Weekly Report N°13/2015

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N째13, 10-16 MAGGIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 17 maggio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti

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Photo credits: Reuters; Reuters/AFP; Reuters/Kenzaburo Fukuhara; AFP; Twitter/NewsOnTheMin; Associated Press;


FOCUS IRAQ/SIRIA ↴

Dopo aver preso Idlib il 28 marzo, l’avanzata delle forze ribelli capeggiate da Jabhat al-Nusra (JaN) nella vicina Jisr al-Shughour ha inferto duro colpo alla tenuta del regime nella provincia nord-occidentale della Siria. La città prossima al confine turco è un centro nevralgico di elevato valore strategico poiché si frappone lungo la direttrice che congiunge la zona costiera di Latakia, ancora sotto controllo delle truppe governative, ad Aleppo, divenuta roccaforte delle opposizioni. Il Presidente siriano Bashar al-Assad ha annunciato una controffensiva per rompere l’assedio all’ospedale di Jisr al-Shughour, dove circa 250 soldati dell’esercito regolare sono sotto scacco delle forze ribelli dal 25 aprile scorso. Tuttavia, il protrarsi dei combattimenti testimonia che Damasco non è in grado di mobilitare risorse sufficienti per recuperare il terreno perduto nelle ultime settimane, malgrado l’appoggio di Hezbollah e delle milizie straniere organizzate da Teheran. A questo riguardo, il Der Spiegel ha documentato che la Guardia Rivoluzionaria iraniana sta schierando nel teatro di guerra centinaia di combattenti afghani, appartenenti al gruppo etnico degli Hazara e di culto musulmano sciita, che, immigrati illegalmente in Iran, sono stati costretti a prendere la via del fronte per evitare il carcere. La rivista tedesca stima che già 700 miliziani afghani siano rimasti uccisi negli scontri avvenuti a Damasco e Aleppo. L’intensificarsi delle ostilità – in cui ha perso la vita il comandante delle forze speciali siriane, Muhi al-Din Mansour – indica che la battaglia di Jisr al-Shughour avrà conseguenze notevoli sull’andamento del conflitto. Benché la situazione sul campo sia mutevole, l’offensiva mostra la saldatura di oltre quaranta formazioni nel cosiddetto “Esercito della Conquista” (Jaish al-Fatah) che riconosce la preminenza di

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JaN, mentre le divisioni dell’esercito regolare schierate nella provincia di Idlib sono sottoposte al rischio di un isolamento fatale. Ciò non solo interroga i fedelissimi di Bashar al-Assad sulla possibilità che la pressione ribelle dilaghi anche nelle aree di Latakia e Hama, ma apre anche a scenari a lungo rimasti sospesi nel più ampio confronto internazionale sulla crisi siriana e che oggi sembrano trovare più di un generico intendimento, quale un intervento militare turco a favore dell’istituzione di una zona cuscinetto nel nord del Paese che un eventuale successo delle milizie islamiste sostenute da Ankara potrebbe incoraggiare. Da questo versante, la diplomazia qatarina ha lavorato alacremente per riavvicinare le posizioni di Turchia e Arabia Saudita, che condividono l’auspicio del rovesciamento del regime alawita. Preoccupato dal crescente rilievo iraniano nella crisi e angustiato dalle esitazioni statunitensi, il monarca saudita Salman bin Abdul-Aziz al-Saud ha dato mandato di potenziare l’assistenza finanziaria e militare alle forze anti-Assad e specificatamente alle milizie islamiste Ahrar al-Sham e Jaish al-Islam che combattono sotto le insegne del Jaish al-Fatah. Mentre fonti non confermate attribuiscono ai servizi segreti turchi un ruolo operativo nell’offensiva ribelle su Idlib, l’Associated Press riporta che la Turchia sta effettuando pressioni per spingere JaN a ritrattare la sconveniente affiliazione alla rete di al-Qaeda.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN SIRIA – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

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Nel frattempo, la Coalizione nazionale delle opposizioni ha annunciato che non parteciperà alle consultazioni di Ginevra promosse dalle Nazioni Unite. Nel campo delle alleanze, il Presidente della commissione sulla sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Ala al-din Boroujerdi, ha rinnovato la vicinanza di Teheran al governo legittimo, mentre Hezbollah continua a fornire un contributo essenziale alle truppe governative, in particolare nelle montagne del Qalamoun che delimitano il confine libanese, oltre a collegare Damasco a Homs e alla zona costiera. Intanto, l’avanzata delle formazioni ribelli ha spronato il regime a ricorrere indiscriminatamente a bombardamenti massicci su Aleppo: l’Osservatorio siriano per i diritti umani riferisce che i raid effettuati dall’aviazione siriana il 13 maggio su obiettivi civili a sud della città (l'ospedale di Salhin, una scuola e un mercato ortofrutticolo) hanno provocato la morte di almeno 66 persone, in prevalenza donne e bambini. Lo Stato Islamico sta invece accentuando lo spostamento del centro di gravità delle operazioni militari nelle regioni centro-occidentali della Siria. Nell’ultima settimana, tre attacchi suicidi hanno colpito le postazioni del regime a Homs, l’aeroporto militare di Dair az-Zor e la base di Kuweires a est di Aleppo. Intanto, JN ha rotto la tregua con il Califfato con una dichiarazione ufficiale di Jaysh al-Fatah, che prelude a un confronto diretto nella regione del Qalamoun. Nello scenario iracheno, i miliziani dell’IS hanno invece preso il sopravvento sulle forze di sicurezza poste a protezione della raffineria di Baiji, tanto da determinare un deciso e inconsueto aumento dei bombardamenti della coalizione internazionale. Il Capo di Stato Maggiore statunitense Martin Dempsey ha comunicato che tra il 5 e il 7 maggio l’infrastruttura petrolifera è stata oggetto di 26 attacchi. Malgrado ciò, l’esercito regolare iracheno appare in grave difficoltà, anche in virtù della riemersione di attentati terroristici nelle regioni orientali in cui la presenza islamista era stata efficacemente contrastata negli ultimi mesi. La stessa Tikrit, liberata in marzo, è stata colpita dall’esplosione di un’autobomba. Ciò evidenzia la difficoltà delle truppe governative di presidiare il territorio e al contempo gestire molteplici fronti di combattimento. Mentre il Fronte di Mobilitazione Popolare sta velocizzando l’arruolamento volontario nella provincia di Diyala, i mille guerriglieri tribali sunniti di Amiriyat al-Fallujah hanno iniziato la fase di addestramento che dovrebbe anticiparne l’impiego nell’Anbar. Tuttavia, è proprio contro il capoluogo della provincia di Anbar che l’IS ha scagliato il 15 maggio una vasta e fulminea offensiva. Applicando una tattica consolidata, una serie di attentati suicidi con autobomba ha anticipato l’assalto dei miliziani islamisti nei quartieri centrali di Ramadi. Le uniformi nere hanno colpito il complesso governativo, il municipio, il comando operativo militare iracheno, una stazione di polizia e una scuola. Fonti non confermate riportano che i miliziani sono riusciti a impossessarsi dei palazzi governativi, alzando nuovamente (come nel gennaio 2014) il vessillo del Califfato. A destare alcun dubbio sono invece le capacità organizzative, logistiche e di combattimento dell’IS. La pesante aggressione contro Ramadi, che ha sorpreso e travolto le forze di sicurezza irachene, è stata accompagnata da simultanei attacchi tra Baghdad e Samarra, oltre che nel villaggio 3


di Jubba e nel distretto di al-Wafa a ovest di Ramadi. Nonostante la recente sconfitta a Tikrit e i colpi inferti alla dirigenza dell’IS, l’operazione efficacemente condotta dai guerriglieri islamisti nega la prevista flessione nelle risorse del Califfato e anzi testimonia sia l’inalterata facilità di movimento lungo il Tigri e l’Eufrate, sia la capacità di colpire in profondità obiettivi di elevato valore strategico e simbolico.

SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR

Intanto, Baghdad ha dato la notizia della morte di Abu Ala al-Afri, esponente di rilievo della leadership del Califfato che dopo il ferimento di Abu Bakr al-Baghdadi aveva preso le redini dell’organizzazione. L’intelligence irachena ha riportato che alAfri sia caduto vittima di un bombardamento statunitense mentre partecipava a un incontro nella moschea di al-Shuhadaa nella città di Tal Afar, a settanta chilometri da Mosul. Tuttavia, il Comando Centrale degli Stati Uniti non ha confermato l’informazione restituita dal Ministero della Difesa iracheno. Nella notte tra il 16 e il 17 maggio, le forze speciali statunitensi hanno compiuto un raid nei pressi di Dair az-Zor uccidendo un comandante dell’IS, noto con

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il nome di Abu Sayyaf, e una decina di miliziani. L’operazione di terra è stata condotta da due commandos dei Delta Force, che sono penetrati in territorio siriano a bordo di due elicotteri Black Hawk e di un V-22 Osprey. Bernadette Meehan, portavoce del National Security Council, ha dichiarato che le autorità siriane non sono state preventivamente informate della missione e che il Presidente Obama ha dato la sua autorizzazione dietro raccomandazione unanime dei suoi consiglieri in materia di sicurezza. Come confermato dal Dipartimento della Difesa, Abu Sayyaf – di cittadinanza tunisina e presente in Iraq dal 2003 – era una figura di medio livello nell’organigramma dell’IS, ma gestiva i canali di finanziamento dell’organizzazione, a partire dalla vendita sul mercato nero di petrolio e gas naturale. Poiché i bombardamenti della coalizione internazionale hanno in larga parte danneggiato le infrastrutture petrolifere occupate dai miliziani islamisti, è presumibile ritenere che l’inusuale operazione di terra avesse l’obiettivo primario di raccogliere la documentazione in possesso di Abu Sayyaf per ricostruire le modalità con cui l’organizzazione riceve capitali e muove le proprie risorse. Durante la missione, i soldati statunitensi – che non hanno subito perdite – hanno arrestato la moglie di Abu Sayyaf.

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STATI UNITI ↴

È iniziata una «nuova era di cooperazione», ha annunciato il Presidente Barack Obama a margine del summit di Camp David del 14 maggio, tra Washington e i Paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Il Vertice ha visto riunirsi i rappresentanti di Stati Uniti, Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. L’invito della Casa Bianca era esteso ai Capi di Stato dei Paesi del Golfo, ma solo gli Emiri di Kuwait e Qatar si sono recati di persona negli USA. La defezione più significativa è stata quella del Re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz al Saud, che comunque ha inviato il Ministro dell’Interno e principe ereditario, Mohammed bin Nayef. Acutamente, il New York Times ha evidenziato che l’assenza del Re saudita costituisce «un segnale del continuo disappunto dell’Arabia Saudita nei confronti delle relazioni tra Stati Uniti e Iran, suo avversario regionale». Il summit di Camp David ha in effetti avuto come principale scopo quello di tranquillizzare i Paesi del GCC a fronte del probabile accordo che gli Stati Uniti raggiungeranno con l’Iran sullo spinoso dossier della questione nucleare, che, nel timore delle potenze sunnite del Golfo, consentirebbe a Teheran di ritagliarsi eccessivi spazi nella regione per l’esercizio della sua influenza, a cominciare dallo Yemen. Obama ha promesso che gli Stati Uniti continueranno a difendere, se necessario con l’uso della forza militare, i Paesi del GCC sia da «ogni tipo di aggressione esterna» che di minaccia di aggressione. «Noi», ha affermato il Presidente statunitense. «aumenteremo la nostra cooperazione, già considerevole, in materia di sicurezza. Aumenteremo le nostre esercitazioni e la nostra assistenza militare per rispondere a tutte le minacce, soprattutto il terrorismo. Lo scopo della cooperazione per la sicurezza non è continuare a lungo termine qualsiasi confronto con l'Iran. Nessuna nazione ha interesse ad un conflitto a tempo indeterminato con l'Iran. Noi diamo il 6


benvenuto a un Iran che gioca un ruolo responsabile nella regione che prende iniziative concrete per costruire la fiducia e risolve le divergenze con i suoi vicini con mezzi pacifici, rispettando le norme internazionali». Perciò, Washington si impegna a contrastare qualsiasi «attività destabilizzante» nella regione da parte degli iraniani. Inoltre, ha proseguito con un occhio alle capacità missilistiche di Teheran, «lavoreremo insieme per sviluppare un sistema di difesa integrato del GCC contro i missili balistici». Comunque, ha osservato in conclusione Obama, «voglio che sia chiaro che lo scopo di questa cooperazione sul fronte della sicurezza non è quello di alimentare uno scontro di lungo periodo con l'Iran e neppure quello di marginalizzare l'Iran». Il comunicato congiunto pubblicato alla conclusione del Vertice si è soffermato anche sui conflitti in Libia, Siria, Yemen e Iraq, dove le potenze sunnite, seppur non in modo univoco, si confrontano con quella sciita iraniana. Nella dichiarazione si legge che a tali guerre «non c'è soluzione militare» e possono essere risolte «solo attraverso mezzi politici e pacifici, il rispetto per la sovranità degli Stati e la non interferenza nei loro affari interni». I Sauditi hanno fatto sapere in seguito che il loro obiettivo resta quello di «garantire che l’Iran non riesca a ottenere le armi atomiche, ma è ancora presto per dire cosa accetteremo e cosa no». Nel frattempo, dopo il Senato, anche la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato il disegno di legge che obbligherebbe il Presidente a presentare al Congresso l’accordo definitivo con l’Iran da raggiungere, secondo la timeline già delineata, entro il 30 giugno. Obama ha comunque fatto sapere nei giorni scorsi che non è sua intenzione firmare una legge che ne limiterebbe i poteri garantitigli costituzionalmente.

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UNIONE EUROPEA ↴

Il 13 maggio l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e di Sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ha annunciato l’approvazione della nuova agenda della Commissione UE sull’immigrazione. L’iniziativa giunge in una fase di forte sensibilità verso il fenomeno migratorio, alla luce del crescente numero di sbarchi sulle coste europee e delle tragedie verificatesi nel Canale di Sicilia e al largo di Lampedusa. Un tema, questo, sul quale Bruxelles è stata spesso accusata di disinteresse, scarso coordinamento e mancanza di una politica coerente. I presupposti su cui si basa il nuovo corso inaugurato dalla Commissione puntano a ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, a gestire e a rendere sicure le frontiere esterne dell’Unione, a proteggere i richiedenti asilo e a delineare una nuova politica della migrazione legale. Tra le misure urgenti si è disposta la ripartizione in quote tra gli Stati membri dei rifugiati sulla base di quattro criteri: PIL, popolazione, tasso di disoccupazione e rifugiati già ospitati sul territorio nazionale. Nel piano rientra anche un’operazione militare per distruggere i barconi dei trafficanti prima che partano dalla Libia, la cui proposta sarà sottoposta già il 18 maggio in occasione del Consiglio dei Ministri degli Esteri e della Difesa che potranno approvarne le linee guida. L’eventuale lancio dell’operazione spetterà al Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del prossimo giugno. Mogherini ha auspicato l’adozione di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che dia all’UE la copertura del mandato internazionale per intervenire e ha escluso l’opzione dell’intervento militare sul terreno: «Pianifichiamo un’operazione navale, speriamo in collaborazione con le autorità libiche, per smantellare il modello di business dei trafficanti».

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Nel 2015 e 2016 è previsto un aumento dei fondi per triplicare le capacità e i mezzi di Triton e Poseidon, le operazioni congiunte di sorveglianza delle frontiere di Frontex, l’agenzia creata con il Regolamento 2007/2004 del Consiglio con lo scopo di gestire la cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri. Il bilancio rettificativo per il 2015 assicura i fondi necessari: un totale di 89 milioni di euro, comprensivo di 57 milioni per il Fondo Asilo, migrazione e integrazione e 5 milioni per il Fondo Sicurezza interna in finanziamenti di emergenza destinati agli Stati membri in prima linea, mentre entro fine maggio sarà presentato il nuovo piano operativo Triton. Per il 2015 e 2016 è inoltre disposto lo stanziamento di 50 milioni di euro aggiuntivi per il reinsediamento di 20.000 rifugiati che vivono nei campi profughi di Paesi terzi (soprattutto Giordania e Turchia) e hanno un diritto già accertato alla protezione internazionale. Le maggiori controversie e divergenze si registrano sul sistema delle quote; il Regno Unito, fortemente critica su questa misura, potrebbe invocare la clausola dell’opt-out sulla base dei trattati e non partecipare alla condivisione insieme a Irlanda e Danimarca. Ferma opposizione all'introduzione delle quote obbligatorie per l’accoglienza dei migranti continua ad essere espressa anche da Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Polonia e Lituania. Grecia e Italia saranno esentate dalla procedura d’urgenza avendo già superato le soglie previste.

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BREVI AF-PAK, 13 MAGGIO ↴ I Talebani hanno compiuto due violenti attentati in Afghanistan e Pakistan. Il 13 maggio un singolo attentatore ha attaccato il Park Palace Guest House a Kabul, uccidendo quattordici persone, in prevalenza cittadini stranieri di nazionalità statunitense, britannica e indiana. Tra le vittime anche un cooperante italiano, Sandro Abati, e due attivisti di ActionAid. Le forze di polizia hanno eliminato l’attentatore prima che azionasse una cintura esplosiva e hanno liberato le cinquantaquattro persone prese in ostaggio dopo l’attacco nel residence. Nel rivendicare l’atto, il portavoce Zabihullah Mujahid ha annunciato che i Talebani colpiranno nuovamente i cittadini stranieri presenti in Afghanistan. Nella stessa giornata, il gruppo terroristico metteva a segno un secondo attentato a Karachi, aprendo il fuoco contro un autobus che trasportava fedeli sciiti della comunità ismailita. Il bilancio provvisorio riporta la morte di almeno quarantasette persone e il ferimento di altre venti. Gli assalitori, sei uomini che hanno avvicinato il mezzo a bordo di tre moto, sono riusciti a fuggire. Un volantino trovato sul luogo della strage reclama la diretta responsabilità dello Stato Islamico, ma gli inquirenti ritengono che la presunta rivendicazione costituisca un falso. Il disimpegno NATO dall’Afghanistan e la comune urgenza di contrastare i gruppi jihadisti pongono Kabul e Islamabad dinanzi alla necessità di un matrimonio di opportunità al fine di arginare la minaccia del terrorismo di matrice islamica. Due giorni prima del duplice attentato, il Presidente afghano Ashraf Ghani e il Primo Ministro pachistano Nawaz Sharif avevano annunciato la volontà di procedere uniti nella guerra contro il jihadismo.

BURUNDI, 13 MAGGIO ↴ Dopo settimane di scontri a bassa intensità, seguiti alla decisione del 26 aprile scorso del Presidente in carica Pierre Nkurunziza di volersi candidare per un terzo mandato presidenziale – infrangendo di fatto i limiti posti

dalla

Costituzione

nazionale,

ma

trovando

tuttavia l’appoggio legale della Corte Suprema che ha avallato la candidatura –, l’ex Direttore dei servizi di intelligence

nazionali,

Generale

Godefroid

Niyombareh, aveva annunciato nei giorni scorsi la destituzione di Nkurunziza, lo scoglimento del governo e il controllo dei principali palazzi governativi. Quello che a tutti gli effetti si connotava come un colpo di Stato 10


pare essere stato smentito poche ore più tardi da una dichiarazione dello stesso Nkurunziza che da Dar es-Salam, in Tanzania, dove partecipava ad un summit dei Paesi dell’Africa Orientale, smentiva le voci di una sua fuga in Uganda e affermava la propria volontà di rientrare immediatamente nel Paese per discutere della crisi politica. A causare il fallimento del coup d’etat del Generale Niyombareh vi sarebbe stata soprattutto la mancata complicità di parte dell’esercito burundese rimasto fedele a Nkurunziza e, in particolare, al Capo di Stato Maggiore Generale Prime Niyongabo. Sebbene il golpe sia fallito, gli scontri tra le opposte fazioni proseguono a Bujumbura e nei dintorni della capitale. Secondo fonti ufficiose, le forze proNkurunziza avrebbero ripreso il controllo dell’aeroporto della capitale, delle sedi della televisione statale e di altre stazioni radio, mentre il portavoce degli insorti, il commissario di polizia Vénon Ndabaneze, aveva negato tutto sottolineando che la sua fazione avrebbe ancora il controllo dell’aeroporto. Intanto Niyombareh, Ndabaneze e altri 18 alti ufficiali vicino agli insorti, tra cui il numero 3 del gruppo Cyrile Ndayirukiye, si sarebbero consegnati volontariamente poche ore più tardi alle autorità nel tentativo di placare le proteste ed evitare una pericolosa escalation di violenze. Solo pochi anni fa è terminata infatti una sanguinosa guerra civile (19932009) che ha provocato oltre 200 mila morti e che si inseriva nel contesto, anche regionale, delle violenze inter-etniche tra Hutu e Tutsi. Proprio i vicini regionali Kenya, Tanzania e Uganda e il Dipartimento di Stato USA premono per una rapida soluzione pacifica alla crisi nel Paese.

CINA-INDIA, 14-16 MAGGIO ↴ Dopo la visita del Presidente Xi Jinping in Russia (8 maggio), a margine della quale sono stati firmati alcuni importanti accordi per il rafforzamento della cooperazione sino-russa – in particolar modo per ciò che riguarda la promozione dei crediti cinesi (almeno 25 miliardi di dollari per i prossimi 3 anni) nei confronti di compagnie russe in crisi dopo le sanzioni economiche e il crollo del prezzo del petrolio – le relazioni tra i due Paesi hanno conosciuto un nuovo momento decisivo dal punto di vista militare. Dureranno infatti fino al 21 maggio le esercitazioni militari congiunte nel Mar Mediterraneo (c.d. “Interazione navale 2015”), che vedono la partecipazione di almeno dieci navi di differenti classi delle rispettive Marine Militari, con lo scopo dichiarato – nonostante i timori dettati dall’attuale clima di gelo nelle relazioni Mosca e l’Occidente – di testare la sicurezza della navigazione nell'Oceano e la capacità di risposta ad eventuali minacce alla sicurezza marittima. Analoghe manovre saranno effettuate nel Mar del Giappone, per sperimentare operazioni congiunte in un contesto di peacekeeping. Dopo la missione di sistema in Pakistan del mese scorso, la diplomazia economica cinese nell'Asia Centrale ha segnato un nuovo importante traguardo dopo l’incontro a Pechino e a Shanghai tra il Primo 11


Ministro indiano Narendra Modi, per la prima volta il Cina dopo la sua elezione nel maggio 2014, e il suo omologo Li Keqiang. Raggiunto un accordo di massima sulle dispute di confine (saranno infatti istituiti un sistema di consultazioni periodiche tra membri di entrambi gli eserciti e una “hot-line” militare) dopo che nelle scorse settimane la tensione era tornata a riaccendersi a seguito di una visita dello stesso Modi nell’Arunachal Pradesh e della diffusione di un servizio televisivo cinese in cui veniva mostrata una mappa dell’India senza i territori reclamati da Pechino, i due Premier hanno siglato 24 accordi commerciali dal valore di circa 10 miliardi di dollari allo scopo di iniettare fiducia nello sviluppo delle relazioni bilaterali. Le intese, che prevedono essenzialmente anche in questo caso lo stanziamento di fondi cinesi nei confronti di compagnie indiane (Pechino resta infatti il principale partner economico di New Delhi), riguardano numerosi settori di interesse, tra cui quello bancario, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture portuali, dell’energia solare e termica, dell’alta velocità, delle esplorazioni nel settore minerario, del commercio, del turismo e dell’aerospazio.

EGITTO, 10-16 MAGGIO ↴ La Corte Criminale del Cairo ha condannato a morte l’ex Presidente Mohammed Mursi e altri 106 detenuti legati alla Fratellanza Musulmana per un tentativo di evasione dal carcere di Wadi al-Natroun, nel governatorato di alBuhayrah, circa 90 chilometri a nord-ovest del Cairo, accaduto il 29 gennaio 2011. Nello stesso processo sono stati condannati a morte anche altri due alti vertici dell’Ikhwan, Khayrat al-Shater e Mohammed al-Beltagi. Toccherà ora al Grand Mufti, la massima autorità legale islamica dell’Egitto, decidere se confermare la sentenza di condanna a morte, anche se la sua decisione non è comunque vincolante ai fini del processo, in quanto il tribunale in totale autonomia potrebbe emettere un verdetto finale di condanna il 2 giugno prossimo. La stessa Corte cairota in una sentenza diversa ha inoltre condannato a morte i gruppi di Ultras calcistici egiziani, dichiarandoli appartenenti a organizzazioni terroristiche e dunque fuorilegge, che hanno preso parte a manifestazioni politiche anti-governative e a rivolte durante il periodo 2011 (come il caso della strage dello stadio di Port Said in cui morirono 74 persone). In risposta a tali sentenze, tre giudici egiziani e un civile sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco ad al-Arish, nel nord del Sinai. Sebbene l’attacco non sia stato rivendicato, le forze di polizia sospettano che l’attentato sia stato compiuto dai gruppi islamisti locali. Intanto sempre nel nord della Penisola sinaitica, trenta tribù guidate dal clan dei Tarabeen hanno deciso di fondare un’alleanza anti-IS e, nel caso specifico, anti-Provincia islamica del Sinai (PS), l’ex formazione jihadista egiziana meglio nota come Ansar Bayt al-Maqdis. Le tribù sinaitiche hanno costituito due gruppi di volontari, uno con compiti di intelligence e

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di recupero delle informazioni, l’altro più operativo e impegnato nei combattimenti sul campo al fianco delle forze di sicurezza egiziane contro i jihadisti. La decisione dei Tarabeen sarebbe avvenuta in seguito all’uccisione di un loro anziano leader rifiutatosi di voler collaborare con i jihadisti del Sinai.

LIBIA, 11 MAGGIO ↴ La nave turca Tuna-1 è stata bombardata al largo delle coste libiche, causando una vittima e alcuni feriti. Il Ministero degli Esteri di Ankara ha riferito che il mercantile, che si stava dirigendo al porto di Tobruk per consegnare

un

carico

di

mattoni

e

cartongesso

proveniente dalla Spagna, è stato colpito dalla costa quando si trovava ancora in acque internazionali e ha subìto un secondo attacco per via aerea. Il governo turco ha condannato l’accaduto e ha presentato una nota di protesta alle autorità libiche richiedendo azioni legali nei confronti dei responsabili e riservandosi la possibilità di chiedere un risarcimento in base al diritto internazionale. Il portavoce dei militari libici Mohamed Hejazi ha affermato che il cargo è stato bombardato a 10 miglia dalla costa di Derna dopo aver ignorato l’ordine di non avvicinarsi alla città. Secondo quanto riportato da Saqr alGarrouchi, comandante dell’aviazione al servizio del Parlamento di Tobruk, all’agenzia di stampa turca Anadolu «la nave ha violato le acque territoriali libiche nonostante gli avvertimenti dell’esercito di fermarsi. Inizialmente abbiamo sparato dei colpi di avvertimento e visto che la nave non ci ha dato ascolto abbiamo sparato all’obiettivo». MACEDONIA, 13 MAGGIO ↴ A seguito dell’operazione di polizia nella città di Kumanovo in cui sono rimaste uccise 22 persone – 8 poliziotti e 14 sovversivi – contro un gruppo di uomini armati che aveva preso d’assalto la cittadina al confine tra Macedonia, Kosovo e Serbia, i Ministri macedoni dell’Interno,

Gordana

Jankulovksa,

e

delle

Comunicazioni e dei Trasporti, Mile Janakievski, hanno rassegnato le dimissioni dal governo del conservatore Nikola Gruevski. Oltre a questi, sostituiti rispettivamente da Mitko Cavkov (già a capo dell’ufficio di sicurezza pubblica) e da Vlado Misajlovski (dirigente della società pubblica per la rete stradale), ha lasciato il proprio incarico il capo dei servizi segreti macedoni, Sasho Mijalkov, cugino dello stesso Gruevski, sospettato dall’opposizione di aver intrattenuto relazioni con membri del commando di Kumanovo e oggetto di indagini su investimenti poco trasparenti in Repubblica

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Ceca. Sebbene la decisione non sia ufficialmente legata ai fatti di Kumanovo, nell'ottica del Premier il rimpasto potrebbe servire ad allentare la crisi che – dopo lo scandalo intercettazioni e le accuse di illeciti e di repressione delle forme di dissenso – ha investito il governo. Il leader dell’opposizione socialdemocratica, Zoran Zaev, ha tuttavia dichiarato che le dimissioni dei Ministri non saranno sufficienti a fermare le proteste popolari – che piuttosto continueranno fino alla caduta del governo Gruevski – e che a Kumanovo si sarebbe trattato di un gruppo eterodiretto per distogliere l’opinione pubblica dalle manifestazioni antigovernative in corso a Skopje, piuttosto che di un gruppo appartenente all’Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK), come annunciato dalle autorità centrali macedoni. Tra gli oltre 20 arrestati risulterebbero uomini (come Deme Shehu e Beg Rizaj, quest’ultimo collegato a Ramush Haradinaj, ex Primo Ministro e leader del partito kosovaro Alleanza per il Futuro del Kosovo, AAK) che hanno prestato servizio nell'UÇK in Kosovo, ma anche nel conflitto interetnico in Macedonia nel 2001. Il Kosovo ha dunque chiesto l’apertura di un’indagine indipendente per quanto accaduto a Kumanovo e ha rafforzato le misure di sicurezza intorno ai principali valichi di frontiera. Il Ministro della Difesa serbo Bratislav Gasic e alti funzionari di sicurezza di Belgrado hanno visitato la base militare di Cvore, nella valle del Presevo, snodo di collegamento verso la Serbia, e ha dichiarato lo stato di allerta di guerra. Da Belgrado è giunta dunque la proposta di creazione di un corpo speciale per il coordinamento di tutte le strutture e forze di sicurezza.

SAHEL, 14 MAGGIO ↴ Il

gruppo salafita

al-Morabitoun

avrebbe

giurato

fedeltà allo Stato Islamico. La notizia è stata diffusa in seguito

al

recapito

di

una

registrazione

audio

all’agenzia di stampa mauritana al-Akhbar in cui uno dei leader del gruppo, Adnan Abu Waleed al-Sahrawi, giura fedeltà all’IS invitando altre sigle jihadiste a fare lo stesso. Il gruppo salafita al-Mourabitoun si è costituito nel 2013 dall’unione tra i seguaci dell’algerino Mokhtar Belmokhtar, ex esponente di spicco di al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM), e una parte del Movimento per l’unità e il jihad in Africa Occidentale (MUJAO), guidato da al-Sahrawi e autore dell’attentato nella capitale del Mali dello marzo scorso. La dichiarazione di fedeltà all’IS era già stata proclamata da Boko Haram in Nigeria, ma l’importanza dell’eventuale annuncio di al-Mourabitoun risiede nel fatto che sarebbe la prima formazione islamista con base nella regione del Sahara ad affiliarsi all’IS. La cautela è però d’obbligo perché il 15 maggio proprio Belmokhtar avrebbe negato l’affiliazione a IS, smentendo la registrazione e confermando la fedeltà a Ayman al-Zawahiri, attuale capo di al-Qaeda, «sulla via del jihad». Non è tuttavia esclusa l’ipotesi di una perdita di influenza del leader algerino sul proprio movimento che potrebbe aver deciso, senza il suo accordo, il sostegno a IS.

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ALTRE DAL MONDO CUBA, 10-12 MAGGIO ↴ Di ritorno da Mosca dove ha partecipato al V-Day, il Presidente Raùl Castro è giunto a Roma per una visita di due giorni durante la quale ha incontrato il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e, soprattutto, Papa Francesco, con il quale ha tenuto un lungo colloquio privato di ringraziamento per la sua opera di mediazione nel processo di distensione diplomatica tra Cuba e gli Stati Uniti. Quarant’otto ore più tardi, il Presidente François Hollande, impegnato in un viaggio verso la Guadalupe francese, si è recato per una tappa intermedia a L’Avana – primo leader occidentale nell’isola dall’imposizione dell’embargo –, dove è stato ricevuto dai fratelli Castro e dal Ministro degli Esteri caraibico Rogelio Serra. Al centro dei colloqui il rilancio delle relazioni bilaterali e della cooperazione economica e commerciale.

COREA DEL NORD, 13 MAGGIO ↴ L’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap ha diffuso la notizia dell’esecuzione del Ministro della Difesa della Corea del Nord, Hyon Yong-chol, sulla base di un’informativa dei servizi segreti di Seoul. Il numero due delle forze armate nordcoreane, accusato di essersi addormentato durante una parata militare presieduta dal leader supremo Kim Jong-un, sarebbe stato ucciso il 30 aprile scorso. La notizia non è stata confermata ufficialmente e ha suscitato dubbi e scetticismo da più parti. La televisione di Stato nordcoreana ha continuato a mostrare immagini del Ministro della Difesa anche dopo il suo presunto omicidio.

GIAPPONE-FILIPPINE, 12 MAGGIO ↴ Si sono tenute nelle acque del Mar Cinese Meridionale manovre navali congiunte tra la Marina del Giappone e quella delle Filippine. L’attività militare è da intendersi come un segnale di comunanza di intenti in chiave anti-cinese tra Manila e Tokyo. L’esercitazione è infatti avvenuta nei pressi dell’atollo di Scarborough, un’area che è al centro di una disputa territoriale tra la Cina e le Filippine.

GRECIA-TURCHIA, 15 MAGGIO ↴ Sono ripresi i negoziati per la riunificazione di Cipro tra il Presidente della Repubblica meridionale, Nikos Anastasiadis, e quello dell’autoproclamata Repubblica turca del nord, Mustafa Akıncı, sotto l’egida delle Nazioni Unite, rappresentate per l’occasione dai rappresentanti Espen Barth Eide e Lisa Buttenheim. Già raggiunto un primo risultato: i due governi si sono accordati per l’abolizione del visto per valicare il confine. Sarà sufficiente un documento d’identità.

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PALESTINA, 13-15 MAGGIO ↴ La Santa Sede ha riconosciuto ufficialmente la Palestina come uno Stato sovrano con una firma di un accordo bilaterale volto a rilanciare – secondo quanto spiegato dalla nota vaticana – il dialogo di pace tra le parti attraverso la formula “due popoli, due Stati”. Dopo l’«intesa globale diplomatica» dei giorni scorsi, che aveva suscitato la delusione e l’irritazione di Israele, il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen ha incontrato a Roma il Premier Matteo Renzi e Papa Francesco, con il quale ha anche approfondito la questione della tutela dei cristiani d’Oriente.

POLONIA, 10 MAGGIO ↴ Contrariamente alle previsioni iniziali, il primo turno delle elezioni presidenziali polacche ha visto la vittoria a sorpresa, con il 34,36%, di Andrzej Duda – candidato del partito conservatore euroscettico Legge e Giustizia (PiS) – sull’uscente Bronizlaw Komorowski (33,77%), esponente di Piattaforma Civica (PO) e in carica dal 2010 dopo la morte di Lech Kaczyński. Tra gli 11 candidati, il cantante e attivista sociale Paweł Kukiz ha ottenuto il 20,8%, raccogliendo il voto di protesta nei confronti dei partiti tradizionali. L’affluenza alle urne è stata del 49,4%, la più bassa dopo la fine del comunismo. Il ballottaggio tra Duda e Komorowski – che all’indomani del voto ha annunciato una bozza di riforma della legge elettorale, con l’obiettivo di intercettare i voti di Kukiz – si svolgerà il prossimo 24 maggio.

UCRAINA, 15 MAGGIO ↴ Il Presidente ucraino Petro Poroshenko ha promulgato la legge – già approvata a larga maggioranza dalla Rada lo scorso 9 aprile e che aveva incontrato lo sdegno della Russia e dei separatisti dell’est del Paese – che equipara il comunismo al nazismo – definiti entrambi regimi totalitari e criminali –, vietandone ogni negazione pubblica di tali caratteri così come ogni utilizzo pubblico dei loro simboli (eccetto per usi educativi, scientifici e nei cimiteri) e di qualsiasi altra intestazione a monumenti, località o strade ad ex dirigenti sovietici. Nonostante l’assenza alle celebrazioni del VDay e alla parata militare per il 70esimo anniversario della vittoria sovietica sui nazisti, la visita del Cancelliere tedesco Merkel a Mosca (10 maggio) e quella del Segretario di Stato USA Kerry (12 maggio) a Sochi, la prima di un alto responsabile americano dall’inizio della crisi ucraina, sembrano costituire primi segnali di un’apparente distensione dei rapporti tra Russia e Occidente. Al centro del bilaterale con Putin il possibile inserimento degli USA nel c.d. “formato Normandia” e l’eventuale dispiegamento di una missione di peacekeeping nel Donbass.

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YEMEN, 12-14 MAGGIO ↴ Nonostante alcuni scontri a fuoco localizzati e a bassa intensità tra forze lealiste e insorti anti-Hadi, la tregua umanitaria di cinque giorni indetta da ambo le parti pare aver retto favorendo l’ingresso di aiuti ai civili in diverse parti del Paese. Intanto, il governo legittimo yemenita riparato a Riyadh ha ritirato ufficialmente dall’Iran il proprio Ambasciatore per protestare contro le azioni «illegali» di supporto politico e militare di Teheran ai ribelli filo-sciiti houthi.

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ANALISI E COMMENTI L’ACCORDO SUL NUCLEARE IRANIANO: QUALI EFFETTI SULLA POLITICA ESTERA RUSSA? ALBERTO GASPARETTO ↴ Con il raggiungimento di una prima intesa al termine dei colloqui tenutisi a Losanna fra il 26 marzo e il 2 aprile pare che finalmente il lento cammino verso la soluzione dell’annosa questione del nucleare iraniano possa giungere a compimento. Il 24 aprile a Vienna ha avuto luogo un ulteriore incontro che ha definito la cornice politica entro cui stabilire l’accordo legale, per il quale occorrerà attendere l’ulteriore step del prossimo 30 giugno. Niente ancora è certo e lo sviluppo degli eventi negli ultimi anni legati alla vicenda dovrebbero indurre a mantenere estrema prudenza nel formulare scenari. Tuttavia, le conseguenze di un tale «storico» avvenimento vengono salutate con favore da tutti coloro che preconizzano o semplicemente sperano di vedere un rilassamento delle relazioni bilaterali fra Iran e Stati Uniti (più in generale, della comunità internazionale), dopo oltre 35 anni di gelo seguite alla Rivoluzione iraniana. Un ammorbidimento dei rapporti che dovrebbe portare ad includere Teheran fra i grandi Paesi del Medio Oriente con cui, una volta ristabilite buone relazioni diplomatiche fondate sulla reciproca fiducia, sarà possibile trovare soluzione agli altri gravi problemi che incendiano la regione: dal conflitto israelo-palestinese al problema del terrorismo, dalle questioni energetiche all’espansione del Califfato targato IS. Ma quale ruolo potrà giocare la Russia in questa partita e di quali benefici potrà godere? Quali scenari dobbiamo comunque attenderci da un’eventuale buona riuscita dell’accordo? Rischia di vedere aumentato l’isolamento di cui soffre oppure ci sono spazi per guadagni comuni? La risposta dipende da una serie di elementi il cui peso inciderà innanzitutto sui rapporti fra Mosca e l’Occidente (…) SEGUE >>>

A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net

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