N°7 – 2/8 MARZO 2014 ISSN: 2284-1024
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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 9 marzo 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra
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Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: I porti di Chabahar e Gwadar al centro dei “grandi giochi” tra Asia Centrale e Oceano Indiano, Osservatorio di Politica Internazionale (Bloglobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal
FOCUS GOLFO ↴ Il 6 marzo Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno ritirato i loro Ambasciatori dal Qatar rendendo di fatto pubbliche tensioni rimaste sinora latenti. È la prima volta nella storia del GCC (Gulf Cooperation Council) che un suo membro rimanesse totalmente isolato. La motivazione ufficiale dietro la scelta dei tre Paesi risiederebbe nel fatto che il Qatar avrebbe pesantemente interferito negli affari interni dei membri dell’organizzazione (in particolare in quelli del Bahrain) e dei suoi alleati (come lo Yemen) infrangendo gli accordi stabiliti da un memorandum di sicurezza firmato nel corso del 34° summit del GCC in Kuwait, lo scorso 11 dicembre 2013. In sostanza il Qatar viene accusato dai suoi ex alleati di fomentare, al pari dell’Iran, le minoranze sciite che combattono i governi centrali di Manama e Sana’a, supportati invece dai Sauditi. Lo statement ufficiale congiunto delle tre monarchie componenti l’organizzazione spiega che «i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno fatto il possibile di fronte al Qatar per mantenere una politica unificata, che garantisse la non interferenza in maniera diretta o indiretta negli affari interni di ognuno dei Paesi membri […]» ma «sfortunatamente gli sforzi non hanno dato risultati, per cui è stato deciso di fare quello che sembrava opportuno per proteggere la sicurezza e la stabilità, ritirando gli Ambasciatori dal Qatar». Le controversie tra i membri del GCC covavano da diversi mesi e già nel dicembre 2013, nel corso dello stesso vertice dell’organizzaQatar per il suo presunto finanziamento dei gruppi terroristici islamisti in Siria e in altri Paesi della regione, ma allora avevano scelto la forma del semplice ma severo ammonimento. Tuttavia, più che lo stallo politico-diplomatico in Siria, a pesare sulle divisioni in seno al GCC e al conseguente isolamento diplomatico qatarino hanno influito le divergenti posizioni in merito al golpe del 3 luglio in Egitto, l’appoggio ai Fratelli Musulmani e ad Hamas nella Striscia di Gaza e, infine, l’avvicinamento alla Turchia, altro Paese rimasto ultimamente ai margini nella regione mediorientale. Le cause alla base della “guerra fredda araba” nel Golfo affondano più propriamente le radici in questioni riguardanti i rapporti tra i singoli membri del GCC e che usano le vicende regionali e più specificamente quelle egiziane – i processi a Mohammed Mursi e ai giornalisti di al-Jazeera – come pretesto per affermare la propria
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zione, Riyadh e Abu Dhabi erano state molto vicine nell’accusare pubblicamente il
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leadership nel mondo arabo. Le dispute infatti sembravano confinate solo allo scontro tra Qatar, sostenitore dei Fratelli Musulmani e protettore di Yusuf al-Qaradawi (teologo egiziano naturalizzato qatarino e noto per i suoi sermoni infuocati nel quale invitava gli Egiziani alla rivolta contro i militari golpisti e criticava aspramente sia l'Arabia Saudita sia gli Emirati Arabi Uniti), ed EAU e Kuwait, monarchie sunnite che da alcuni mesi affrontano delicate tensioni interne con i gruppi locali vicini all’Ikhwan e a vario modo accusate di “ordire contro la stabilità e l’ordine” nei rispettivi regni. Il Qatar, al pari di Turchia e Libia, ha sempre condannato il golpe egiziano dei militari e ha usato al-Qaradawi come strumento di pressione nei confronti delle monarchie vicine nel tentativo di estendere la propria influenza sulle masse popolari egiziane. Proprio gli avvenimenti cairoti dei mesi scorsi e quelli recenti ancora in corso – la messa al bando di Hamas e il ritiro dell’Ambasciatore egiziano dal Qatar – sono state il pretesto e il terreno di scontro della contesa tra Arabia Saudita e Qatar. Infatti a poche ore dalla decisioni del Cairo è giunta immediata la presa di posizione della corona saudita che il 7 marzo ha, a sua volta, dichiarato illegali e ha bandito come organizzazioni terroristiche Fratelli Musulmani, Hamas, Hezbollah, Jabhat al-Nusra e ISIS. Con il medesimo decreto ministeriale, Riyadh ha intimato inoltre a tutti i mujaheddin sauditi (circa 1.200, secondo stime dell’intelligence saudita) impegnati all’estero, in particolare nel teatro siriano, di tornare in patria e deporre le armi. Nel frattempo anche Abu Dhabi si è allineata sulle posizioni saudite e l’8 marzo ha messo al bando i Fratelli Musulmani e tutti gli altri gruppi dichiarati terroristi da Riyadh, riaffermando la piena solidarietà e cooperazione con i “fratelli Sauditi”.
LIBIA-ITALIA ↴ Si è tenuta il 6 marzo a Roma la Conferenza internazionale degli “Amici della Libia” con lo scopo di discutere stabilità del Paese nordafricano. Alla vigilia dell’evento, il Ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, in un’intervista al Corriere della Sera ha chiarito l’orientamento di Roma, e più in generale della comunità internazionale, su un Paese, appunto quello libico, travolto da disordini e problematiche politiche, sociali, economiche e militari. Sottolineando che, nei giorni in cui la crisi in Ucraina domina il mondo mediatico, è necessario per la diplomazia non perdere di vista le questioni mediterranee, ha incitato Tripoli a recuperare il «clima gioioso della libertà» presente tra i libici stessi dopo la caduta nel 2011 della quarantennale dittatura di Muammar Gheddafi. «Come ridare una speranza al popolo libico», si chiedeva
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con le autorità libiche lo sviluppo e la
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dunque il Ministro. «Soltanto il dialogo e la riconciliazione nazionale», continuava, «potranno permettere di trovare una soluzione». «Nessun aiuto, per quanto efficace» dalla comunità internazionale sarebbe in grado di sostituirsi alla necessità di costruire uno Stato ex novo. Mentre si diffondeva la notizia che il terzo figlio di Gheddafi, Saadi, veniva estradato dal Niger a Tripoli, si apriva quindi la Conferenza di Roma dove la Libia, divisa al suo interno tra più fazioni, si presentava bicefala. Da un lato, in rappresentanza della componente laica, si sedevano al tavolo dei negoziati il Primo Ministro Ali Zeidan e il Ministro degli Esteri Mohamed Abdelalziz Aziz, dall’altro, a simboleggiare la parte religiosa sostenuta dalla Fratellanza Musulmana, il Presidente del Congresso Nazionale libico Nuri Abu Sahmain, che in realtà nemmeno doveva recarsi nella capitale italiana e che veniva accettato solo dopo una forte insistenza. La comunità internazionale si è presentata a Roma con una delegazione di oltre 40 Paesi, incluso il Sottosegretario generale per gli affari politici del Nazioni Unite, Jeffrey Feltman. Il vertice ha infine raggiunto un accordo sulla necessità di proseguire in modo coordinato la cooperazione tra i Paesi volenterosi della comunità internazionale e Tripoli secondo tre direttrici: obiettivi comuni, responsabilità delle autorità libiche ed impegni della comunità internazionale. Il tutto, però, come affermato dalla Mogherini nella conferenza stampa a margine, subordinato alla creazione dello Stato libico: d’altro canto «i progressi in Libia sono troppo lenti e non consentono di dispiegare gli aiuti. I buoni progetti ci sono, manca la possibilità di metterli in pratica. La soluzione per la stabilità della Libia deve provenire dalla Libia stessa». Il Ministro Aziz, tuttavia, accoglie solo in parte le dichiarazioni dell’omologo italiano e anzi ribadisce che, per costruire lo Stato libico, ci «serve sostegno politico, tecnico, tecnologico» dato che «mancano le infrastrutture», è necessario «costruire una giustizia equa» e, soprattutto, serve «smilitarizzare le milizie». E’ dunque contrapposta la logica libica a quella italiana, per cui non corrisponderebbe al vero che debba essere la Libia a creare la possibilità di essere aiutata dalla comunità internazionale, semmai «se la Libia fallisce, i libici non saranno gli unici responsabili, sarà un falli-
REPUBBLICA CENTRAFRICANA-SUD SUDAN ↴ Mentre il governo centrafricano transitorio, guidato da Catherine Samba Panza ottiene dalla Repubblica Democratica del Congo un prestito di cinque milioni di franchi, la situazione interna di Bangui è ancora di piena emergenza. Il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, e il Ministro degli Esteri della Repubblica Centrafricana Toussaint Kongo-Doudou hanno congiuntamente richiesto l’invio di ulteriori truppe internazionali per rafforzare la missione di peacekeeping che vede già dispiegate truppe africane e francesi. L’ONU è seriamente preoccupata dagli attacchi perpetrati ai danni delle popolazioni musulmane, che pongono concreto il rischio di pulizia etnica nell’ovest del Paese. La Francia ha recentemente accusato François
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mento di tutti», inclusi quei Paesi che non l’hanno sostenuto in questa delicata fase.
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Bozizè, l’ex leader centrafricano spodestato dai ribelli Seleka nel marzo 2013, di essere il sostenitore delle milizie cristiane anti-balaka che stanno mettendo in atto una campagna di repressione ai danni dei musulmani
Seleka.
L’Alto
Commissario
dell’ONU per i rifugiati Antonio Guterres ha affermato che migliaia di musulmani hanno abbandonato il Paese a causa delle violenze continue tra cristiani e musulmani. Un’ulteriore missione ONU non sembra la migliore delle soluzioni: oltre al problema di reperire i fondi necessari, secondo il Responsabile del coordinamento degli aiuti dell’ONU, Valerie Amos, il problema principale resta il fatto che un ulteriore invio di truppe non potrà avvenire prima di sei mesi. Se la Repubblica Centrafricana non sta attraversando un momento felice, anche il suo ingombrante vicino, il Sud Sudan non vive un periodo altrettanto tranquillo. Dopo due mesi e mezzo di conflitto tra le forze fedeli al Presidente Salva Kiir e i ribelli sostenitori dell’ex vice Presidente Riek Machar, le divergenze sono ancora molte. I negoziati tra le due parti sono tuttora in corso nella capitale etiopica Addis Abeba sotto il patronato dell’IGAD (Intergovernmental Authority for Development), l’organizzazione regionale dei Paesi dell’Africa Orientale. Le due parti rimangono ognuna sulle proprie posizioni e nessun accordo è stato ancora raggiunto, mentre proseguono ancora gli scontri sul terreno. L’ultima richiesta dei ribelli è quella di formare un governo di transizione in cui Salva Kiir non abbia nessun incarico. Il governo di Juba non ha intenzione di accettare un ultimatum del genere dai ribelli: «non c’è possibilità che Kiir lasci il potere, se non perdendo le prossime elezioni presidenziali», ha sentenziato Ateny Wek Ateny, portavoce dell’ufficio presidenziale. Nel frattempo il cessate il fuoco siglato dalle due parti nel mese di gennaio non ha fermato produttori di petrolio. La situazione è particolarmente grave nella città di Malakal, la capitale dello Stato di Upper Nile, da cui migliaia di persone sono state costrette a scappare e a rifugiarsi nel confinante White Nile.
UCRAINA ↴ Perse le caratteristiche di una crisi esclusivamente interna, l'Ucraina, e in particolare la Crimea, si apprestano a diventare sempre più il terreno di scontro tra Russia e Paesi occidentali sia a livello militare sia a livello economico. Smentita la notizia diffusa dall'agenzia di stampa russa Interfax nella giornata del 3 marzo secondo cui il Comandante della Flotta russa nel Mar Nero, Aleksandr Vitko, aveva lanciato un ultimatum di circa 24 ore alle forze ucraine presenti sulla penisola di Crimea, Vladimir
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le violenze nel sud, soprattutto negli Stati di Upper Nile e Unity, i due maggiori
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Putin ha ordinato
il rientro
delle truppe russe impegnate nelle esercitazioni militari nella Russia centrale e occidentale (ordinate lo scorso 26 febbraio) evidentemente alla luce dell'annuncio da parte del Pentagono della sospensione di tutte le attività di cooperazione militare – tra cui le esercitazioni, i vertici bilaterali, le visite ai porti e le conferenze già pianificate – tra Washington e Mosca insieme con i negoziati sul commercio e gli investimenti bilaterali. Il tentativo di de-escalation da parte del Presidente russo è continuato poi con la conferenza stampa tenuta il 5 marzo, nel corso della quale ha spiegato le ragioni della posizione della Russia nella crisi ucraina come un "intervento umanitario" seguito alla richiesta di un Presidente, Yanukovich, che resta legittimo in quanto democraticamente eletto. Putin non ha inoltre escluso la possibilità di dialogo con chi ora siede a Kiev, ma, anzi, ha dichiarato di aver già conferito mandato al Premier Medvedev di prendere contatto con il suo omologo ucraino Arseniy Yatsenyuk. A smentire i toni conciliatori di Putin, che ha peraltro aggiunto che gli uomini dispiegati in Crimea sono forze di auto-difesa, è stato tuttavia l'annuncio del lancio di un missile balistico intercontinentale di lunga gittata RS-12M Topol nella regione meridionale dell'Astrakhan al confine con il Kazakistan: un test a cui peraltro è seguita l'occupazione russa di alcune basi missilistiche in Crimea (Evpatoria e Fiolent), oltre all'annuncio di un rafforzamento della base di Erebuni (in Armenia) con un lotto di jet MIG29. Il vertice NATO-Russia svoltosi a Bruxelles lo stesso 5 marzo non ha portato ad alcuna soluzione diplomatica, ma, anzi, ha contribuito a polarizzare ulteriormente le posizioni: se da una parte l'Alleanza Atlantica ha ribadito l'intenzione di salvaguardare l'integrità territoriale dell'Ucraina, proponendo l'intervento di misciando di rivedere i rapporti con Mosca qualora non retroceda dalle proprie posizioni, dall'altra il rappresentante del Cremlino Aleksander Grushko ha ricordato che Russia e Occidente sono troppo interconnessi e che le ritorsioni potrebbero diventare un boomerang nei confronti delle stesse cancellerie occidentali. Sostanzialmente fallimentare anche l'incontro tra il Ministro degli Esteri russo Serghej Lavrov e il Segretario di Stato USA John Kerry a Parigi: di fronte alla bocciatura dell'iniziativa OSCE, Kerry – che inoltre annunciato lo stanziamento di 1 miliardo di dollari a sostegno del settore energetico ucraino – sta insistendo affinché il Cremlino negozi direttamente con il neo titolare degli Esteri ucraino, Andrej Deshizia, per una soluzione diplomatica della crisi. Lo stesso governo di Kiev nella giornata del 3 marzo aveva annunciato la creazione un gruppo parlamentare incaricato di trattare direttamente con Mosca.
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sioni di osservazione OSCE o del Consiglio d'Europa a garanzia dei russofoni e minac-
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Nel braccio di ferro Russia-USA cerca di inserirsi la mediazione dell'Unione Europea sotto l'impulso diplomatico della Germania la quale starebbe studiando, secondo quanto dichiarato dalle stesse fonti del Cremlino, “nuovi scenari di cooperazione internazionale". Condannando la «violazione ingiustificata della sovranità e dell'integrità territoriale ucraine da parte della Federazione russa», invitando quest'ultima a «ritirare immediatamente le sue forze armate nelle zone in cui sono stazionate permanentemente», annunciando la sospensione dei lavori di preparazione del Vertice G8 di Sochi del prossimo giugno e dichiarando illegale il referendum sul proprio status annunciato in Crimea per il 16 marzo, il Consiglio europeo del 6 marzo ha aperto alla necessità di creare un Gruppo di contatto con lo scopo di «instaurare la fiducia tra le parti, vigilare sull'integrità territoriale e la sovranità del Paese proteggere tutti i cittadini dalle intimidazioni, vigilare sui diritti delle minoranze, contribuire a preparare elezioni libere e regolari e monitorare l'attuazione degli accordi e degli impegni». In mancanza di risultati significativi nel dialogo RussiaUcraina, l'UE «deciderà misure aggiuntive, come i divieti di viaggio, il congelamento dei beni e l'annullamento del vertice UE-Russia». Non di meno Bruxelles si è impegnata a garantire assistenza finanziaria a Kiev per 11 miliardi di euro per i prossimi due anni riaprendo il prima possibile il dossier relativo all'Accordo di Associazione e Stabilizzazione che apporterebbe benefici notevoli all'economia ucraina in termini commerciali e di liberalizzazione dei visti. Per quanto riguarda l'aspetto economico, inoltre, il Fondo Monetario Internazionale – una cui delegazione è giunta a Kiev il 3 marzo – ha ribadito la propria disponibilità ad erogare un prestito che eviti il default del Paese (e una cui significativa tranche, tra l'altro, dovrebbe essere messa a disposizione dalla Polonia) purché il governo attui il più presto possibile una serie di riforme strutturali. Mentre intanto il Parlamento della Crimea ha votato sull'annessione alla Russia e migliaia di russi sono scesi per le strade di Mosca per manifestare il proprio sostegno alla causa crimeana, il governo di Kiev ha deciso di sospendere il sistema elettronico della sezione crimeana del Tesoro e i conti della penisola. Il Premier aprire conti in banche russe, inclusi quelli in rubli e che i cittadini «non saranno lasciati senza pensioni o stipendi in nessun caso, la situazione è sotto controllo». Mentre la televisione ATR di Sebastopoli ha diramato la notizia di un attacco russo nei confronti di una base della difesa anti-aerea ucraina vicino a Sinferopoli, il Cremlino nella giornata del 9 marzo ha minacciato la sospensione delle ispezioni dei propri siti nucleari previsti dal Trattato START e dal Documento di Vienna tra i Paesi dell'OSCE.
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locale Rustam Temirgaliyev ha annunciato che la Repubblica Autonoma è pronta ad
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BREVI AFGHANISTAN, 5 MARZO ↴ Nella provincia di Logar, a sud di Kabul, un raid aereo dell’International Assistance Security Force (ISAF), la missione internazionale a guida NATO all’opera in Afghanistan, ha ucciso cinque soldati delle Forze Armate afghane e ne ha feriti altri otto. Un comunicato diramato successivamente dalla stessa ISAF ha ammesso le proprie responsabilità e lo ha definito «uno sfortunato incidente». L’ISAF ha comunque annunciato l'apertura di un'indagine per chiarirne le dinamiche. Dalle prime ricostruzioni dei locali, pare che la postazione bombardata da ISAF fosse in precedenza occupata da militari della missione internazionale stessa, per poi essere presa in carico dai soldati afghani, ma non è del tutto chiaro se con l’assenso o meno di ISAF. L’incidente si inserisce in quadro più complicato: in un articolo sul Washington Post, il Presidente afghano Hamid Karzai aveva da poco scritto che «gli Afghani muoiono in un conflitto che non è il loro». Nel frattempo, il Capo di Stato maggiore delle Forze Armate americane, Martin Dempsey, faceva visita ai soldati statunitensi dispiegati in Afghanistan e valutava che nella situazione d’incertezza in cui versa oggi il Paese gli unici a beneficiare del ritiro di ISAF entro il 2014 e dell’assenza di un accordo bilaterale tra Kabul e Washington sarebbero i Talebani. Dempsey ha comunque invitato il contingente americano a non demoralizzarsi e a continuare il proprio impegno per il mantenimento della sicurezza del territorio e per l’addestramento dell’Esercito afghano.
CINA, 4 MARZO ↴ Il governo cinese ha annunciato un incremento dei fondi destinati al finanziamento dello strumento militare. Secondo quanto riferito da Pechino, l’aumento sarà di oltre di dollari. Come ha riferito il Primo Ministro Li Keqiang in un discorso al Parlamento, tale aumento servirà per «reprimere più severamente qualunque forma di crimine o di terrorismo che mina il sistema di diritto e la dignità della nazione e impedisce la civilizzazione. Per difendere la sicurezza e le proprietà della gente. Lavoreremo per rendere la Cina più sicura». Il Giappone, con cui Pechino ha un contenzioso territoriale aperto sulle isole Senkaku/Diaoyu, si è subito detto molto preoccupato. Nelle parole del Segretario Generale del governo, Yoshihide Suga: «la trasparenza, o meglio l’assenza di trasparenza, della politica della difesa e delle capacità militari della Cina è motivo di preoccupazione per la comunità internazionale, Giappone compreso». Non solo Tokyo si è mostrata allarmata dell’orientamento cinese: anche le Filippine, coinvolte a loro volta in contese territoriali con la Cina, per bocca del portavoce della marina, Gregory Fabic, hanno annunciato l’ammodernamento della flotta navale e l’aggiornamento del porto di Ulugan Bay, la base più vicina alle isole Spratly, già
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il 12% rispetto alla spesa militare dell’anno passato per un totale di circa 130 miliardi
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messe nel mirino da Pechino. A completare il quadro delle spese militari, era già stato pubblicato il mese scorso un Report dell’International Institute for Strategic Studies, che seppur non aggiornato sul recente aumento della spesa cinese, aveva inserito Pechino al secondo posto tra i Paesi con il budget per la Difesa più elevato. A precedere la Cina, vi sono ovviamente gli Stati Uniti con una spesa pari a circa 600 miliardi di dollari. Nell’area asiatica, Pechino spenderà più di Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Vietnam messi insieme e circa il triplo dell’India.
EGITTO, 4 MARZO ↴ Il Tribunale per gli Affari straordinari del Cairo ha stabilito la messa al bando delle attività del movimento palestinese di Hamas nel Paese, disponendone peraltro il congelamento dei beni posseduti sul territorio egiziano. La decisione è giunta al termine di un procedimento iniziato lo scorso mese di settembre quando un collegio di avvocati aveva chiesto di inserire Hamas nella black list delle organizzazioni terroristiche alla pari dei Fratelli Musulmani a causa delle relazioni che intercorrono tra i due movimenti. Ad incidere su tale scelta sono state anche le accuse nei confronti del Movimento di Resistenza Islamico di sostenere i miliziani che nel corso degli ultimi mesi hanno intensificato gli attentati nella penisola del Sinai e che, per l'occasione, hanno indotto Egitto ed Israele a rivedere la loro cooperazione per garantire la sicurezza del territorio in questione. Dura la risposta di Hamas, che per mezzo del proprio portavoce, Sami Abu Zuhari ha dichiarato che questa decisione «nuoce all'immagine dell'Egitto e al suo ruolo nei confronti della causa palestinese». Bassem Naim, consigliere del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha aggiunto che ciò legittima «e serve l'occupazione israeliana». In linea, inoltre, con Arabia Saudita, Bahrain e EAU, il Cairo ha richiamato il proprio Ambasciatore in Qatar, Paese accusato di supportare la Fratellanza Musulmana dopo la deposizione di Mohammed Mursi. Intanto il Presidente ad interim Adly Mansour nella giornata dell'8 marzo ha promulgato la legge per le elezioni presidenziali: le decisioni che verranno prese dalla Commissione elettorale nel fatte oggetto di ricorso da parte di alcun Tribunale egiziano.
IRAQ, 6 MARZO ↴ Una nuova scia di attentati sta attraversando l'Iraq che si appresta alle elezioni legislative del prossimo 30 aprile. Sarebbero almeno 20 le vittime di nove attacchi (sette autobomba e due ordigni sistemati a bordo delle strade) avvenuti nei quartieri sciiti di Baghdad mentre altre 6 persone (5 soldati e un civile) sono morti in un agguato avvenuto a Mashhada, a 35 Km a nord della capitale, dove un kamikaze ha fatto esplodere la vettura su cui era a bordo nei pressi di un posto di blocco dell'esercito iracheno. Intanto fonti delle forze di sicurezza riportano l'uccisione di un altro soldato
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corso e al termine delle prossime consultazioni non potranno essere impugnate o
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e il ferimento di altri 12 in un attentato a Falluja, mentre nella mattinata del 9 marzo un altro posto di blocco – quello di Hilla, a 95 Km a sud di Baghdad – è stato oggetto di attacco in un momento di grande affluenza verso la capitale, provocando la morte di almeno 34 persone e il ferimento di altre 140. Da inizio anno sarebbero almeno 1.800 le vittime delle violenze settarie. Non si placano nemmeno gli scontri nel cuore del Paese, nella provincia di al-Anbar, tra l'esercito regolare e le milizie islamiste di ISIS: i servizi anti-terrorismo hanno annunciato l'uccisione di almeno 50 qaedisti – tra cui uno dei leader, Abu Bakr al-Anbari – nella città chiave di Ramadi. In un'intervista a France24, il Premier iracheno e sciita Nouri al-Maliki ha accusato le monarchie sunnite di Arabia Saudita a Qatar di sostenere gli insorti e, agendo attraverso la Siria, di aver dichiarato implicitamente guerra al Paese. Intanto Mohamed Hussein Hamid, candidato nella lista del vice Premier sunnita Saleh Mutlak è stato assassinato a Sharqat, 290 chilometri a nord-ovest di Baghdad, da un gruppo di uomini ancora non identificato.
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, 7 MARZO ↴ Il giudice Bruno Cotte della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja ha condannato per crimini contro l’umanità Germain Katanga, ex comandante delle milizie congolesi del Fronte della resistenza patriottica dell’Ituri, gruppo sovversivo della Repubblica Democratica del Congo. Il giovane capo delle milizie congolesi è stato condannato per complicità in omicidio, saccheggio e crimini contro l'umanità, per l’uccisione di 200 civili avvenuta il 24 febbraio 2003 nel villaggio di Bogoro. All’epoca dei fatti c’era un forte rivalità tra l’etnia Lendu, a cui apparteneva Germain Katanga, e l’etnia Hema, a cui apparteneva la maggior parte dei 200 civili massacrati, tra i quali vi erano soprattutto anziani, donne e bambine. Uccisioni e razzie non erano i soli reati per cui era processato Katanga: la CPI lo ha, infatti, assolto, per mancanza di prove, dai reati di stupro, schiavitù sessuale e utilizzo di bambini soldato. Il processo a Germain Katanga, detto Simba, ha generato molte polemiche sia a causa della sua durata (le nel novembre 2012 i giudici avevano concesso un anno di proroga alla pubblica accusa per cercare ulteriori prove che testimoniassero la compartecipazione di Katanga ai reati. Gli accusatori dell’ex militare, tra i quali vi è anche l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, non hanno mai accettato la definizione di compartecipazione, poiché ritengono Katanga responsabile diretto dei crimini per i quali veniva processato. Questo è il secondo verdetto di colpevolezza emesso dalla CPI per quanto avvenuto in Congo: l’altro verdetto di condanna, pronunciato nel marzo 2012, ha riguardato Thomas Lubanga, leader di una milizia rivale a quella di Katanga, nella regione Ituri. Nel dicembre 2012 c’era stata, invece, la discussa assoluzione, per mancanza di prove, di Mathieu Ngudjolo Chui, ex comandante del Fronte dei Nazionalisti e Integrazionisti del Congo (FNI), considerato dalle associazioni per i diritti umani complice di Katanga per il massacro di Bogoro.
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autorità congolesi lo avevano, infatti, consegnato alla CPI già nel 2007) sia perché
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SIRIA, 6 MARZO ↴ Continuano gli scontri in Siria tra le truppe governative fedeli a Bashar al-Assad e la miriade di gruppi ribelli di opposizione. In questi ultimi mesi le truppe governative, sostenute dalle milizie di Hezbollah e dai finanziamenti provenienti dall’Iran, stanno mirando alla riconquista delle posizioni conquistate dai ribelli nelle fasi iniziali del conflitto: le truppe regolari stanno concentrando i loro sforzi sulla città di Yabroud, a nord di Damasco, dove si ritiene che siano presenti circa 10.000 combattenti. Yabroud è considerata un’importante caposaldo delle truppe ribelli, per la sua posizione strategica alle pendici dei rilievi della montagnosa regione di Qalamoun, nelle vicinanze del confine libanese, da dove i ribelli traggono armi e medicinali. Mentre l’esercito di Assad ha iniziato a utilizzare, con una certa sistematicità, sulla città di Aleppo i famigerati “barili bomba”, per provocare maggiori distruzioni e fiaccare la resistenza dei ribelli e della popolazione che li sostiene, gli attentati esplosivi si susseguono con una continuità impressionante. Un’auto imbottita di tritolo è esplosa nel centro di Homs, nei pressi della rotonda Muasalat, provocando la morte di 13 persone e il ferimento di molte altre. L’attentato è avvenuto poche ore dopo che un’auto esplodesse nella provincia di Hama, provocando la morte di quattro persone e il ferimento di 22. In questa escalation del terrore si è inserito, questa volta in maniera esplicita, il governo di Israele: l’esercito israeliano ha effettuato il lancio di quattro missili dalle alture del Golan verso l’area di Quneitra, nella Siria meridionale. Lo Stato Maggiore dell’esercito israeliano ha dichiarato di aver sparato su alcuni militanti libanesi che stavano posizionando dell’esplosivo nelle vicinanze del confine provvisorio tra Siria ed Israele, a ridosso delle alture del Golan. L’incidente è avvenuto pochi giorni dopo che alcuni aerei israeliani colpissero un convoglio al confine tra Siria e Israele, sospettato di trasportare missili per Hezbollah. Israele è coinvolto, non ufficialmente, nel conflitto siriano, poiché fornirebbe sostegno ai ribelli impegnati nella Siria meridionale, al fine di bloccare le pericolose infiltrazioni di Hezbollah all’interno dei propri confini.
Un Colonnello dell'intelligence di Sanaa, Abdel al-Maleh Othari, è stato ucciso da sospetti uomini probabilmente affiliati ad AQAP (Al-Qaeda in the Arabian Peninsula). Un funzionario della sicurezza della capitale ha affermato che «il Colonnello Othari è stato ucciso mentre usciva da casa, vicino all'aeroporto». Pur non essendoci stata alcuna rivendicazione, il modus operandi dell’omicidio Othari ricorda da vicino le ormai classiche azioni eseguite da uomini direttamente operativi nel network qaedista o da killer al soldo dell’organizzazione terroristica. Nell’ultimo anno sono state numerose le vittime appartenenti alle alte sfere dei servizi segreti e dell'Esercito yemenita. Soltanto due giorni prima un ufficiale della Marina, l'Ammiraglio Qasim Laboza, era scampato ad un attacco non rivendicato organizzato nei pressi del porto di Belhaf nella provincia di Shabwa, nello Yemen sudorientale, nel quale però sono rimaste
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YEMEN, 6 MARZO ↴
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uccise due persone del suo staff. Intanto continuano le violenze e gli scontri tribali nel nord del Paese tra esercito regolare, ribelli sciiti Houthi e sunniti del partito islamista al-Islah.
VENEZUELA, 5 MARZO ↴ Non accennano a placarsi le manifestazioni – ormai quotidiane – anti-regime contro l'aumento della criminalità, l'inflazione senza controllo e la scarsità di beni di consumo. Anche nel primo anniversario della morte del Comandante Hugo Chávez (5 marzo) si sono tenuti imponenti cortei a Caracas, Valencia, Barquisimeto, Miranda e nelle altre piazze calde del Paese. Il Procuratore Generale del Venezuela, Luisa Ortega Diaz, ha reso noto che finora sono morte 21 persone e altre 318 sono rimaste ferite da quando il 4 febbraio scorso hanno avuto inizio le manifestazioni antigovernative e le proteste studentesche. Il sindaco di Caracas e uno dei leader della protesta antichavista, Antonio Ledezma, ha lanciato un appello all’OSA (l’Organizzazione degli Stati Americani) affinché possa intervenire e fare pressioni sul governo per un maggior rispetto della democrazia in Venezuela. Intanto il Presidente Nicolás Maduro in un discorso tv alla nazione ha attaccato nuovamente Stati Uniti e Colombia, accusati di complottare per favorire un golpe, e ha parlato inoltre di una «propaganda di alcuni mezzi d’informazione nazionali e internazionali [che] ha[nno] diffuso l’idea che nel nostro Paese il caos sia diffuso e che il governo stia mettendo in atto una repressione indiscriminata». Lo stesso Presidente ha accusato l’omologo panamense, Ricardo Martinelli, di fomentare le protese anti-regime e per tale ragione Caracas ha interrotto le relazioni diplomatiche con il Paese centro-americano. Vibranti le proteste da parte della comunità internazionale: nell’incontro con il Ministro degli Esteri venezuelano Elías Jaua il 3 marzo a Ginevra, per discutere della situazione nel Paese, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha chiesto al governo di Caracas di ascol-
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tare le richieste dei manifestanti e di fermare immediatamente le violenze.
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ANALISI E COMMENTI SUD SUDAN: IL TERMOMETRO DELLA CRISI MARTA GATTI ↴ Sono ripresi il 10 febbraio, ad Addis Abeba, i negoziati tra il governo sud sudanese e la parte delle forze armate fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar. La seconda fase dei colloqui di pace arriva dopo una fragile tregua di cessate il fuoco per il Paese: l’accordo tra governo e ribelli era stato infatti firmato giovedì 23 gennaio e prevedeva la fine delle ostilità dal giorno successivo. Già il venerdì, però, si sono susseguite accuse reciproche di violazione della tregua. A mettere a rischio le trattative anche la ripresa, il 19 febbraio, delle ostilità a Malakal, il capoluogo dell’Upper Nile. Le notizie che arrivano da Malakal, sono contrastanti (…) SEGUE >>>
LA SFIDA ALIMENTARE IN AMERICA LATINA FRANCESCO TRUPIA ↴ Aspettando i risvolti politici che seguiranno Fifa 2014 e le sfide elettorali di fine anno in Bolivia e Brasile, l’America Latina ospita l’ennesimo evento di un Continente volto al continuo incremento della propria economia sub-regionale e deciso a fuoriuscire dalle stagnazioni degli ultimi mesi. A Città di Città del Messico, dal 4 al 6 marzo, l’Industria Alimenticia – insieme a multinazionali straniere ed in collaborazione con il Culinary Institute of America – ha organizzato il Congreso de Alimentos y bebidas de America Latina che promuoverà alternativi processi di sviluppo alimentare e la progettazione di nuove formule sicure da realizzare per l’intero settore (…) SEGUE >>>
Ne “I racconti di Sebastopoli” Lev Tolstoj racconta, ispirandosi alla propria esperienza bellica in qualità di ufficiale d’artiglieria in servizio presso il “famigerato” Quarto Bastione, il lungo assedio (dal settembre 1854 al settembre 1855) patito da questo importante porto sul Mar Nero durante quella che, nei manuali di storia italiani, è denominata guerra di Crimea. La descrizione che Tolstoj dà della città, progressivamente ridotta ad un cumulo di macerie, è meticolosa così quanto spietata l’analisi “sociologica” che egli fornisce del corpo degli ufficiali zaristi, vanagloriosi ed interessati più al rispetto dell’etichetta ed alle convivialità che all’andamento disastroso della guerra. Nonostante la dura denuncia (…) SEGUE >>>
Weekly Report. N°7/2014 (2-8 marzo 2014)
PENISOLA DI CRIMEA: IL SOGNO DI UNA TERZA ROMA SIMONE VETTORE ↴
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