N째16, 7-13 GIUGNO 2015 ISSN: 2284-1024
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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 14 giugno 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
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Photo credits: EPA/Sergei Karpukhin/Pool; Andrew Harnik/AP; Xinhua/AP; Associated Press; Reuters; Bulent Kilic/AFP/Getty Images; Michael Gottschalk; William L. Stefanov/NASA-JSC; Emanuel Dunand/Pool/EPA.
FOCUS EGITTO ↴
Ad un anno dalla conquista di Mosul da parte dello Stato Islamico (IS), anche la branca egiziana del gruppo, la Provincia islamica del Sinai (già nota come Ansar Bayt al-Maqdis), ha lanciato due simbolici attacchi contro obiettivi sensibili nel Sinai e nel mainland egiziano. Il primo è avvenuto il 9 giugno scorso e ha avuto come oggetto la base aerea di al-Jura, nel Sinai centro-settentrionale, gestita dal Multinational Force and Observers (MFO), le forze di peacekeeping delle Nazioni Unite presenti nella Penisola fin dal 1981 a garanzia del rispetto del trattato di pace di Camp David tra Egitto e Israele (1979). Il secondo attentato è avvenuto il 10 giugno presso il tempio di Karnak, nella zona archeologica di Luxor, già luogo nel 1997, ma nel sito di Deir al-Baharit, di un attentato da parte di un commando della Gama’a alIslamiyya che provocò la morte di 62 persone, di cui 58 turisti stranieri. Entrambi gli attacchi – il primo rivendicato dalla Provincia islamica del Sinai, mentre il secondo è rimasto senza alcuna paternità, sebbene comunque si segua la pista islamista dei gruppi del Sinai e dei suoi alleati nell’Egitto continentale – non hanno comunque prodotto grosse perdite: nell’attacco ad al-Jura sono state colpite solo le infrastrutture senza grandi danni, mentre in quello a Luxor sono stati segnalate le morti di due attentatori uccisi dalle forze di sicurezza e il ferimento di 4 persone (due poliziotti e due civili). Entrambi gli attentati si inscrivono nel rafforzamento della strategia messa a punto dalla Provincia del Sinai di colpire «obiettivi internazionali, crociati ed ebrei» e rivendicata nei giorni scorsi in un video postato dal gruppo su alcuni forum jihadisti. Il timore delle autorità locali è che il prossimo mese di Ramadan (17 giugno-17 luglio)
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possa diventare un periodo, anche mediatico, perfetto per il rilancio di una strategia stragista da parte dei gruppi terroristici attivi nel Paese in modo da esercitare pressioni contro il governo e contro la sua azione di repressione nei confronti delle opposizioni più o meno legate alla Fratellanza Musulmana. Parallelamente agli attacchi terroristici, si sono tenuti nei pressi del Centro di comando della Marina egiziana ad Alessandria – città presso la quale la Russia ha avuto il permesso dal governo del Cairo di costruire una sua base militare che dovrebbe risultare più strategica della siriana Tartus –, le attese esercitazioni navali tra la marina egiziana e quella russa, previste fin dallo scorso marzo in occasione della firma del Memorandum of Understanding, avvenuto durante un bilaterale russo-egiziano a Mosca tra i Ministri della Difesa Sedki Sobhi e Serghej Shoigu, che prevedeva un accordo di cooperazione militare. Le esercitazioni tenute dal 6 al 14 giugno, ma le cui prime attività marittime sono partite ufficialmente il 10, hanno visto il dispiegamento per la Marina russa dell’incrociatore missilistico Moskva, della nave lanciamissili Samum, della grande nave da sbarco Alexander Shabalin, della nave cargo Ivan Bubnov e del rimorchiatore MB-31; la Marina egiziana ha messo a disposizione le fregate Taba e Damietta, la nave cargo Shalateen, 2 navi lanciamissili, 2 caccia F-16 ed 1 elicottero di controllo. Le esercitazioni rientrano all’interno dell’operazione russo-egiziana “Bridge of Friendship 2015” (“Ponte di Amicizia 2015”) che ha come scopo finale «quello di rafforzare e di sviluppare la cooperazione militare tra le due Marine nell’interesse della sicurezza e della stabilità nell’area». Questa operazione segna un nuovo duro attacco alla strategia mediorientale della NATO e degli Stati Uniti, nonché un altro segnale di conferma dello shift egiziano verso Mosca, iniziato nel novembre 2013 con la firma dell’accordo di rifornimento tecnicomilitare da 4 miliardi di dollari – finanziato dagli alleati del Golfo –, che prevedeva l’acquisto di aerei caccia, elicotteri, mezzi corazzati e altri equipaggiamenti bellici dalla Russia. Nelle stesse ore, Il Cairo intraprendeva una nuova azione di diplomazia economica che potrebbe segnare un nuovo spartiacque nel futuro dello sviluppo economico e sociale del Sinai e del Continente africano. Il 10 giugno, il governo egiziano ha firmato un accordo preliminare per l’istituzione a Sharm al-Shaikh di una Zona di Libero Scambio Tripartita (TFTA, Tripartite Free Trade Area). L’intesa, firmata da 26 Paesi africani, si propone l’ambizioso obiettivo di creare la più grande area commerciale condivisa africana, con l’intento di unificare le tre aree di libero scambio già esistenti: la Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Australe (SADC), la Comunità dell’Africa Orientale (EAC) e il Mercato Comune per l’Africa Orientale e Meridionale (COMESA). Il progetto risalente agli anni Sessanta del Novecento, e non esente da difficoltà legate soprattutto all’assenza di infrastrutture interne e di capitali stranieri da attrarre, dovrebbe essere presentato nelle prossime settimane presso il consesso dell’Unione Africana e dovrebbe entrare in vigore nel 2017, stimolando un graduale ma costante volume d’affari pari a 3.000 miliardi di dollari, il progressivo annullamento delle barriere doganali previste dal trattato di Abuja del 1991 (che aveva posto come scadenza
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il 2025), nonchĂŠ la stipulazione di numerose partnership e joint-venture pubblicoprivate tra i diversi soggetti africani, favorendo infine uno sviluppo del commercio interno africano pari al 30% del PIL totale.
FONTE: BBC AFRICA
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GERMANIA ↴
Sono state numerose le questioni affrontate durante l’ultimo G7 in Germania, lo scorso 7 e 8 giugno. Sul tavolo del Castello di Elmau, in Baviera, sono stati cinque i principali dossier discussi: la politica estera, l’economia globale, la salute, lo sviluppo e infine il cambiamento climatico, l’energia e l’ambiente. Nel dossier di politica estera, accanto ai temi caldi dell’Ucraina, della Libia, dello Yemen, della minaccia terroristica e della sfida lanciata dall’immigrazione, si è discusso anche del mantenimento nel settore marino di un ordine basato sui principi del diritto internazionale, del raggiungimento della sicurezza marittima, del sistema multilaterale di accordi sul commercio delle armi e di sicurezza nucleare. Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto si è riconosciuto il Trattato di non Proliferazione (TNP) come la pietra angolare del regime di non proliferazione nucleare nonché il fondamento essenziale per la prosecuzione del disarmo. Si è dunque logicamente parlato di Iran e del recente accordo atto a garantire la natura esclusivamente pacifica del programma iraniano. Uno sguardo è stato, infine, rivolto all’Estremo Oriente e in particolare alla Corea del Nord in riferimento alla quale si è condannato il continuo sviluppo dei programmi nucleare e balistico, così come le sue continue violazioni dei diritti umani. In riferimento all’economia globale, i leader dei G7 hanno sottolineato come si sia intrapresa la strada della ripresa economica, come emerge anche dai dati delle maggiori organizzazioni Internazionali economiche. Tuttavia molte delle economie considerate sono ancora al di sotto del pieno sviluppo potenziale e caratterizzate da ampie zone grigie che minacciano la crescita futura. Tassi di disoccupazione ancora troppo elevati, deflazione, investimenti deboli, una domanda per consumi ancora non sufficiente, l’alto debito pubblico e privato, nonché squilibri interni ed esterni insieme
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alle tensioni geopolitiche e alla volatilità dei mercati finanziari continuano a rappresentare la più grande sfida per il mondo globalizzato. Anche in materia finanziaria si è sottolineata l’urgenza di continuare sulla strada intrapresa per arrivare con le riforme in profondità, fino a toccare le cause ultime della crisi finanziaria globale. Regolamentazione, supervisione, trasparenza, cooperazione e in definitiva riduzione del rischio sistemico, queste le linee guida attraverso le quali raggiungere un pieno, coerente e tempestivo piano di riforme. In materia di commercio la riduzione delle barriere rimane l’imperativo fondamentale da perseguire al fine di promuovere la crescita economica globale. In questo senso il Vertice ha concordato su una doverosa accelerazione dei lavori per concludere entro l’anno il TTIP, l’accordo di libero scambio tra USA ed Europa. Non è mancato neanche un riferimento al TPP, l’accordo di partenariato trans-pacifico che vede coinvolti gli USA e numerosi Paesi asiatici e americani della costa del Pacifico, eccetto la Cina. Nel dossier economico sono state, infine, considerate ulteriori specifiche questioni: l’imprenditoria femminile e il suo sviluppo; il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e la tutela ambientale nelle catene di approvvigionamento globale; il sostegno alle iniziative volte a promuovere la creazione di appropriati strumenti imparziali per aiutare i consumatori e i committenti pubblici a confrontare informazioni sulla validità e credibilità del prodotto; l’importanza della trasparenza bancaria per la lotta all’evasione fiscale, alla corruzione e in generale alle attività illecite; la creazione di un sistema fiscale internazionale che possa fare dell’equità e della prosperità i propri fondamenti. Le riforme economiche rimangono indubbiamente il centro dell’azione comune in quanto una solida base economica si presenta come la pietra angolare su cui costruire migliori condizioni di vita per tutti. In questo senso la prospettiva di una crescita sostenibile di lungo periodo (si fa un esplicito riferimento alla strada intrapresa nel 2000 con i Millennium Development Goals) si sposa con la questione dell’energia, dell’ambiente e del clima non potendo ormai più prescindere, lo sviluppo economico, da considerazioni di altro tipo soprattutto legate alla sostenibilità futura inter-generazionale. Si è dunque discusso di clima raggiungendo una posizione comune in vista della conferenza delle Nazioni Unite di fine anno a Parigi, COP21. Si è affermata la volontà di limitare a 2 gradi l’aumento massimo previsto della temperatura globale e quella di aumentare a 100 miliardi di dollari entro il 2020 i fondi, pubblici e privati, da stanziare in materia di riscaldamento globale. L’obiettivo ultimo è quello di de-carbonizzare l’economia globale nel corso di questo secolo. Per il clima si guarda ora a Parigi sperando di poter superare le differenze e i contrasti indubbiamente esistenti in materia e di pervenire ad un accordo concreto e vincolante dotato possibilmente anche di un meccanismo di follow-up. In materia di energia si è ribadito da un lato la necessità di non adoperare l’energia come mezzo di coercizione politica o come minaccia alla sicurezza (il riferimento è ovviamente alla situazione dell’Ucraina) e dall’altro si è affermata la preminenza del concetto di diversificazione (a livello di fonti ma anche di rotte) quale elemento centrale della sicurezza energe-
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tica. L’obiettivo è rafforzare la cooperazione nel settore dell’efficienza energetica affiancando agli sforzi in tal senso anche nuove politiche di ricerca e sviluppo in materia di energia pulita, rinnovabile e a basse emissioni. Infine nel dossier salute si è parlato da un lato, in una prospettiva di ampio respiro, di rafforzamento dei sistemi sanitari attraverso programmi bilaterali e strutture multilaterali ma anche dell’emergenza ebola, della prevenzione di future epidemie e della nuova emergenza sanitaria relativa ai migranti; dall’altro, in chiave maggiormente interna, si sono affrontate le questioni legate alla promozione dell’uso prudente degli antibiotici e alla ricerca in materia soprattutto di terapie preventive, vaccini e diagnostica rapida. Il prossimo appuntamento dei 7 capi di Stato e di Governo sarà nel 2016 in Giappone nel piccolo centro di Shima.
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TURCHIA ↴
Nelle elezioni politiche dello scorso 7 giugno il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) – di ispirazione islamista e conservatrice – del Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha perso la maggioranza assoluta dei seggi, ottenendone 258 contro i 276 necessari per formare un esecutivo monocolore. Dopo 13 anni di governo, questo risultato rappresenta una dura sconfitta per l’AKP, che deve trovare ora una maggioranza capace di permetterle l’attuazione delle riforme, tra cui quella che potrebbe trasformare la Turchia in una Repubblica Presidenziale.
DISTRIBUZIONE DEI SEGGI PARLAMENTARI 2011-2015 – FONTE: REVOLUTION NEWS
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L’affluenza al voto, secondo l'agenzia di stampa Anadolu, è stata dell'86%. La perdita di voti dell’AKP ha favorito soprattutto l’affermazione del partito filo-curdo (HDP), guidato da Selahattin Demirtaş, il quale è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10%, assicurandosi per la prima volta una presenza parlamentare. Rispetto alle elezioni del 2011, l’AKP ha subito un calo notevole, perdendo il 9% e 71 deputati (ha ottenuto complessivamente solo il 40,8% dei voti), mentre le opposizioni rappresentate dal Partito Popolare Repubblicano (CHP, di ispirazione kemalista e tendenzialmente di centro-sinistra), dal Partito del Movimento Nazionalista (MHP, di estrema destra) e, appunto, dall’HDP hanno raggiunto rispettivamente il 25%, il 16% e circa il 13% dei suffragi, mostrando una certa disaffezione popolare rispetto alle ultime consultazioni. Raggiungere la maggioranza assoluta non era l’unico obiettivo di Erdoğan, il quale si era prefissato di ottenere il 60% necessario per l’indizione di un referendum volto a modificare la forma di governo della Turchia. Ciononostante è chiaro, e il Primo Ministro turco Ahmet Davutoğlu ha tenuto a sottolinearlo, che l’AKP rimane «la spina dorsale della Turchia». La domanda che sorge spontanea in un momento così delicato è se i partiti ora presenti in Parlamento riusciranno a formare un governo di coalizione entro un mese o se sarà necessario tornare di nuovo alle urne. Lo stesso Davutoğlu, ringraziando i sostenitori dell’AKP ha affermato: «la decisione della nazione è la migliore. Non preoccupatevi. Non ci inchineremo mai ad alcun potere». Tra i vari scenari di un ipotetico governo di coalizione ci sono: un accordo tra il partito di Erdoğan e Davutoğlu e l’HDP oppure un’alleanza fra AKP, HDP e CHP. Secondo Devlet Bahçeli, leader del partito nazionalista MHP, un’alleanza tra il suo partito e quello filo-curdo rimane altamente improbabile, dato che il partito degli ex “Lupi grigi” non è disposto ad intraprendere alcun colloquio di pace con i curdi, né intende aprirsi alle minoranze presenti all’interno del Paese. Sebbene i tre partiti di opposizione prima del voto abbiano escluso ogni tipo di alleanza con l’AKP a causa di alcune sue scelte di politica interna di stampo tipicamente autoritario, il Presidente Erdoğan ha richiamato tutti i partiti «a preservare quanto più possibile il clima di stabilità» in Turchia. Molti dei consensi persi dal partito di Erdoğan provengono soprattutto dal Kurdistan, dove Demirtaş si è fatto portavoce delle idee della rivolta dei ragazzi di Gezi Park del 2013 e del malcontento delle regioni al confine con la Siria, le quali accusano il governo di appoggiare i gruppi jihadisti.
AKP (IN GIALLO); CHP (IN ROSSO); BORDEAUX (MHP); HDP (IN VIOLA) FONTE: HÜRRYET DAILIY NEWS
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Secondo l’agenzia Anadolu, i vice Premier dell’AKP Numan Kurtulmuş e Bülent Arınç ritengono che l’opzione migliore sia un governo di coalizione con una o più forze politiche, anziché tornare al voto. Demirtaş, dal canto suo, ha fatto sapere da Diyarbakir che manterrà la promessa di non formare una coalizione con l’AKP: «Non lo appoggeremo (...), ci aspetta un ruolo di opposizione onorevole e di qualità» ha affermato, aggiungendo inoltre che la prossima meta sarà quella di «arrivare al potere da soli». Alcuni analisti hanno constatato che una coalizione tra AKP e MHP potrebbe essere l’ipotesi più probabile, dove il primo partito conservatore dovrà condividere il potere con i nazionalisti. Ciononostante la collaborazione potrebbe creare seri problemi con il processo di pace con i curdi. Oktay Vural, membro del MHP, per ora non si spinge oltre, constatando che si penserà alla coalizione solo in un secondo momento, quando l’AKP ne avrà valutato tutte le conseguenze.
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BREVI GRECIA, 11 GIUGNO ↴ Dopo il vertice con Francia e Germania, procedono con difficoltà
le
trattative
tra
Grecia
e
creditori
internazionali sull’erogazione della nuova tranche di aiuti internazionali da 7,2 miliardi di euro. Mentre il Fondo Monetario Internazionale ha momentaneamente abbandonato
il
tavolo
negoziale
in
ragione
di
un’assenza di concreti passi in avanti soprattutto nelle discussioni circa la riforma del sistema pensionistico e dell’IVA, il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha fissato al 18 giugno, data del vertice dell’Eurogruppo, la data ultima per il raggiungimento di un accordo. L’agenzia di rating Standard & Poor's ha tagliato le stime della Grecia da CCC+ a CCC con outlook negativo. Nonostante la nuova proposta del governo Tsipras (9 giugno), per lo più riguardante obiettivi di bilancio e consolidamento fiscale e al quale si accompagna la richiesta di ricevere circa 6,7 miliardi di euro dall’European Stability Mechanism (oltre che dall’European Financial Stability Facility) per ripagare i titoli detenuti dalla Banca Centrale Europea in scadenza tra giugno e luglio, S&P’s ha dichiarato che la posizione di liquidità di Atene continua a deteriorarsi e che, anche qualora venga raggiunto un accordo, è probabile che esso non riesca a coprire gli obblighi della Grecia oltre il prossimo mese di settembre.
IRAQ-SIRIA, 10 GIUGNO ↴ Gli
Stati
Uniti
hanno
annunciato
il
prossimo
schieramento di 450 soldati nell’Anbar sunnita, così portando a 3.550 unità il contingente americano in territorio iracheno. I militari saranno alloggiati a Taqaddum, vicino Ramadi, e potenzieranno le attività di addestramento delle forze irachene, già condotte nella base di Ain al-Asad. Il Generale Martin Dempsey, Capo degli Stati Maggiori, ha specificato che la base di Taqaddum costituirà un punto di riferimento per assistere e integrare i combattenti delle tribù locali nelle milizie popolari fedeli a Baghdad. Il recente arretramento dell’esercito iracheno a Ramadi e il giuramento di fedeltà allo Stato Islamico (IS) di alcuni influenti sceicchi sunniti hanno sollecitato una modesta (e forse tardiva) correzione della strategia dell’amministrazione Obama. Il Pentagono sta inoltre considerando la possibilità di costruire una serie d’installazioni militari e snodi logistici tra Baghdad e Tikrit allo scopo di coordinare le manovre delle forze di sicurezza irachene nel fronte di combattimento che guarda verso Mosul. 10
Intanto, proseguono gli scontri su Ramadi e Falluja, mentre l’esercito regolare e i gruppi paramilitari del Fronte di Mobilitazione Popolare sono riusciti a riprendere il centro di Baiji, rompendo le difese islamiste. Il 7 giugno le milizie sciite Asaib Ahl alHaq e Kataib al-Imam Ali hanno dichiarato la liberazione del polo petrolifero, ma lo status della città e dei suoi giacimenti resta ancora indeterminato. In Siria, invece, l’andamento delle ostilità sembra far vacillare il regime di Bashar al-Assad, che nelle ultime settimane ha subito pesanti sconfitte a Palmira, conquistata dall’IS, e nella provincia di Idlib, dove Jabhat al-Nusra ha promosso l’unificazione dei gruppi islamisti nel Jaysh al-Fatah. Il 9 giugno il Fronte Meridionale, che raccoglie alcune formazioni ribelli moderate, ha inferto un ulteriore duro colpo alle forze di al-Assad, prendendo il controllo della maggiore base militare governativa nella provincia di Dara’a. Nel frattempo, la leadership di Hezbollah – intervenuta a sostegno di Damasco nella regione montuosa del Qalamoun sul confine siro-libanese – ha rinnovato il proposito di combattere e sconfiggere i miliziani del Califfato islamico.
ITALIA-RUSSIA, 10 GIUGNO ↴ Le tappe della visita del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin tra Roma e Milano sono state scandite da incontri con le massime autorità italiane. Nella giornata del 10 giugno il leader del Cremlino ha incontrato il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella
al
Quirinale e ha avuto un lungo colloquio con Papa Bergoglio in Vaticano. In occasione del National Day russo a Expo, Putin ha visitato il padiglione del suo Paese accompagnato, tra gli altri, dal Ministro degli Esteri Serghej Lavrov, da quello dello Sviluppo Economico Alexey Ulyukayev, dal Presidente della compagnia petrolifera Rosneft, Igor Sechin, e dall’Amministratore Delegato di Gazprom Alexey Miller. L’incontro bilaterale tra Putin e Renzi si è sviluppato intorno ai principali temi di attualità internazionale: le sanzioni alla Russia, la situazione in Ucraina, il rapporto con il G7 dopo l’ultimo vertice in Germania. A Expo Putin ha inoltre partecipato a una colazione con alcuni rappresentanti di importanti imprese italiane come ENI, Enel e Finmeccanica. Putin, che ha sottolineato l’importanza dei legami con l’Italia, si è soffermato sul tema delle sanzioni: «Abbiamo parlato delle sanzioni, ma in modo realistico. Abbiamo parlato di come queste sanzioni ci impediscono di collaborare. […] O si eliminano o bisogna modificarle, per sostenere le aziende che vogliono collaborare con noi». Il colloquio con il Papa, secondo quanto riferito dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, «è stato dedicato principalmente al conflitto in Ucraina e alla situazione in Medio Oriente».
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MESSICO, 7 GIUGNO ↴ Le elezioni amministrative messicane hanno visto la conferma del Partito Istituzionale Rivoluzionario (PRI) del Presidente Enrique Peña Nieto, che ha ottenuto circa il 30% dei consensi. La campagna elettorale è stata segnata da disordini e violenze, compresa la protesta dei parenti dei 43 studenti scomparsi a settembre che hanno bruciato le schede elettorali nella cittadina di Tixtla, e meno del 50% degli elettori si è recato alle urne. Gli esiti elettorali testimoniano una vittoria del partito del Presidente, seppur di breve misura, una crescente frammentazione partitica e una notevole tensione sociale in un Paese profondamente colpito dalla piaga del narcotraffico. Il conservatore Partito di Azione Nazionale (PAN) ha ottenuto il 21% e il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD, di sinistra) l’11%. In base a questi dati il PRI avrebbe tra i 196 e i 203 dei 500 seggi della Camera bassa, il PAN tra i 105 e i 116, il PRD tra i 51 e i 60. Le percentuali ottenute dal Partito Verde Ecologista (7%) e Nuova Alleanza (4%), che appoggiano il PRI, consentirebbero al Presidente di avere la maggioranza assoluta per governare. La principale novità segnalata dagli analisti è l’elezione di Jaime Rodriguez, detto El Bronco, a governatore dello Stato di Nuevo Leon, prima volta nella storia del Messico per un candidato indipendente. In visita ufficiale in Italia, Peña Nieto ha incontrato il Presidente del Consiglio e ha partecipato alla VII Conferenza Italia–America Latina e Caraibi e al Business Forum Italia-Messico (entrami gli eventi si sono tenuti a Milano il 12 e 13 giugno).
MYANMAR-CINA, 10 GIUGNO ↴ La leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi ha effettuato una visita di cinque giorni in Cina, in seguito all’invito del Partito Comunista Cinese (PCC). Per il Myanmar il tour rappresenta un’occasione per stringere rapporti con uno dei vicini più importanti della regione, mentre dal canto suo la Cina spera di rafforzare la propria influenza nel Paese limitrofo, messa a repentaglio dalle recenti riforme democratiche. Con questa visita la Cina ha potuto conoscere più da vicino San Suu Kyi, in un momento delicato in cui il Myanmar è attratto dai Paesi occidentali e dai possibili investitori stranieri. Nonostante la reclusione ad opera del governo militare birmano, a suo tempo sponsorizzato dalla Cina, San Suu Kyi dimostra la sua determinazione nell’accrescere quanto più possibile le relazioni diplomatiche con Pechino. Questa sua prima visita rappresenta un incontro tra il PCC e quello della Lega Nazionale per la Democrazia – guidato appunto
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dalla San Suu Kyi –, che dovrebbe ottenere buoni risultati alle elezioni di quest’anno. Le due parti dovrebbero inoltre discutere di alcuni progetti congiunti particolarmente controversi, tra i quali spicca quello di una miniera di rame, causa di violente repressioni da parte del governo birmano e di alcuni scontri militari lungo il confine con la Cina.
NIGERIA, 8-12 GIUGNO ↴ Mohammadu Buhari ha espresso durante il Vertice di Abuja
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dell’Africa
che
riuniva i
occidentale
rappresentanti
maggiormente
dei
esposti
Paesi alla
minaccia terroristica nella regione – il proposito di riprendere il controllo delle operazioni contro i terroristi di Boko Haram. La prima decisione del Vertice è stata, però, quella di disporre la creazione dello Stato Maggiore della forza multinazionale mista a N’djamena, per la cui messa in opera serviranno fondi per circa 30 milioni di dollari. I partecipanti al summit si sono impegnati a schierare entro il 30 luglio i rispettivi contingenti che saranno continuamanente alle dirette dipendenze di un ufficiale nigeriano, mentre le altre cariche saranno a rotazione annuale. Resta il problema del finanziamento totale dell’operazione: se da una parte la Nigeria ha confermato la propria volontà di versare 100 milioni di dollari, gli altri Stati spingono per un maggior coinvolgimento dell’Unione Africana. Nel frattempo, il nuovo Presidente nigeriano ha trasferito il centro operativo delle proprie truppe dalla capitale Abuja alla città di Maiduguri, vero centro dell’offensiva jihadista. Nonostante la costituzione di questa forza multinazionale sia ormai in dirittura d’arrivo, non si sono arrestati gli attacchi da parte dei miliziani di Boko Haram, che questa volta hanno preso di mira la città di Huyum, nel nord-est del Paese: il bilancio finale dell’attacco è di quindici persone morte e centinaia di case bruciate. Nella notte del 12 giugno, invece, Boko Haram ha attaccato sei villaggi nel nord-est del Paese, nei pressi della foresta di Sambisa, uccidendo 37 persone, tra cui molti contadini appena rientrati nelle proprie abitazioni, dopo le rassicurazioni dell’esercito nigeriano.
UCRAINA, 8 GIUGNO ↴ I separatisti filo-russi hanno presentato al Gruppo di Contatto un documento di proposta di modifica della Costituzione ucraina, dichiarando la loro disponibilità a continuare a far parte dell’Ucraina anche se sotto uno status speciale riconosciuto. Il testo tuttavia, che prevede che solo alcune regioni (o associazioni) restino formalmente parte dell’Ucraina – lasciando piuttosto al Parlamento l’approvazione di
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specifiche leggi che concedano lo status richiesto a regioni/città/Paesi – e che gli attuali alti funzionari responsabili del potere esecutivo continuino ad esercitare i loro poteri secondo le procedure stabilite dagli atti delle auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, chiede inoltre la creazione di commissioni elettorali locali sotto il controllo della leadership indipendentista e non internazionale. Tale punto rafforza le divergenze con Kiev e, data la concomitanza con la ripresa dell’offensiva, lascia pensare che i separatisti stiano sfruttando l’applicazione della forza militare come tattica negoziale. Sul fronte bellico, infatti, proseguono con maggiore intensità gli assalti contro le postazioni delle forze ucraine a nord di Donetsk e lungo le autostrade H20 e T1303 (qui intorno ai villaggi di Hrechyshkyne e Krymske), che collegano rispettivamente i capoluoghi di Donetsk e Lugansk (in mano ai separatisti) a Mariupol e Sievierodonetsk (sotto il controllo governativo), quest’ultimo punto nevralgico per l’accerchiamento della città strategica di Artemivsk e quindi per l’allargamento della linea di controllo settentrionale separatista. Sul piano internazionale, stando a fonti USA ed europee citate dal New York Times, il Pentagono sarebbe pronto a dispiegare entro la fine di giugno almeno 5mila soldati oltre a mezzi e sistemi d’arma pesanti in diversi Paesi del Baltico e dell’Est Europa (Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Lettonia, Lituania ed Estonia) – in uno sforzo simile a quello mantenuto in Kuwait per circa un decennio dopo l’invasione dell’Iraq nel 1990 – allo scopo di scoraggiare eventuali azioni aggressive della Russia. La proposta dovrà essere tuttavia approvata dal Segretario alla Difesa Ashton Carter prima del via libera definitivo da parte di Barack Obama.
YEMEN, 10-13 GIUGNO ↴ I lanci di missili Scud da parte dei ribelli Houthi hanno convinto le autorità saudite a rafforzare la difese dei territori frontalieri, in particolare quelli delle province di Najran e Jizan, quest’ultima la più popolata di quelle situate nel sud del Paese. Il nuovo dispositivo militare ha riguardato lo schieramento di veicoli militari e mezzi di artiglieria, insieme a centinaia di soldati che dovranno pattugliare costantemente l’area. Un altro assalto delle milizie Houthi aveva in precedenza colpito una postazione militare dell’Arabia Saudita nei pressi della città frontaliera di Najran, distruggendo molti veicoli e costringendo alla fuga i militari sauditi. Nel campo saudita i raid dell’aviazione hanno colpito il centro antico della capitale Sana’a, sito patrimonio dell’UNESCO dal 1986. Il Direttore Generale dell’organizzazione di Parigi, Irina Bokova, ha chiesto a tutte le parti in causa «di rispettare le convenzioni internazionali, evitando bombardamenti ai danni di siti di rilevanza storica». Nonostante i bombardamenti dell’aviazione saudita continuino, il prossimo 15 giugno si terranno dei colloqui di pace a Ginevra, sotto l’egida dell’ONU, che vedranno per la prima volta incontrarsi le due parti in conflitto. Nelle consultazioni 14
saranno direttamente coinvolti il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Kimoon, l’Inviato Speciale dell’ONU in Yemen (il mauritano Ismail Ould Cheikh Ahmed), i rappresentanti del Gruppo dei Sedici, nonché l’Unione Europea e il Consiglio di Cooperazione del Golfo. Il Presidente dello Yemen Abd Rabbo Mansour Hadi, riparato a Riyadh, ha espresso la contrarietà a consultazioni con i ribelli Houthi, dichiarandosi disponibile solo a discutere l’implementazione della Risoluzione 2216 che prevede un piano per la ritirata dei miliziani dal territorio yemenita. Le Nazioni Unite sperano che «le consultazioni possano creare una nuova dinamica per aumentare le relazioni tra le parti in conflitto e dare benefici concreti alla popolazione», ha detto il Direttore Generale dell’informazione dell’ONU Ahmad Fawzi. Secondo le stime delle Nazioni Unite circa l’80% della popolazione yemenita, ovvero 21 milioni di persone, ha bisogno di assistenza umanitaria per l’accesso ai bisogni fondamentali.
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ALTRE DAL MONDO AUSTRIA, 5 GIUGNO ↴ Si sono riuniti a Vienna i Paesi membri dell’OPEC per determinare il livello produttivo congiunto di petrolio nei prossimi mesi alla luce di un prezzo al barile attualmente contenuto (circa 60 dollari). Il summit si è concluso con un accordo in maggioranza condiviso, spinto in primis dall’Arabia Saudita, per mantenere invariata la produzione. A margine, il Segretario Generale dell’OPEC, Abdallah Salem al-Badri, ha affermato che «sareste stati sorpresi nel vedere come l’incontro sia stato amichevole. Certo, non potremo più avere il petrolio a 100 dollari». Iraq, Iran e Libia, nel frattempo, prevedono un incremento dell’output nel breve-medio periodo.
BURUNDI, 10 GIUGNO ↴ Il Presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, ha firmato il decreto presidenziale che fissa, definitivamente e senza possibilità alcuna di modifiche ulteriori, una nuova data per le elezioni burundesi rimandate sine die a seguito dell’incalzare della crisi politica apertasi a fine aprile. Secondo il nuovo calendario elettorale le elezioni legislative e amministrative si terranno il prossimo 29 giugno, mentre quelle presidenziali avranno luogo il 15 luglio; le date annunciate consentono di rimanere nei limiti del dettato costituzionale e di evitare vuoti di potere. Il portavoce del governo, Philippe Nzobonariba, ha infine sottolineato che la terza candidatura dell’attuale Presidente – alla base della crisi di aprile – non è negoziabile.
CINA, 11 GIUGNO ↴ Al termine di un processo a porte chiuse, è stato condannato all’ergastolo Zhou Yongkang, l’ex capo dei servizi di sicurezza interni accusato di corruzione (avrebbe riscosso tangenti per 130 milioni di yuan), abuso di potere e rilevazione di segreti di Stato. Si tratta della prima incriminazione del genere per un ex membro del Comitato permanente del Politburo. Con l’arresto di Zhou, che secondo alcuni potrebbe essere collegato a quello di Bo Xilai a causa di un non comprovato tentativo di colpo di Stato nel marzo 2012, la campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping ha raggiunto il suo apice.
INDIA-BANGLADESH, 7 GIUGNO ↴ Il Primo Ministro indiano Narendra Modi e il suo omologo bengalese Sheikh Hasina hanno siglato un importante accordo che stabilisce definitivamente il confine comune e rimasto incerto fin dal 1971. Una situazione, questa, che aveva portato, nel tempo, ognuno dei due Paesi a costituire delle piccole enclave all’interno del territorio altrui.
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Con la firma dell’accordo, l’India ottiene un’area di 17 mila acri all’interno del territorio bengalese, mentre il Bangladesh ne ottiene poco più di 7mila all’interno del territorio indiano.
LIBIA, 8 GIUGNO ↴ Mentre non si arrestano gli scontri tra fazioni jihadiste e islamiste opposte a Derna e Sirte, sono ripresi a Skhirate, in Marocco, i colloqui di pace sponsorizzati dalle Nazioni Unite. Al vaglio delle parti in conflitto vi è la quarta bozza di accordo proposta dal mediatore Bernardino Leon per la formazione di un governo di unità nazionale, prima mossa, questa, per un tentativo di pacificazione dell’intero territorio. Intanto le potenze d’area, Egitto, Algeria e Italia si sono incontrate al Cairo (7 giugno) per fare un punto della situazione in Libia e per definire nuove possibili iniziative politiche da intraprendere nel caso di un ennesimo fallimento delle trattative marocchine. Nelle stesse ore, infine, veniva liberato dalle autorità di Tripoli il medico italiano rapito lo scorso gennaio dalle milizie islamiste ad Ansar al-Sharia.
MALI, 10 GIUGNO ↴ Il bilancio finale dell’attacco avvenuto ai danni di una base della polizia maliana nei pressi di Misséni, località situata al confine tra Mali e Costa d’Avorio, è di un poliziotto morto, due civili feriti e diversi veicoli bruciati. L’attacco, il primo avvenuto nel sud del Paese, è stato attribuito a guerriglieri jihadisti, dalla provenienza non chiara che, prima di scomparire, hanno issato il loro stendardo in un campo militare della città.
PAKISTAN, 7 GIUGNO ↴ Si riaccendono le operazioni dell’esercito pachistano nella regione semi-autonoma del Waziristan settentrionale. In due giorni di scontri a fuoco e bombardamenti aerei nella valle di Shawal hanno perso la vita almeno 35 guerriglieri Talebani. Secondo le fonti ufficiali delle Forze Armate pachistane, più di 3.500 terroristi sarebbero stati uccisi dal lancio nel giugno 2014 dell’Operazione Zarb-e-Azb. Mentre gran parte della regione è accreditata sotto il controllo delle forze governative, l’offensiva potrebbe estendersi alla provincia del Beluchistan, dove il 30 maggio un attentato contro due autobus ha provocato la morte di diciannove persone.
ROMANIA, 12 GIUGNO ↴ La terza mozione di sfiducia contro il Premier romeno di centrosinistra Victor Ponta e proposta dal Partito Liberale (PNL) è stata respinta dal Parlamento di Bucarest. Ponta deve rispondere di ben 17 capi di imputazione, tra cui concorso in evasione fiscale, riciclaggio di denaro e abuso di ufficio, nell’ambito di un’indagine sull’ex Ministro dei
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Trasporti Dan Sova, avviata dalla procura anti-corruzione. Il Presidente della Repubblica, il liberale Klaus Iohannis, ha chiesto le dimissioni del Primo Ministro, che ha parlato a sua volta di una strumentalizzazione del procedimento giudiziario da parte del PNL volto a screditare l’attuale governo in vista delle elezioni di novembre.
UNIONE EUROPEA, 9 GIUGNO ↴ Il Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, a margine della sessione plenaria di Strasburgo, ha annunciato il rinvio a data da destinarsi del voto sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) tra Unione Europea e Stati Uniti in considerazione degli oltre 100 emendamenti e richieste di votazioni distinte sul rapporto del relatore socialista tedesco Bernd Lange. Il testo ritorna pertanto alla Commissione per il Commercio Internazionale (INTA) per una nuova delibera. In un clima di tensione in aula, l’Assemblea di Strasburgo ha inoltre votato a larga maggioranza per il rinvio del dibattito sul TTIP, evidenziando dunque non solo il disaccordo tra Parlamento e Commissione, ma anche le divisioni tra PPE e S&D in particolare per ciò che riguarda l'ISDS (Investor-to-State Dispute Settlement), il dispositivo di protezione degli investitori esteri nelle dispute con gli Stati.
UE-AMERICA LATINA, 10-11 GIUGNO ↴ Si è tenuto a Bruxelles il secondo vertice tra l’Unione Europea e la Comunità di Stati Latino-americani e dei Caraibi (CELAC). La dichiarazione congiunta emanata alla conclusione del summit ha ribadito l’interdipendenza tra le due organizzazioni e, tra le righe, si è detta critica delle azioni unilaterali degli USA verso il Venezuela (pur senza far riferimento diretto a Washington) sostenendo, al contrario, il riavvicinamento a Cuba e il processo di pace in Colombia. L’Europa ha inoltre adottato un programma di aiuto economico per favorire lo sviluppo latino-americano: nella fattispecie sono stati promessi circa 120 milioni di investimenti. I rappresentanti dei singoli Paesi hanno sfruttato l’occasione per tenere numerose riunioni su base bilaterale.
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ANALISI E COMMENTI IL MERCATO GLOBALE DEI DRONI: PROFILI MILITARI E PROSPETTIVE GEOPOLITICHE
VIOLETTA ORBAN ↴ Le tecnologie applicabili ai velivoli senza pilota (Unmanned Aerial Vehicles – UAV), comunemente denominati droni, hanno subìto una progressiva evoluzione sin dai tempi dei primi prototipi di dispositivi privi di equipaggio risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, conducendo ad un loro crescente impiego per finalità di tipo civile e militare. L’impatto delle tecnologie innovative connesse all’uso degli UAV ha esteso il loro utilizzo militare con funzioni strategiche e tattiche, rispondendo all’esigenza di trasferire i propri asset strategico-militari lontano dal teatro bellico, in un ambiente sicuro e privo di rischi, seguendo una logica di risk-free warfare. Gli Stati Uniti mantengono un ruolo di supremazia in questo settore e costituiscono i principali ricorrenti ai velivoli senza pilota per attività di intelligence e counter-terrorism al di fuori dei propri confini, giustificandone l’utilizzo sulla base del diritto all’autodifesa sancito dal diritto bellico e dell’Authorization for the Use of Military Force Against Terrorists (AUMF) approvata dal Congresso USA il 14 settembre 2001. Introdotti dall’amministrazione repubblicana di George W. Bush, gli attacchi con gli UAV si sono intensificati sotto la presidenza di Barack Obama in considerazione sia dei costi elevati degli interventi militari dell’ultimo quindicennio in termini politici, economici e strategici, sia dell’alta efficacia garantita dalle azioni dei droni, divenendo parte di una strategia di anti-terrorismo che combina attività di intelligence, forze speciali e operazioni condotte da remoto. I cosiddetti danni collaterali connessi al coinvolgimento di vittime innocenti e l’impersonalità di questa tipologia di azioni hanno tuttavia alimentato il dibattito a livello internazionale sulla liceità etica, politica e giuridica di tali strumenti (…) SEGUE >>>
A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net
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