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di Francesca Baldini

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di Franca De Sio

di Franca De Sio

Proposto in graphic novel il longseller di Harari

L’immaginazione l’uomo e le nicchie di imbecillità

di Francesca Baldini

Il libro di Yuval Noah Harari, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia probabilmente interessato il cervello dei dell’umanità, è stato riadattato in un’accattivante graphic novel per Sapiens, perfezionandone le connessioni i tipi di Bompiani per essere più facilmente fruibile anche dai lettori neuronali a tal punto da renderlo in giovani. Alla base del pensiero dell’Autore un paradosso: per perseguire l’utopico ideale di una vita più facile, non codificata nel genoma ma prodotto dellimmaginazione, gli esseri umani sono andati incontro a difficoltà sempre maggiori, finendo nella trappola da essi stessi tesa. Si giunge così alla domanda se oggi l’uomo è da considerare un essere “divino” oppure il distruttore di sé stesso e grado di progettare la conquista del mondo. Una scimmia insignificante è divenuta così «signora della Terra, capace di scindere il nucleo di un atomo, volare sulla Luna e manipolare il codice genetico della vita»1. Il nostro vantaggio sugli altri animali non sarebbe però consistito nella sola capacità di verba-del proprio ecosistema. lizzare informazioni. La tesi sostenuta dallo scrittore israeliano Yuval Noah Che cosa distingue un uomo da un 70.000 anni fa, quella agricola, comin- Harari in Sapiens. Da animali a dèi è inanimale? La domanda potrebbe ciata circa 12.000 anni fa e, infine, fatti che il segreto del “successo” dellaapparire peregrina, a meno che quella scientifica che, ultima, 500 anni nostra specie sarebbe sì legato alla capanon la si inserisca nel contesto delle tre fa, ha sancito il completo primato del- cità di elaborare messaggi complessi traRivoluzioni che hanno segnato la storia l’uomo sugli altri esseri viventi. mite il linguaggio, ma anche, eumana: quella cognitiva, iniziata circa Mutazioni genetiche accidentali hanno soprattutto, alla tendenza a trasmettere

informazioni su «cose che non esistono affatto». Il nostro vantaggio evolutivo consisterebbe nella «capacità immaginativa», quella stessa che, operando collettivamente, avrebbe consentito ai Sapiens di «fare pettegolezzi» sugli altri, di condividere informazioni sociali, di «costruire narrazioni» che funzionano bene. Leggendo le pagine dell’opera di Harari, il pensiero non può non andare a Giacomo Leopardi il quale, nello Zibaldone, ha fatto dell’immaginazione un caposaldo del suo pensiero, sostenendo che essa sia l’unico mezzo di cui la natura avrebbe dotato l’uomo per garantirgli – illusoriamente – il raggiungimento della felicità. Condividere fantasie e miti è sempre stata dunque per i Sapiens la conditio sine qua non sulla scorta della quale creare un «ordine immaginario», «incastonato nel mondo materiale»2, fatto di una realtà oggettiva e naturale, non avulsa dai fatti. È così che si sarebbero radicate sulla terra le chiese, che si sarebbero fondati gli Stati, che si sarebbe costruita la fiducia nelle leggi, così come nei libri e nei soldi, questi ultimi oggetto – nel corso del tempo – di un vero e proprio feticismo. L’immaginazione avrebbe spinto i Sapiens a “inventare” nuove e sempre più efficienti forme di aggregazione e l’esercizio del potere sarebbe dipeso dall’abilità di convincere gli altri e di indurli a credere in “narrazioni” comuni. Ma i “miti” cambiano nel tempo e le Rivoluzioni – veri “balzi” in avanti nel processo evolutivo, che hanno portato l’uomo a distanziarsi socialmente e psicologicamente da tutte le altre specie animali – attestano, però, al tempo stesso, che il Sapiens non ha mai tradito il proprio genoma. Egli avrebbe dunque innovato sì la sua esistenza, ma mantenendo sempre viva la capacità di adattare la sua mente «da cacciatore-raccoglitore» alle diverse realtà. Ecco il fardello che grava, inesorabile, sulle nostre spalle: la supremazia umana, generata dal processo evolutivo, sarebbe semplicemente presunta; consisterebbe insomma in una mera compensazione, utile a rimuovere la consapevolezza del vero, ma incapace di mistificare la nuda realtà. L’uomo è animale e tale rimane! Non è scorretto dunque, da questo punto di vista, sostenere che la logica del consumismo – anche di quello più “romantico” – tipica delle società opulente, è una delle tante dimostrazioni della natura ferina del Sapiens e della sua indole predatoria. Sul piano più propriamente cognitivo, poi, se è incontestabile che «gli uomini sanno di più di quanto sapessero i membri di un antico gruppo dei Sapiens», dal punto di vista della pratica sociale essi, presi singolarmente, non avendo più bisogno di conoscere il mondo naturale per sopravvivere, hanno bisogno di un sostegno collettivo. Ecco allora il “tallone d’Achille” dell’uomo: questo, da solo, nulla può se non è – e non sarà – capace di contare sugli altri. Per dirla con le parole dell’Autore, insomma, da quando le dimensioni medie del cervello umano sono diminuite dopo l’era dei cacciatori-raccoglitori, per i Sapiens si sono aperte «nicchie di imbecillità»3. Ma c’è dell’altro. Se da una parte essi, con i loro comportamenti, si sono fatti promotori del loro progresso materiale, dall’altra si sono resi responsabili anche del vulnus inferto alla natura. Gli uomini, insomma, con la loro presunzione di potere e di dominio, non hanno maturato un’adeguata e sana paura per il loro primo, vero nemico: se stessi! Per perseguire l’utopico ideale di «una vita più facile», non codificata nel genoma ma prodotto della fantasia, essi sono paradossalmente andati incontro a difficoltà sempre maggiori, finendo nella trappola da loro stessi tesa. Una storia amarissima, dunque, quella raccontata da Harari, fatta di «patti faustiani»4 tra uomo e ambiente e di «calcoli mal concepiti»5: «forse i Sapiens –afferma lo scrittore – avevano altre aspirazioni, e, per raggiungerle, scelsero con consapevolezza di complicarsi l’esistenza»6 . Uomini antichi, motivati dalla “fede”, si contrapporrebbero così a uomini moderni, spinti da «necessità economiche»; alla lentezza, alla riflessione e alla fatica

– come siamo abituati a constatare – si sarebbero sostituite logiche di accelerazione, di utilità, di perseguimento di soddisfazione egotica. Ecco la discrasia tutta moderna tra evoluzione e progresso: quest’ultimo, ben lungi dal tradursi in esperienza e prosperità, si è tradotto piuttosto in «sofferenza individuale» e in «ampliamento delle disuguaglianze», l’una e l’altro causati dai modelli di comportamento consapevolmente adottati7 . I miti, sempre rigenerati, avrebbero dunque dominato l’uomo e si sarebbero, insomma rivelati più forti di quanto «chiunque avrebbe potuto immaginare»8. Dopo la Rivoluzione francese, sostiene l’Autore, «l’intera storia politica del mondo può essere vista come una serie di tentativi per risolvere tale contraddizione»9. Harari afferma così che l’evoluzione, invece di rendere l’uomo migliore, lo ha reso paradossalmente una creatura xenofoba e poco inclusiva, sedotta dal potere del denaro, meravigliosamente capace di «credere in cose contraddittorie»10 e, per ciò stesso, destinata a rimanere vittima tanto della sua arroganza, quanto dalla della sua stessa facoltà immaginativa. Una prospettiva, questa, che ancora una volta ci rimanda a Leopardi il quale, verso la fine degli anni, sbeffeggiava le «magnifiche sorti e progressive» sulle quali avevano riposto tanta fiducia gli intellettuali idealisti del suo tempo. Il libro di Harari, un longseller di successo, è stato tradotto in sessanta lingue e riadattato, per i tipi di Bompiani, in un’accattivante Graphic Novel rivolta ai ragazzi. In essa un gruppo di ricercatori, guidati dallo stesso autore, induce il lettore a rivisitare, in modo nuovo e divertente, la storia dell’evoluzione umana con un linguaggio fresco, che spazia da quello televisivo a quello dei romanzi gialli. Una storia di investigazione, dunque, quella offerta dallo scrittore – ampiamente fruibile anche dal mondo giovanile attraverso la scrittura di David Vandermeulen e le illustrazioni di Daniel Casanave – che apre la mente del pubblico, adulto e non adulto, e lo sollecita a esperire nuove prospettive riguardo al rapporto tra storia e scienza. Il Sapiens, questa è la domanda, è da considerare come un essere “divino”, oppure come il distruttore più o meno consapevole di sé stesso e del proprio ecosistema? Il dibattito è oggi quanto mai aperto, e soprattutto attuale, a causa della pandemia, nel corso della quale l’uomo è stato – ed è – costretto a rivedere tutte le sue priorità, nel tentativo di recuperare quell’«ordine immaginario» che tanto ci manca e che siamo, ancora, ben lungi dal riconquistare.

Note

1 Y.N. Harari, D. Vandermeulen, D. Casanave, Sapiens. La nascita dell’umanità, quarta di copertina. graphic 2 Y.N. Harari, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Milano, Bompiani 2019, pag. 149. 3 Ivi, pag. 69. 4 Ivi, pag. 122. 5 Ivi, pag. 119. 6 Ibidem. 7 Ivi, pag. 281. 8 Ivi, pag. 137. 9 Ivi, pag. 209. 10 Ivi, pag. 277.

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