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di Manuela Salvi

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di Franca De Sio

di Franca De Sio

Autori italiani e autori stranieri

È proprio un bel libro sembra americano!

di Manuela Salvi

Codici e ritmi del capitalismo dell’informazione (o fast capitalism), mondo globale e culture “periferiche”. Gli investimenti promozionali dirottati quasi sempre sui libri in traduzione che arrivano già con dei numeri di vendita importanti. I benefici di testi e autori nazionali, considerati spesso midlist writers. Fine del libro che dura nel tempo?

Nel 2015 andai all’Università di Worcester a rappresentare l’ICWA a un simposio internazionale sulla letteratura per bambini. Il mio intervento si intitolava “L’americanizzazione dell’editoria italiana per bambini” e raccontava a grandi linee gli effetti che la massiccia importazione di testi stranieri, soprattutto di lingua inglese, ha avuto sulla letteratura e sugli autori italiani. Ricordo due dati interessanti. Il primo, di natura statistica: la percentuale di libri in traduzione era leggermente in calo rispetto agli anni passati. Mondadori, per esempio, era passata dal 75% al 58% di libri in traduzione tra il 2012 e il 2015. Si evidenziava già un maggiore interesse verso la produzione nazionale. Il secondo invece era di natura empirica, e riguardava il complimento più controverso che gli autori italiani si sentono a volte rivolgere: «Il tuo libro è così bello che potrebbe essere inglese o americano». Citai diversi autori italiani – me compresa – che utilizzano o hanno utilizzato ambientazioni, personaggi, generi e persino titoli inglesi in modo creativo e personale ma sicuramente imitativo. È normale, infatti, che in un mondo globale le culture “periferiche” guardino alla cultura dominante non solo per attingere modelli ma anche per dar forma alle proprie aspirazioni in termini di successo e qualità. Per l’editoria italiana per bambini e ragazzi, il grande punto di riferimento sono sicuramente sempre state l’editoria americana e britannica. C’è una lunga storia di legami culturali e politici che spiegano questa impostazione ma è importante sottolineare quanto il processo di assimilazione della cultura dominante – e della “deculturizzazione” di ciò che è percepito come marginale – sia assolutamente parte del gioco chiamato globalizzazione. In questo gioco, da una parte c’è un mercato transnazionale che si muove secondo codici commerciali precisi. Bisogna accaparrarsi i best seller con i numeri più alti, prima di tutto, e quelli che hanno già in programmazione il film o la serie TV, o che sono tratti dal videogico o dal programma televisivo che impazza tra i più piccoli. La cross-medialità è diventata infatti un elemento cruciale nella scelta di cosa tradurre, anche se non sempre è facile prevedere quale sarà la prossima hit. Un esempio: la serie “Anne” di Netflix ha portato a un aumento delle vendite del libro da cui è tratta, Anna dai capelli rossi, di Lucy Maud Montgomery, un classico del 1908, soprattutto nell’edizione che mostra in copertina l’attrice Amybeth McNulty. Dall’altra, il capitalismo dell’informazione (o fast capitalism) impone ritmi di produzione rapidissimi e un ricam-

bio dei cataloghi altrettanto veloce. Un libro ha in media dai tre ai sei mesi per dimostrare di vendere, altrimenti finisce nelle retrovie e poi al macero dopo pochi anni. È sempre più difficile per gli editori mantenere le cosiddette backlist, cioè i libri “vecchi” in catalogo, per una questione di spazio: i magazzini hanno un costo, il volume di produzione è sproporzionato se lo si rapporta al numero di lettori effettivi, c’è bisogno di un continuo ricambio. La costante esigenza di novità – novità da portare alla prossima fiera del libro, novità degli autori che vogliono rimanere visibili, novità in libreria dove tutto invecchia in un istante – ovviamente influisce sia sulle decisioni degli editori che sul lavoro degli autori. Questi elementi socio-economici, combinati insieme, hanno creato a mio parere un sistema molto efficace nell’editoria italiana, che negli ultimi anni ha dato spazio a un numero crescente di autori italiani esordienti e di pubblicazioni “made in Italy”. Il Battello a Vapore di Piemme è passato da un rapporto 58/42% a favore degli italiani dello scorso anno a un 62/38% attuale – un dato molto indicativo che sembra destinato a crescere. Lasciando da parte i piccoli editori che lavorano sulle nicchie e portano avanti altri tipi di progetti, consideriamo qui le case editrici che sono parte di grandi gruppi transmediali o quelle che comunque hanno all’attivo almeno un best seller tradotto dall’inglese. L’investimento promozionale maggiore (che è comunque modesto), in questi casi, è dirottato quasi sempre sui libri in traduzione che arrivano già con dei numeri di vendita importanti. Gli autori italiani sono invece destinati, più che al successo in libreria, dove i loro competitors sono dei giganti crossmediali globali, al successo – auspicato o reale – nelle classi. L’autore italiano, con rare e interessanti eccezioni, guadagna notorietà soprattutto se imbocca la corsia preferenziale che, da nord a sud, passa tra i banchi di scuola e di conseguenza dai festival. Questo conferma che la nostra editoria sta effettivamente vivendo un momento di estrema vivacità per quello che riguarda la ricerca di testi e autori nazionali. I benefici possono essere vari. C’è l’investimento a lungo termine sull’autore, che garantisce continuità non solo nel ritorno economico ma anche nel rapporto di fiducia e lealtà che si crea appunto tra l’editor e lo scrittore “fatto in casa”. C’è il fattore del costo di produzione, che nella maggior parte dei casi sarà molto più basso se il testo è di un autore nazionale, sia per una questione di anticipi inferiori che per l’assenza del costo della traduzione. E c’è appunto la disponibilità degli autori italiani a promuoversi attivamente sul territorio nazionale, tra incontri a scuola e presenza nei festival, senza gravare molto sul budget generale di nessuno. L’investimento sugli autori italiani ci dice anche, però, che la fetta di mercato riservata a quest’ultimi è formata soprattutto dai compratori adulti – insegnanti e genitori in primis – e che quindi un’analisi approfondita dei contenuti potrebbe rivelare dei trend “comodi” che facilitino l’ingresso nelle aule e non creino controversie di alcun tipo. La copiosa produzione di testi su argomenti confezionati ad hoc per infilarsi nei programmi scolastici potrebbe a sua volta dimostrare un certo modo di assoldare gli autori nazionali, almeno parzialmente, come produttori di contenuti piuttosto che come Autori in senso ampio e completo. Restano visibili, infine, i libri “imitativi” di modelli anglosassoni pre-esistenti, come accennato prima, che suppliscono ai testi in traduzione con delle versioni nostrane di fenomeni globali, più a basso costo e adattate al nostro contesto. Insomma, ci sono alcuni elementi che potrebbero indicare che questa inversione di tendenza a favore degli autori italiani contenga anche il rischio di trasformare la maggior parte di essi in ciò che gli anglosassoni definiscono midlist writers. Nel contesto citato poco fa del capitalismo dell’informazione, che impone una velocità di ricambio sempre maggiore, si è creata questa particolare specie di scrittore midlist: non è e non sarà mai uno

scrittore di best seller; raramente vince premi significativi (è un caso che i nostri più importanti premi nazionali siano non di rado assegnati a libri di autori stranieri?); per restare visibile deve pubblicare molto e fornire appunto costanti novità di cui il settore è vorace; i suoi libri vendono abbastanza da giustificarne la produzione e da consentirgli di continuare a pubblicare ma l’autore confesserà spesso che si aspettava di “vendere di più”. La vendita, comunque, dipende quasi esclusivamente dalle scuole. Un’altra caratteristica del midlist writer è la sua durata. Nell’editoria per bambini esistono le “meteore” come in ogni altro settore. Esordienti che si perdono dopo i primi due, tre libri. Fenomeni che si esauriscono in brevissimo tempo. Grandi promesse della letteratura di cui dopo un po’ non si sente più parlare. Il suo ruolo di “riempi-scaffali” non garantisce infatti alcuna durata al midlist writer, anzi; ed è facile che la sua inesperienza non gli consenta di interpretare i segnali e i feedback nel modo giusto a preservare la propria carriera nel tempo. In un’ottica di veloci ricambi, la competizione si fa per forza più spietata e ogni velleità autoriale o cambio di impostazione degli scrittori già inquadrati in un certo filone, come quello scolastico, verrà automaticamente rigettata dal sistema. I ruoli sono ben definiti, gli autori pragmaticamente brandizzati, e i libri confezionati secondo logiche a compartimenti abbastanza stagni: mass-market, award-winners (e cioè le pubblicazioni più autoriali che possono aspirare a premi importanti), e i midlist. Così come è difficile che un libro mass-market vinca un premio, e che gli award-winner escano dalla nicchia che li rappresenta, allo stesso modo è difficile che un midlist passi in una delle altre due categorie. Qual è la morale della favola? A mio parere, che in un settore culturale non ci si dovrebbe mai affidare solo ai numeri. A una valutazione di percentuali, statistiche e vendite dovrebbe seguire un’analisi di cosa e come si vende, e a chi. Soprattutto, un’analisi di cosa resta della nostra letteratura nazionale, e di quali dureranno nel tempo tra i libri prodotti adesso. Se oggi posso trovare ancora in vendita C’era un bambino profumato di latte di Roberto Piumini, uscito nel 1980, troverò ancora, tra quarant’anni, il libro di esordio di un giovane autore del 2021? La risposta istintiva è: molto probabilmente non lo troverò nemmeno tra cinque anni. Quello di cui ci si deve rendere conto sono quindi le modalità del mercato globale nel capitalismo dell’informazione, le quali non mirano più a cancellare le culture locali ma a trasformarle dall’interno e a operare attraverso di esse. Questo potrebbe spiegare in parte l’origine dell’inversione di tendenza sul fronte libri in traduzione. Un esempio molto interessante di resistenza attiva è l’Olanda: il governo, consapevole di quanto sia facile per una cultura periferica essere spazzata via dalla “distruzione creativa” globale a cui proprio i settori culturali contribuiscono, finanzia gli editori per bambini, coprendo quella fetta di guadagni che negli altri paesi viene garantita dalle pubblicazioni mass-market e dai best seller in traduzione. In cambio chiede dedizione totale alla valorizzazione della letteratura e degli autori olandesi, per garantire ai bambini originalità, innovazione, sperimentazione e rispetto dei valori nazionali – molto diversi da quelli propagandati dalla letteratura globale “americanizzata”, e sicuramente meno politically correct. Questo tipo di letteratura diventa quindi l’unica disponibile per bambini e genitori che vanno in libreria. È un modello ovviamente improponibile nel nostro paese ma indica una direzione che spesso viene dimenticata, e cioè quella del rapporto tra autori e lettori. In un sistema in cui gli autori vengono incoraggiati a compiacere i compratori adulti, quel rapporto è falsato in partenza. I giovani lettori, capito il tradimento, passeranno presto ad affidare sogni e domande ad altri media che offrono più libertà di scelta e privacy. E della maggior parte delle pubblicazioni confezionate per i compratori adulti ci si dimenticherà non appena avranno occupato un posto nello scaffale giusto per il tempo necessario al mercato ad autoalimentarsi. Perciò, il numero degli autori italiani pubblicati non è sufficiente a inquadrare questo nuovo trend in maniera incondizionatamente positiva – c’è bisogno di una riflessione seria su cosa si pubblica e per chi, e di stabilire se ci sia una effettiva valorizzazione della letteratura nazionale sul lungo termine.

Bibliografia

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