Weekly Report N°17/2015

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N째17, 14-20 GIUGNO 2015 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 21 giugno 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Paolo Balmas Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Antonella Roberta La Fortezza Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: Grigory Dukor/Reuters; Reuters/Stringer; Reuters/T. Sin; Reuters; Getty Images; PA/ISPR; Associated Press; Ria Novosti/Alexander Vilf.


FOCUS ARABIA SAUDITA/RUSSIA ↴

Il Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF), il principale appuntamento economico che si tiene annualmente dal 1997 nell’antica capitale degli Zar, ha visto tra il 18 e il 20 giugno scorsi la partecipazione di rappresentanti di 114 Paesi, 192 dei quali dirigenti di compagnie estere, con lo scopo di delineare nuove strategie di collaborazione nel quadro delle attuali tensioni geopolitiche globali. A margine dell’evento il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha tenuto una serie di incontri bilaterali, tra cui quello con il Ministro della Difesa saudita, nonché figlio di Salman ed erede al trono, il Principe Mohamemd bin Salman. Si tratta della prima visita di una delegazione governativa saudita dal 2011, da quando le relazioni tra Russia e Arabia Saudita sono divenute estremamente tese a causa delle opposte posizioni nel conflitto siriano, in cui Mosca e Riyadh hanno rispettivamente sostenuto e contrastato il regime di Bashar al-Assad. È inoltre la prima occasione ufficiale in cui un alto funzionario del Regno si è recato in Russia dall’ascesa al trono di Re Salman bin Abdelaziz al-Saud. Il quotidiano russo Kommersant ha sottolineato il prevalente carattere politico della visita saudita, mirante soprattutto a migliorare i difficili rapporti bilaterali, e ha sostenuto che la missione di Mohammed bin Salman potrebbe costituire uno dei momenti centrali dello SPIEF in virtù degli stretti legami tra Riyadh e Washington. Il giornale ha anche ipotizzato che il viaggio del Ministro della Difesa potrebbe essere il preludio a una visita in Russia di Re Salman, invitato personalmente da Putin in una conversazione telefonica il 20 aprile scorso. Secondo quanto riportato dal ser-

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vizio stampa del Cremlino, in quell’occasione i due leader avrebbero espresso la propria volontà di «migliorare il coordinamento tra Russia e Arabia Saudita nell’agenda regionale e internazionale». Nell’ambito dello SPIEF si è tenuto un business forum russo-saudita per trattare principalmente i temi della cooperazione nel settore della difesa, della costruzione di infrastrutture, dell’energia e del turismo. L’Arabia Saudita è il primo produttore di petrolio tra i Paesi dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) e il primo esportatore mondiale, mentre la Russia è il secondo fornitore di greggio sul mercato globale. Data la centralità di questa tematica, in occasione del Forum i due Ministri del Petrolio, il saudita Ali alNaimi e il russo Alexander Novak, hanno programmato la discussione per un accordo di cooperazione petrolifera. L’incontro è stato confermato da un portavoce del Dicastero russo dell’Energia, che tuttavia non è entrato nel merito dei temi dell’accordo, il quale probabilmente non prevedrà una produzione o una strategia di esportazione congiunte. Alcuni analisti hanno notato che, nonostante le persistenti divergenze politiche e geopolitiche, i due Paesi sembrerebbero verosimilmente muoversi verso una piena ripresa della cooperazione economico-commerciale. Una delegazione di militari sauditi ha visitato il forum Army-2015 dedicato al settore della Difesa; l’agenzia di stampa Itar-Tass ha riferito che si è discusso inoltre della possibilità da parte saudita di acquistare missili russi Iskander-E, fornendo così un nuovo motivo di tensione con l’ex alleato storico statunitense.

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CINA ↴

Il 18 giugno il Parlamento di Hong Kong ha discusso e respinto un controverso pacchetto di riforme politiche proposte dal governo di Pechino, il quale prevede la possibilità per i residenti della regione autonoma di votare per la prima volta a favore di un loro leader, dopo che quest’ultimo sarà stato approvato dalle autorità centrali. 28 dei 70 deputati di Hong Kong hanno rifiutato la proposta, mentre un gruppo filo-governativo ha rinunciato al diritto di voto uscendo dalla Camera. I risultati possono essere considerati come una recessione della politica cinese che ha cercato di riavvicinare quanto più possibile Hong Kong sin dalla sua “indipendenza” dal dominio britannico nel 1997. I sostenitori della democrazia si sono rifiutati di accettare la proposta, ritenendo che l’elezione di candidati approvati e controllati da Pechino renderebbe il suffragio universale ancor più fittizio. Il parlamentare filodemocratico Albert Chan ha definito l’evento come una vittoria, aggiungendo in un’intervista alla CNN la volontà di Hong Kong di continuare a battersi per una vera democrazia respingendo qualsiasi tentativo di imposizione di un sistema democratico di facciata. Sia Hong Kong sia Pechino hanno affermato che non ci saranno più proposte di riforma, ribadendo la possibilità di eventuali conseguenze per gli oppositori. Carrie Lam, Segretario Generale del governo della città, ha accusato i deputati pro-democratici di tenere sotto scacco la città e di essere i responsabili principali del fallimento della democrazia. Sin da lunedì 15 giugno si è percepita una forte tensione, culminata con l’arresto di nove persone accusate di aver pianificato un attacco terroristico. La polizia, nel consigliare alla popolazione di stare il più lontano possibile dai “manifestanti vio-

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lenti”, ha affermato che uno dei detenuti appartiene ad un “gruppo radicale”. Successive indagini hanno portato alla scoperta di materiali esplosivi e mappe delle aree circostanti Wan Chai e Admiralty, al centro delle proteste dello scorso anno. I funzionari dei gruppi locali hanno preso le distanze dagli arrestati condannando le violenze. Le forze di polizia sono state schierate dinnanzi al palazzo del Consiglio nonostante gli sia vietato per legge entrare nella sede dell’organo legislativo. Jasper Tsang, Presidente del Consiglio, ha ritenuto opportuno effettuare questa manovra di sicurezza onde evitare un assalto da parte dei gruppi radicali. Dal canto loro, le autorità locali hanno costantemente svolto una propaganda negativa nei confronti dei gruppi filo-democratici, descrivendoli come soggetti violenti che, aiutati dalle potenze straniere, hanno l’obbiettivo di far cadere Hong Kong nel caos. Non è ancora chiaro se la Cina accetterà un altro mandato dell’attuale Capo di governo C. Y. Leung, il quale negli anni ha creato divisioni politiche ad Hong Kong e del quale sono state richieste le dimissioni. Alcuni attivisti democratici sostengono che Pechino proverà in qualche modo a cambiare le cose entro il 2017 e non appoggerà più Leung, accusato da molti per la mala gestione delle manifestazioni del 2014 che diedero vita al Movimento degli Ombrelli, causando forte tensione nella popolazione di Hong Kong.

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ITALIA/FRANCIA ↴

Non conoscono sosta le polemiche sorte tra Italia e Francia per i fatti di Ventimiglia e per la tensione che si registra ormai da giorni al confine tra i due Paesi (una situazione analoga si sta verificando anche ai valichi con Austria e Svizzera) in merito alla reintroduzione unilaterale dei controlli alle frontiere da parte di Parigi. L’occasione dalla quale è nato il fraintendimento sulla questione della chiusura delle frontiere è partita dalla Germania che, in occasione del G7 tenutosi il 7 e l’8 giugno in Baviera, ha sospeso gli accordi di Schengen nel periodo compreso tra il 26 maggio e il 15 giugno in maniera del tutto legittima, in quanto il trattato comunitario contiene una clausola di salvaguardia che prevede la sospensione dello stesso per un limitato periodo di tempo e per specifici motivi. Proprio i grandi Vertici internazionali sono uno dei casi più frequenti di sospensione temporanea e legittima, se effettuata a certe condizioni, della libera circolazione (l’Italia si è avvalsa di questa facoltà in occasione del G8 di Genova nel 2001 e di quello dell’Aquila nel 2009; la Francia invece aveva sospeso Schengen nel 2005 in seguito agli attentanti di Londra). La sospensione richiede, infatti, anche l’espletamento di una specifica procedura volta ad informare le Istituzioni europee dei motivi e dei tempi in cui si agirà in deroga al trattato. A differenza però della decisione presa da Berlino, la posizione assunta da Parigi tesa a rafforzare i controlli alle frontiere non sembra rientrare nella generale possibilità di deroga prevista dal trattato; né tantomeno la Francia ha provveduto a comunicare preventivamente la propria decisione all’UE, la quale non a caso, così come emerge dalle parole del portavoce della Commissione, Natasha Bertaud, sta procedendo ad una verifica della situazione. Se l’Italia accusa il vicino d’Oltralpe di violare gli accordi di Schengen ripristinando i controlli alla frontiere, la Francia lamenta a sua volta un mancato rispetto delle 5


regole di Dublino da parte di Roma, chiedendo inoltre una maggiore responsabilità da parte dei Paesi di primo sbarco nell’identificazione della tipologia dei migranti. Il governo francese reclama misure più incisive nell’identificazione e nel conseguente rimpatrio dei migranti per motivi economici per i quali la comunità internazionale non ha alcuno specifico obbligo, se non quello generale di non respingimento salvo previa valutazione dei titoli atti eventualmente al godimento dello status di rifugiato. L’idea a cui la Francia sembra fare riferimento è la creazione, in Italia e in Grecia, di hotspot gestiti dall’UE a cui sia affidato a monte il compito di distinguere i migranti economici dai richiedenti asilo. Mentre i primi verrebbero immediatamente espulsi verso i loro Paesi d’origine, i secondi rientrerebbero invece nel meccanismo di redistribuzione tra i Paesi europei. La questione dei rimpatri, sulla quale anche Bruxelles sembra voler accelerare, solleva a sua volta almeno due ulteriori preoccupazioni: la necessità di negoziare prima e mettere in atto poi gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine dei migranti e i costi, certamente non irrilevanti, di questi rimpatri. In questo delicato contesto di rapporti bilaterali ha avuto luogo il 15 e il 16 giugno la prevista riunione del Consiglio Giustizia e Affari Interni relativa anche alle questioni migratorie e al pacchetto attuativo dell’agenda europea sulla migrazione. Non sembra che vi siano state decisioni rilevanti in merito alla questione della ricollocazione dei richiedenti asilo. La Francia si oppone duramente al piano di ricollocazione dei 40.000 richiedenti asilo e al sistema della quote così come disegnato durante la riunione della Commissione europea del 27 maggio. L’attenzione è ora al prossimo Consiglio europeo del 25 e 26 giugno il quale avrà un ruolo cruciale nel definire i prossimi movimenti in materia di immigrazione soprattutto considerando l’ormai evidente stallo del Piano Junker. Mentre immobilità e disaccordo caratterizzano il livello decisionale politico, sul piano militare la situazione sembra invece giunta ad un punto di svolta: fonti ufficiali riferiscono che si sia ormai giunti ad un’approvazione unanime del piano operativo della missione militare EUNavfor Med contro i trafficanti di esseri umani. Il via ufficiale della missione, nella sua prima fase la quale non necessita di una risoluzione del CdS, sarà dato, secondo le stesse fonti, lunedì 22 giugno dal Consiglio esteri. Tra minacce di muri fisici e evidenti difese dei singoli interessi nazionali, ricorrenze, polemiche e rigurgiti populisti continuano a dominare il dibattito sull’immigrazione.

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BREVI CIAD, 15-19 GIUGNO ↴ Il 15 giugno, N’Djamena, la capitale del Ciad, è stata teatro di una serie di attentati suicidi. Diverse esplosioni hanno colpito il settore della Direzione della Sicurezza Pubblica e del Commissariato centrale, nonché la Scuola di polizia, causando la morte di 27 persone e un centinaio di feriti. Nonostante gli attentati non siano stati rivendicati, le accuse del governo e dei rappresentanti della sicurezza sono andati tutti in direzione di Boko Haram, l’organizzazione terroristica di matrice islamica con base in Nigeria. La possibilità di un attentato di Boko Haram in Ciad è presente da tempo nel dibattito pubblico ciadiano, in considerazione dell’impegno militare che da alcuni mesi il Presidente Idriss Deby Itno ha assicurato alla Nigeria per combattere la minaccia islamica nel nord-est del Paese. A gennaio, infatti, il capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, aveva rilasciato un video online in cui amoniva i Presidenti di Camerun, Niger e Ciad, i quali avevano osato sfidarlo fornendo il loro apporto, in termini di truppe e armamenti, alla Nigeria. N’Djamena, inoltre, accoglie il quartier generale della forza multinazionale mista, circa 8.700 uomini, incaricata dall’Unione Africana e dalle organizzazioni regionali di combattere contro Boko Haram, diventata da minaccia locale a problema regionale. Due giorni dopo gli attentati kamikaze, le indagini delle autorità ciadiane hanno permesso di arrestare alcuni sospetti, mentre sono state implementate le misure si sicurezza, tra cui anche il divieto di portare il burqa e i turbanti. Ma oltre all’aumento delle misure di sicurezza interne, due giorni dopo gli attentati, l’esercito ciadiano ha condotto una serie di raid aerei in Nigeria, nello stato di Borno. Gli elicotteri da combattimento ciadiani hanno distrutto sei basi dei militanti islamici e inflitto numerose perdite di uomini e materiali ai danni delle posizioni di Boko Haram nelle città di Baga, Gamboru Ngala e Dikwa.

EGITTO, 16 GIUGNO ↴ Dopo settimane di notizie contrastanti, la Corte Criminale del Cairo ha confermato i due verdetti emessi

in

primo

grado

contro

l’ex

Presidente

Mohammed Mursi: ergastolo per l’accusa di spionaggio in favore di Qatar, Hamas, Hezbollah e Iran, ma, soprattutto, condanna a morte per l’evasione del 2011 dal carcere di Wadi al-Natroun, nel governatorato di al-Buhayrah, circa 90 chilometri a nord-ovest del Cairo, accaduto il 29 gennaio 2011, durante le proteste della prima Rivoluzione egiziana, che portarono alcune settimane più tardi alla destituzione 7


dell’allora Capo di Stato Hosni Mubarak. La notizia di condanna a morte per Mursi e un’altra ventina di leader della Fratellanza Musulmana (tra cui la ex guida suprema Mohammed Badie) hanno immediatamente scosso la comunità internazionale. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea si sono detti profondamente preoccupati per le sentenze, sperando tuttavia che le stesse «vengano riviste e che il sistema giudiziario egiziano operi in maniera imparziale, esclusivamente in base alla legge». Il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, grande sponsor insieme al Qatar delle forze islamiste nella regione mediorientale, ha chiesto alla comunità internazionale di agire «per chiedere con forza il ritiro delle condanne a morte» e ha parlato di «massacro della legge e dei diritti basilari». Il governo guidato Ibrahim Mahlab, per voce del Ministro degli Esteri Sameh Shoukry, ha espresso irritazione e risentimento per le reazioni di alcuni Paesi e organizzazioni internazionali per le loro interferenze e i commenti “inappropriati” negli affari interni del Paese e nei confronti della magistratura egiziana.

GRECIA, 18-19 GIUGNO ↴ Il

mancato

raggiungimento

nella

riunione

dell’Eurogruppo di un accordo per l’esborso di nuovi aiuti al governo ellenico rappresenta un passo in avanti verso il temuto scenario del default finanziario del Paese. Le riforme presentate dal Ministro delle Finanze Yanis

Varoufakis

non

sono

state

giudicate

soddisfacenti dai creditori, mentre si avvicina la scadenza del 30 giugno entro la quale il Fondo Monetario Internazionale (FMI) pretende il rimborso della tranche del prestito di 1,6 miliardi di euro erogato ad Atene. Il Direttore Generale dell’FMI Christine Lagarde ha infatti precisato che se la Grecia non salderà il debito il prossimo 30 giugno «si troverà in default nei confronti del Fondo». Il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha perciò convocato per lunedì 22 giugno un vertice straordinario dei leader dell’Eurozona, che sarà anticipato da una nuova riunione dell’Eurogruppo. Il Primo Ministro greco Alexis Tsipras ha accolto con favore la discussione della questione greca al più alto livello politico europeo, laddove i negoziati con il governo di Atene sono stati sinora condotti dai funzionari della “troika”. Mentre la Banca Centrale Europea ha decretato l’aumento della liquidità di emergenza per le banche greche, negli ultimi giorni circa il 2,2% dei depositi bancari (equivalente a 3 miliardi di euro) è stato ritirato dai risparmiatori greci, a ulteriore conferma della precipitazione verso l’ipotesi di bancarotta. Intanto, il vice Primo Ministro russo Arkadi Dvorkovich ha aperto alla possibilità di un sostegno finanziario da parte di Mosca. Una possibilità, questa, sempre più probabile e che ha già trovato un primo punto di convergenza in occasione del Forum economico di San Pietroburgo SPIES, dove in un bilaterale tra Tsipras e Putin (19 giugno) i due leader hanno firmato un pre-accordo per il passaggio della gas pipeline Turkish Stream sul suolo greco. 8


IRAQ/SIRIA, 17 GIUGNO ↴ Lo Stato Islamico (IS) incede in un prolungato sforzo bellico nello scenario siro-iracheno. Tra il 13 e il 15 giugno decine di autobombe sono esplose a Falluja, Baiji,

Baghdad

e

Tikrit.

Tuttavia,

l’utilizzo

del

lanciarazzi anticarro AT4, infine forniti dall’alleato americano, e di missili Kornet ha permesso alle forze di sicurezza irachene di intercettare e respingere parte degli attacchi tra Ramadi e Falluja. Inoltre, il Ministero degli Interni ha comunicato che tra il 16 e il 17 giugno i bombardamenti dell’aviazione irachena hanno inferto perdite considerevoli ai miliziani islamisti presenti nell’area di Hit, colpendo un campo di addestramento ed eliminando più di cinquanta guerriglieri. La tensione resta però altissima in gran parte del Paese. Mentre continuano gli scontri nell’Anbar sunnita, dove gli uomini del Califfato tengono chiusa la diga di Warrar a Ramadi, i jihadisti hanno rilanciato l’azione a Baiji, colpita il 13 giugno da tre autobombe e da numerosi colpi di mortaio. Malgrado la resistenza delle milizie popolari e dell’esercito regolare, il 17 giugno i combattenti dell’IS hanno infine ripreso il vicino villaggio di Tel Abu Jarad. Negli stessi giorni, anche i giacimenti petroliferi di Ajil e Alas, presso Tikrit, sono stati oggetto di nuovi attacchi, seppur ribattuti dalle forze di sicurezza irachene. Mentre il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha riaffermato la vicinanza a Baghdad nella lotta contro il terrorismo in un incontro al vertice con il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi (17 giugno), il Segretario della Difesa statunitense Ashton Carter ha lamentato l’inadempienza del governo iracheno relativamente al programma di addestramento condotto dai militari americani in Iraq. Dinanzi alla Commissione dei Servizi Armati del Senato, Carter ha precisato che solo 9mila reclute delle 24mila previste inizialmente sono state inserite nel programma. In positivo, il numero uno del Pentagono ha riferito che gli Stati Uniti hanno iniziato ad armare direttamente, pur in accordo con le autorità centrali di Baghdad, i Peshmerga curdi nel nord del Paese, così come le tribù sunnite che hanno sposato la causa dell’integrità irachena. In Siria, l’avanzata dell’IS verso Aleppo è invece rafforzata dall’interruzione degli approvvigionamenti petroliferi verso il nord del Paese. Il controllo dei principali siti produttivi nel corridoio centrale offre al Califfato un’arma economica di grande impatto contro le formazioni ribelli arroccate nella città. Non a caso, i raid aerei della coalizione internazionale hanno concentrato i bombardamenti contro le raffinerie e non sui pozzi in virtù della dipendenza di tutte le parti in conflitto dalla disponibilità di carburante. Contro gli avamposti del Califfato muovono invece i guerriglieri curdi, che hanno conquistato la cittadina di Tal Abyad, sulla frontiera turca tra Kobane e alHasaka. Intanto, le provincie di Aleppo, Idlib e Hama sono ancora terreno di scontro tra i gruppi ribelli e le forze governative.

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PAKISTAN, 17 GIUGNO ↴ Gli attacchi da parte dell’esercito pachistano nell’area di Datta Khel, nel nord Waziristan non lontano dal confine con l’Afghanistan, hanno causato la morte di 20 terroristi. Gli attacchi aerei fanno parte dell’Operazione Zarb-e-Azb, iniziata a giugno dello scorso anno contro il gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP) e altre fazioni presenti nell’area. Le operazioni hanno coinvolto migliaia di soldati in quanto la zona del Waziristan è considerata dallo scorso anno il quartier generale dei talebani pachistani. Kamal Hyder, giornalista di al-Jazeera presente a Taxila, ha constatato che l’obiettivo principale del governo di Islamabad consistesse nel far retrocedere quanto più possibile il TTP, ma tale processo ha richiesto quasi un anno di duri scontri e l’attuazione di ingegnose tattiche da parte dell’esercito. In un tweet a nome di un generale pachistano si evince che dall’inizio dell’operazione Zarb-e-Azb sono stati uccisi circa 3.000 terroristi e distrutti un migliaio di nascondigli. Dopo le operazioni condotte nel 2001 in Afghanistan dagli USA, il Pakistan ha assistito ad un incremento notevole della rivolta interna. Da allora le autorità hanno intensificato le operazioni militari e hanno usufruito anche dell’aviazione per mantenere il controllo su alcune regioni del Paese.

RUSSIA, 14-18 GIUGNO ↴ Le tensioni tra la Russia e i Paesi Baltici, spalleggiati da NATO e Stati Uniti stanno rasentando pericolosamente il livello di sicurezza, come non succedeva dalla fine della Guerra Fredda. L’annessione della Crimea da parte della Russia, la ribellione nell’est Ucraina di separatisti filorussi e la rinnovata forza militare espressa dalla presidenza di Vladimir Putin, hanno risvegliato le paure di tutti quei Paesi che un tempo appartenevano all’Unione Sovietica. In particolare, la Polonia ed le Repubbliche baltiche stanno spingendo, da tempo, sulla NATO per ottenere una presenza più decisiva, offrendosi anche di ospitare basi dell’organizzazione del Patto Atlantico. La proposta di una presenza permanente di truppe dell’Alleanza nell’est Europa è di difficile realizzazione e bloccata da alcuni membri della NATO che, in alternativa, sta intensificando le esercitazioni e creando un comando di reazione rapida nella Polonia nord-occidentale. È in questo contesto che si inscrive l’esercitazione navale BALTOPS, condotta per due settimane dalle forze alleate, insieme a quelle di Svezia, Finlandia e Georgia, e conclusasi con una simulazione di sbarco nei pressi di Ustka, in Polonia, a cui hanno partecipato 49 navi e oltre 6.000 soldati. Il Pentagono, inoltre, ha rivelato di essere pronto a mobilitare gli armamenti necessari per sostenere la presenza di 5.000 soldati 10


in diversi Paesi Baltici e dell’Europa Orientale, con lo scopo di scoraggiare qualsiasi volontà russa e di rassicurare i Paesi membri della NATO al confine. La risposta russa non si è fatta attendere: il Generale russo Yuri Yakubov ha affermato che lo schieramento di truppe statunitensi sarebbe «la mossa più aggressiva di Pentagono e NATO dai tempi della Guerra Fredda» con l’unica opzione per i russi «di incrementare», a sua volta, «la presenza di truppe sul fianco occidentale». In effetti, durante l’esercitazione BALTOPS, un aereo militare russo, appartenente alle pattuglie di controllo marittimo, ha sfiorato alcune navi della NATO, tra cui il cacciatorpediniere USS Jason Dunham, da cui sarebbe stato effettuato una ripresa video, non ancora resa pubblica.

STATI UNITI, 18 GIUGNO ↴ Con le candidature di Jeb Bush e Donald Trump va aprendosi il ventaglio delle primarie repubblicane in vista delle elezioni presidenziali del 2016. Sale dunque a 12 il numero dei concorrenti nel campo repubblicano che presumibilmente affronteranno Hillary Clinton nella corsa alla Casa Bianca. Secondo i primi sondaggi d’opinione, quella di Jeb Bush sembra essere la candidatura più autorevole, ma altrettanto forti sono le posizioni dei più giovani Marco Rubio, senatore della Florida sostenuto dalle comunità ispaniche, e Rand Paul, senatore del Kentucky vicino al Tea Party. Bush, già governatore della Florida, ha mostrato la chiara volontà di affrancarsi dall’eredità “dinastica” di una famiglia che ha retto l’esecutivo degli Stati Uniti per tre mandati dal 1989, come dimostrato dall’assenza del cognome dallo slogan ufficiale (“Jeb!”) della campagna elettorale, e punta a intercettare il voto moderato e degli ispano-americani. Al contrario, Trump, forte di un immenso patrimonio immobiliare e finanziario, ha presentato la proposta di una leadership determinata a ricostruire il sogno e il primato americano nel mondo. Intanto, dopo la storica normalizzazione dei rapporti con Cuba, l’amministrazione Obama apre pure all’allentamento delle relazioni bilaterali con il Venezuela. Nonostante l’importante partnership commerciale in ambito energetico, i rapporti tra Washington e i governi Chavez e Maduro sono stati contrassegnati da frequenti alterchi a livello diplomatico. Il 14 giugno le delegazioni dei due Paesi si sono incontrate a Haiti con la mediazione del Presidente haitiano Michel Martelly, offrendo una prima occasione di riavvicinamento. Sul fronte interno, la strage in una chiesa metodista di Charleston, nella Carolina del Sud, è l’ultimo drammatico atto di intolleranza razziale commesso contro la comunità afroamericana. Il 18 giugno il 21enne Dylann Roof ha aperto il fuoco contro i fedeli nella Emmanuel African Methodist Episcopal Church al termine di una lezione sulla Bibbia, uccidendo nove persone tra cui il pastore e senatore democratico Clementa Pinckney. L’attentatore è stato arrestato dopo una fuga di 12 ore.

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UCRAINA, 18 GIUGNO ↴ Le forze ucraine hanno respinto un pesante attacco dei separatisti filo-russi alle porte della città di Marinka, città strategica lungo la linea difensiva ucraina a ovest di Donetsk e che protegge l’autostrada di collegamento al centro portuale di Mariupol. Come in una precedente occasione,

l’offensiva

ha

seguito

un

incontro

nuovamente fallimentare – del Gruppo di Contatto a Minsk, il che confermerebbe che i gruppi ribelli stiano sfruttando la forza militare per ottenere concessioni da parte del governo di Kiev. Sul piano internazionale, la proposta americana – appoggiata da Polonia e Lituania – di inviare armi pesanti e soldati nell’Est Europa in uno sforzo di assicurazione degli alleati regionali, ha indotto il Presidente russo Vladimir Putin ad annunciare nel corso del Forum Tecnico-Militare Internazionale Army-2015 (16 giugno) la creazione di un nuovo sistema radar rivolto verso l’Europa occidentale e il rafforzamento dell’arsenale nucleare con 40 nuovi missili ICBM (Intercontinental Ballistic Missile), sebbene ciò non rappresenti una novità (un annuncio del genere era stato già rilasciato dal Cremlino lo scorso anno). Gli stessi – ha avvertito Mosca per mezzo dell’Ambasciatore russo a Stoccolma, Viktor Tatarinstev – potrebbero essere puntati contro la Svezia qualora decida di aderire alla NATO. Mentre in Senato USA ha approvato una legge (15 giugno) che autorizza il Pentagono a stanziare nei confronti del governo ucraino fino a 300 milioni di dollari in formazione e addestramento militare, la stessa Alleanza Atlantica dal 18 giugno ha avviato le esercitazioni militari “Allied Shield” che mirano ad esaminare le capacità di comando congiunto delle forze alleate testandone le capacità di completo combattimento; dal canto suo la Russia ha mobilitato i propri soldati con finalità di addestramento nell’enclave

di

Kaliningrad.

Nel

frattempo

gli

Ambasciatori dei 28 Paesi

UE

trovato accordo

hanno

un

pre-

per

proroga

la delle

sanzioni

contro

la

Russia

fino

al

prossimo 31 gennaio (l’intesa

sarà

sottoposta

ora al

Consiglio Affari Esteri del

22

giugno

a

Lussemburgo.

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YEMEN, 15-19 GIUGNO ↴ I colloqui di pace tra le forze in campo nel conflitto yemenita, che sono iniziati lunedì 15 giugno a Ginevra, si sono conclusi con un nulla di fatto, nonostante l’estensione delle contrattazioni fino alla mattinata del 19 giugno. Il Ministro degli Esteri del governo yemenita, Riad Yassin, ha lamentato il fatto che i ribelli Houthi hanno rifiutato di incontrare la loro delegazione e che, al momento, non è stata decisa una data per un secondo incontro. Considerato il fallimento dei colloqui, l’Inviato Speciale dell’ONU Ismail Ould Chekh Ahmed ha prontamente affermato che prima di iniziare un nuovo round di negoziati sarà necessario decretare un cessate il fuoco senza incertezze. Le notizie negative giungono proprio mentre le Nazioni Unite hanno chiesto uno stanziamento di 1,6 miliardi di dollari per aiutare la popolazione dello Yemen e cercare di alleviare quella che, a breve, potrebbe diventare una catastrofe umanitaria. Mentre si svolgeva il Vertice di Ginevra, una serie di esplosioni coordinate è avvenuta ai danni del quartier generale di Ansarullah e di alcune moschee della capitale Sana’a, provocando la morte di decine di persone. La branca yemenita dello Stato Islamico ha rivendicato la paternità dell’attacco «in segno di vendetta contro gli apostati sciiti», ha rivelato il gruppo in un comunicato ufficiale. Gli attacchi sono avvenuti mentre i musulmani di tutto il mondo si apprestano ad iniziare il sacro mese del Ramadan. Nonostante il conflitto in corso, gli Stati Uniti hanno condotto uno strike con droni che ha portato all’uccisione di Abu Basir Nasser al-Wuhayshi, leader di al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), insieme ad altri due combattenti dell’organizzazione terroristica creata da Osama Bin Laden. In un video postato online martedì mattina, il portavoce di AQAP ha rivelato che l’organizzazione ha scelto come nuovo leader Qaasim al-Raym, precedentemente comandante militare del gruppo.

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ALTRE DAL MONDO AFGHANISTAN, 13 GIUGNO ↴ È di 25 poliziotti morti il bilancio finale dell’attacco sferrato da un gruppo di militanti talebani nella provincia meridionale di Helmand. Il raid, durato diverse ore, è iniziato poco dopo la mezzanotte, e secondo quanto riferito dal capo della polizia dell’Helmand, Nabi Jan Mullakhil, decine di talebani hanno attaccato il checkpoint della polizia nel distretto di Musa Qala, portandosi via munizioni ed armi. Nonostante i ripetuti tentativi del governo afghano di ricercare una conciliazione con i talebani, questi ultimi non sembrano intenzionati a fermare la promessa offensiva d’estate.

COLOMBIA, 15-18 GIUGNO ↴ Il Presidente colombiano Juan Manuel Santos ha annunciano l’uccisione di uno dei leader militari dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), Jose Amin Hernandez Manrique, noto come Marquitos. A soli tre giorni dall’episodio, i guerriglieri delle FARC, il principale gruppo della guerriglia armata colombiana, hanno fatto saltare in aria il secondo oleodotto del Paese situato nella provincia di Catatumbo. La conseguente fuoriuscita di petrolio ha provocato seri danni ambientali costringendo il governo a bloccare le forniture idriche nella zona. Sebbene non sembra esservi una correlazione tra i due episodi, si registra quantomeno una nuova escalation delle tensioni della guerra civile colombiana soprattutto a seguito della sospensione unilaterale da parte delle FARC del cessate il fuoco del 22 maggio.

DANIMARCA, 18 GIUGNO ↴ Il blocco di centro-destra, guidato dall’ex Premier Lars Løkke Rasmussen e formato da Venstre, dal Partito Popolare danese, da Alleanza Liberale e dai conservatori, ha ottenuto 90 dei 179 seggi del Folketing (il Parlamento unicamerale danese), assicurandosi così la maggioranza per governare il Paese. Il blocco di centro-sinistra guidato dai social-democratici della Premier uscente, Helle Thorning-Schmidt, ormai ufficialmente dimissionaria anche come leader del partito, si è fermato a quota 85 seggi sebbene il Partito social-democratico rimanga la prima forza del Paese con il 26,3% dei voti. Vera novità di queste elezioni è rappresentata dal 21,1% raggiunto dal Partito Popolare danese, famoso per le proprie posizioni xenofobe e anti-europeiste, il quale di fatto si è affermato come primo partito del blocco di destra e seconda forza politica del Paese.

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LIBIA, 13-14 GIUGNO ↴ Il governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk ha annunciato la morte di Moktar Belmokhtar, uno dei leader storici di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e del gruppo salafita al-Mourabitoun. Il terrorista algerino sarebbe rimasto ucciso durante un raid aereo statunitense, sostenuto dallo stesso esecutivo libico, nella notte tra il 13 e il 14 giugno a sud di Agedabia, circa 160 km a est di Bengasi. Gli Stati Uniti non hanno ancora confermato l’effettiva morte di Belmokhtar, che in passato era già stata annunciata e successivamente smentita.

MOLDAVIA, 18 GIUGNO ↴ Il Parlamento moldavo ha ufficialmente approvato le dimissioni (annunciate lo scorso 12 giugno) del Primo Ministro liberal-democratico Chiril Gaburici e del suo governo – in carica da febbraio, quando cioè la formazione di un esecutivo filo-europeista con il fondamentale appoggio esterno del partito comunista aveva sbloccato l’impasse politica nata dalle elezioni del novembre 2014. La decisione di Gaburici, ufficialmente dovuta allo scandalo circa la falsificazione del suo titolo di studio, potrebbe essere peraltro riconducibile alle polemiche relative alla sparizione di 930 milioni da tre banche (Banca de Economii, Banca Sociala e Unibank avrebbero erogato prestiti a enti attualmente irrintracciabili) e alle possibili conseguenze sull’economia nazionale. Le dimissioni di Gaburici rischiavano di sfavorire i partiti filo-europeisti nel primo turno delle elezioni amministrative del 14 giugno.

PALESTINA, 18 GIUGNO ↴ Il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Abu Mazen ha ufficialmente sciolto il governo di unità nazionale palestinese in coabitazione con Hamas a Gaza, stabilito nell’aprile 2014. Abu Mazen ha incaricato il Premier Rami Hamdallah di formare un nuovo esecutivo di politici senza rappresentanti della dirigenza islamista, al potere a Gaza dal 2005. Alla base della decisione del leader dell’ANP vi sarebbero stati i colloqui segreti tenuti tra Hamas e il governo israeliano mirato a stabilire una tregua di 5-10 anni tra i due rivali politici in cambio dell’accoglimento della richiesta islamista, ossia la costruzione di un porto sotto controllo internazionale sull’isola di Cipro necessario ad alleviare le difficoltà economiche e sociali alle quali è sottoposta la Striscia di Gaza fin dall’embargo del 2007. La decisione di Abu Mazen sarebbe dettata inoltre dal fatto che l’ANP, sebbene sia stato definito da molti attori mediorientali e soprattutto dall’Egitto di al-Sisi l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, è stata di fatto esclusa e isolata da questi colloqui (al quale hanno preso parte anche i governo del Cairo e di Doha), relegando l’organizzazione al potere in Cisgiordania ad un ruolo politico marginale.

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SUDAN, 15 GIUGNO ↴ Il Presidente del Sudan Omar al-Bashir dopo aver partecipato al summit dell’Unione Africana a Johannesburg ha fatto rientro in patria. Nonostante il mandato di cattura internazionale spiccato dalle autorità locali su mandato della Corte Penale Internazionale, sul Presidente sudanese pende dal 2009 un’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità riferiti alla vicenda del Darfur, al-Bashir non ha atteso il verdetto dell’alta corte sudafricana ed è partito con un volo di stato da Pretoria alla volta di Khartoum.

TUNISIA, 15-16 GIUGNO ↴ Tre agenti della guardia nazionale ed un uomo sospettato di legami con il terrorismo islamico sono morti in uno scontro a fuoco tra i militanti delle Brigate Okba Ibn Nafaa – ufficiosamente legate allo Stato Islamico sebbene non vi sia stato da parte del Califfo al-Baghdadi un riconoscimento formale – e le forze di polizia, nella località di Sidi Bouzid. Lo scontro a fuoco è stato poi rivendicato, con un annuncio sul profilo Twitter, dai miliziani del gruppo tunisino-algerino autore da diversi anni di numerosi attentati lungo la frontiera comune con l’Algeria.

UNGHERIA, 17 GIUGNO ↴ Il Ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha annunciato che il governo ungherese costruirà un muro – lungo 175 Km e alto 4 metri – al confine con la Serbia allo scopo di limitare il numero degli immigrati e dei richiedenti asilo nel Paese e di bloccare il flusso complessivo dei clandestini che, attraverso la rotta balcanica, giungono in Europa occidentale. Secondo il Dipartimento ungherese per l’immigrazione, nei primi mesi de 2015 sono circa 57mila le persone provenienti da Afghanistan, Siria e Pakistan ad aver attraversato illegalmente i confini nazionali. Nel 2014 Budapest ha accolto più di 43mila migranti (solo nel 2012 erano appena 2mila). La proposta risale già all’anno scorso, quando il sindaco di Ásotthalom – cittadina al confine serbo –, Laszlo Toroskay, aveva lanciato l’idea della creazione di una barriera protettiva. Il 1° luglio è previsto un incontro sul tema tra il Premier Viktor Orbán, che assicurato che il progetto non violerà nessun regolamento o convenzione internazionale, e il suo omologo serbo, Aleksandr Vučić.

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ANALISI E COMMENTI CINA INTERNA PAOLO BALMAS ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA La Repubblica popolare cinese compirà 66 anni il prossimo 1° ottobre 2015. Essa è un’espressione politica molto giovane rispetto ai seimila anni, e anche più, di storia che vantano le genti che ancora oggi la popolano. La Rivoluzione maoista si è impegnata sin dalle prime ore a diffondere e imporre un’ideologia e un sistema di governo in modo tale da unire il più saldamente possibile le diverse realtà e culture con cui si misurava man mano che espandeva il proprio potere. I tentativi di imporre un sistema economico collettivista hanno introdotto cambiamenti radicali – considerati allora irreversibili – soprattutto nelle campagne. Il primo atto della neonata Repubblica consistette nel distribuire equamente, per la prima volta nella storia, alcune decine di milioni di ettari coltivabili a circa trecento milioni di contadini eliminando la classe dei grandi proprietari che da sempre avevano gestito le ricchezze della fertile terra cinese. A volte tali politiche sono state fallimentari, altre volte hanno raggiunto obiettivi sorprendenti. Sebbene sia difficile comprendere i reali parametri di un passato recente così importante, ma privo di analisi approfondite e avvolto sempre in varie forme di giudizio politico e a volte anche di pregiudizio razziale, di certo si ricorda quanto sia stato caro il prezzo pagato per ottenere qualsiasi tipo di miglioramento. Ad esempio, si pensi al periodo del “Grande balzo in avanti” e alla rottura con l’URSS (1958-1962) professati da Mao Zedong. Nelle campagne, alle comuni agricole fu imposta la presenza degli altoforni per la produzione autonoma dei manufatti in metallo; il complesso industriale del Paese, invece, si ampliò da una base di nove milioni di operai a una di venticinque milioni nell’arco di un solo anno (fra il 1957 e il 1958). (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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