni di Baghdad per il controllo di Basra. L’IS colpisce con veemenza anche in Siria. Il 16 gennaio i guerriglieri jihadisti hanno attaccato la città orientale di Deir ez-Zor, conquistandone il quartiere di Baghaliyeh e le adiacenti aree residenziali. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani nell’incursione hanno perso la vita cinquanta soldati dell’esercito lealista e ottantacinque civili. L’agenzia di stampa governativa SANA porta a trecento le vittime civili e racconta di un vero e proprio “massacro”, aggravato dal sequestro di almeno quattrocento persone. Stando alle fonti locali, l’IS tiene sotto scacco il 60% della città.
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TERRORISMO ↴
Confermando la tendenza delineatasi al termine del 2015, e coerentemente con le nuove strategie dello Stato Islamico (IS) messo in difficoltà dalla perdita significativa di territori tra Siria e, soprattutto, Iraq, l’ultima settimana ha confermato l’aumento della minaccia terroristica a livello globale. Resta allo stesso tempo vero che gli attentati terroristici che hanno colpito diversi Paesi (Egitto, Turchia, Indonesia e Burkina Faso), seppure vadano inscritti in uno scenario internazionale e seppure abbiano come comune denominatore il target (il turismo), trovano per lo più motivazioni in contesti locali. EGITTO, 10 GENNAIO ↴ È di tre feriti, due austriaci e uno svedese, il bilancio di un tentativo di attacco all’hotel Bella Vista di Hurghada, capitale del governatorato del Mar Rosso e importante meta turistica dello stesso. I due assalitori (tre secondo alcuni testimoni), che avrebbero fatto irruzione nel resort con alcune armi da taglio e presumibilmente con alcune armi da fuoco, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Nonostante le autorità locali abbiano cercato di sminuire l’episodio, classificandolo come un possibile tentativo di rapina, non è escluso che vi possano essere collegamenti con le branche egiziane dell’IS. L’atto non è stato infatti rivendicato da alcuna sigla, sebbene nell’ultimo biennio il Paese sia diventato territorio fertile per azioni condotte da gruppi jihadisti non più esclusivamente localizzati nella Penisola del Sinai, come, da ultimo, dimostra l’attacco nei pressi di Giza contro l’autobus di turisti israeliani (8 gennaio) rivendicato da Wilayat Ard al-Kinana (Provincia Islamica dell’Egitto).
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TURCHIA, 12 GENNAIO ↴ Un attentato kamikaze in Piazza Sultanhamet,
nell’omonimo
quartiere turistico del distretto di Fathi di Istanbul, ha provocato la morte di almeno 10 turisti – la maggioranza dei quali di nazionalità tedesca – e il ferimento di altre 15, di cui alcuni in gravi condizioni. L’attentatore, identificato come Nabil Fadli, un giovane siriano di origini saudite, avrebbe azionato il congegno esplosivo in una delle aree a maggiore densità di visitatori del polo turistico turco (nelle vicinanze dell’Obelisco di Teodosio, a pochi passi dalla Moschea Blu e dal Museo di Hagia Sofia) presumibilmente prima di un controllo dei documenti e di una perquisizione da parte delle forze di sicurezza. Nonostante l’agenzia di stampa turca Anadolu e il quotidiano egiziano Al Youm7 riportino la rivendicazione di un branca locale dell’IS (“Provincia di Istanbul”) come rappresaglia all’iniziativa turca contro il Califfato in Siria e Iraq, e nonostante siano in corso delle indagini volte ad accertare i collegamenti tra Fadli e la stessa organizzazione di al-Baghdadi, non è ancora chiara la paternità dell’attentato – il secondo ad Istanbul condotto nell’area in questione dopo quello di una donna kamikaze fattasi esplodere in un commissariato di polizia della zona il 6 gennaio 2015 (in quel caso la rivendicazione provenne dal Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo, DHKP-C). Gruppi della sinistra radicale di ispirazione marxista-leninista, altri gruppi o individui islamisti, così come militanti del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) – questi ultimi in particolare attivi nei territori sud-orientali del Paese –, si sono infatti resi responsabili di attacchi in passato. Nelle ventiquattro ore successive all’attentato le forze di sicurezza del Bureau di Intelligence di Ankara hanno effettuato operazioni di anti-terrorismo in tutto il Paese (nella stessa capitale, ad İzmir, ad Antalya, a Kilis, a Şanlıurfa, a Mersin e ad Adana), portando all’arresto di 68 uomini (di cui 3 di nazionalità russa) sospettati di essere membri dell’IS. Al tempo stesso il governo di Ankara ha intensificato i bombardamenti contro almeno 500 postazioni dell’IS tra Siria e Iraq, uccidendo, secondo quanto dichiarato dal Primo Ministro Ahmet Davutoğlu, almeno 200 jihadisti. L’attentato, che potrebbe verisimilmente condurre la Turchia a rafforzare i legami con gli Stati Uniti e ad assumere un maggior impegno nel contesto siriano nel contrasto allo Stato Islamico, finora ritenuto da molti ambiguo ma indubbiamente coerente con la strategia volta a neutralizzare le rivendicazioni curde e a contrastarne la convergenza politica sul piano nazionale e regionale, rischia di minare ulteriormente la sicurezza turca e di aprire una nuova stagione di scontro/instabilità politica (anche, ma non solo, sul tema del processo di pace con il PKK) parzialmente conclusa dopo l’affermazione di AKP nel voto del 1° novembre. 6
INDONESIA, 14 GENNAIO ↴ Una serie di esplosioni (almeno sei), avvenute nel quartiere commerciale e finanziario di Jakarta, nei pressi della centralissima Thamrin Street, hanno provocato la morte di 2 persone (un agente di polizia e un uomo canadese) e il ferimento di altre 17.
L’attacco, condotto da un commando di almeno 5 uomini (3 dei quali uccisi dalle forze di sicurezza indonesiane nel corso di una sparatoria, gli altri 2 fattisi esplodere di fronte ad un posto di blocco della polizia vicino al centro commerciale Sarinah), è stato ufficialmente rivendicato dalla branca indonesiana dell’IS. Sebbene l’Indonesia – il più popoloso Paese a maggioranza musulmana –, sia finora rimasto ai margini delle strategie del Califfato, si stima che tra i 500 e i 700 cittadini indonesiani abbiano aderito alla causa di al-Baghdadi in Siria (in particolare membri di Jemaah Islamiyah, JI) e che la stessa organizzazione stia lentamente permeando in un contesto nazionale dove erano già presenti realtà radicali e jihadiste – autrici nell’ultimo decennio di una serie di attentati tra Bali e Jakarta – progressivamente allontanatesi da alQaeda per ri-orientarsi, appunto, verso l’IS. È il caso in particolare dei Mujahideen Indonesia Timor (MIT), la principale organizzazione terroristica indonesiana guidata da Santoso, il quale lo scorso anno ha giurato fedeltà al Califfato come Abu Bakar Bashir, considerato la mente di JI. Sebbene la penetrazione di IS in Indonesia sembri ancora piuttosto embrionale, il timore delle autorità di Jakarta è quello che i possibili jihadisti di ritorno possano rinvigorire le azioni dei gruppi indonesiani, ancora ancorati ad un’agenda locale piuttosto che a una strategia di terrorismo globale, con tuttavia evidenti ricadute sulla galassia di fazioni jihadiste che, dalle Filippine alla Malesia, interessano tutto il Sud-est asiatico. BURKINA FASO, 15-16 GENNAIO ↴ È di almeno 29 morti e oltre 30 feriti il bilancio di un attentato terroristico contro l’Hotel Splendid di Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso. Un commando armato, formato da almeno 15 uomini (alcuni dei quali neutralizzati dalle forze di sicurezza), avrebbe attaccato anche l’adiacente Cafè Cappuccino, dove ci sarebbero state altre 7
vittime. L’attacco, condotto da membri del battaglione al-Mourabitoun, è stato rivendicato da al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), confermando il trend di penetrazione di quest’ultimo in territori a crescente instabilità politica interna: solo alla fine di dicembre si era infatti insediato il nuovo Presidente della Repubblica dopo il regime di transizione che si era instaurato dopo il golpe che aveva portato nell’ottobre 2014 alla caduta di Blaise Compaorè. Identificando l’attacco come una rappresaglia nei confronti della Francia (che in Burkina Faso mantiene dal 2014 la regia di Operation Barkhane, dispositivo di anti-terrorismo nel Sahel), AQIM, in continuità con l’azione in Mali, punta non di meno a rafforzarsi come branca di al-Qaeda in tutta l’Africa Occidentale, ponendosi in prospettiva in aperta competizione con Boko Haram.
GRUPPI TERRORISTICI IN AFRICA OCCIDENTALE E AREA DI ESTENSIONE (2009-2014) – FONTE: GAO ANALYSIS OF STATE INFORMATION
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BREVI AF-PAK, 13 GENNAIO ↴ I miliziani dello Stato Islamico (IS) in Afghanistan – il Wilayat Khorasan – hanno rivendicato la paternità dell’attacco al Consolato pachistano di Jalalabad, capitale della provincia di Nangarhar, che ha causato la morte di sette persone, tra cui due membri delle forze di sicurezza afghane. L’attacco è avvenuto nella mattinata del 13 gennaio, mentre numerose persone erano in coda all’esterno del Consolato per richiedere i visti di ingresso: prima un kamikaze si è fatto esplodere nei pressi di un veicolo della polizia, poi due uomini armati hanno ingaggiato una battagli con le forze di sicurezza locali. L’attacco dimostra la capacità dei miliziani dell’IS di condurre azioni di tali entità anche in grandi centri urbani e la volontà di togliere ai Talebani il monopolio della forza nel Paese. Intanto, nella stessa giornata, nel vicino Pakistan almeno 14 persone sono morte e altre 10 sono state ferite a seguito dell’esplosione di un’autobomba avvenuta nei pressi di un centro antipoliomelite a Quetta. L’attacco è stato rivendicato sia dai Talebani pachistani, dichiaratosi con un post su Facebook e con un’email inviata ai giornalisti, sia dal gruppo Jundullah, attraverso le parole del
suo portavoce Ahmed
Marwat.
L’autobomba è esplosa all’arrivo di un blindato della polizia che era arrivato al centro anti-polio per fornire la giusta cornice di sicurezza al personale medico intento a vaccinare tutti i bambini al di sotto dei cinque anni. Entrambi gli attentati sono avvenuti in conomitanza con l’inizio dei colloqui per la creazione di una roadmap per la pace in Afghanistan: rappresentanti afghani, pachistani, cinesi e statunitensi hanno iniziato l’11 gennaio a Islamabad una serie di incontri per negoziare la pace con i Talebani. I partecipanti hanno sottolineato la necessità di stabilire dei contatti diretti tra il governo afghano e rappresentanti talebani per cercare di instarurare un processo di pace che «preservi l’unità del’Afghanistan, la sovranità e l’integrità territoriale». Le frizioni all’interno del movimento talebano, diviso dopo la morte del Mullah Omar, non hanno permesso la partecipazione di delegati realmente rappresentativi, rendendo inefficace quanto deciso durante il Vertice.
IRAN, 14-16 GENNAIO ↴ Sono stati tutti liberati i dieci marinai statunitensi, nove uomini e una donna, prelevati dalle autorità marittime dell’Iran e tenuti in custodia su una base dell’isola di Fars,
nel
Golfo
Persico,
dopo
che
con
la
loro
imbarcazione erano entrati nelle acque territorali 9
iraniane. La detenzione è durata solo
un
giorno,
con
la
Marina
statunitense che ha precisato che non ci sono indicazioni sul fatto che siano stati sottoposti a trattamenti vessatori.
Avevano
destato
preoccupazione, infatti, l’annuncio e la pubblicazione di alcune immagini da parte delle autorità iraniane lo scorso
14
gennaio,
che
comunicavano la cattura di alcuni marinai statunitensi, rei di essere entrati nella acque territoriali iraniane: sin dall’inizio, però, le autorità statunitensi avevano dichiarato che i dieci erano entrati nelle acque iraniane involontariamente, mentre dal Kuwait si recavano in Bahrain, a causa di un guasto al sistema di navigazione satellitare, eventualità confermata dalla marina iraniana. La vicenda dei marinai statunitensi sembrava poter compromettere il raggiungimento del tanto atteso Implementation Day, ovvero la definitiva entrata in vigore dell’accordo di Vienna sulle limitazioni al nucleare iraniano e la fine delle sanzioni della comunità internazionale. L’Implementation Day è stato dunque raggiunto il 16 gennaio, con l’annuncio ufficiale dato congiuntamente dal Ministro degli Esteri iraniano Mohammed Javad Zarif e dall’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini. Una diretta conferma è giunta anche da parte del Segretario di Stato statunitense John Kerry e dall’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che già nei giorni precedenti aveva confermato lo spegnimento del reattore di Arak, rafforzando dunque le ipotesi di un pieno rispetto degli accordi internazionali da parte dell’Iran.
ITALIA-LIBIA, 11-13 GENNAIO ↴ Continua ad intensificarsi l’impegno italiano in Libia. La cooperazione italiana ha disposto un pacchetto di interventi umanitari (valore complessivo 1,4 milioni di euro) avente come obiettivo quello di sostenere gli interventi
di
prima
emergenza
realizzati
dagli
organismi internazionali nel Paese (CRI, UNHCR e OIM sono i principali destinatari dei fondi). Contestualmente, l’11 gennaio ha avuto luogo una missione umanitaria in Libia, a guida italiana. Roma ha inviato a Misurata un C130, con a bordo medici e infermieri, per rispondere alla richiesta di soccorso inoltrata ufficialmente dal Premier libico Fayez al-Sarraj circa il trasporto in Italia di alcuni feriti gravi nell’attentato che ha avuto luogo il 7 gennaio a Zliten, nel centro di addestramento della polizia (attualmente i 15 cadetti libici sono ricoverati all’ospedale 10
del Celio). L’operazione di salvataggio arriva in un momento particolarmente delicato della situazione libica, in cui comincia anche a prospettarsi il lancio di un’operazione militare, a guida italiana, sul territorio. La riunione al vertice tenutasi il 12 gennaio a Palazzo Chigi ed avente come unico punto all’ordine del giorno proprio la Libia, sembra supportare l’ipotesi di un intervento volto a supportare la fase più delicata, quella embrionale, del nuovo governo. Che si sia in presenza di un’accelerazione della situazione libica risulta chiaramente anche dalle notizie che giungono da fonti locali circa una serie di voli di ricognizione effettuati, ormai da giorni, da aerei non ancora identificati nei cieli di alcune città libiche in mano alle milizie jihadiste. Nella notte tra il 12 e il 13 gennaio aerei da guerra non identificati hanno, inoltre, bombardato alcune postazioni dello Stato Islamico a Sirte, roccaforte jihadista. Sembra possa essersi trattato di aerei egiziani appoggiati da francesi che avrebbero inviato aerei cisterna per il rifornimento in volo dei caccia egiziani. Nessuna conferma o smentita è al momento giunta da Parigi. STATI UNITI, 13 GENNAIO ↴ Il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto di fronte al Congresso il suo settimo e ultimo discorso sullo Stato dell’Unione. Molti i temi toccati, dalla politica estera all’economia passando per questioni sociali e di politica interna. Obama ha tenuto a sottolineare che l’America oggi non è quel Paese in declino dipinto da molti sia entro i confini nazionali che oltre. È invece un Paese in salute, con un’economia solida e in crescita che, pur mostrando difetti, a partire dall’elevato tasso di disuguaglianza e dalla disparità di retribuzioni tra fasce alta e bassa di lavoratori, ha la capacità di sostenere la potenza statunitense nel mondo. «Non è vero che i nostri nemici stanno diventando più forti», ha sostenuto Obama, «restiamo il Paese più potente al mondo». A ciò si lega il nuovo approccio che, secondo l’attuale Presidente, dovrà tenere il suo successore sullo scenario internazionale negli anni a venire. Un approccio, questo, “più intelligente”, che non privilegi la forza bensì “tutti gli strumenti” a disposizione del Paese. Sul tema IS, Obama ha affermato che non si tratta di una minaccia esistenziale per la sopravvivenza della nazione; tuttavia, al pari di al-Qaeda, costituisce un pericolo che va sconfitto. «No all’odio contro i musulmani», ha voluto sottolineare ribadendo la contrarietà a qualsiasi tensione e violenza scaturite da motivazioni religiose. Il Presidente ha inoltre rivendicato i successi internazionali della sua amministrazione, a partire dal disgelo con Cuba e il riavvicinamento all’Iran. Nessun riferimento nel corso del discorso al sequestro di due navi americane, poi rilasciate, proprio da parte delle forze navali iraniane nel Golfo Persico. Infine, il cambiamento climatico e l’accordo di Parigi hanno avuto spazio nel corso del discorso: Obama ha ripetuto l’assoluta priorità di perseguire politiche green per rendere il mondo più sostenibile per le generazioni future. 11
ALTRE DAL MONDO ALGERIA, 12 GENNAIO ↴ Le forze di sicurezza algerine hanno arrestato sette presunti terroristi di nazionalità libica ad In Amenas, vicino al confine con la Libia. Dal 2011, il Paese è testimone di un costante aumento delle attività terroristiche, a causa dell’infiltrazione dalla Libia di diversi gruppi affiliati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. In seguito poi dei recenti attentati di Parigi e di Tunisi, le autorità algerine hanno aumentato le misure di sicurezza e le operazioni anti-terrorismo.
ARABIA SAUDITA-PAKISTAN, 13 GENNAIO ↴ Dopo la visita di poche settimana fa a Riyadh del Capo di Stato Maggiore della Difesa, Raheel Sharif, è toccata questa volta al Premier Nawaz Sharif andare nella capitale saudita e incontrare direttamente il Re Salman e i due eredi al trono, Mohammad bin Nayef, Ministro degli Interni, e Mohammed bin Salman, Ministro della Difesa. Il bilaterale è stata l’occasione per fare un punto della situazione nel nuovo rapporto tra Islamabad e Riyadh instauratosi a seguito del doppio rifiuto pachistano di far parte, dapprima, della coalizione sunnita anti-Houthi in Yemen e, soprattutto dopo, della coalizione musulmana e sunnita internazionale anti-terrorismo. I timori di Riyadh di un possibile allentamento nella storica alleanza con Islamabad risiedono soprattutto in un possibile avvicinamento di quest’ultima a Teheran. Una situazione, questa, comprovata, nell’ottica saudita, da numerosi episodi, non ultimo la mancata rottura delle relazioni bilaterali tra Pakistan e Iran a seguito dell’uccisione del religioso e dissidente politico sciita, il saudita Nimr Baker al-Nimr.
BOSNIA ERZEGOVINA, 11 GENNAIO ↴ Sei presunti fiancheggiatori dello Stato Islamico (IS) sono stati arrestati in BosniaErzegovina, uno dei Paesi europei, insieme al Kosovo, da cui proviene la maggioranza dei foreign fighters per numero di abitanti. Cinque uomini sono stati fermati con le accuse di aver costituito una cellula finalizzata alla propaganda degli ideali del jihad, di raccogliere finanziamenti per l’IS e di arruolare nuovi combattenti. Il sesto è stato arrestato in Turchia mentre tentava di raggiungere la Siria ed è stato rimpatriato dalle autorità di Ankara e riconsegnato alle forze di sicurezza bosniache.
CAMERUN, 13 DICEMBRE ↴ Due donne kamikaze hanno attaccato una moschea nella città camerunense di Kalafata, nei pressi del confine nigeriano a nord, uccidendo dieci persone. Secondo quanto dichiarato dal governatore regionale Midjiyawa Bakari, le donne kamikaze – che si sono fatte esplodere durante la preghiera del mattino – sarebbero arrivate nel Paese 12
dalla Nigeria qualche giorno prima. È probabile che l’attacco sia opera di Boko Haram. Negli ultimi anni il Camerun, così come Ciad e Niger, è stato spesso obiettivo di attentati terroristici da parte del gruppo jihadista nigeriano e Kalafata è stata più volte attaccata.
COREA DEL NORD, 13 GENNAIO ↴ L’agenzia sudcoreana Yonhap ha riferito che Seul ha sparato alcuni colpi di avvertimento contro un drone nordcoreano reo di aver sconfinato nei cieli della Corea del Sud di circa 15/20 metri e di essersi avvicinato ad una postazione militare di controllo distante circa 50 Km dalla capitale. Il Capo di Stato maggiore delle Forze Armate sudcoreane ha riferito in un comunicato che il drone è rientrato nei confini nordcoreani subito dopo i colpi di avvertimento. Nelle ultime settimane le relazioni tra le due Coree sono peggiorate; l’escalation che è seguita al test nucleare condotto da Pyongyang ha portato, tra l’altro, alla decisione unilaterale da parte di Seul di riaccendere gli altoparlanti lungo la zona smilitarizzata al confine tra i due Paesi con l’obiettivo di riprendere la guerra di propaganda contro il regime di Kim Jong-un.
ISRAELE-EGITTO-STRISCIA DI GAZA, 13 GENNAIO ↴ L’Israeli Defense Force (IDF) ha sventato un possibile attentato che si sarebbe dovuto verificare nelle prossime settimane nei pressi di Ashkelon, città israeliana al confine con la Striscia di Gaza. L’operazione condotta attraverso raid aereo dall’IDF è avvenuto nella regione di Beit Lahia e ha portato all’uccisione del leader di una cellula palestinese e al ferimento di altri tre membri. Intanto a sud di Gaza, e più precisamente lungo il confine con il Sinai egiziano, sono avvenuti numerosi incidenti e scontri a fuoco tra affiliati allo Stato Islamico – in particolare al Wilayat Sinai – e membri delle forze di sicurezza israeliane ed egiziane. Nel corso degli scontri l’IDF ha chiuso il valico di confine di Kerem Shalom al fine di tagliare possibili rifornimenti e alternative vie di fuga agli insorti. Proprio allo scopo di prevenire infiltrazioni jihadiste e nuovi possibili attacchi da oltreconfine, l’esercito israeliano ha da tempo perfezionato un meccanismo di pronta risposta alle minacce provenienti dal Sinai, ha equipaggiato i propri reparti speciali con armamenti di ultima generazione e ha rafforzato la presenza militare lungo i villaggi di confine di Kadesh Barnea, Nitzana, Be’er Milka e Kmehin.
POLONIA, 13 GENNAIO ↴ Dopo il Consiglio europeo straordinario e i numerosi ammonimenti e richieste di revisione lanciati nelle settimane passate a Varsavia, Bruxelles ha ufficialmente aperto un’inchiesta formale contro la Polonia. La decisione europea, così come spiegato dal primo vice Presidente della Commissione europea, Hans Timmermans, si era resa necessaria a seguito dell’approvazione da parte del governo polacco di alcune con-
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troverse leggi riguardanti la riforma della Corte Costituzionale e, soprattutto, il controllo pubblico dei media nazionali, che permettevano all’esecutivo in entrambi i casi un maggiore controllo e indirizzamento delle scelte e della linea politica degli organi e delle istituzioni nazionali. Se le risposte politiche giunte da Varsavia non dovessero soddisfare Bruxelles, la Commissione europea potrebbe allora formulare una procedura di raccomandazione, chiedendo alla Polonia di risolvere in un periodo limitato di tempo le criticità sollevate. Infine, qualora anche tale strumento non dovesse portare a risultati concreti, si potrebbe applicare la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato, ossia la sospensione del diritto di voto del membro in questione in sede di Consiglio europeo, in caso di «una “minaccia sistemica” ai valori fondamentali dell’UE». Il caso ha scatenato l’immediata contestazione del governo polacco, che ha condannato la decisione europea considerandola «una grave violazione della sovranità e negli affari interni» di Varsavia.
SOMALIA, 15 GENNAIO ↴ I miliziani di al-Shabaab hanno attaccato la base El Ade della forza multilaterale AMISOM, a guida dell'Unione Africana. L'attacco, avvenuto attraverso l'esplosione di un camion bomba (VBIED) alle prime ore dell'alba a Ceel Cadde, nel sud-ovest della Somalia, vicino al confine con il Kenya, ha portato all'uccisione di 63 militari, quasi tutti di nazionalità kenyana. La base è stata poi dichiarata sotto il controllo degli insorti somali, come ha annunciato ad una radio locale il portavoce militare di alShabaab, lo sceicco Abu Musab Abdiasis. El Ade era un importante avamposto strategico nella lotta al terrorismo internazionale contro al-Qaeda e le varie fazioni scissioniste sorte in seno allo stesso al-Shabaab, che gradualmente si sono avvicinate allo Stato Islamico. Il controllo della base da parte degli islamisti e l'ennesimo attacco lungo il confine, oltre ad alimentare dubbi e perplessità circa le reali capacità delle forze militari regolari somale e kenyane nella messa in sicurezza del territorio, pongono un duro colpo alla legittimità della missione internazionale AMISOM. In risposta alla strage, l'aviazione kenyana ha lanciato un raid aereo contro alcune roccaforti di al-Shabaab nei territori lungo la frontiera condivisa con la Somalia.
SUDAN, 13 GENNAIO ↴ Il prossimo aprile si terrà il referendum per determinare lo stato amministrativo della regione del Darfur. È quanto è stato annunciato dalla Commissione responsabile per l’organizzazione dello stesso. Al referendum potranno votare i soli residenti dei 1.400 distretti della regione che, in base alla suddivisione territoriale, conta attualmente cinque Stati (Darfur occidentale, Darfur settentrionale, Darfur meridionale, Darfur centrale e Darfur orientale). Il Presidente della Commissione, Omer Ali Jamaa, ha precisato che il referendum non è finalizzato a decidere sull’eventuale autodeterminazione del Darfur, ma semplicemente a delineare lo status amministrativo dello stesso.
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TAIWAN, 16 GENNAIO ↴ Vittoria alle urne a Taiwan per Tsai Ing-wen, candidata del Partito Democratico Progressista. Nel corso delle votazioni, Tsai – la prima Presidentessa donna – ha sconfitto il rivale Eric Chu del partito attualmente al governo, il Kuomintang, ottenendo il 56% voti a fronte del 31% raccolto da Chu. L’avvicendamento al potere nasce in particolare da una profonda crisi economica che ha travolto recentemente Taiwan. In termini di consensi, il Kuomintang paga anche il recente riavvicinamento con la Cina Popolare; al contrario, Tsai ha effettuato visite in Giappone e negli Stati Uniti ricevendo una calorosa accoglienza e proponendola come garante dell’indipendenza taiwanese da Pechino.
TUNISIA, 13-15 GENNAIO ↴ Dopo i recenti attacchi, il governo ha autorizzato nuove operazioni anti-terrorismo in particolare nel sud della Tunisia. Il 13 gennaio, gli agenti di sicurezza hanno arrestato a Medenine otto membri di una cellula terroristica. I miliziani, originari di Sejnane, nel nord della Tunisia, stavano tentando di unirsi ai gruppi armati attivi in Libia. Il Ministero dell’Interno ha inoltre reso noto che tre sorelle, accusate di aver giurato fedeltà allo Stato Islamico, sono state arrestate lo scorso 15 gennaio dall’unità della Guardia Nazionale della località di Sfax, sulla costa orientale della Tunisia.
VENEZUELA, 11 GENNAIO ↴ La Corte Suprema venezuelana ha dichiarato nullo qualsiasi atto o legge promulgato dall’attuale Parlamento dominato dalle forze di opposizione al Presidente Nicolàs Maduro, a seguito dei risultati elettorali non ancora definitivamente chiariti in tre distretti. Infatti i tre membri dell’Assemblea Nazionale ancora non insediati sarebbero stati accusati di brogli elettorali. L’impasse sarebbe stata risolta con la rinuncia dei tre parlamentari al proprio incarico, causando però la perdita della maggioranza assoluta alle forze anti-chaviste. Intanto il governo venezuelano, sempre più vicino al default di sistema, ha dichiarato 60 giorni di stato di emergenza economica. Il decreto approvato dall’esecutivo prevede l’introduzione di misure straordinarie per il contrasto all’evasione fiscale e per facilitare le importazioni e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaci, ormai irreperibili, se non al mercato nero, nel Paese. Maduro ha continuato ad accusare ancora ad una volta Stati Uniti e Colombia di alimentare una “guerra economica” contro Caracas.
YEMEN, 22 DICEMBRE ↴ Una struttura ospedaliera dalla ONG Medici senza frontiere nel distretto di Razeh, nella provincia di Saada, principale roccaforte dei ribelli Houthi, è stata colpita da un missile; l’attacco ha causato almeno 4 morti e 10 feriti. Una portavoce di MSF ha affermato di non sapere se il centro sia stato colpito da un bombardamento aereo 15
della coalizione a guida saudita o da un missile lanciato da terra. Secondo Raquel Ayora, Direttore delle operazioni dell’organizzazione, «tutte le parti in conflitto vengono regolarmente messe a conoscenza delle coordinate GPS dei siti medici in cui opera MSF. Non è possibile che qualcuno con le capacità di condurre un raid aereo o di lanciare un missile» non sia a conoscenza del fatto che l’ospedale di Shiara è gestito da Medici senza frontiere. Almeno 30 ribelli sciiti sono invece rimasti vittime dei raid aerei compiuti dai caccia della coalizione a Mareb e Ta’izz, dove per la prima volta i caccia sauditi hanno lanciato aiuti medici alla popolazione assediata dalle milizie sciite.
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ANALISI E COMMENTI L’IRAN, OBAMA E LO SCACCHIERE GEOPOLITICO STATUNITENSE SIMONE ZUCCARELLI ↴ Provare a comprendere la grand strategy di un Paese nella sua totalità è senza dubbio un lavoro lungo e difficile; se il Paese in questione, poi, è la superpotenza egemone del sistema internazionale la questione diventa molto più complessa: agendo a livello globale, infatti, gli scenari e gli attori con i quali si confronta – nonché le combinazioni degli stessi fattori – sono potenzialmente infiniti. Diventa quindi cruciale al fine di capire le mosse sullo scacchiere statunitense analizzare i singoli pezzi presenti, le interazioni che li legano, l’importanza che rivestono e come rientrano nel più ampio disegno strategico. Analizzare gli sviluppi nella relazione Stati Uniti-Iran dunque può risultare un tassello utile allo scopo sopra prefissato. L’ex Persia, infatti, ha sempre rivestito un ruolo cruciale per la stabilità del Medio Oriente: fino al 1979 come una delle due “colonne portanti” a sostegno della politica mediorientale americana; dalla rivoluzione khomeinista in poi come faro per l’opposizione tout court all’Occidente (…) SEGUE >>>
LA SERBIA TRA RUSSIA E UNIONE EUROPEA VITTORIO GIORGETTI ↴ La politica estera serba degli ultimi quindici anni si è caratterizzata per essere two chairs seated, ossia per un atteggiamento ondivago tra Russia e Unione Europea. Il 2015 ha confermato questa tendenza: iniziato a gennaio con il viaggio del Premier Vučić a Washington in cui è stata rafforzata la partnership con le strutture atlantiche, i mesi successivi sono serviti per raggiungere importanti intese con l’UE e per agevolare l’inizio dei negoziati di accesso. Parallelamente non sono diminuiti i contatti con Mosca e nell’incontro ufficiale di fine ottobre tra lo stesso Vučić e Putin è stato dato il via libera a nuovi investimenti russi in Serbia, a nuove partnership economiche intersettoriali e ad un accordo per la fornitura di armamenti russi all’esercito serbo. Le ragioni di tale postura vanno rinvenute nella storia delle relazioni dei tre attori. Si tratta di un equilibrio complesso, sempre più delicato e difficile da mantenere, che nel futuro potrebbe indurre la Serbia a dover orientare le proprie scelte in maniera univoca (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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