N째30, 8-14 NOVEMBRE 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 15 novembre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo Credits: Corriere.it; AFP Photo; ANSA/EPA; Getty Images; al-Jazeera English.
FOCUS FRANCIA ↴
A meno di un anno dagli attentati alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e al market kosher di Parigi, la Francia è nuovamente interessata da un attacco terroristico che ha causato almeno 129 morti e oltre 300 feriti (di cui 99 in gravi condizioni). Sparatorie e attacchi kamikaze hanno colpito in diverse zone di Parigi ristoranti, bar, lo Stade de France a Saint-Denis, e il teatro Bataclan. Secondo le forze dell’ordine gli otto terroristi autori degli attentati sarebbero stati uccisi. Sei sparatorie e tre esplosioni si sono verificate quasi in contemporanea in sette luoghi differenti: alle 21.25 in Rue Alibert nel X arrondissement, tra il ristorante Le Petit Cambodge e il bar Le Carillon, i terroristi hanno aperto il fuoco con armi automatiche causando almeno 13 vittime; alle 21.32 un gruppo di uomini armati ha sparato nei pressi del ristorante La Casa Nostra, 2 Rue de la Fontaine au Roi, XI arrondissement; alle 21.43 un terrorista ha azionato la propria cintura esplosiva in Rue boulevard Voltaire; intorno alle 22 un testimone ha visto un uomo scendere da un’automobile e sparare con un’arma di grosso calibro sulla terrazza del caffè La Belle Equipe, 92 Rue de Charonne, XI arrondissement. Intorno alle 21.49 almeno quattro uomini armati hanno fatto irruzione al Bataclan, una nota sala per concerti nell’XI arrondissement, non lontano dalla sede di Charlie Hebdo. Nel locale, in cui erano presenti circa 1.500 persone per assistere al concerto della rock band californiana Eagles of Death Metal, è avvenuto l’attacco più grave: gli attentatori hanno preso in ostaggio circa un centinaio di persone e ne hanno uccise – secondo stime non ancora ufficiali – circa ottanta. La polizia ha riferito che tre attentatori si sono fatti esplodere
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prima che gli agenti potessero fermarli, mentre un quarto è stato ucciso. Alcuni testimoni hanno affermato che i terroristi, descritti come molto giovani, a volto scoperto e sicuri di sé, «erano molto calmi. Hanno ucciso a freddo molti ostaggi, uno ad uno. Poi ricaricavano le armi e ne uccidevano altri. Hanno ricaricato le armi tre o quattro volte». Il giornalista di Europe 1 Julien Pierce, che si trovava all’interno del teatro, ha detto di aver visto entrare «due o tre individui non mascherati, con armi di tipo kalashnikov» che hanno «cominciato a sparare alla cieca sulla folla. E' durata dieciquindici minuti, c'è stato il panico, la gente si è mossa verso il palco, qualcuno è stato calpestato, io stesso sono stato calpestato. Hanno avuto tutto il tempo di ricaricare le armi almeno tre volte».
AREE DEGLI ATTACCHI - FONTE: AFP-LE MONDE
Due attacchi suicidi si sono verificati nei pressi dello Stade de France, il principale stadio parigino in cui si stava disputando un’amichevole tra le nazionali di Francia e Germania. All’evento erano presenti il Presidente della Repubblica francese François Hollande e il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, immediatamente allontanati per ragioni di sicurezza. I molteplici attacchi perpetrati in sei diverse zone di Parigi, oltre a rappresentare il più grave episodio terroristico in Francia dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, costituiscono il primo caso di assalto kamikaze sul territorio francese. Pochi minuti dopo gli attacchi Hollande ha tenuto due conferenze stampa, una delle quali di fronte al Bataclan, dichiarando lo stato di emergenza nazionale e annunciando 2
maggiori controlli ai confini francesi. Lo stato di emergenza conferisce poteri straordinari ai prefetti, come quello di istituire coprifuoco, ordinare la chiusura di luoghi pubblici di incontro e vietare assemblee e manifestazioni. L’ufficio di presidenza ha inoltre reso noto che Hollande non parteciperà al G20 in Turchia il 15 e 16 novembre. Il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha rimandato la sua visita in Europa, che lo avrebbe visto in questi giorni in Italia e Francia. L’ondata di attentati è stata rivendicata ufficialmente dallo Stato Islamico (IS): «Ricordate, ricordate il 14 novembre. Non dimenticheranno questo giorno, come gli americani l'11 settembre. La Francia manda i suoi aerei ogni giorno in Siria, bombardando bambini e anziani, oggi beve dallo stesso calice», ha affermato il canale Dabiq France secondo quanto ha scritto su Twitter Rita Katz, direttore di SITE, che monitora i gruppi jihadisti. Il procuratore della Repubblica di Parigi, François Molins, ha dichiarato che uno degli attentatori del Bataclan era nato in Francia, un altro era di nazionalità francese e altri due erano residenti in Belgio. Un passaporto siriano e uno egiziano sono stati trovati rispettivamente indosso e accanto ai corpi di due terroristi autori dell’attacco allo Stade de France. Tuttavia secondo fonti dell’intelligence USA il passaporto siriano è molto probabilmente falso. Uno dei kamikaze che si sono fatti esplodere nei pressi dello stadio aveva un biglietto per assistere alla partita, ma è stato bloccato all’ingresso e ha quindi azionato il proprio dispositivo all’esterno della struttura. Testimoni riportano inoltre la possibile presenza di una donna nel commando che ha assaltato il Bataclan. Una delle macchine usate durante gli attentati aveva targa del Belgio e i presunti terroristi di nazionalità belga proverrebbero dal quartiere di Molenbeek, a Bruxelles, lo stesso da cui provenivano i soggetti coinvolti nel blitz anti-terrorismo del gennaio scorso. L’unico terrorista finora identificato è uno dei kamikaze del Bataclan, il 29enne francese di origini algerine Ismael Omar Mostefai, che aveva otto condanne per reati non gravi tra il 2004 e il 2010 ma che non era mai stato incarcerato.
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IRAQ/SIRIA ↴
I drammatici attentati a Beirut e Parigi rivendicati dallo Stato Islamico (IS) seguono da vicino l’andamento del conflitto combattuto nel teatro siro-iracheno, dove i jihadisti sono sottoposti a una pressione crescente su più fronti. Il 10 novembre l’esercito regolare siriano ha rotto l’assedio alla base aerea di Kweires, a est di Aleppo, che i miliziani dello IS tenevano sotto scacco dal dicembre 2012. Il successo militare giunge sullo slancio dell’offensiva avviata il 15 ottobre e puntellata sia dalla forza aerea russa, sia dai rinforzi di terra iraniani. Si tratta della maggiore vittoria riportata dalle truppe lealiste contro i jihadisti, che nell’ultimo anno hanno ripetutamente piegato le divisioni di Bashar al-Assad in larga parte del territorio siriano. In estate numerose manifestazioni nelle aree costiere sotto il controllo di Damasco avevano espresso lo scontento contro il regime alawita per la sorte dei soldati intrappolati nella struttura militare. La riconquista della base di Kweires ha pertanto notevoli ricadute simboliche e marca inoltre l’efficacia dei bombardamenti russi. Parallelamente, nel nord-ovest iracheno il 12 novembre circa 7.000 Peshmerga hanno attaccato le unità dell’IS nella città a maggioranza yazida di Sinjar, dapprima assicurando il controllo del tratto autostradale che unisce Raqqa (la capitale del Califfato) a Mosul (caduta in mano jihadista nel giugno 2014) e poi convergendo nel centro della città, dove i miliziani curdi hanno avuto la meglio dei guerriglieri islamisti, che tuttavia non sono stati del tutto estromessi dall’area. L’operazione è stata direttamente sostenuta dalle forze aree della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, che nelle settimane precedenti avevano ripetutamente colpito gli avamposti dell’IS. Gli stessi reparti speciali statunitensi hanno fornito assistenza sul terreno ai Peshmerga, a conferma della rilevanza strategica 4
dell’obiettivo, come anche centinaia di combattenti yazidi si sono unite alla battaglia. L’avanzata curda verso Sinjar era stata a lungo procrastinata in virtù dei dissidi tra le autorità del Kurdistan iracheno e i combattenti del Partito del Lavoratori del Kurdistan (PKK), che hanno più volte rifiutato la richiesta di lasciare la città. Il PKK mantiene infatti una ragguardevole presenza nel nord dell’Iraq e ha stretto con la resistenza yazida una forte collaborazione politico-militare in chiave anti-IS. L’offensiva suggerisce dunque il raggiungimento di un accordo di compromesso tra le parti, che dovrebbe portare al riconoscimento delle Unità di Resistenza di Sinjar in cambio dell’allontanamento volontario del PKK.
AREA STRATEGICA DEL SINJAR - FONTE: HIS CONFLICT MONITOR-THE NEW YORK TIMES
A poche ore dalla serie di attentati che hanno ferito la capitale francese, Vienna ha ospitato una seconda sessione negoziale, che ha portato all’approvazione del calendario cui sarà improntato il processo di transizione e normalizzazione politica della Siria. Benché non siano state ancora appianate le divergenze sul futuro del Presidente Bashar al-Assad, le delegazioni ministeriali hanno fissato per il 1° gennaio 2016 l’avvio dei colloqui tra il governo in carica e le opposizioni riconosciute come legittime. Mediato dall’inviato speciale per la Siria Staffan de Mistura, il processo dovrà portare i) alla formazione di un governo transitorio «credibile, inclusivo e non settario» e ii) alla promulgazione di una nuova Carta Costituzionale e alla convocazione di libere elezioni sotto supervisione ONU, rispettivamente a sei e diciotto mesi dall’inizio ufficiale delle trattative tra le parti. Il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il Segretario di Stato USA John Kerry hanno precisato che queste non comprenderanno né l’IS, né Jabhat al-Nusra. Tuttavia, una lista esaustiva dei gruppi ribelli legittimati a discutere dell’assetto siriano sarà completata solo in prossimità del nuovo anno; l’attività sarà sovrintesa dalla Giordania. Il Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha aggiunto che le rappresentanze riunitesi a Vienna hanno convenuto sull’urgenza di creare le condizioni per un cessate il fuoco esteso a tutto il 5
Paese al fine di proteggere la popolazione civile e agevolare il lavoro sul campo delle organizzazioni umanitarie. A livello bilaterale continuano invece i colloqui al vertice tra Washington e Ankara in previsione di sforzi militari congiunti nel nord della Siria. A questo riguardo, indiscrezioni non confermate riporterebbero l’intento turco di impiegare un contingente di 10mila unità per creare una zona di sicurezza in territorio siriano nei pressi di Jarablus, che assolverebbe il duplice obiettivo di far arretrare l’IS dal confine settentrionale e di interrompere la temuta continuità del Kurdistan siriano. Intanto il Presidente Erdoğan e il governo Davutoğlu presiedono il summit del G20 (15-16 novembre) ad Antalya, nella Turchia sud-occidentale. La vicinanza della crisi siriana, l’emergenza umanitaria dei profughi in fuga dal conflitto e i fatti di Parigi certamente s’imporranno sull’agenda dell’appuntamento internazionale. A integrazione delle sessioni di lavoro sono infatti previsti numerosi incontri per definire misure di cooperazione in materia di anti-terrorismo e rafforzare l’impegno bellico contro l’IS. Intanto, Baghdad continua a essere un bersaglio quotidiano degli attentati dinamitardi realizzati dai seguaci del Califfato. Il 13 novembre un attentatore suicida ha provocato la morte di ventuno persone e il ferimento di quarantasei durante il funerale di un combattente sciita. Nella stessa giornata la detonazione di una bomba a Sadr City ha ucciso cinque persone.
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UNIONE EUROPEA ↴
Si è concluso nel pomeriggio del 12 novembre il Summit UE-Africa, tenutosi a La Valletta, che ha visto la partecipazione di circa 60 rappresentanti di Stati europei ed africani e i vertici di sette organizzazioni internazionali tra cui le Nazioni Unite, le istituzioni dell’Unione Europea (UE) e dell’Unione Africana (UA). Il Vertice ha riunito le due sponde del Mediterraneo con l’obiettivo di lavorare in uno spirito di partenariato e di giungere a soluzioni comuni rispetto alle principali sfide condivise. Il tema caldo è stato ovviamente quello dell’immigrazione, affrontato questa volta nelle sue cause strutturali con un approccio globale non legato esclusivamente all’urgenza, cui ha fatto da corrispettivo quello economico con particolare riferimento agli aiuti per la cooperazione allo sviluppo. In particolare cinque gli obiettivi illustrati dal Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, discussi a Malta: far fronte alle cause profonde della migrazione, rafforzare la cooperazione sulla migrazione legale, assicurare la protezione delle persone migranti, prevenire la tratta degli esseri umani e assicurare il ritorno in Africa di chi non ha diritto a rimanere in Europa. Nel quadro di queste macro-questioni si collocano alcuni obiettivi più specifici da conseguire entro la fine del 2016 e che mirano ad esempio alla creazione di posti di lavoro nei Paesi di origine e di transito e al raddoppio delle borse di studio per giovani e ricercatori africani. Numerose critiche sono state sollevate dai leader africani, che hanno ritenuto insoddisfacente le misure proposte dai colleghi europei in quanto l’implementazione degli aiuti umanitari e per la cooperazione sarebbero soggetti ad una previa firma degli accordi specifici sul rimpatrio degli immigrati che non godono di protezione internazionale. Proprio sul tema del rimpatrio dei cosiddetti migranti
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economici, del resto, i leader africani hanno mostrato minore spirito di collaborazione facendo in definitiva emergere la distanza incolmabile che sussiste tra gli interessi europei e quelli africani: l’Europa guarda al flusso migratorio proveniente dall’Africa e dall’Asia in termini di costi, minacce e sacrifici; l’Africa, al contrario, vede l’emigrazione come un fenomeno non soltanto positivo ma finanche necessario in quanto, da un lato, alleggerisce la pressione demografica del continente, difficilmente gestibile soprattutto in relazione alle condizioni di scarsa crescita economica, e dall’altro, costituisce una delle principali voci in entrata nella bilancia dei pagamenti di molti Stati africani grazie alle rimesse degli immigrati. A margine della conferenza è stato firmato l’accordo su un Fondo fiduciario d’emergenza da 1,8 miliardi di euro messo a disposizione dei Paesi di origine e di transito nel continente africano dalla Commissione europea. L’idea di creare questo fondo è stata lanciata dal Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, lo scorso 9 settembre come parte delle misure per rispondere alla crisi. L’Italia è uno dei Paesi promotori della creazione del fondo nonché il suo principale contributore a livello economico. Al fondo europeo si aggiungono ulteriori contributi versati da 25 Stati membri dell’Unione Europea e da due partner extra europei, Norvegia e Svizzera, che al momento ammontano a circa 78 milioni di euro. Mentre a Malta si discuteva di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo, un portavoce del Ministero dell’Interno tedesco ha annunciato il 9 novembre che dal 21 ottobre la Germania ha ripreso ad applicare il regolamento di Dublino, sospeso dal 25 agosto in riferimento ai migranti provenienti da quei Paesi mediorientali martoriati dalla guerra, anche nei confronti dei profughi siriani. La decisione di Berlino sembra essere stata dettata in particolare da fattori interni: i sondaggi, infatti, danno il partito di governo in netto svantaggio rispetto alla destra di Alternative für Deutschland che si pone invece su posizioni fortemente anti-immigrazione.
RICHIESTE DI ASILO POLITICO IN GERMANIA - FONTE: UFFICIO TEDESCO PER I MIGRANTI E I RIFUGIATI
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Alla revoca da parte di Berlino della decisione di agosto è seguita la replica dell’Ungheria: tramite il suo Ministro degli Esteri, Budapest ha fatto sapere che non accoglierà gli eventuali profughi siriani respinti dalla Germania. A queste tensioni si aggiungono nuovi muri e nuove barriere: la Svezia ha reintrodotto il controllo alle frontiere, l’Austria ha annunciato la costruzione di una barriera al confine con la Slovenia per meglio controllare il flusso dei migranti e quest’ultima, dal canto suo, ha cominciato a costruire una barriera lungo il confine con la Croazia. Sebbene sia Vienna sia Lubiana si siano affrettate a precisare che tale decisione non equivalga ad una chiusura della frontiere ma miri esclusivamente a garantire un ingresso ordinato e controllato degli immigrati, ciò che si teme è che la tensione sulla rotta balcanica possa diventare sempre più difficile da controllare.
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BREVI EGITTO, 9-11 NOVEMBRE ↴ Non si placano le polemiche e le speculazioni circa l’abbattimento
dell’areo
9268
della
compagnia
siberiana Metrojet. In una conferenza stampa gli inquirenti egiziani hanno spiegato che l’esplosione dell’Airbus
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all’intromissione
sarebbe di
una
dovuta bomba
al
90%
presumilmente
nascosta in una valigetta stipata nella stiva del velivolo. Sebbene nei giorni passati siano circolate con insistenza speculazioni circa un coinvolgimento della branca egiziana dello Stato Islamico (IS), il Wilayat Sinai (WS) – ipotesi queste rafforzate anche dalle rivendicazioni video del gruppo sinaitico –, gli investigatori hanno smentito tutte le ricostruzioni sinora fornite dalla stampa, ma hanno confermato che non verrà tralasciata nessuna pista, compresa quella terroristica. Poche ore dopo la conferenza stampa, le forze di sicurezza egiziane hanno invece affermato di aver ucciso la mente dell’attentato dell’11 luglio scorso al Consolato italiano del Cairo. Ashraf Ali Hassanein al-Gharabli, noto jihadista della prima ora di Ansar Bayt alMaqdis e poi del Wilayat Sinai, sarebbe stato ucciso in uno scontro a fuoco avvenuto nella regione di al-Marg, a nord-est del Cairo. Al-Gharabli era un personaggio di spicco del jihadismo egiziano in quanto già invischiato in altri atti di terrorismo come il fallito attentato del settembre 2013 contro l’ex Ministro degli Interni Mohammed Ibrahim e si presume avesse fatto parte di un commando autore del rapimento e degli omicidi avvenuti nel Sinai di William Henderson, un tecnico petrolifero statunitense morto nel dicembre 2014, e di Tomislav Salopek, un cittadino croato ucciso nell’agosto scorso, che lavorava per una società del settore energetico francese attiva in Egitto. Nel frattempo, il Presidente Abdel Fattah al-Sisi è volato l’11 novembre a Riyadh per partecipare al summit America Latina-Paesi arabi. A latere del forum economico, il leader egiziano ha incontrato in un atteso bilaterale il Re saudita Salman, dopo gli screzi emersi tra i due governi nelle ultime settimane a seguito degli sviluppi nella crisi siriana (Il Cairo favorevole all’azione russa in difesa di Assad, mentre Riyadh indisponibile a garantire al Presidente siriano un ruolo attivo in un’ipotetica transizione politica nel Paese). Oltre ad aver sancito la ricomposizione della frattura, l’incontro ha tuttavia segnalato l’impegno di entrambe le parti a dare effettività alla cosiddetta Dichiarazione del Cairo del 29 luglio scorso. Tale intesa, mirata a rafforzare la collaborazione tra i due Paesi su sei livelli differenti di cooperazione (militare, commerciale, politica, energetico-infrastrutturale, culturale e media), è innanzittutto un patto politico-militare di mutua assistenza tra le due principali realtà sunnite del mondo arabo in funzione anti-iraniana e anti-sciita.
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MYANMAR, 8 NOVEMBRE ↴ Proprio come 25 anni fa, la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) ha vinto le prime elezioni libere nel Paese dal 1990, ottenendo più del 70% dei seggi e raggiungendo così il quorum necessario per poter nominare il Presidente. Come dichiarato nei giorni scorsi, Aung San Suu Kyi – premio Nobel per la Pace nel 1991 – guiderà per interposta persona il Paese benché non potrà ricoprire la carica di Capo dello Stato, poiché una norma costituzionale esclude espressamente tale possibilità a chi abbia parenti stranieri (come nel caso di San Suu Kyi). La LND, che ha ottenuto 238 seggi su 440 alla Camera Bassa e 131 seggi su 224 alla Camera Alta, dovrà tuttavia far i conti con quel 25% dei seggi, la cui nomina è riservata per legge ai militari, ai quali inoltre spetterà il diritto esclusivo di nomina sia del Ministro degli Interni e sia di quello della Difesa. Tale risultato era immaginabile, anche se si sono temuti dei brogli nel conteggio delle preferenze a favore della vecchia classe militare. L’affluenza alle urne è stata molto alta, circa l’80% degli aventi diritto al voto; la popolazione già nelle prime ore successive alla chiusura dei seggi ha iniziato a riversarsi nelle strade, per concludere con grandi festeggiamenti dinanzi alla sede della LND.
TERRORISMO, 10-12 NOVEMBRE ↴ Nella settimana degli attentati di Parigi, l’Europa e il Medio Oriente sono stati variamente colpiti da attacchi terrroristici
o
attraversati
da
operazioni
di
contenimento della minaccia. Particolarmente esposta ai rischi di nuovi attacchi è la Francia. Solo 24 ore prima delle azioni multiple nella capitale le autorità avevano dato notizia di un attentato, presumibilmente di matrice islamista, sventato dalle forze di sicurezza e di intelligence contro la base navale di Tolone, nel sud est del Paese. L’episodio avvenuto il 29 ottobre scorso ha portato all’arresto di un venticinquenne marocchino, che aveva tentato di procurarsi delle armi per attaccare uno dei centri nevralgici della sicurezza e della difesa francesi. A Tolone, infatti, è concentrato il 70% della flotta militare nazionale, circa 20.000 unità tra personale militare e civile, alcune portaerei tra cui la Charles de Gaulle – impegnata dal governo in operazioni di counter-terrorism nel Golfo contro lo Stato Islamico – e alcuni sottomarini nucleari. Solo poche ore più tardi, invece, nell’intero continente europeo è stata lanciata una delle più importanti operazioni anti-terrorismo della storia recente, che ha visto impegnati i reparti speciali e di sicurezza di sei Paesi. Sono stati 17 gli arresti tra Italia, Regno Unito, Finlandia, Germania, Svizzera e Norvegia avvenuti nell’ambito dell’Operazione JWeb coordinata da Eurojust, 11
l’agenzia europea impegnata in materia giudiziaria a combattere le forme di criminalità e radicalismo con finalità terroristiche. Agli arrestati è stata imputata l’associazione con finalità di terrorismo internazionale, aggravata dal reato di transnazionalità. La cellula, composta da 16 cittadini curdi e da un kosovaro, era radicata in maniera trasversale in diversi Paesi europei, tra cui anche in Italia e in particolar modo a Merano (Bolzano), dove vi era una delle basi logistiche. L’organizzazione era guidata da Faraj Ahmad Najmuddin, alias Mullah Krekar, un predicatore curdo-sunnita che viveva in Norvegia e già noto alle autorità locali per aver minacciato di morte il Premier Erna Solberg e per aver fondato nel 2001 il gruppo Ansar al-Islam, una formazione curdo-salafita, smantellata nel 2011-2012, nata con l’intento di creare uno Stato islamico nell’intero Kurdistan. Le indagini degli inquirenti risalgono ad almeno 5 anni fa quando il gruppo di Krekar, attivo nel Kurdistan iracheno, venne sconfitto militarmente da una fazione opposta e da allora diede origine ad una nuova organizzazione sempre più radicalizzata e incline ai messaggi dello Stato Islamico (IS). Proprio L’IS potrebbe essere dietro a tre attentati, diversi tra loro per simbologia, importanza e tipologia dell’atto, avvenuti a Beirut, Amman e Bengasi. Il 12 novembre una doppia esplosione si è registrata nella parte meridionale della capitale libanese, a Burj al-Barajneh, un quartiere, come quasi la totalità di quelli a sud di Beirut, roccaforte del movimento islamista sciita e filo-iraniano Hezbollah. Il doppio attacco ha provocato la morte di 43 civili e almeno 240 feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. L’ultimo attacco di una certa rilevanza nella capitale risale al 19 febbraio 2014, quando un’autobomba piazzata davanti al centro culturale iraniano aveva provocato la morte di 11 persone. Se poche ore dopo l’atto l’IS ha rivendicato ufficialmente gli attacchi, il 15 novembre il Ministro degli Interni libanese, Nuhad Mashnuq, ha annunciato l’arresto di 9 militanti dell’organizzazione di al-Baghdadi e tra questi potrebbero esserci alcuni siriani. Si tratta dell’attentato più grave compiuto a Beirut fin dalla fine della guerra civile nel 1990, che potrebbe segnare una svolta non solo nelle sorti del Pase dei Cedri ma anche per il coinvolgimento sempre più diretto dello stesso nelle dinamiche geopolitiche siriane. Se gli atti di Beirut sono stati ufficialmente rivendicati dal’IS, negli attentati in Giordania e in Libia, si teme invece ci possa essere l’ombra del Cailffato. Un sergente della polizia giordana ha aperto il fuoco il 9 novembre in una caserma della Jordan's International Police Training Center, nella periferia di Amman, uccidendo 5 persone: 3 militari (2 addestratori statunitensi e un contractor sudafricano) e 2 uomini del personale civile locale. L’attacco è stato definito ufficialmente dalle autorità giordane un “green on blue attack”, un cosiddetto caso di “fuoco-amico”, tuttavia da più parti si vuole approfondire meglio i contorni di questa oscura vicenda per capire meglio se realmente dietro l’atto vi sia o meno una passibile responsabilità islamista e in questo caso dell’IS. Un analogo discorso è avvenuto a Bengasi l’11 novembre, dove uomini armati non meglio identificati hanno aperto il fuoco contro alcune postazioni militari nella periferia della città uccidendo 13 soldati. Le autorità del governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk lo hanno definito come atto di terrorismo, tuttavia non hanno saputo fornire ulteriori dettagli circa la dinamica e le responsibalità degli assalitori. 12
ALTRE DAL MONDO BURUNDI, 12-14 NOVEMBRE ↴ A causa del continuo deterioramento della situazione in Burundi, le Nazioni Unite stanno pianificando il trasferimento delle forze di pace multinazionale attualmente dispiegate nella Repubblica Democratica del Congo, la MONUSCO, oltre il confine burundese. Il dispiegamento di tali forze richiederebbe l’approvazione da parte delle autorità di Bujumbura o una decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Un’opzione alternativa potrebbe essere il dispiegamento di un contingente dell’Unione Africana costituito da truppe provenienti dalle regioni africane. Una coalizione regionale potrebbe infatti fornire una più efficiente ed efficacie risposta alla critica situazione del Paese. In Burundi è in corso una crisi politica e sociale acuita dalla rielezione, avvenuta a luglio, del Presidente Pierre Nkurunziza per un terzo mandato, non previsto dalla Costituzione burundese. Circa 200.000 persone sono fuggite dal Paese dall’inizio delle violenze nell’aprile scorso e almeno 240 sono finora rimaste uccise negli scontri.
CIAD, 9 NOVEMBRE ↴ Il Presidente del Ciad Idriss Déby ha decretato lo stato di emergenza nella regione del Lago Ciad a seguito del doppio attentato kamikaze, rivendicato dal gruppo islamista nigeriano Boko Haram affiliato all’IS, che domenica 8 novembre ha provocato due morti. La dichiarazione dello stato di emergenza conferisce al governatore della regione ciadiana il potere di vietare la circolazione di persone e veicoli e di effettuare perquisizioni domiciliari alla ricerca di armi illegali. Il Presidente Déby ha contestualmente sbloccato un pacchetto del valore di 3 miliardi di franchi CFA (circa 4,5 milioni di euro) in favore dello sviluppo della regione del Lago. Ciad, Benin, Camerun, Niger e Nigeria hanno istituito una task force per combattere il gruppo estremista, il quale, secondo i dati di Amnesty International, dal 2009 ha provocato almeno 17.000 morti in Africa.
COLOMBIA, 4 NOVEMBRE ↴ Le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno proposto al governo colombiano una “tregua bilaterale preliminare” al cessate il fuoco definitivo tra le parti dopo oltre cinquant’anni di conflitto. Il leader delle FARC Rodrigo Londoño Echeverri, alias Timochenko, ha annunciato di aver ordinato ai suoi miliziani di non comprare più armi e munizioni. Iván Márquez, capo negoziatore della guerriglia al processo di pace in corso a L’Avana, ha affermato che «senza meschinità né calcoli politici dovremmo già essere al cessate il fuoco». Il Presidente Juan Manuel Santos e Timochenko si sono impegnati il 23 settembre a siglare la pace in un tempo massimo di sei mesi e il 28 ottobre Santos ha proposto alla guerriglia un cessate il fuoco bilaterale a partire dal 1° gennaio 2016.
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CROAZIA, 8 NOVEMBRE ↴ Con il 33,5% dei voti la coalizione guidata dal Partito conservatore dell’Unione Democratica Croata (HDZ) di Tomislav Karamarko ha vinto le elezioni legislative, battendo di misura il blocco di centro-sinistra guidato dal Partito Socialdemocratico (SDP) del Premier uscente Zoran Milanović, fermatosi al 32,4% dei consensi. L'impossibilità di raggiungere una maggioranza assoluta (rispettivamente hanno ottenuto 59 e 57 seggi) rischia di aprire per la Croazia una stagione politica di instabilità: nonostante sia in corso un dibattito sulla possibilità di formare un governo di unità nazionale con Most – l’associazione delle liste indipendenti, attestatasi come terza forza con il 13,3% (19 seggi) e guidata da Božo Petrov –, non è escluso un ritorno alle urne il prossimo gennaio.
ITALIA, 5-11 NOVEMBRE ↴ Viaggio asiatico per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha visitato Vietnam, Indonesia e Oman. Diversi i temi discussi, a partire dal rafforzamento dei legami bilaterali e, soprattutto, la collaborazione economica in ambito commerciale. Intanto, anche il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha effettuato un viaggio all’estero, l’8 e 9 novembre in Arabia Saudita, dove, oltre a consolidare le buone relazioni con la monarchia saudita, ha sollevato il problema della mancata tutela dei diritti umani nel Paese.
PORTOGALLO, 10 NOVEMBRE ↴ Dopo la riconferma alle elezioni legislative dello scorso 4 ottobre e il successivo insediamento (30 ottobre), il governo conservatore di Pedro Passos Coelho non ha ottenuto la fiducia sul programma presentato in Parlamento. A votare contro è stato il blocco dei partiti di sinistra (il Partito Socialista, il Bloco de Ezquerda e i Verdi), i quali avrebbero già trovato un accordo (il primo di questo genere) per una coalizione di governo alternativa sotto la guida di António Costa. Spetterà ora al Presidente Aníbal Cavaco Silva decidere se affidare a questi l’incarico per la formazione di un esecutivo, se mantenere l’attuale compagine di minoranza fino ad elezioni anticipate o se procedere con la nomina di un governo tecnico.
REGNO UNITO-INDIA, 12 NOVEMBRE ↴ Dopo aver accolto tra cerimonie e incontri ufficiali il Presidente cinese Xi Jinping, il governo britannico ha ricevuto con grandi onori anche il Primo Ministro indiano Narendra Modi. Sul tavolo ci sono numerosi accordi di natura economica volti ad incrementare l’interscambio commerciale e finanziario tra Londra e l’ex colonia imperiale. Modi ha parlato anche al Parlamento di Westminster e ha incontrato la Regina Elisabetta II.
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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 9 NOVEMBRE ↴ Una quindicina di membri del partito dell’Unione Nazionale dei Federalisti del CongoKinshasa (UNAFEC), tra cui il leader Kabulo Shimbe Zasou, sono stati arrestati lunedì 9 novembre. Il giorno dopo centinaia di persone armate di bastoni e pale si sono radunate attorno alla sede dell’UNAFEC a Lubumbashi per protestare contro gli arresti. La polizia ha risposto lanciando gas lacrimogeni ed esplodendo colpi d’arma da fuoco in aria per disperdere la folla, provocando diversi feriti.
SPAGNA, 9 NOVEMBRE ↴ Con 73 voti favorevoli e 63 contrari, il Parlamento catalano ha approvato la risoluzione con cui ha avvio l’iter per l’indipendenza da Madrid. La Corte costituzionale spagnola ha dichiarato ricevibile il ricorso immediatamente presentato dal Premier Mariano Rajoy (11 novembre), sospendendo dunque l’applicazione della dichiarazione del Parlament di Barcellona in attesa di una sentenza in merito (i giudici avranno cinque mesi di tempo per esprimersi). La Corte ha inoltre avvertito del rischio di conseguenze penali per i rappresentanti catalani, tuttavia smorzando in questo caso le richieste di Madrid circa la sospensione dalle funzioni e l’accusa del reato di disobbedienza nel caso Barcellona non accetti la sentenza del tribunale. Le elezioni legislative nazionali del prossimo 20 dicembre chiariranno i termini del confronto politico e legale tra il governo centrale e le istanze indipendentiste.
STATI UNITI, 10 NOVEMBRE ↴ Si è tenuto il terzo dibattito tra i candidati del Partito Repubblicano alla Casa Bianca. Si è discusso di vari temi, come l’economia, l’immigrazione e la politica estera. Sottotono è sembrato Donald Trump, fin qui in testa ai sondaggi al fianco del candidato nero Ben Carson, che si è ben difeso, mentre sia Jeb Bush sia Marco Rubio hanno fornito buone performance. In crescita anche l’ultra-conservatore Ted Cruz.
UNIONE EUROPEA-ISRAELE, 11 NOVEMBRE ↴ L'Unione Europea ha deciso di etichettare tutti i prodotti israeliani provenienti o realizzati in Cisgiordania, provocando il forte disappunto del Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Israele dal canto suo ha condannato la decisione come ingiusta e discriminatoria. Secondo il deputato dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, la decisione UE rischia di incrinare gli sforzi verso una ripresa del dialogo di pace tra Tel Aviv e Ramallah.
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ANALISI E COMMENTI ERITREA: REALTÀ REGIONALI E PERCORSI MIGRATORI BEATRICE NICOLINI ↴ Il 23 ottobre 2015 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha stabilito di prolungare le sanzioni contro l’Eritrea per un altro anno. Nel giugno del 2015 Tekle Bisrat, Colonnello dell’Aeronautica, ha tentato di rovesciare Isaias Afewerki, Presidente dal 8 giugno 1993 – nato ad Asmara nel 1946 da una famiglia influente Hamasien di religione ortodossa di rito copto, al potere da più di 20 anni –, ma è stato ucciso e i suoi militari fuggiti verso il Sud Sudan. Nel 2014 altri quattro militari sono rimasti uccisi in un incidente automobilistico. Divisa in sei regioni e in 55 distretti, dal 2011 l’Eritrea produce oro dalla miniera di Bisha ma la sua economia è basata soprattutto sulle rimesse degli eritrei dall’estero, tassate dal Presidente (2%). Il Paese è isolato e militarizzato. Continue violazioni dei diritti umani secondo il rapporto delle Nazioni Unite unitamente a privazioni delle libertà fondamentali causano la fuga continua di più di 5.000 persone al mese verso il Mediterraneo (…) SEGUE >>>
IMMOBILISMO E CONSERVAZIONE: LA BOSNIA VENT’ANNI DOPO DAYTON MARIA SERRA ↴ A distanza di vent’anni dagli Accordi di Dayton, che misero fine a quello che è stato considerato il conflitto più sanguinoso dalla fine della Seconda Guerra mondiale in Europa, la Bosnia Erzegovina resta oggi lontana dall’essere un Paese pienamente stabilizzato. Nonostante la comunità internazionale e l’Unione Europea negli anni abbiano garantito una sostanziale pacificazione, un adeguato livello di sicurezza e ne abbiano largamente sostenuto il processo di ricostruzione economica e sociale anche in vista di una futura integrazione nello spazio comunitario, la Bosnia non è riuscita infatti a superare i meccanismi stabiliti proprio dal Trattato di pace siglato dall’allora gruppo di contatto. Sebbene necessario e funzionale alla cessazione immediata delle ostilità e dei numerosi crimini contro l’umanità, il Dayton Peace Agreement (DPA) ebbe come maggior limite l’aver posto al cuore della nuova Costituzione la centralità dello Stato multi-etnico e, di riflesso, l’applicazione incondizionata dei meccanismi di power-sharing che alla lunga non hanno favorito le basi di una concreta cooperazione tra le due entità statali (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 16