Weekly Report N°3/2016

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N째3, 17-23 GENNAIO 2016 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 24 gennaio 2016 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo Credits: Associated Press; AFP; A. Majeed/Agence Presse France-Getty Images; SPA/Reuters.


FOCUS CINA-MEDIO ORIENTE ↴

Il Presidente cinese Xi Jinping ha compiuto dal 19 al 23 gennaio la sua prima visita di Stato in Medio Oriente dove ha incontrato gli omologhi di Arabia Saudita, Egitto e Iran. La significativa visita è giunta nel bel mezzo di un forte scontro politico tra Arabia Saudita e Iran, dovuto all’esecuzione da parte di Riyadh di Nimr Baker alNimr, eminente rappresentante del clero sciita saudita, e delle conseguenti proteste popolari verificatesi in tutto il Medio Oriente sciita: sin dall’inizio delle manifestazioni la Cina si è infatti proposta quale mediatore politico tra gli antichi rivali per svolgere un ruolo attivo di promozione per la pace e la stabilità nella regione. Allo stesso tempo questo tour diplomatico si inserisce in un momento molto importante per la politica estera cinese, che mira ufficialmente ad affermare la Cina quale potenza globale alla pari di Stati Uniti e Russia, anche in altri teatri rilevanti come il Medio Oriente. Infatti, il viaggio di Xi ha portato alla firma di importanti accordi di cooperazione economica e di partnership strategica, che hanno tuttavia importanti risvolti di carattere politico come le intese firmate con l’Egitto in favore dei palestinesi di Gaza. Proprio sulla crisi israelo-palestinese Pechino ha rilanciato nuovamente dal Cairo l’idea di porsi come unico mediatore super-partes plausibile nel dialogo di pace tra l’Autorità Palestinese e il governo di Tel Aviv, in quanto unica potenza globale capace di poter dialogare senza creare attriti contro entrambe le parti.

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Xi Jinping, inoltre, è stato il primo leader a recarsi a Teheran dopo lo scoccare dell’Implementation Day e la fine ufficiale delle sanzioni della comunità internazionale nei confronti dell’Iran, nell’ambito degli accordi sulla gestione del nucleare persiano. Arabia Saudita, Egitto e Iran rappresentano degli importanti partner del gigante cinese non solo dal punto di vista energetico, ma anche per la realizzazione dell’ambizioso progetto di sviluppo interregionale orientato verso i mercati occidentali “One Belt, One Road” (OBOR), quale combinazione del corridoio terrestre, Silk Road Economic Belt, e di quello marittimo, la Maritime Silk Road. Il viaggio di Xi Jinping, a distanza di sette anni dall’ultima visita di un leader cinese nell’area, giunge subito dopo la pubblicazione dell’Arab Policy Paper (qui il link), ovvero il documento ufficiale del governo cinese che delinea chiaramente gli indirizzi politici della Terra di Mezzo nei confronti del Medio Oriente.

LA NUOVA VIA DELLA SETA SECONDO PECHINO – FONTE: XINHUA, US DEPARTMENT OF DEFENSE, GAZPROM, TRANSNEFT, UN, THE WALL STREET JOURNAL

Nella prima tappa in Arabia Saudita, Xi Jinping ha incontrato il Re Salman e ha presenziato all’apertura di un impianto di raffinamento sino-saudita nell’area industriale della città di Yanbu, sul Mar Rosso. Durante la due giorni di visita, Cina ed Arabia Saudita, rispettivamente il maggiore importatore di petrolio al mondo ed il maggior produttore, hanno siglato 14 tra accordi commerciali e memorandum of understanding, inclusi importanti contratti energetici e infrastrutturali per sostenere gli scambi e la costruzione di un impianto nucleare, per un valore totale di 15 miliardi di dollari. Il Presidente cinese si è augurato, inoltre, la fine di ogni ostilità con l’Iran, mentre ha espresso il proprio sostegno per la campagna militare che Riyadh sta sostenendo nello Yemen, a sostegno del Presidente legittimo Abd Rabbu Mansour Hadi contro l’avanzata dei ribelli Houthi. 2


Nel suo incontro con il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, Xi Jinping ha annunciato il sostegno economico cinese nella realizzazione di progetti infrastrutturali in Egitto e nello sviluppo delle attività produttive, nonché nel settore bancario e in quello dell’innovazione, per un valore complessivo di 15 miliardi di dollari. Pechino ha infine stipulato due accordi per la concessione di prestiti per un valore totale di 1,7 miliardi di dollari. Il progetto su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione di Xi Jinping è stato la creazione di una zona economica speciale nell’area industriale a ridosso del Canale di Suez, che servirà ad implementare la strategicità egiziana all’interno dello scacchiere mediorientale cinese e nella definizione della “Nuova Via della Seta”. La visita è stata l’occasione inoltre per cementare le storiche e sessantennali relazioni bilaterali, tra le più lunghe e antiche nella regione. I rapporti tra i due Paesi si sono mostrati particolarmente stretti nel settore militare, con l’Egitto che compra parte dei propri armamenti dalla Cina, e nell’ambito aerospaziale. Al termine del bilaterale con il Presidente egiziano, Xi Jinping ha incontrato i rappresentanti della Lega Araba, che ha sede proprio nella capitale egiziana, per discutere di economia e delle crisi politiche nella regione, tra cui quella israelo-palestinese. Nella sua ultima tappa in Iran, Xi Jinping ha siglato 17 accordi di cooperazione commerciale, energetica (soprattutto nel nucleare), culturale e giudiziaria con l’Iran che aumentano l’importanza della Cina per le politiche commerciali del Paese persiano. Nonostante le sanzioni della comunità internazionale, Pechino è il principale partner commerciale di Teheran da sei anni, con un volume di scambi bilaterali, principalmente concentrati nell’ambito energetico, stimato attorno ai 52 miliardi di dollari, con la Cina che è il principale consumatore del petrolio iraniano. Obiettivo dell’aggiornamento del rapporto bilaterale è l’aumento dell’interscambio commerciale fino a 600 miliardi di dollari.

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SIRIA-IRAQ ↴

L’apertura a Ginevra dei colloqui di pace per la risoluzione della guerra civile siriana rischia di essere posticipata oltre la data ufficiale del 25 gennaio a causa del disaccordo delle parti sulla titolarità dei gruppi di opposizione ammessi al tavolo delle trattative. L’Inviato Speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, ha avvertito che non convocherà la sessione negoziale in assenza del riconoscimento del suo mandato a definire la composizione delle delegazioni e di una sottoscrizione unanime della lista dei partecipanti. A compromettere l’avvio del processo diplomatico è dunque lo scontro tra le potenze regionali e internazionali coinvolte nella crisi rispetto a quali fazioni ribelli siano legittimate a discutere con il governo di Damasco del futuro assetto politico. De Mistura si è mostrato particolarmente critico nei riguardi dell’Arabia Saudita, addebitando a Riyadh il veto sull’allargamento della rappresentanza delle opposizioni. L’Alto Comitato delle Negoziazioni promosso dalla diplomazia saudita ha infatti chiuso nettamente, per voce del coordinatore Riyad Farid Hijab, all’associazione di altri gruppi ribelli al processo di pace. Hijab, già Primo Ministro di al-Assad tra il giugno e l’agosto 2012, ha inoltre annunciato che i lavori del Comitato saranno condotti da Asad al-Zoubi e Mohammed Alloush – quest’ultimo espressione del Jaysh alIslam sotto le cui insegne operano brigate islamiste e salafite radicali che Mosca e Teheran, garanti del Presidente siriano Bashar al-Assad, considerano organizzazioni terroristiche alla stregua di Jabhat al-Nusra e Stato Islamico (IS) e perciò incompatibili con il disegno della transizione siriana. La polarizzazione delle relazioni regionali sull’asse sciita-sunnita, recentemente inasprita dall’esecuzione del religioso sciita Nimr Baker al-Nimr e dalla cessazione

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dell’embargo iraniano, pregiudica in tal senso la convergenza su una soluzione condivisa. La stessa Turchia accusa la Russia di mettere a repentaglio il processo di pace e minaccia di disertare l’incontro di Ginevra qualora le milizie e i partiti curdi siano invitati ai colloqui. Per contro il Cremlino annota la complicità di Ankara con i gruppi Jabhat al-Nusra e Ahrar al-Sham che combattono le truppe governative ad Aleppo, mentre l’esclusione dei curdi siriani – preziosi alleati degli Stati Uniti nella repressione dei guerriglieri del Califfato islamico nel nord della Siria – è parimenti rigettata anche dalle potenze occidentali. A questo proposito, l’inviato della Russia alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha espresso la necessità che il Partito curdo di Unione Democratica (PYD) prenda parte ai negoziati, auspicando inoltre che siano invitati anche i leader delle opposizioni che in agosto si erano incontrati a Mosca con il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov. La Casa Bianca è intervenuta tempestivamente per superare il punto morto raggiunto dalle trattative, inviando il Segretario di Stato John Kerry e il vice Presidente Joe Biden rispettivamente a Riyadh e Ankara. Se la diplomazia statunitense ha riconosciuto la preminenza dell’Alto Comitato delle Negoziazioni, Kerry è intenzionato a ottenere la disponibilità delle potenze sunnite del Golfo rispetto alla convocazione a Ginevra di altre delegazioni rappresentative delle parti in conflitto nello scenario siriano. In una conferenza stampa congiunta con il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu, Biden ha sfoggiato un registro compiacente con l’ambivalente alleato turco, equiparando il separatismo curdo alla minaccia jihadista e avvisando che Stati Uniti e Turchia sono pronti a percorrere una soluzione militare contro l’IS qualora non si giunga alla definizione di un accordo politico tra governo siriano e opposizioni ribelli. Al cuore del lungo incontro bilaterale, la delegazione statunitense ha offerto i propri uffici per mediare i rapporti tesi con Baghdad (il governo turco ha firmato un memorandum sul conteso utilizzo della base di Bashiqa) e il rafforzamento delle misure di controllo sulla porosa frontiera meridionale in cambio di un accordo che consenta agli Stati Uniti di incrementare il peso specifico degli asset militari nel nord dell’Iraq in vista dell’offensiva dell’esercito iracheno e dei Peshmerga curdi su Mosul, resa baluardo dei guerriglieri del Califfato. L’iniziativa condotta da Biden sembra smarcare l’amministrazione Obama da una linea di non intervento che ha lungamente caratterizzato l’esposizione americana nello scenario, ma che deve leggersi secondo la duplice finalità di arruolare fattivamente la Turchia di Erdoğan – incline a incitare i gruppi salafiti siriani in chiave anti-Assad – contro l’IS e di bilanciare l’influenza russa nella composizione della partita siriana. Benché Biden abbia tracciato una netta distinzione di legittimità tra il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), nemico giurato di Ankara, e il PYD, Davutoğlu si è tuttavia mostrato irremovibile sull’inclusione del secondo nei negoziati di pace in virtù della vicinanza alla causa separatista rivendicata dal PKK. Proprio nel Kurdistan siriano, il corpo di spedizione statunitense inviato a sostegno delle milizie curde sta espandendo la base aerea di Rmelan allo scopo di aumentare i rifornimenti di armi e allestire un hub operativo per la flotta americana nel 5


nord-est della Siria. Analogamente, i militari russi avrebbero messo gli occhi sulla pista d’atterraggio nella vicina Qamishli, formalmente controllato dalle truppe governative di al-Assad. Data la prossimità al confine turco e la sovrapposizione all’area in cui agiscono i reparti speciali statunitensi, l’interesse russo desta ragionevoli preoccupazioni. In definitiva, la frammentazione del fronte delle opposizioni e le complesse relazioni di reciprocità con le terze parti coinvolte nella crisi sembrano avvantaggiare Assad, forte del ribaltamento dei rapporti di forza determinato dall’ingresso militare della Russia a fianco delle logore divisioni governative. Staffan de Mistura si è appellato ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU per imporre alle fazioni combattenti la cessazione degli assedi intorno a quattordici aree, tra cui i villaggi di Madaya, Mouadamiya, Foua e Kefraya. Il diplomatico ha aggiunto che il governo guidato da Assad ha ignorato ottanta richieste di accesso alle aree sotto assedio dell’esercito lealista sulle centotredici complessivamente presentate dalle agenzie ONU nell’ultimo anno. Tra le potenze europee, il Segretario della Difesa britannico Michael Fallon ha deplorato le vittime civili provocate dagli attacchi russi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani stima che solo nell’ultimo mese più di mille civili abbiano perso la vita sotto i bombardamenti russi. A seguito di un incontro con i Ministri della Difesa di sette Paesi della coalizione internazionale costituitasi contro la minaccia del Califfato, il Presidente francese François Hollande ha segnalato che il ritmo della campagna aerea subirà una decisa accelerazione al fine di agevolare la caduta dei due centri di potere dell’IS, Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. A questo proposito, il Ministro della Difesa iracheno Khaled al-Obeidi è sicuro che le forze di sicurezza monteranno l’attacco su Mosul entro la prima metà del 2016. In crescente difficoltà per i bombardamenti occidentali, il Califfato ha ridotto l’esposizione e dimezzato i salari dei propri combattenti, senza tuttavia rinunciare ad attacchi mirati in molteplici zone sensibili, in particolare tra Ramadi e Falluja, come pure attorno a Tikrit. L’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani ha pubblicato un Rapporto che denuncia il drammatico impatto del conflitto sulla popolazione irachena. Tra il gennaio 2014 e l’ottobre 2015 sono almeno 18.800 e 36.000 i morti e i feriti civili; oltre tre milioni gli sfollati. Il rapporto documenta non solo l’efferatezza delle stragi compiute dall’IS, ma anche le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e gli abusi commessi dall’esercito iracheno, le milizie popolari sciite e i Peshmerga curdi. Amnesty International ha anch’essa diffuso un Rapporto indipendente che evidenzia la deliberata distruzione da parte dei guerriglieri curdi di tredici villaggi nel nord dell’Iraq, abitati da comunità arabe e strappati ai miliziani del Califfato. Questi rilievi testimoniano la severità delle rivalità settarie e inter-confessionali. Mu’en al-Khadimi, portavoce della Brigata Badr, ha esplicitato chiaramente che le

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milizie sciite non accetteranno la permanenza dei Peshmerga a Kirkuk e Tuz Khurmatu. L’andamento del conflitto con i jihadisti dell’IS e la disfatta iniziale dell’esercito iracheno avevano offerto al Kurdistan iracheno l’opportunità di estendere e consolidare l’influenza nell’area, assumendo il controllo degli importanti giacimenti petroliferi. L’avvertimento sopraggiunto dal fronte sciita indica tuttavia che la competizione territoriale su Kirkuk è stata deposta solo provvisoriamente. Già in novembre erano esplosi degli scontri tra le formazioni paramilitari sciite del Fronte di Mobilitazione Popolare e i Peshmerga. La situazione è ancor più tesa a Basra, dove i maggiori gruppi sciiti – l’Organizzazione Badr, Kata’ib Sayyid al-Shuhada, Kata’ib al-Imam Ali, e il Movimento Nujaba – hanno respinto l’invio dell’esercito regolare ordinato da Baghdad per contenere la crescente violenza tribale; un rifiuto peraltro emblematicamente concretizzato da uno scambio a fuoco tra i militari iracheni e i miliziani di Kata’ib Sayyid al-Shuhada presso un posto di blocco. A confermare ulteriormente la fragilità dell’esecutivo guidato da Haider al-Abadi, i rappresentanti sunniti hanno deciso di boicottare due sessioni parlamentari per protestare contro l’impunità delle milizie sciite responsabili dei rastrellamenti a Muqdadiyah e per richiedere il disarmo dei gruppi irregolari nella provincia di Diyala.

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BREVI AFGHANISTAN, 17-20 GENNAIO ↴ Un’autobomba è esplosa al passaggio di un minibus che stava trasportando gli impiegati di un canale televisivo privato legato all’emittente TOLO News, causando la morte di sette persone. L’attentato, avvenuto il 20 gennaio nei pressi dell’Ambasciata russa a Kabul, è stato rivendicato dai Taliban e rappresenta l’ultimo di una serie di atti terroristici nella capitale afghana miranti ad interrompere la ripresa dei colloqui per giungere ad una soluzione pacifica della crisi del Paese centrasiatico. I miliziani Taliban avevano minacciato apertamente in passato le reti televisive, ree di aver diffuso alcune immagini di esecuzioni sommarie, violenze e stupri avvenuti all’epoca della presa di Kunduz. Benchè non coinvolta nell’attentato, l’Ambasciata russa non è stata la prima rappresentanza diplomatica ad essere stata colpita in questo inizio 2016: il 17 gennaio, un razzo è stato lanciato deliberatamente contro la sede dell’Ambasciata italiana a Kabul, casando molti danni alla struttura ma soltanto due feriti tra le guardie a protezione dell’edificio. Gli attentati ai danni di rappresentanze diplomatiche sembrano un messaggio rivolto direttamente ai rappresentanti di Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina che si sono incontrati a Kabul per il secondo meeting del Quadrilateral Coordination Group (QCG), il quartetto incaricato di trovare una nuova roadmap per il processo di riconciliazione nazionale afghano. Al termine dei colloqui di Kabul, i rappresentanti del QCG hanno espresso la loro soddisfazione per i risultati raggiunti, ma le decisioni effettive verrano prese al prossimo Vertice di Islamabad, alla cui partecipazione auspicano anche i Taliban. Nonostante i rinnovati tentativi diplomatici, nelle ultime settimane gli insorti afghani hanno lanciato un’offensiva su tre distretti strategici nella provincia meridionale di Helmand, area pressochè disabitata ma importante per i traffici di oppio. Oltre alla rinnovata intraprendenza dei Taliban, dovuta sia alla problematica successione del Mullah Omar sia all’apparizione dei miliziani del sedicente Stato Islamico, è da registrare anche un cambio di strategia dei medesimi i cui attacchi non sono più limitati esclusivamente alle stagioni più permissive dal punto di vista meteorologico, ma ormai si sviluppano durante tutto l’anno. Inoltre, come riportato anche dai responsabili delle forze di sicurezza locali, sempre più spesso i Taliban compiono attacchi lampo che non pemettono agli afghani di mettere in campo le giuste contromisure.

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LIBIA, 19 GENNAIO ↴ Con due giorni di ritardo rispetto a quanto previsto dagli accordi di Skhirat del dicembre scorso, il Consiglio di Presidenza Libico, l’organo collegiale attualmente facente funzioni di Capo di Stato, ha nominato i membri del nuovo governo di unità nazionale libico. L’esecutivo ha attualmente sede a Tunisi, data la difficoltà ambientale e di sicurezza di Tripoli. Il ritardo nella nomina è stato dovuto principalmente alle difficoltà sorte in merito al Dicastero della Difesa e al ruolo del generale Khalifa Haftar. Il Ministero è stato alla fine affidato, con un compromesso, ad un fedele di Haftar: Madhy Ibrahim al-Barghthy. Il nuovo Governo si compone di 32 Ministri e 4 vice Ministri eletti proporzionalmente al fine di rappresentare le tre principali regioni libiche (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) e in generale i delicati equilibri tra fazioni e tribù presenti sul territorio. Per poter iniziare ad operare concretamente il nuovo governo dovrà ora superare l’approvazione dei due Parlamenti libici, quello di Tripoli e quello di Tobruk; numerose le difficoltà e i dubbi circa il futuro di questo governo, soprattutto se si considera il mancato appoggio delle due Assemblee all’accordo relativo allo stesso Consiglio che lo ha eletto. Del resto anche qualora tale approvazione dovesse giungere, il nuovo governo dovrà faticare non poco per trovare una base di consensi in un Paese così lacerato e diviso. La situazione rimane, dunque, estremamente delicata sia dal punto di vista politico sia militare. Indubbiamente, il governo appena nominato rappresenta la speranza per l’Occidente di trovare un interlocutore credibile con cui dialogare per gestire i problemi legati all’immigrazione e all’avanzata dello Stato Islamico (IS). E infatti, crescono i timori per l’offensiva lanciata dall’IS in quella che è chiamata la Mezzaluna petrolifera (la zona costiera intorno a Sirte): da ultimo, il 21 gennaio, i miliziani affiliati all’organizzazione del califfo al-Baghdadi hanno attacco i terminal petroliferi libici di Ras Lanuf.

MOLDAVIA, 20 GENNAIO ↴ Con 57 voti a favore, il Parlamento moldavo ha votato la fiducia al governo di Pavel Filip, esponente del Partito Democratico della Moldavia (PDM), ex Ministro delle Comunicazioni e incaricato alcuni giorni prima dal Presidente della Repubblica Nicolae Timofti per porre fine alla fase di instabilità politica nazionale che si protrae dalle elezioni del novembre 2014. Dopo la bocciatura ad inizio anno del designato Ion Sturza, la mancanza di una convergenza sull’esecutivo Filip avrebbe difatti comportato lo scioglimento dell’Assemblea e il ricorso ad elezioni anticipate. Accusati di corruzione 9


e di coinvolgimento nello scandalo degli istituti di credito moldavi, che ha peraltro portato all’arresto dell’ex Primo Ministro Vlad Filat, nell’ultimo anno i partiti filoeuropeisti (PDM, PLDM e PL) – riuniti nella coalizione “Alliance for European Integration III” – hanno espresso quattro Premier (di cui due facenti funzioni), senza tuttavia disporre della sufficiente fiducia per proseguire sul percorso riformistico, e in particolare di avvicinamento alle strutture comunitarie, promosso dal 2009 dai governi dello stesso Filat e di Iurie Lencă. Di fronte all’assunzione dell’incarico da parte di Filip, le opposizioni moldave filo-russe (il Partito Socialista e il Partito Comunista) sono nuovamente scese in piazza per protestare: nell’assalto al palazzo del Parlamento di Chișinău da parte di alcuni gruppi di manifestanti, dispersi poi dalla polizia con gas lacrimogeni, sono rimaste ferite 31 persone, di cui 27 agenti. Malgrado l’impasse politica sia riconducile ad una frattura sull’orientamento di politica estera del Paese, acuitasi dopo la crisi in Ucraina e alimentata dalla questione della Transnistria (la regione orientale separatista che dopo la proclamata annessione della Crimea alla Russia ha fatto formalmente richiesta di ritorno sotto la sovranità moscovita), il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha richiamato le opposizioni ad astenersi da atti di violenza, chiedendo tuttavia alle autorità di prendere in considerazione le istanze della minoranza parlamentare. E’ indubbio tuttavia che il ritorno alle urne nel breve periodo potrebbe verosimilmente segnare la vittoria delle stesse formazioni filo-russe, con evidenti ricadute sul processo di integrazione europea che aveva conosciuto una svolta significativa nel corso del 2014 con l’ottenimento della liberalizzazione dei visti e la firma – nonostante le restrizioni economiche imposte dal Cremlino – dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con Bruxelles.

PAKISTAN, 20 GENNAIO ↴ Nel nord ovest del Pakistan si è consumato un altro massacro da parte dei gruppi scissionisti Taliban pachistani in cui hanno perso la vita almeno 20 persone, ferendone altre 50. L’assalto è avvenuto all’università

Bacha

Khan,

a

Charsadda,

nella

provincia del Khyber Pakhtunkhwa. Nell’attacco sarebbero stati uccisi locali i quattro terroristi dalle forze di sicurezza, mentre cinque sospetti militanti e fiancheggiatori sono stati arrestati. Una sesta persona è ancora ricercata. Secondo una prima ricostruzione degli inquirenti, i militanti sarebbero giunti in Pakistan attraversando il confine dalla frontiera afghana di Torkham. Una presunta rivendicazione dell’atto è stata effettuata dal comandante di Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), Omar Mansoor, prima di essere smentita poche ore dopo sia dai vertici dell’organizzazione, sia dal portavoce del gruppo, Muhammad Khurasani, che ha invece condannato l’attacco avvertendo che «chiunque abbia utilizzato il nome del TTP per questa attività anti-islamica (...) sarà 10


punito in base alla shari’a islamica». Questo attentato rappresenta il secondo peggior atto di terrorismo avvenuto nel Paese a distanza solo di quattordici mesi dall’attacco alla scuola militare di Peshawar, in cui persero la vita 132 ragazzi. Da allora le forze pachistane hanno ucciso ed arrestato un centinaio di militanti del gruppo. Per i gruppi talebani in Pakistan e in Afghanistan gli attacchi di soft target (ad esempio università o scuole) sono diventati un pilastro fondamentale nella strategia di insorgenza contro le autorità politiche locali e centrali. Da Davos, dove era impegnato nella settimana del World Economic Forum, il Primo Ministro pachistano, Nawaz Sharif, ha assicurato che il governo farà qualsiasi cosa per sdradicare la minaccia terroristica dal Paese.

TUNISIA, 20 GENNAIO ↴ Da circa una settimana non conoscono sosta le proteste sociali partite dalla città di Kasserine, nel sudest del Paese, al confine tra Tunisia e Algeria. Da giorni infatti centinaia di giovani protestano per rivendicare il diritto

al

lavoro

e

accusano

la

pubblica

amministrazione di corruzione dilagante. Le tensioni e gli scontri si sono inaspriti quando il giovane disoccupato Ridha Yahyaoui, che manifestava contro la cancellazione del suo nome dalla lista degli ammessi ad un incarico presso il Dipartimento Regionale dell’Istruzione, è morto fulminato dopo essere salito su un pilone della corrente elettrica durante un sit-in. Fino ad ora si contano 41 feriti tra agenti e forze di sicurezza, mentre uno di loro, rimasto intrappolato nella sua auto e aggredito a colpi di pietre dai manifestanti, è morto. Non è ancora chiaro, invece, quanti siano i civili feriti. Le proteste si sono estese dalla zona della sede del governo regionale a diversi altri quartieri di Kasserine, come quelli di Ennour e Ezzouhour. Per cercare di far fronte a questa situazione di emergenza, il Ministero dell’Interno ha dichiarato il coprifuoco in tutto il governatorato di Kasserine dalle 18 alle 5 del mattino. Negli ultimi giorni, il Consiglio dei Ministri ha inoltre varato alcune misure specifiche destinate alla promozione dell’occupazione e lo sviluppo dell’area disagiata. Tra queste l’assunzione di 6.400 disoccupati, lo stanziamento di 3 milioni di euro destinati al finanziamento di 500 progetti, la creazione di una commissione di inchiesta su presunti casi di funzionari corrotti, la concessione di terreni demaniali a privati, la creazione nella regione di nove società imprenditoriali con un capitale di 75.000 euro. Ciononostante, le proteste non sembrano fermarsi. Nella giornata del 19 gennaio, manifestazioni e marce di solidarietà ai giovani di Kasserine hanno attraversato numerose città del Paese: Kairouane, Sidi Bouzid, Regueb Siliana, Zaghouan, Sousse, Kairouan, Kef, El Fahs, Thala, Feriana, fino ad arrivare a Tunisi. La regione di Kasserine, vicina al confine con l’Algeria, è fra le più povere della Tunisia. Qui la disoccupazione si attesta intorno al 30% contro una media di circa la metà nella capitale. Le proteste di Kasserine mettono in evidenza le istanze di uguaglianza sociale rimaste disattese dopo la rivoluzione del 2010-2011 e le 11


diseguaglianze territoriali. Infatti, le zone interne – le prime a sollevarsi contro il regime di Zine El Abidine Ben Ali a seguito del suicidio del giovane disoccupato Mohamed Bouazizi – continuano a restare meno sviluppate rispetto al resto del Paese. A ciò si aggiunge il timore che alcuni jihadisti, rifugiati sui monti sopra a Kasserine, si possano infiltrare tra la folla dei manifestanti approfittando del clima di tensione. Pertanto, le forze di sicurezza hanno rafforzato i controlli in determinate aree del Paese.

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ALTRE DAL MONDO EGITTO, 21 GENNAIO ↴ Alla vigilia del quinto anniversario del 25 gennaio 2011, quando l’Egitto intraprese il processo di rivoluzione politico e sociale che si inscriveva all’interno del macro-trend delle cosiddette “Primavere Arabe” e che portò l’11 febbraio alle dimissioni di Hosni Mubarak, il Paese è ancora sotto l’onda d’urto del terrorismo islamista. Nel Sinai settentrionale, principale area di insorgenza islamista da parte del Wilayat Sinai, sono stati uccisi cinque poliziotti ad un checkpoint nei pressi del governatorato di al-Arish. L’attacco è stato rivendicato appunto dalla branca egiziana dello Stato Islamico (IS). Più confuso per dinamica e per rivendicazione è quanto accaduto nei sobborghi di Giza, nell’area metropolitana del Cairo. La polizia e le forze di sicurezza hanno condotto congiuntamente un’operazione anti-terrorismo contro una cellula islamista operante nella nota località turistica egiziana; i militanti si sono fatti quindi esplodere provocando l’uccisione di 10 persone (di cui 6 poliziotti) e il ferimento di altre 16 (di cui 13 militari). L’attacco è stato immediatamente rivendicato sia dal Wilayat ard alKinana, la cellula del mainland egiziano di IS, sia dai miliziani dell’ex gruppo di Ansar Bayt al-Maqdis. Tuttavia le autorità nazionali hanno smentito ciò, spiegando che l’operazione era invece diretta contro una cellula di affiliati alla Fratellanza Musulmana.

IRAN, 16 GENNAIO ↴ L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, e il Ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, hanno ufficialmente annunciato la revoca delle sanzioni contro Teheran nel corso di una conferenza congiunta presso la sede dell’IAEA a Vienna. La fine delle sanzioni economiche e finanziarie è conseguente all’accertamento da parte dell’IAEA del rispetto degli impegni presi dall’Iran con la firma dell’accordo sul nucleare con i Paesi del cosiddetto 5+1 (Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Russia, Cina, Germania) lo scorso 14 luglio. Non saranno tuttavia rimosse le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per via dell’appoggio che Teheran fornisce a gruppi considerati terroristici dagli americani, come Hamas, Hezbollah e alcuni gruppi paramilitari iraniani. Gli Stati Uniti hanno inoltre adottato nuove sanzioni a causa della sperimentazione iraniana di nuovi missili balistici senza averne l’autorizzazione, provvedimento dichiarato illegittimo dal Presidente Hassan Rouhani.

ITALIA-UNIONE EUROPEA, 19 GENNAIO ↴ Quella appena trascorsa è stata una settimana di forti tensioni tra il governo italiano e la Commissione europea. Dopo aver aperto un fronte nel dicembre scorso con la Germania a proposito del potenziamento del gasdotto Nord Stream a scapito del corridoio meridionale, che quindi favorirebbe Berlino, Roma si è recentemente scontrata 13


con le istituzioni di Bruxelles in merito all’applicazione del piano di 3 miliardi in favore della Turchia per limitare il flusso di migranti verso l’Europa Centrale. Il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha fatto trapelare il proprio disappunto per non avere a Roma un interlocutore credibile né per rendere più sostenibile il sistema-Paese italiano né per puntellare le politiche europee comuni; il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, rivendicando il ritorno dell’Italia sulla scena internazionale come interlocutore di primo piano a tutela dei propri interessi, ha notato come a Bruxelles ci sia qualcuno «forse impaurito da questo nuovo protagonismo italiano, (che) preferirebbe averci più deboli e marginali, come purtroppo è spesso accaduto in passato. Se ne facciano una ragione: l’Italia è tornata, più solida e ambiziosa».

MALI, 19-20 GENNAIO ↴ Tre gendarmi maliani sono stati uccisi nei pressi della località di Mopti, nel centro del Paese, da uomini armati non ancora identificati. Secondo la polizia locale, gli agenti sarebbero stati colti di sorpresa e non avrebbero così risposto prontamente al fuoco nemico. L’area non è nuova a questo tipo di attacchi a postazioni militari da parte di gruppi jihadisti. Nell’area è infatti molto attivo il gruppo Fronte di Liberazione Macina, composto in maggioranza da Fulani, minoranza etnica predominante. Il gruppo è tra quelli ad aver rivendicato il recente attentato all’hotel Radisson, nella capitale Bamako. Nelle stesse ore, il gruppo islamista Tuareg di Ansar Eddin, attivo nel nord del Mali, ha lanciato un attacco contro le forze internazionali presenti a Kidal, nell’Azawad. Uno degli obiettivi dell’attacco era un camion militare delle forze dell’Unione Africana, la cui esplosione ha provocato la morte di dieci persone.

SERBIA, 13 GENNAIO ↴ Il Premier Aleksandar Vučić, leader del partito del Partito Progressista Serbo (SNS) al governo, ha dato l’annuncio di nuove elezioni parlamentari che si terranno probabilmente il prossimo 24 aprile in contemporanea con quelle locali e quelle per il rinnovo del governo della Vojvodina, regione settentrionale della Serbia a statuto autonomo. Per la Serbia si tratta della quarta consultazione elettorale in quattro anni; nel 2012 si votò sia per il rinnovo del Parlamento sia per il Presidente della Repubblica, conducendo alla vittoria di Tomislav Nikolić, del Partito Progressista e alla formazione di un governo di coalizione presieduto dal leader del Partito Socialista Ivica Dačić. Sebbene non vi sia una crisi di governo in corso, la decisione di Vučić dipenderebbe dalla volontà di consolidare la maggioranza parlamentare e allungare proprio mandato fino al 2020.

SOMALIA, 21 GENNAIO ↴ Un commando armato si è fatto strada con due autobombe che sono state fatte esplodere davanti al hotel-ristorante Beach View Cafè, in riva al mare nella capitale 14


Mogadiscio. Dopo la prima esplosione si è verificata una sparatoria e quattro jihadisti si sono asserragliati dentro il locale, dove si stavano celebrando un matrimonio e una laurea. Le forze speciali somale hanno evacuato la maggior parte dei civili bloccati nel complesso, ma venti di loro sono rimasti uccisi. Quattro componenti del commando sono stati uccisi ed il leader dello stesso è stato catturato. L’attentato è stato successivamente rivendicato dal gruppo islamista al-Shabaab, gruppo insurrezionalista sunnita attivo in Somalia dal 2006 e affiliato ad al-Qaeda dal 2012.

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ANALISI E COMMENTI L’OMBRA DEL TERRORISMO “GLOCALE” SULL’INDUSTRIA DEL TURISMO REDAZIONE ↴ Confermando la tendenza delineatasi al termine del 2015 dopo gli attentati di Parigi, e coerentemente con le nuove strategie dello Stato Islamico (IS) messo in difficoltà dalla perdita significativa di territori tra Siria e, soprattutto, Iraq, l’ultima settimana ha confermato l’aumento della minaccia terroristica a livello globale. Resta allo stesso tempo vero che gli attentati terroristici che hanno colpito diversi Paesi (Egitto, Turchia, Indonesia e Burkina Faso), seppure vadano inscritti in uno scenario internazionale, trovano per lo più radici in contesti di forte instabilità locale. È di tre feriti, due austriaci e uno svedese, il bilancio di un tentativo di attacco avvenuto lo scorso 10 gennaio all’hotel Bella Vista di Hurghada, capitale del governatorato del Mar Rosso e importante meta turistica dello stesso. I due assalitori (tre secondo alcuni testimoni), che avrebbero fatto irruzione nel resort con alcune armi da taglio e presumibilmente con alcune armi da fuoco, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza (…) SEGUE >>>

L’EREDITÀ DI UN PRESIDENTE. GLI STATI UNITI E LE SFIDE DEL POST-OBAMA GIANLUCA PASTORI ↴ L’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama – pronunciato il 12 gennaio di fronte alle Camere riunite del Congresso – ha rappresentato un’occasione interessante per cercare di tracciare un bilancio degli otto anni della sua presidenza in materia di politica estera e internazionale e per valutare quali sfide attendono il suo successore, che verrà eletto nelle consultazioni del prossimo 8 novembre, quando verranno rinnovati anche i delegati alla Camera dei Rappresentanti e un terzo di quelli del Senato. Come più volte osservato, negli anni del secondo mandato, l’immagine del Presidente che nel 2009, in occasione della sua prima elezione, aveva sollevato tante aspettative negli USA e fuori, è apparsa alquanto sbiadita. Quella che è stata da più parti percepita come l’incertezza della Casa Bianca davanti alle differenti crisi che è stata chiamata fronteggiare – dalla Libia all’Ucraina, passando per la Siria e l’impegno contro lo Stato Islamico/DAESH in Iraq – ha influito in maniera negativa sulla percezione degli Stati Uniti nel mondo e ha contribuito fare apparire la loro azione scoordinata e priva di un’effettiva strategia (…) SEGUE >>> A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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